IL MEDIOEVO - CASTELLI, MERCANTI, POETI

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STORIA - L’Inquisizione episcopale

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L’Inquisizione episcopale e l’Inquisizione pontificia

di Giulio Sodano

L’Inquisizione medievale nasce a seguito dello sviluppo delle eresie, in particolare di quella catara. La Chiesa ritiene che sia sua opera preminente la repressione dell’eresia e che il potere civile debba eseguire le condanne emesse, pena la sua delegittimazione. All’inizio del Duecento gli eretici diventano ministri del demonio. Negli anni Trenta del secolo nasce l’Inquisizione pontificia, affidata prevalentemente ai Domenicani. Il papato provvede poi a emanare norme sempre più precise sull’attività inquisitoriale.

La sistemazione dottrinale e giuridica e l’Inquisizione tra XIII e XIV secolo

Nella seconda metà del Duecento e nel corso del XIV secolo, il papato provvede a emanare norme sempre più precise e l’attività inquisitoriale si conforma ai principi canonistici. Nasce un’articolata letteratura giuridica. Vengono, quindi, scritti manuali per le regole da osservare nei processi. Il primo di cui si ha notizia è del 1241-1242. Il più famoso è quello del domenicano Bernardo Gui (1261 ca. - 1331) di Tolosa del 1321. Nel 1252, con la bolla Ad extirpandam di Innocenzo IV (1200 ca. - 1254, papa dal 1243), è autorizzata la tortura per ottenere la confessione degli inquisiti.

Sempre nella seconda metà del Duecento, i papi fanno ricadere gli ebrei sotto la giurisdizione dell’Inquisizione. Mentre cresce la diffidenza e il sospetto verso il testo ebraico del Talmud, con la bolla Turbato corde del 1267 diventano passibili di processo inquisitoriale i cristiani che si convertono all’ebraismo e gli ebrei responsabili di tali conversioni. Dal 1274, poi, gli inquisitori puntano il loro interesse sugli ebrei convertiti, sospettati di tornare a praticare riti giudaici.
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STORIA - I poveri, i pellegrini e l’assistenza

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di Giuliana Boccadamo

Le vicende di Francesco d’Assisi e Domenico di Guzmán portano a un nuovo modo di intendere la povertà ma, nonostante l’impegno profuso dagli ordini mendicanti nei confronti dei più deboli, le condizioni dei poveri si aggravano, soprattutto nel XIV secolo. Si arriverà alla fine del secolo ad aperte rivolte.

Carità, assistenza e pellegrinaggi

È spesso un’elemosina monetizzata, tipica di una società impostata ormai secondo un modello di sviluppo mercantile. Non si può sorvolare, infine, sul ruolo che nell’organizzare la beneficenza e nel drenare e gestire le collette hanno le confraternite, sia quelle nate come emanazione delle corporazioni di arti e mestieri, sia quelle nate come confraternite di penitenza, di nuovo o antico conio, rinnovate o meglio organizzate anche dagli ordini mendicanti, pronte a sopperire a una vasta gamma di vecchie e nuove esigenze, dalla conduzione degli ospedali alla sepoltura dei cadaveri, all’assistenza dei condannati a morte. Né vanno dimenticate le compagnie, le confraternite nate con lo scopo di assistere i pellegrini in viaggio per raggiungere i luoghi santi della cristianità. Se l’XI secolo si era caratterizzato per il pellegrinaggio a Gerusalemme e il XII per quello a Santiago de Compostela alla presunta tomba di Giacomo il maggiore, scoperta attorno alla metà del IX secolo, il XIII secolo si caratterizza invece per la ripresa del pellegrinaggio a Roma, non escludendo peraltro polarizzazioni nazionali o locali in una geografia del pellegrinaggio ben ramificata e articolata.

