IL MEDIOEVO - CASTELLI, MERCANTI, POETI

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FILOSOFIA - La circolazione del sapere e le università

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di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri

Le enciclopedie medievali assumono le linee guida teoriche dal De Doctrina Christiana di Agostino d’Ippona, mentre il materiale proviene dalla cultura antica soprattutto attraverso Isidoro di Siviglia. Nel XII secolo lo scibile si amplia con le traduzioni dal greco e dall’arabo di numerosi testi mentre alcuni autori iniziano, soprattutto per le scienze naturali e le tecnologie, a far ricorso all’osservazione e all’esperienza. Progetti enciclopedici improntati a nuove metodologie e a nuova visione del sapere vengono proposti da Ruggero Bacone e Raimondo Lullo nel XIII secolo.

Le enciclopedie dalla rinascita del XII secolo al XIII secolo

Nel Didascalicon di Ugo di San Vittore (1096 ca. - 1141) la filosofia, definita la “disciplina che cerca di stabilire le ragioni delle cose umane e divine”, comprende cinque parti, la teologia, la matematica, la pratica o morale, la logica e la meccanica.

A cominciare dalla fine del secolo XII le cosiddette “piccole enciclopedie”, al contrario delle opere nate nelle scuole (per esempio a Chartres e a San Vittore), sono libri “manuali” destinati a un pubblico più vasto e non specialistico (grandi mercanti, medici, giuristi, diplomatici) e al nuovo ceto cittadino che vuole essere informato sugli argomenti scientifici e morali con testi di agile e rapida consultazione.

Al secolo XIII appartengono due grandi e complesse enciclopedie di ampia fortuna, ristampate per molti secoli, quella di Vincent de Beauvais (1190 ca. - 1264) precettore dei figli del re di Francia Luigi IX (1214-1270, re dal 1226), e i trattati di Alberto Magno (1200 ca. - 1280) famoso maestro universitario e grande conoscitore di Aristotele.

Lo Speculum naturale di Vincent de Beauvais, insieme allo Speculum doctrinale e allo Speculum historiale, rispecchiano la cultura universitaria contemporanea (con citazioni di Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Avicenna e Averroè) e testimoniano l’interesse prevalente dell’autore per la cultura araba. Nello Speculum doctrinale risalta la novità dell’epistemologia di Vincent: la logica perde il primato di “scienza delle scienze” (così la definiva Agostino) e rientra nelle litterae insieme alla grammatica e alla retorica; l’etica si divide in politica, economia e morale; le arti meccaniche sono descritte dall’autore dal vivo tanto che le pagine dedicate al tema restano un vero documento per la storia della tecnica medievale.

L’esposizione delle scienze fatta da Alberto Magno in vari trattati (De vegetalibus et plantis, De mineralibus, De meteoris) supera senz’altro la definizione di enciclopedia e testimonia la statura di auctor del maestro che mirava a commentare e “spiegare ai latini tutto il pensiero di Aristotele” e non a esporre un elenco di nozioni tratte da autori diversi. Nelle scienze naturali, Alberto corregge con l’esperienza e la conoscenza dal vivo alcune descrizioni aristoteliche. Il contesto generale dei trattati è la prospettiva magico-astronomica che proprio attraverso gli scritti di Alberto si diffonde nella cultura dell’epoca (cfr. Dante Alighieri, Divina Commedia, III Canto del Paradiso). Si tratta di una prospettiva derivata dalla teoria aristotelica dove astrologia e metafisica sono saldate dall’affermazione della dipendenza del mondo sublunare dal moto dei cieli. Anche per Alberto Magno “tutte le cose naturali o prodotte dall’arte sono in prima istanza mosse dalla virtù celeste”.
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FILOSOFIA - La filosofia nell’islam medievale

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La filosofia nell’islam medievale: temi e protagonisti

di Cecilia Martini Bonadeo

Parlare di tradizione filosofica in lingua araba e in ambiente musulmano significa considerare l’incontro fruttuoso e talvolta lo scontro della filosofia di tradizione greca con la civiltà islamica e mettere a fuoco quel processo di traduzione, assimilazione, e definitiva trasformazione del pensiero filosofico di tradizione greca in lingua araba.

