IL MEDIOEVO - CASTELLI, MERCANTI, POETI

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FILOSOFIA - Eckhart e la mistica renana

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di Alessandra Beccarisi

Raffinato intellettuale e influente personalità dell’ordine domenicano, Meister Eckhart cerca di diffondere in Germania, attraverso la sua attività di predicatore, una nuova idea di religiosità fondata sulla riflessione della vera essenza dell’uomo: in quanto intelletto l’uomo ha un rapporto di identità e non di differenza rispetto a Dio, di cui è immagine. Tra uomo e Dio diventa dunque drammaticamente inutile la mediazione della Chiesa, che, infatti, condannerà le proposizioni più rivoluzionarie del Maestro domenicano.

Vita e opere

Eckhart nasce probabilmente a Gotha nel 1260, ed entra molto presto nel convento dei Domenicani a Erfurt. Studia teologia a Parigi e il 18 aprile 1294 tiene come lettore delle Sentenze di Pietro Lombardo (1095 ca. - 1160) il sermone solenne di Pasqua. Della sua prima attività accademica a Parigi è conservata, oltre a questo sermone, anche la Collatio in libros Sententiarum, una sorta di prolusione con cui il giovane docente deve cominciare il suo insegnamento. Tra il 1295 e il 1298 Eckhart torna in Germania e compone per i confratelli del convento di Erfurt, di cui è priore, le Reden (Discorsi, conosciuti in Italia con il titolo erroneo di Istruzioni spirituali) in cui propone una nuova interpretazione delle virtù monastiche, prima fra tutte l’obbedienza.
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FILOSOFIA - Raimondo Lullo

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di Michela Pereira

La fama del filosofo maiorchino Raimondo Lullo è soprattutto legata all’ars combinatoria, metodo inventivo e dimostrativo intuitivamente scoperto (“rivelato”), mediante il quale Lullo ritiene di poter elaborare dimostrazioni cogenti per convertire gli “infedeli” alla fede cristiana. L’azione missionaria è infatti il fulcro della vita di Lullo a partire dalla visione mistica che a trent’anni lo induce a un repentino cambiamento di vita, concretizzatosi in un’intensissima produzione intellettuale mirante a realizzare il primitivo proposito di “scrivere un libro, il più bello del mondo, contro gli errori degli infedeli”.

La missione di un filosofo laico

Nato a Palma di Maiorca nel 1235, pochi anni dopo la conquista dell’isola da parte di Giacomo II nel 1229, Raimondo Lullo riceve l’educazione cortese tipica dei giovani nobili. Adulto, sposato con Blanca Picany che gli ha dato due figli, vive alla corte maiorchina. È in questo contesto che gli si presenta ripetutamente una visione di Cristo crocifisso che lo induce a un repentino cambiamento di vita. Meditando sul significato di questa esperienza mette a fuoco il proposito di scrivere “un libro, il più bello del mondo”, per convertire musulmani ed ebrei: dalla conversione personale nasce dunque il progetto di conversione dell’intero mondo (o meglio del mondo mediterraneo) al cristianesimo, fulcro dell’attività intellettuale di Lullo, che non conoscerà più interruzioni fino all’anno della sua morte a Maiorca nel 1316. Per dar seguito al suo progetto abbandona la famiglia e nei dieci anni successivi alla visione (1262 - 1272 ca.), pur conservando lo status di laico, si dedica agli studi filosofici e teologici necessari per compiere la propria missione.
Tornato a Maiorca, mentre medita in solitudine sul monte Randa, Lullo riceve una seconda “visione”: “il Signore illuminò improvvisamente la sua mente, rivelandogli la forma e il metodo per scrivere il libro contro gli errori degli infedeli” (Vita Coetanea, ROL VIII, 1980). È l’intuizione della combinatoria, che espone nell’Ars compendiosa inveniendi veritatem (1274) e di cui elabora diverse versioni fino al 1308 (Ars demonstrativa, 1283; Ars inventiva veritatis, 1290; Tabula generalis, 1293-1294; Ars compendiosa, 1299; Lectura artis, quae intitulatur Brevis practica Tabulae generalis, 1303; Ars brevis e Ars generalis ultima, 1308).