I poveri nel XIV secolo

Non stupiscono quindi le sollevazioni popolari – a Liegi fra 1251 e 1255, fra la Senna e il Reno attorno al 1280 e poi a macchia di leopardo.
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STORIA - Le persecuzioni antiebraiche

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di Giancarlo Lacerenza

I secoli XIII-XIV si rivelano cruciali nella storia dei rapporti fra l’Occidente cristiano e gli ebrei, perché vengono a maturare i presupposti sociali, religiosi e ideologici che conducono, nel giro di pochi decenni, alla definitiva marginalizzazione della componente ebraica della società europea. Si formalizzano le prime indicazioni generali sull’obbligo d’indossare contrassegni visibili sul vestiario, di risiedere in quartieri separati, di allontanarsi dalle attività artigianali per dedicarsi al prestito o, comunque, ad attività ritenute inadatte o sconvenienti per i cristiani. È l’epoca delle prime grandi espulsioni (Inghilterra, Francia), di nuovi pogrom che, specialmente dopo le persecuzioni seguite alla peste nera del 1348, determinano l’irreparabile crisi della presenza ebraica nel territorio europeo.

Il processo di esclusione

Spinge d’altra parte nella medesima direzione, almeno per quanto riguarda l’atteggiamento nei confronti degli ebrei, anche la necessità di mantenere rapporti possibilmente equilibrati con il mondo e il potere ecclesiastico: con l’effetto di una rapida mutazione dei poli di riferimento verso i quali l’Europa sceglie di gravitare. Almeno sin dalla metà del XIII secolo ci si allontana infatti dall’orbita di scambio culturale ed economico con l’area egeo-bizantina, nordafricana e, più in generale, orientale, lasciando dietro di sé la società ancora in parte multietnica del XII secolo, il suo carattere multiculturale, in cui gli ebrei avevano, pur non godendo di tutte le libertà, sufficiente diritto di cittadinanza. Si rende ben visibile la separazione delle sue componenti persino nella forma stessa delle città, in cui si ha una significativa ridistribuzione degli spazi economici e urbani attribuiti alle varie componenti cittadine. È in tale contesto che si afferma su tutto il territorio europeo, benché in maniera difforme sia cronologicamente sia tipologicamente, la possibilità per gli ebrei di continuare a risiedere presso le stesse aree dei cristiani, purché nei limiti di uno spazio separato. Si tratta dell’idea embrionale del ghetto, il cui sviluppo legale, formale e funzionale si compirà solo a metà Cinquecento, ma che già nei secoli XIII-XIV assume, in vari casi, le forme nelle quali resterà noto per tutta la storia dell’Europa moderna. L’inizio di tale provvedimento si fa risalire a Filippo IV di Francia (1268-1314, re dal 1285) nel 1294; ma altrove, e specialmente in Spagna, i precedenti non mancano: per esempio a Tarragona (Aragona) nel 1243 o a Oviedo (Asturie) nel 1274. Prescrizioni analoghe si registrano, a macchia di leopardo, su tutto il territorio europeo; e comunque non sembra possibile definire in maniera univoca una precisa data di nascita del fenomeno, anche perché va tenuto conto del fatto che, nelle sue attestazioni più antiche – con cui si risale almeno alla fine dell’XI secolo – la necessità di risiedere in una strada, in un vicus o in un quartiere specifico e in qualche modo fisicamente separabile dall’ambiente circostante, non risulta affatto essere stata imposta dall’esterno, ma essere sorta come esigenza difensiva all’interno della stessa comunità ebraica. Tale esigenza si comprende facilmente soprattutto nell’area franco-germanica, non solo in risposta alle violenze e agli eccidi che si verificano nell’intera stagione delle crociate, ma specialmente nel periodo in cui si diffondono le accuse di profanazione delle ostie (e in seguito, anche di avvelenamento dei pozzi) e le conseguenti rappresaglie: almeno sin dal massacro di Röttingen del 1298, quando un esponente dello strato più alto della società locale, il nobile Rindfleisch, riesce a provocare un processo a catena che conduce alla decimazione di circa 140 comunità ebraiche in Franconia, Baviera e Austria. La strage è poi continuata a intermittenza anche nei decenni successivi, sino agli eventi che circondano il diffondersi della peste nera (1348), di cui sono ben noti i saccheggi e i massacri – che spesso si verificano addirittura in anticipo rispetto alle manifestazioni del contagio – specie in Provenza e in Catalogna.