La filosofia araba dell’islam medievale, che d’ora in poi chiamerò con il suo nome, falsafa, si produce dall’VIII al XIII secolo in uno scenario che geograficamente si espande dalla Spagna all’Africa Settentrionale fino al corso del fiume Indo.

Averroè: il problema della verità

Se per i pensatori della falsafa che hanno preceduto Averroè l’intelletto agente è l’ultima delle sostanze intellettuali separate, mentre ogni singolo uomo ha il proprio intelletto materiale che giunge alla perfezione grazie all’illuminazione che proviene dall’Intelletto agente, secondo l’Averroè del Commento Grande al De Anima l’intelletto materiale non appartiene al singolo uomo. Esso è la perfezione universale dell’uomo, ossia di tutti gli uomini insieme: è eterno, come lo è l’umanità in quanto specie. Ogni singolo uomo, quando pensa, attualizza l’intelletto che è proprio dell’intera specie umana: infatti le forme che il singolo individuo astrae dalla materia, o “forme immaginate”, sono principi che attualizzano la potenzialità di conoscere propria dell’intelletto materiale; l’attualizzazione di questa potenzialità dipende anche dall’Intelletto agente, come la visione dipende sia dagli oggetti visibili che dalla luce.

La teoria dell’unità dell’intelletto materiale porta come conseguenza l’impossibilità della sopravvivenza individuale dopo la morte. Infatti al singolo individuo appartengono in senso proprio soltanto le forme immaginate individuali, che non sfuggono alla corruzione del corpo: l’immortalità è solo dell’intelletto universale ed è impersonale.
Le tesi di Averroè si diffondono grazie alla traduzione latina del suo Commento Grande al De Anima: in una lettera del 1270 indirizzata ad Alberto Magno il domenicano Egidio di Lessines menziona per prima, tra le 15 tesi sostenute dai maestri della facoltà delle arti dell’Università di Parigi – tra cui Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia – quella secondo cui “l’intelletto di tutti gli uomini è numericamente uno e identico”; si incontra poi, come settima tesi, quella secondo cui “l’anima che è forma del singolo uomo muore con lui”. Contro le tesi dell’unicità dell’intelletto umano e dell’immortalità impersonale si pronuncia nello stesso anno l’arcivescovo di Parigi Étienne Tempier (?-1279), e lo farà in modo ancora più deciso nel 1277; nel 1271, Tommaso d’Aquino scrive il De Unitate intellectus contra Averroistas per denunciare quello che considera un gravissimo fraintendimento della dottrina di Aristotele.
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FILOSOFIA - La doppia via delle traduzioni

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La doppia via delle traduzioni e la nascita del sapere critico

di Francesca Forte

Tra XI e XII secolo si assiste a un grandioso processo di trasmissione del sapere conosciuto come Translatio studii. Vengono tradotti in latino testi filosofici, in particolare di Aristotele, e scientifici dal greco e dall’arabo; centri propulsori di queste traduzioni sono la Spagna da poco riconquistata, con il suo immenso patrimonio di testi arabi accumulati dai califfi Almohadi, e la Sicilia normanna, in cui i sovrani preservano il trilinguismo (arabo-greco-latino).

I protagonisti, le opere tradotte

La generazione successiva di traduttori, attivi principalmente nel XIII secolo, è composta da Alfredo Anglico (XIII sec.), che traduce lo pseudo-aristotelico De Plantiis (Nicola Damasceno) e il De Mineralibus di Avicenna, Marco di Toledo (XIII sec.), che compone la seconda versione latina del Corano, dopo quella commissionata da Pietro il Venerabile e Michele Scoto; con loro inizia anche la trasmissione del corpus averroisticum al mondo latino e si aggiungono importanti tasselli al quadro dell’Aristoteles latinus.

Gli altri due nomi legati all’Averroes Latinus sono quelli di Guglielmo di Luna (XIII sec.) e Ermanno Alemanno (?-1272). Il primo opera verso la metà del XIII secolo a Napoli e traduce i commenti alle opere logiche: il commento medio all’Isagoge di Porfirio, alle Categorie e al De Interpretatione. Ermanno il Tedesco traduce invece il compendio tardo-antico dell’Etica Nicomachea (Summa Alexandrinorum), la Retorica e il commento medio di Averroè alla Poetica.