Segni di distinzione

Un durevole successo ottiene invece l’introduzione, nelle medesime circostanze, di una marca distintiva che gli ebrei sono obbligati ad apporre sul vestiario: misura praticata in alcune località già nel XII secolo, ma che solo con l’avallo del IV concilio lateranense acquista credito e viene recepita pressoché ovunque. Il “segno” varia da regione a regione, e muterà anche di tempo in tempo; un caratteristico cappello a punta diviene tipico degli ebrei dell’Europa centrale, mentre altrove si ha, più frequentemente, la cosiddetta rota o rotella: un cerchio di panno di misura variabile, giallo o rosso, talora diviso trasversalmente in due colori o da una linea, in maniera da assomigliare a una specie di theta greco; altri elementi sono a volte impiegati per le donne. Va rilevato come anche in questo caso, come già per le abitazioni, la necessità di una distinzione formale fra ebrei e cristiani sia stata avvertita dapprima in ambito ebraico. Si pensi all’uso del capo coperto per gli uomini – a quanto sembra, impostosi nella tarda antichità – o all’uso, generalizzato ma non obbligatorio (e di cui non si hanno indicazioni anteriori all’XI secolo), di lasciarsi crescere la barba e pe’ot, i lunghi riccioli che si producono evitando di accorciare i capelli intorno alle tempie, così interpretando un antico costume orientato a differenziarsi dal mondo pagano (Levitico 19,27). Dalla fine del XIII secolo tali elementi infine si fondono e viene a crearsi quell’immagine stereotipica dell’ebreo che lo rende facilmente riconoscibile, fra l’altro, nelle rappresentazioni figurative dell’arte cristiana.

Se nel caso della medicina è la stessa fama della perizia ebraica a permettere il perdurare della pratica, il coinvolgimento ebraico nel prestito grande e minuto diviene il solo lecito e, per esempio, è sancito da Federico II (1194-1250, imperatore dal 1220), che limita l’interesse al 10 percento. A tale riguardo, si deve osservare che l’attribuzione esclusiva del credito agli ebrei rappresenta, nei piani di Federico, anche il tentativo di arginare l’infiltrazione dei banchieri stranieri nel suo impero.

Persecuzione, espulsioni e crisi

Nel 1290 gli ebrei vengono espulsi dall’Inghilterra, ov’erano stati stabilmente soltanto per un paio di secoli. Sin dall’insediamento la loro condizione si era però rapidamente deteriorata, passando dallo stato di liberi mercanti a quello di prestatori, sottoposti a ogni sorta di vincoli, costretti infine a cedere alla corona i propri titoli di credito sui prestiti erogati alla nobiltà e al cavalierato.
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STORIA - Briganti, pirati e corsari

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di Carolina Belli

I secoli XIII e XIV non vedono diminuire pirateria e banditismo, anzi, le precarie condizioni sociali del tempo, parallele al tumultuoso sviluppo economico, vedono aumentare e aggravarsi il fenomeno; i principi tuttavia cercano di ridurre la pirateria selvaggia a guerra di corsa regolamentata.

Il processo di esclusione

La profonda trasformazione avvenuta in tutto il bacino del Mediterraneo, a cavallo dei secoli XI e XII, investe tutti gli aspetti della vita sociale ed economica delle popolazioni affacciate sulle sue sponde. Il complicato intreccio degli interessi militari, mercantili, economici e anche giuridici, oltre che situazioni locali caratterizzate da miseria ed oppressione, determinano una situazione sui mari piena di pericoli e turbolenze. Ai capricci del cielo e delle tempeste, e alle insidie delle coste e dei fondali, aggravati da una tecnologia marittima che rende possibile solo la navigazione lungo le coste e con strumentazione approssimativa, si aggiunge che ovunque e continuamente i mari sono infestati da navi pirate che, attratte dalla speranza di un ricco quanto sicuro bottino, fanno dell’abbordaggio e della rapina la ragione della loro esistenza.
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STORIA - I missionari e le conversioni

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di Genoveffa Palumbo

Le missioni dei secoli XIII e XIV valgono, da un lato, a completare la cristianizzazione dell’Europa e a tentare una difficile riconciliazione con i cristiani ortodossi, dall’altro sono invece rivolte ai popoli orientali. Mentre l’ultima cristianizzazione d’Europa si realizza soprattutto nello spirito violento della crociata attraverso gli ordini militari cristiani, le missioni orientali si svolgono entro parametri più diplomatici per opera di Francescani e Domenicani. In ogni caso, per cercare di comprendere tutte queste missioni è fondamentale tentare di ricostruire l’immagine del mondo che la letteratura agiografica aveva diffuso e che ritroviamo anche nelle mappe del tempo.

Le missioni in Oriente di Francescani e Domenicani. Guglielmo di Rubruk, Giovanni da Pian del Carpine, Giovanni di Montecorvino

Maggior successo doveva avere il cristianesimo con il figlio di Batu, Sartaq, che si fa battezzare, e a lui è inviato dal re di Francia san Luigi IX (1214-1270, re dal 1226) il francescano Guglielmo di Rubruk che pure ci ha lasciato una preziosa memoria: l’Itinerario di fra Guglielmo di Rubruk dei frati minori, nelle regioni orientali nell’anno di grazia 1253 (A. t’Serstevens, I precursori di Marco Polo, Testi integrali […], 1982). Anche questa ambasceria è molto interessante: Guglielmo si reca in Mongolia da Batu, dove si trattiene otto mesi, fino all’agosto del 1254, dopo essersi incontrato con i cristiani trapiantati in quel Paese e aver partecipato a memorabili dispute interreligiose. Rubruk si incontra sia con gruppi di nestoriani, sia con cristiani georgiani, armeni e di varie appartenenze; egli li rassicura sull’uso di bevande “pagane”, offre libri, li istruisce, da vero missionario, sulle verità della fede che molti avevano praticamente dimenticato.

Ma Rubruk non ha neppure lasciato la Mongolia che incomincia un intenso periodo di contatti tra Oriente e Occidente. Incoraggiato dalla notizia del battesimo di Sartaq, Innocenzo IV concede privilegi ai missionari che partono sia per la parte più settentrionale dell’impero mongolo, sia a quelli diretti più a sud. A sua volta Niccolò IV (1227- 1292, papa dal 1288), invia in Oriente Giovanni, originario di Montecorvino Rovella, un paesino vicino a Salerno. Egli confermerà molti dei “miti missionari” diffusi in Occidente: vede a Mailapur la chiesa di san Tommaso e incontra l’ultimo discendente del Prete Gianni fornendocene il vero nome “Uank-Kakan”, che corrisponde al “Unecan” di Marco Polo.
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STORIA - Gli ordini religiosi

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di Fabrizio Mastromartino

Gli ordini mendicanti, costituiti nella seconda decade del XIII secolo, contribuiscono a consolidare la supremazia della Chiesa romana nella società medievale. Al cedimento dell’autorità pontificia davanti al più potente regno europeo del momento, che si compie all’aprirsi del nuovo secolo nel pontificato avignonese, segue un processo di riforme degli ordini religiosi, antichi e nuovi, che produrrà esiti apprezzabili soltanto nel XV secolo.