Mozarabo: cristiano convertito all'Islam

Metodi di traduzione: la mediazione vernacolare

Una delle questioni storiografiche più dibattute riguarda le tecniche di traduzione utilizzate dall’arabo, in particolare la mediazione vernacolare (o traduzione in due tempi), da molti studiosi considerata un “mito storiografico” al pari di quello relativo alla “scuola di Toledo”: questa tecnica di traduzione prevede l’utilizzo della lingua volgare come mediazione tra l’arabo e il latino, per cui un dotto ebreo o mozarabo legge ad alta voce traducendo dall’arabo in volgare, contemporaneamente un dotto latino trascrive le parole man mano che le ascolta. Tale metodo avrebbe permesso di superare le numerose difficoltà dell’arabo scritto. Il documento che viene invocato per dimostrare l’utilizzo di questa tecnica è il prologo alla traduzione al De Anima di Domenico Gundisalvi: “Eccovi dunque questo libro, così tradotto dall’arabo: io leggevo ogni singola parola e la traducevo in volgare e l’arcidiacono Domenico la volgeva poi in latino”.

Nuove esigenze: l’opera di revisione di Grossatesta e Moerbeke

Uno dei protagonisti fondamentali della translatio studii è Guglielmo di Moerbeke che, alla fine del XIII secolo, attraverso un’attenta revisione delle traduzioni esistenti e un vastissimo lavoro di traduzione, restituisce quasi l’intero corpus aristotelicum all’Occidente dal greco. Traduce anche opere scientifiche di Archimede, Erone, Tolomeo, Galeno, nonché alcuni commenti tardoantichi alle opere aristoteliche. Egli sente probabilmente l’esigenza di restituire all’Occidente latino il “vero Aristotele”, senza passare attraverso la mediazione araba.
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FILOSOFIA - Università e ordine degli studi.

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Università e ordine degli studi. Il metodo scolastico

di Andrea Colli

Le università rappresentano certamente una delle creazioni più significative tramandateci dal Medioevo. Nate tra il XII e il XIII secolo come corporazioni di maestri e studenti, divengono ben presto centri culturali e istituzioni in cui si rinnova lo studio delle arti liberali e si sviluppano programmi scolastici e curricula definiti. Anche la forma di insegnamento e la conseguente stesura dei testi rispondono sempre più a criteri stabili: si va affermando così il “metodo scolastico”.

Le Arti liberali: trivium e quadrivium

Le fondamenta dell’insegnamento universitario medievale sono le sette arti liberali, suddivise in trivium (grammatica, dialettica, retorica) e quadrivium (aritmetica, geometria, musica, astronomia).

Università di Oxford, in cui si studiano molti trattati greci e arabi e si sviluppa una vera e propria scuola scientifica, di cui fanno parte tra gli altri, grazie ai loro studi sulla luce, Roberto Grossatesta (1175-1253) e Ruggero Bacone (1214/1220-1292).

Le facoltà e i curricula

Sotto la facoltà di medicina, barbieri e farmacisti. All’interno dell’organizzazione di base dell’università si sviluppa una suddivisione in “nazioni” e “facoltà”.

L’ufficiale più importante dell’università ha il titolo di rettore; a Oxford viene chiamato cancelliere perché è anche il rappresentante del vescovo. Assistito da un consiglio di delegati delle nazioni e delle facoltà, vigila sull’attività didattica e governa le finanze dell’università, in modo particolare pagando gli affitti delle chiese o dei conventi, utilizzati come aule per i corsi o per le dispute.

Parigi, per esempio, detiene per molti anni il monopolio dell’insegnamento teologico, mentre Bologna deve la sua notorietà agli studi giuridici. Le gerarchie tra le facoltà sono stabilite secondo il sistema dei saperi caratteristico dell’età medievale, perciò se alla Facoltà delle Arti spetta il ruolo di studio preparatorio, la teologia è considerata la “regina delle scienze” tra le facoltà superiori ed è l’unica facoltà che accetta esclusivamente studenti già in possesso di un magistero nelle Arti, mentre medicina e diritto molto spesso non sono cosi esigenti.