Sviluppo degli ordini mendicanti

Importanti servizi sono prestati dai frati nell’ambito della diplomazia ecclesiastica e civile: assumono spesso l’incarico di messi del pontefice e di ambasciatori dei maggiori regni secolari, alle corti di Luigi IX (1214-1270, re dal 1226), di Enrico III (1207-1272, re dal 1216) e di Giacomo I d’Aragona (1208-1276, re dal 1213), e sono frequentemente impiegati nelle missioni di mediazione finalizzate alla pacificazione di città dilaniate da conflitti interni. Stimati per la loro preparazione teologica e per la capacità attrattiva delle loro prediche, i frati mendicanti si dedicano anche ad aggiornare gli studi e a rinnovare l’insegnamento dottrinale, cosicché ben presto spodestano il clero regolare nelle università più prestigiose, tra cui Parigi. Avviano poi una capillare opera missionaria, tra il Nord Africa, il Medio e l’Estremo Oriente, che, tuttavia, dà scarsi risultati e si rivela complessivamente fallimentare.

I servizi da essi offerti sono tanto apprezzati, sia dal pontificato che dai poteri laici, da favorire nel corso del Trecento una formidabile espansione degli ordini: nella seconda metà del secolo, i Minori dispongono già di oltre 1000 case (1400 nel 1316) e di 30 mila religiosi; i Predicatori di 400 conventi (600 nel 1303) e di 10 mila religiosi (12 mila nel 1337).
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STORIA - La guerra: cavalieri, mercenari e cittadini

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di Francesco Storti

Le profonde trasformazioni socio-politiche che si compiono in Europa tra XIII e XIV secolo, a seguito della maturazione della civiltà comunale e dell’irrobustimento delle monarchie feudali, condizionano ritmi e scopi della guerra. Si affermano le fanterie, utili a integrare le forze di cavalleria in conflitti che assumono dimensioni sempre più consistenti e una più chiara tendenza distruttiva. Contestualmente, il servizio mercenario si impone come la soluzione più pratica alla rapida formazione dei grandi apparati militari che le mutate esigenze politiche richiedono.

Il “vecchio” per il “nuovo”: le fanterie di tiratori

La politica aggressiva delle grandi monarchie, infatti, che si profila nel corso del Duecento e che dà vita a grandi conflitti di assestamento territoriale, richiede eserciti numerosi ed efficienti, capaci di esprimere una forte carica offensiva. La soluzione a tale necessità non arriva però dall’elaborazione di nuove figure guerriere, bensì dall’ottimizzazione di un elemento antico, presente da sempre, benché in posizione marginale, negli eserciti medievali: l’arciere.

Il “prezzo” della guerra

D’altro canto, se la domanda è forte da parte degli Stati, l’offerta della società non è da meno e le professionalità, a vari livelli qualitativi, non mancano. Si va dai fuggiaschi e vagabondi, che affollano le contrade e le selve europee, ai corpi di tiratori scelti che le tradizioni locali da secoli addestrano (arcieri inglesi, balestrieri genovesi e guasconi); dai volontari che tentano l’emersione dal mondo della campagna, ai resti delle fanterie cittadine.

Discendenti dei cavalieri-servi dei secoli X e XI, le fonti li indicano in molti modi, ma soprattutto, col termine che poi distinguerà per secoli i membri della gloriosa cavalleria mercenaria europea, homines ad arma: uomini d’arme.
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STORIA - Il potere delle donne

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di Adriana Valerio

I secoli XIII-XIV manifestano in pieno le contraddizioni relative al potere delle donne. Se da una parte, infatti, assistiamo a una sistematizzazione del pensiero teologico e a una codificazione delle leggi che escludono la donna dagli ambiti del potere, da un’altra ci troviamo in presenza di un numero considerevole di donne che, di fatto, esercitano un’autorità indiscussa.

Le donne al potere

Nella codificazione di questo ruolo ha un posto di riguardo l’opera Ley de las Siete Partidas, un’elaborazione dottrinale composta da più giuristi tra il 1275 e il 1284, nella quale si definiscono i compiti e i doveri della regina, che non assolve puramente alla sua funzione di madre chiamata a tutelare gli interessi dei figli, bensì si occupa in modo fattivo della gestione degli affari pubblici.

Margaret Sambiria (1230?-1282), regina di Danimarca che governa in nome del figlio Erik (1249 ca. - 1286, re dal 1259); Plaisance di Antiochia (?-1261), regina di Gerusalemme per il figlio Ugo II (1252/1253-1267).

Il potere delle regine è spesso affiancato a quello del re, come nel caso della regina di Sicilia Eleonora d’Angiò (1229-1242), che esercita un ruolo politico notevole insieme a Federico III d’Aragona (1272-1337), soprattutto nell’opera di mediazione con la nobiltà siciliana e con il pontefice, o in quello di Costanza di Aragona (1249-1300, regina dal 1282), che condivide il potere con Pietro d’Aragona (1240-1285, re dal 1296) nel governo dell’isola. Non mancano casi di governo “diretto”, come quello di Eleonora di Provenza (1222-1291), reggente del trono d’Inghilterra durante il periodo trascorso in Guascogna da Enrico III (1207-1272, re dal 1216), o di Giovanna I d’Angiò la quale, nominata erede al trono dal nonno Roberto all’età di quattro anni e incoronata regina di Napoli a sedici, si dimostra donna di grande temperamento, riuscendo, anche attraverso la violenza, a conservare la propria indipendenza e autorità rispetto a ben quattro mariti.

Potere e profezia

Margherita da Cortona (1249-1297), Angela da Foligno (1248 ca. - 1309).

Guglielma da Milano (?-1280) è venerata a Milano come l’incarnazione dello Spirito Santo.

Il processo nei confronti dei Guglielmiti si conclude nel 1302 con la condanna al rogo degli esponenti più in vista della comunità.

Non è forse insignificante, infine, che, a partire dalla metà del XIII secolo, sia circolata in tutta Europa la leggenda della papessa Giovanna: una donna che, travestita da uomo, avrebbe ottenuto il papato alla morte di Leone IV (?-855, papa dal 847) e che, dopo due anni di governo, sarebbe stata scoperta durante una processione perché colta dalle doglie del parto.
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STORIA - Cerimonie, feste e giochi

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di Alessandra Rizzi

Numerose testimonianze scritte riportano gli aspetti ludici e festivi della realtà quotidiana bassomedievale. Connesso con il gioco e la festa si pone il problema della liceità o meno di queste pratiche e, se da una parte la Chiesa si trova impegnata nel tentativo di arginare qualsiasi fonte di peccato, lo Stato e le autorità pubbliche cercano, dall’altra, di disciplinare l’attività ludico-ricreativa, assumendo il monopolio del gioco e imponendogli delle tasse. A partire dai secoli XIII e XIV inoltre si sviluppa un forte nesso tra festa e politica: il palio, ad esempio, diviene un simbolo stesso dell’amministrazione comunale.

La ludicità nelle attestazioni contemporanee

I dadi, gli scacchi, le finte battaglie – “battagliole” fra gruppi cittadini variamente armati.
Soprattutto palii e corse all’anello, giostre e tornei, armeggerie, generalmente parte di più complessi cerimoniali di stato (ricorrenze per commemorarne le vicende salienti, come vittorie su nemici interni o esterni, conquiste territoriali, cambi di regime, nascite o matrimoni sovrani, alleanze matrimoniali); manifestazioni calendariali (carnevale, calendimaggio) o dell’anno liturgico (Natale, Pasqua, ricorrenze patronali), nelle quali le espressioni di pietà religiosa sono quasi sempre associate alla festa profana.

La novità del periodo: i giochi di Stato

A partire dal secolo XIII, infatti, in diversi Paesi d’Europa compare la casa da gioco controllata dall’autorità (sovrani, ma anche Comuni) e organizzata dove più dove meno come un vero e proprio “ufficio” pubblico: nel regno di Navarra e in quello di Castiglia (chiamata tafurerìa), in Germania, nelle contee di Fiandra e Hainaut, ma anche in diverse città d’Italia a partire almeno da metà Duecento. L’istituzione è una novità del Medioevo, per la prospettiva con cui si guarda, ora, al gioco aleatorio.