Gli studenti si immatricolano alla Facoltà delle Arti intorno ai 14 anni e iniziano così un quadriennio di studi che prevede, nel primo biennio, lezioni di grammatica, logica, filosofia naturale e arti liberali; nel secondo biennio invece si aggiunge a queste discipline anche l’obbligo di partecipare alle dispute accademiche. Al termine dei quattro anni, raggiunta un’adeguata preparazione, lo studente viene promosso baccelliere. Durante il baccellierato, lo studente continua a seguire le lezioni del suo maestro e a partecipare alle dispute, ma è anche incaricato di tenere alcuni corsi introduttivi o di svolgere attività didattiche integrative per gli studenti più giovani (ripetitiones).

Al termine del baccelierato, lo studente si candida alla licentia docenti, per diventare maestro a tutti gli effetti: dopo la cerimonia dell’inceptio, il neo-maestro rimane nella Facoltà delle Arti per svolgere un biennio di docenza obbligatoria. A questo punto il curriculum studiorum può svilupparsi in diversi modi: alcuni abbandonano il mondo universitario per andare a insegnare nelle scuole inferiori o per lavorare nella pubblica amministrazione, altri accedono alle facoltà superiori, in modo particolare a teologia. Questo nuovo ciclo di studi è della durata di sette anni e prevede corsi sulla Bibbia e sulle Sentenze di Pietro Lombardo (1095 ca. - 1160), al termine dei quali si consegue il titolo di baccelliere biblico. Quindi seguono altri quattro anni in cui il nuovo baccelliere deve, nel primo biennio, partecipare alle dispute teologiche e spiegare il testo sacro, mentre nel secondo biennio, conseguito il titolo di baccelliere sentenziario, deve occuparsi delle Sentenze, molto spesso stilandone dei commenti scritti. Dopo altri quattro anni di studio si ottiene il titolo di maestro di teologia e il giovane studente, immatricolatosi a 14 anni, è ormai un uomo di 35-40 anni. Al termine di questi 15 anni di studio, all’interno della facoltà di teologia il periodo di docenza non è molto lungo, sia per ragioni strettamente anagrafiche, che per il limitato numero delle cattedre disponibili e ciò determina un continuo ricambio dei docenti.

I programmi e i testi scolastici

Dalla seconda metà del XIII secolo si diffonde un altro tipo di disputa che, nata alla facoltà di teologia di Parigi, si diffonde presto in molti altri atenei: si tratta della disputa quodlibetale (quodlibet). A differenza della disputatio ordinaria, il tema non è scelto dal maestro, ma dal pubblico, anche da persone estranee all’università, che possono chiedere al maestro di trattare qualunque argomento. Le numerose domande sono spesso una strategia per mettere in difficoltà il maestro o screditarne la carriera, non per niente le dispute quodlibetali sono privilegiate dai pensatori più maturi e preparati: Tommaso d’Aquino (1221-1274), Enrico di Gand (1217 ca. - 1293), Goffredo di Fontaines (?-1306 ca.) fanno di queste dispute un’occasione per diffondere il loro pensiero. Negli anni tuttavia i quodlibet perdono la loro utilità, diventando perlopiù un mero virtuosismo formale.
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FILOSOFIA - L’aristotelismo radicale

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L’aristotelismo radicale e le reazioni dei teologi

di Federica Caldera

Muovendo dalla controversia sull’uso dell’aristotelismo come base per l’insegnamento universitario, si ricostruiscono qui le tappe salienti del contrasto dottrinale fra “artisti” e teologi, culminato nelle censure del 1270 e del 1277. Verrà poi sottolineata l’importanza della rivendicazione dell’autonomia del filosofare da parte dei maestri delle Arti, concentrandosi in particolare sulla loro interpretazione della libertas philosophandi e della felicità filosofica. Infine, accennando agli interessi linguistici e grammaticali di Boezio di Dacia, si collegheranno alcune di queste riflessioni a spunti essenziali della corrente “modista” nel contesto della cosiddetta grammatica speculativa.

L’affermazione dell’aristotelismo alla Facoltà delle Arti

Il divieto temporaneo di far lezione su Aristotele viene esteso anche a Tolosa nel 1245 a opera di papa Innocenzo IV (1200 ca. - 1254, pontefice dal 1243) e poi rinnovato a Parigi nel 1263 sotto Urbano IV (1200 ca. - 1264, pontefice dal 1261), ma già con la Parens scientiarum si creano le condizioni favorevoli per l’introduzione del corpus aristotelicum nel curriculum della Facoltà delle Arti. Nonostante il divieto di tenere corsi sulle opere aristoteliche non sia mai stato abrogato, la nazione inglese dell’Università di Parigi, nel 1252, decide che per diventare baccellieri alle Arti occorre obbligatoriamente seguire lezioni sul De anima. Nel 1255 uno statuto dell’intera Facoltà delle Arti impone l’insegnamento regolare di tutte le opere di Aristotele, eccettuata la Politica, non ancora tradotta. L’adozione di Aristotele come base per l’insegnamento all’Università di Parigi segna non solo una svolta per il pensiero medievale, ma anche un cambiamento netto nella storia della cultura europea: dal 1255 fino al XVII secolo infatti l’aristotelismo cessa di essere una delle tante filosofie, per diventare la filosofia per eccellenza.

Ma l’aristotelismo non si afferma in maniera indolore: sin dal 1260 molti teologi (per lo più francescani) attaccano espressamente questa filosofia che, a loro avviso, propaga errori pericolosissimi per la fede cristiana. Un primo evento cruciale della “campagna antiaristotelica” è la condanna del 10 dicembre 1270, con cui il vescovo parigino Étienne Tempier (?-1279) censura 13 tesi (eternità del mondo, non ci fu mai un primo uomo, unità dell’intelletto, necessitarismo, determinismo ecc.), in odore di eresia. Nel 1272 alla Facoltà delle Arti i conflitti filosofici si intrecciano a quelli accademici: la maggioranza della facoltà (avversa al “partito” di Sigieri di Brabante) promulga uno statuto che restringe la trattazione di argomenti al confine tra fede e ragione. Questa nuova limitazione della libertà di insegnamento degli “artisti” esaspera la polemica, che culmina con un’altra censura di capitale importanza per la storia del pensiero medievale. Il 7 marzo 1277 ancora il vescovo Tempier decreta la condanna di 219 tesi, ispirate al peripatetismo greco-arabo, e ne vieta – sotto pena di scomunica – la diffusione e l’insegnamento. La condanna del 1277 sfugge a ogni tentativo di definizione: è infatti limitativo e fuorviante parlare di provvedimento “antiaverroista”, improprio di reazione ecclesiastica alla nuova minaccia del paganesimo, generico di rivincita dell’agostinismo sull’aristotelismo. Più che l’accettazione o il rifiuto della filosofia aristotelica, sono in questione le (possibili e legittime) interpretazioni dei vari aristotelismi, la ricezione delle idee peripatetiche e i limiti e le forme di impiego di questa tradizione di pensiero. L’azione scoordinata e incoerente dei censori guidati da Tempier è ispirata al drastico rifiuto dell’“imperialismo filosofico” (articolo 145) e di ogni forma di emancipazione dalla teologia: non si tratta di una rozza condanna della filosofia in quanto tale ma di un ammonimento volto a evidenziare che la parziale verità della filosofia deve comunque risolversi entro l’assoluta verità del discorso teologico.
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FILOSOFIA - Alberto Magno e la Scuola di Colonia

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di Alessandra Beccarisi

Intorno alla metà del XIII secolo Alberto Magno fonda a Colonia lo Studium Generale dei Domenicani. Si apre così in Germania un dibattito filosofico apparentemente periferico (o provinciale), a cui partecipano le migliori personalità dell’ordine. Questo gruppo di intellettuali condivide l’interesse per temi e testi non in voga a Parigi, Oxford o Bologna: felicità mentale, visione beatifica, deificazione dell’uomo, statuto dell’immagine divina nell’uomo sono questioni che da Alberto Magno a Bertoldo di Moosburg dominano il panorama culturale tedesco, grazie anche alla riscoperta del pensiero islamico e greco, in particolare di Proclo.