L’autorità pubblica assume il controllo e il monopolio del gioco imponendogli una tassa, che col tempo sarà appaltata. La casa da gioco rappresenta un buon compromesso per orientare a pubblico vantaggio la passione dei singoli per l’azzardo ricavandone un utile economico, ma anche per neutralizzarne i pericoli imponendo regole di condotta agli avventori (barattieri, marocchi, arnaldi, ribaldi, gaglioffi, biscazzieri, come sono chiamati nelle diverse città d’Italia), che sempre più si connotano come una categoria marginale, abietta, ma “professionale”.

In Italia, in particolare, il palio – la corsa a cavallo a premi attestata con certezza a partire dagli anni Trenta del secolo XIII – ben rappresenta il nesso tra festa e politica.
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STORIA - La vita quotidiana

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di Silvana Musella

La popolazione si accresce fino ai primi decenni del Trecento. I palazzi degli aristocratici o dei ricchi mercanti si sviluppano in altezza, le case degli artigiani sono, al contrario, piccole e basse con un arredo povero ed essenziale. L’illuminazione notturna si effettua con ceri, candele e torce, ma nelle case più povere ci si accontenta della luce del focolare. Gli abiti popolari conservano i toni dei materiali naturali, quelli dei signori, al contrario, sono tinti a colori forti. Per le carestie di inizio secolo la popolazione risulta denutrita quando fa la sua apparizione la peste: più di un terzo muore per il contagio.

Il cibo

Il diffondersi dell’uso della pasta determina un fondamentale cambiamento della dieta alimentare. Il consumo dei cereali aumenta enormemente, costringendo i contadini a mettere più terra a coltura; ma questa base alimentare comune lascia le popolazioni molto esposte in caso di carestia.

La richiesta di tanta farina fa moltiplicare il numero dei mulini ad acqua cosicché questi diventano presenze costanti nel paesaggio medievale. La forza dell’acqua viene applicata anche a frantoi, segherie, gualchiere e mulini da carta. Questo prodotto, già conosciuto in Spagna verso il 1150, gode ora di grande fortuna e ancora più sarà richiesto nel secolo successivo quando, con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, un gran numero di copie di libri entrerà in circolazione.

La morte

La paura della morte improvvisa, in battaglia, per mano di malfattori o per un incidente, che non dà al cristiano il tempo di pentirsi e lo condanna all’inferno, è un’angoscia che condiziona l’animo dell’uomo medievale: niente confessione niente salvezza. Nella tragica dicotomia tra paradiso e inferno si è già fatta strada la teoria che il male fatto si può riscattare con opere buone anche per i propri cari defunti. Nel concilio di Lione del 1274 viene definita la dottrina del purgatorio. L’importanza di come si muore si evince dai numerosi trattati sull’ars moriendi, che costituisce un genere a parte della letteratura religiosa.

L’angoscia della morte aumenta con il moltiplicarsi delle epidemie e genera, soprattutto nell’Europa del Nord, il diffondersi del tema iconografico del Trionfo della Morte e della Danza macabra.

Lo stesso funerale diventa una sorta di spettacolo con dispendio di addobbi, coperte e drappi. Il decesso viene prima reso pubblico dai “gridatori dei morti” a cavallo; vi è poi il pranzo nella casa dell’estinto con cibi portati dai parenti perché, in segno di lutto, si spegne il fuoco. Segue la veglia a lume di ceri e candele. Il morto giunge poi in chiesa sdraiato su una lettiga a volto scoperto, perché tutti in città possano vederlo per l’ultima volta e certificarne il decesso. Qui si svolge la parte più rilevante della cerimonia e vengono recitate le messe in suffragio.
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