Alberto Magno: vita e opere

Nel 1268 a Strasburgo conclude il ciclo delle sue esposizioni delle opere aristoteliche con l’importante commento al Libro delle cause (Liber de causis), considerato ancora come il testo teologico di Aristotele. Dal 1270 alla morte, avvenuta nel 1280, risiede a Colonia, dove si dedica alla stesura della sua ultima opera, la Summa de mirabili scientia dei.

Pensiero

Alla base della speculazione di Alberto sta una solida e articolata filosofia della natura, assai lontana dalla tradizionale interpretazione simbolica allora diffusa tra i suoi colleghi della Facoltà di Teologia. L’universo è, secondo Alberto, governato da leggi naturali dipendenti dagli influssi esercitati dagli astri sul mondo terreno attraverso i loro movimenti. In questo cosmo governato da un tipo di necessità astrologico-ermetizzante, compete all’uomo una posizione particolare in virtù dell’intelletto che lo fa libero e lo rende nesso tra Dio e mondo.

La Scuola di Colonia

Il primo dei discepoli di Alberto Magno è Ulrico di Strasburgo (1220 ca. - 1277), che segue le sue lezioni a Colonia.

A Ulrico e non ad Alberto si rifà, ad esempio, Teodorico di Freiberg (1250-1310) per fondare su nuove basi la differenza tra metodo teologico e metodo filosofico. Nato a Freiberg in Sassonia, nel 1275-1276 è studente di teologia a Parigi, dove insegna successivamente come lettore. Dal 1293 al 1296 è priore provinciale di Germania, e dal 1294 al 1296 anche vicario generale dei Domenicani. Nel 1296 è nuovamente a Parigi, come maestro di teologia e insegna per due anni sulla cattedra riservata ai domenicani non francesi.

Teodorico riprende da Alberto il Grande e Ulrico di Strasburgo la necessità di distinguere nettamente teologia e filosofia, ma è da Ulrico che egli trae l’interpretazione dell’importante passo di Agostino (354-430) sulla differenza tra provvidenza naturale e provvidenza volontaria. La prima governa il mondo della natura fisica, che per Teodorico come per Ulrico consiste in una connessione di cause, oggetto della “scienza divina dei filosofi”, la seconda rappresenta il mondo della volontà e dei valori, oggetto della scienza divina dei santi. La natura è, infatti, secondo Teodorico, governata da leggi, la cui regolarità e necessità è garantita dalla cosiddetta causalità essenziale: la molteplicità dell’universo si fonda su un unico principio di natura intellettuale, che precontiene in sé in modo semplice e unitario gli effetti che si osservano nel mondo.
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FILOSOFIA - Tommaso d’Aquino

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di Alessandro Ghisalberti

Dal punto di vista dell’intera produzione intellettuale, e di quella filosofica e teologica in particolare, il secolo XIII rappresenta lo snodo innovativo della creatività medievale. Come in passato, ancor oggi accade che il nome più rappresentativo di questa novità emergente e destinata a persistere nella storia successiva sia proprio quello di Tommaso d’Aquino. Nella sua opera sono recepite le testualità del passato che consentono di proporre una rielaborazione del pensiero di Aristotele, calandolo all’interno dell’impianto filosofico del neoplatonismo. Nello schema tripartito dell’Uno, dell’uscita dall’Uno e del ritorno all’Uno, Tommaso scopre una magnifica risorsa di intelligibilità per investigare le dinamiche strutturali della natura dell’universo, in particolare dell’immane potenza rinchiusa nell’intelligenza dell’uomo e nelle proiezioni dei suoi desideri più intimi.

La vita e le opere

La docenza rimane la nota precipua dell’intera biografia di Tommaso: dopo il primo triennio di insegnamento a Parigi (1257-1259), nel decennio successivo egli insegna in diversi centri di studio in Italia, per riprendere poi l’insegnamento a Parigi (1269-1272) e infine all’Università di Napoli (1272-1274). Questa scelta ha influenzato in modo decisivo la sua vasta produzione scientifica, che può complessivamente essere fatta rientrare nelle tre attività comprese fra i compiti del maestro: leggere e commentare (legere); disputare, ossia tenere dispute dialettiche per approfondire in modo penetrante la dottrina (quaestiones disputatae); predicare, ossia costruire percorsi dottrinali, in sermoni rivolti alle varie componenti della comunità universitaria. Gli scritti di Tommaso si distribuiscono all’interno di queste aree, a partire dalle lezioni sotto forma di commento a numerosi testi del passato: testi biblici (Antico e Nuovo Testamento), quasi tutte le opere filosofiche di Aristotele, gli scritti teologici di Boezio (480 ca. - 525?), dello Pseudo Dionigi Areopagita (V sec.) e del neoplatonico Proclo (412-485), il cui pensiero circola attraverso una silloge araba dal titolo Libro delle cause (Liber de causis). Cospicue le raccolte di Questioni disputate, risultato di un’intensa didattica universitaria sulle più scottanti dispute teologiche e filosofiche (Sulla verità, Sulla potenza, Sul male, Sull’anima), alle quali vanno collegate, poiché secondano la novità pedagogico-didattica della quaestio scolastica, le due più celebri opere sistematiche dell’Aquinate, la Somma teologica (in tre parti), e la Somma contro i Gentili, in quattro libri.

Se nel genere dei sermoni in senso stretto rientrano i commenti pubblici a testi biblici o liturgici, e le prediche in volgare, rivolte al popolo e a noi giunte solo in traduzione latina, è tuttavia possibile affiancare a questo genere le discussioni pubbliche confluite negli Opuscula: spiccano tra queste le opere polemiche, da quelle giovanili in difesa dei mendicanti, alle polemiche condotte negli anni intorno al 1270 nei confronti dei maestri della Facoltà delle Arti (celebri il Trattato sull’unità dell’intelletto contro gli averroisti e il Trattato sull’eternità del mondo). A Tommaso si devono anche diverse composizioni liturgiche, fra cui l’officiatura completa per la festa del Corpus Domini (letture e inni).
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FILOSOFIA - Bonaventura da Bagnoregio

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di Marco Rossini

Giovanni da Fidanza, o meglio Bonaventura da Bagnoregio, porta avanti una riflessione dalla chiara ispirazione agostiniana funzionale alla costruzione di una “filosofia francescana”; la sua è una coerente rivendicazione del carattere non autosufficiente della ricerca filosofica nel cuore del secolo dell’aristotelismo trionfante.

La vita e le opere

Fra il 1266 e il 1268, inseritosi nuovamente nell’ambiente culturale parigino, Bonaventura partecipa alle discussioni sollecitate dalla conoscenza del pensiero di Aristotele (384 a.C. - 322 a.C.) e dei suoi interpreti; l’anno successivo, dopo aver presieduto il Capitolo generale dell’ordine svoltosi ad Assisi, rientra a Parigi e prende parte a una nuova fase della polemica fra clero secolare e appartenenti agli ordini mendicanti di cui difende ruolo e idee nell’Apologia pauperum contra calumniatorem. Nel 1273 tiene una serie di conferenze che costituiscono la sua ultima grande opera, Collationes in Hexaëmeron, ma è poi costretto ad abbandonare Parigi a seguito della sua nomina a cardinale vescovo di Albano. Nel 1274, durante il concilio di Lione, difende l’ordine francescano dagli attacchi di alcuni prelati e poi si dimette dalla carica di ministro generale. Muore nel luglio dello stesso anno.

Concilio di Lione del 1274
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FILOSOFIA - La tradizione francescana

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di Federica Caldera

È difficile individuare un’unica prospettiva teorica che si ponga come caratteristica distintiva del pensiero francescano. Dalla contrapposizione al pensiero tomista e aristotelico, alla riproposizione di Bonaventura e di un neoagostinismo, dall’esemplarismo di stampo platonico alla disputa sulla pluralità delle forme: queste sono le principali caratteristiche della gnoseologia, metafisica ed etica francescana.

Un’accesa lotta intellettuale: i Francescani contro Tommaso d’Aquino

Il coinvolgimento (almeno indiretto) di Tommaso d’Aquino (1221-1274) nella condanna parigina del 7 marzo 1277 provoca la dura reazione francescana contro il tomismo.

Capitolo generale dell’ordine francescano, riunitosi a Strasburgo nel maggio del 1282.

Già nel 1279 il Capitolo generale parigino dell’ordine domenicano aveva adottato una strategia difensiva nei confronti di Tommaso d’Aquino, minacciando severe punizioni per tutti i frati che parlassero dell’Aquinate in modo indecente o irriverente. Sulla scia di questo provvedimento e ancora una volta in occasione del Capitolo generale di Parigi, nel 1286 i Domenicani mettono in atto anche una politica positiva, impegnandosi a promuovere la memoria e l’insegnamento di Tommaso, candidato a maestro ufficiale dell’ordine.

La condanna decretata da Kilwardby nel 1277 viene confermata nel 1284, sempre a Oxford, a opera di Giovanni Pecham (1240 ca. - 1292), che si attira con questo gesto le ire dei Domenicani. Nel 1285 comincia infatti a circolare un violento pamphlet anonimo che rimprovera Pecham di aborrire senza ragione gli studi filosofici. Nella sua lettera di risposta, datata 1 giugno 1285, Pecham prende chiaramente posizione a favore della dottrina agostiniano-bonaventuriana (più solida e più sana) contro quella tomista (distruttiva dell’insegnamento di Agostino). Il 30 aprile 1286, inoltre, egli condanna solennemente otto tesi di ispirazione tomista, che giudica eretiche, e decreta la scomunica del domenicano Richard Klapwell. Accanto a Pecham, uno dei maestri più critici nei confronti di Tommaso, soprattutto dopo il 1282, è certamente Roger Marston (1245 ca. - 1303 ca.), che nelle Quaestiones de anima (1283-1284) colpisce con virulenza l’Aquinate, contestando la sua infedeltà nei confronti di Agostino, accusandolo di confiscarne e deformarne i testi a proprio vantaggio, enumerandolo nella schiera di quei detestabili “teologi filosofanti” che pensano di elaborare una teologia vera fondandosi su una filosofia falsa, parziale e infarcita di errori, e indebitandosi con “uomini infernali” come Aristotele (384 a.C. - 322 a.C.) e Averroè (1126-1198).
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FILOSOFIA - Il pensiero di Giovanni Duns Scoto

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di Anna Lovisolo

Il pensiero di Giovanni Duns Scoto prende le mosse dal dibattito filosofico e teologico, vivace e talvolta carico di tensioni – come ad esempio nella contrapposizione tra neoplatonismo francescano e tomismo domenicano – che si sviluppa nell’ultima frazione del XIII secolo. Duns Scoto non aderisce appieno né all’una né all’altra corrente, ma accoglie, sviluppa e rielabora le istanze più significative delle due posizioni, giungendo in tal modo a risultati del tutto originali, sia nel campo della teologia e del rapporto che questa intrattiene con la scienza, sia nel campo della metafisica e della gnoseologia.

La vita e le opere

Lo stile del pensiero di Duns Scoto (1265-1308), la cui acutezza e complessità gli valgono nella Scuola il titolo di Doctor Subtilis, è quello proprio, antidogmatico e antidottrinario, del ricercatore. Come osserva Paul Vignaux (P. Vignaux, Philosophie au Moyen Age, Albeuve, 1987; tr. it. di M. Garin, La filosofia nel Medioevo, 1990), la modalità della sua riflessione, che tanto spesso trova riscontro nelle opere, consiste in un lungo e accurato dialogo interiore, in cui il filosofo esamina le diverse posizioni e concezioni; e poi, quando infine si tratta di passare all’elaborazione autentica del pensiero “viene, con lo slancio di una guglia, la costruzione”.

Giovanni Duns Scoto nasce nel 1265 nel piccolo villaggio di Duns, sul confine scozzese con l’Inghilterra. Poco si sa del periodo che va dalla nascita del filosofo sino al 1291, quando prende gli ordini francescani nella chiesa cluniacense di Saint Andrews a Northampton. È probabile che molto presto, tra i dieci e i dodici anni, sia stato condotto a Oxford, per intraprendervi gli studi in campo prima religioso, come imponeva la consuetudine, e poi filosofico.

Intorno al 1296 incomincia a insegnare nello studio dei Frati minori di Cambridge. Tra il 1298 e il 1300 è di nuovo a Oxford, ove compone alcune tra le opere più importanti.
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