Secondo il catalogo redatto da Anthony Bonner (A. Bonner, Selected Works of Ramon Llull, 1984) le opere scritte da Lullo sono 257: la prima, Compendium logicae Algazelis, scritta a Montpellier verso il 1272; l’ultima, Liber de deo et mundo, a Tunisi nel 1315. Alcune sono molto estese (Liber contemplationis, 1273-1274; Arbor scientiae, 1295-1296; Ars generalis ultima), altre brevissime, come i 36 opuscoli messinesi (1313-1314), in gran parte dedicati a questioni teologiche. Lullo utilizza vari generi di scrittura: enciclopedie, trattati, romanzi filosofici, poemi; mai, tuttavia, quelli tipici della scolastica: il commento e la summa. Per quanto, poi, tutte le sue opere sull’ars contengano una sezione di “questioni” (rilevantissimo l’Arbor quaestionalis, sedicesimo libro dell’Arbor scientiae) e alcuni scritti siano connotati come tali fin dal titolo, la quaestio lulliana non è modellata sulla quaestio scolastica ma sul dialogo fra maestro e discepolo che caratterizza molta trattatistica scientifica e medica del XII secolo: esemplare a questo riguardo il Liber super quaestiones Magistri Thomae Attrebatensis (1299), che risponde a domande dell’unico suo discepolo parigino, Thomas Le Myésier (?-1336).

A differenza della maggior parte dei magistri universitari, Lullo scrive le proprie opere nel corso di una vita attiva, spesa nella ricerca e nella diffusione del metodo per dimostrare le verità della fede cristiana mediante argomentazioni cogenti, per rationes necessarias (Jordi Gayà Estelrich, Raimondo Lullo. Una teologia per la missione, 2002). Si sposta da Maiorca a Barcellona a Montpellier, base dei suoi successivi viaggi che lo portano a Roma, dove cerca di convincere i pontefici ad adottare la sua arte come strumento di rinnovamento del sapere; a Genova, dove allaccia rapporti d’amicizia con gli Spinola; a Napoli e a Pisa, dove nel 1308 scrive l’Ars brevis e termina la redazione dell’Ars generalis ultima. A Parigi si reca una prima volta nel 1288-1289, poi nel 1297-1299 e infine nel 1309-1311. Viaggia anche nei Paesi musulmani e s’impegna personalmente nella predicazione convinto che, riuscendo a persuadere razionalmente le élite intellettuali islamiche della verità della fede cristiana, avrebbe ottenuto di conseguenza la conversione del popolo; il primo viaggio a Tunisi nel 1293 segna il superamento di una profonda crisi depressiva, che Raimondo aveva vissuto come conseguenza del fallimento presso la curia romana; l’ultimo viaggio, a Tunisi e Bugia, si svolge nell’ultimo anno della sua vita (1315-1316).

A sostegno del proprio progetto, Lullo propone la creazione di collegi di lingue orientali per formare missionari in grado di convertire i non-cristiani sulla base del dibattito e non con la forza. Per qualche tempo dopo la conversione gravita nella sfera d’influenza dei Domenicani: il progetto di conversione mediante rationes necessariae risponde a un’esigenza sostenuta da Raimondo di Peñafort (1180 ca. - 1275), all’origine anche della Summa contra Gentiles di Tommaso d’Aquino (1221-1274). Ma la risoluzione della gravissima crisi psicologica vissuta nel 1292 spinge Lullo ad accostarsi ai Francescani, che ritiene più idonei a valorizzare, custodire e diffondere la sua opera, come storicamente è avvenuto.

La sua posizione iniziale, caratterizzata dalla fiducia nell’uso pacifico della ragione e nella possibilità di argomentare in maniera inconfutabile le verità del credo cristiano, si esprime nel Liber de Gentili et tribus sapientibus (1274-1276), dove un ebreo, un cristiano e un musulmano, disputando cortesemente sui temi delle rispettive leges, convertono alla fede nell’unico Dio il Gentile; ma egli non rivela a quale delle tre religioni intenda aderire e la preghiera che recita si richiama alla dottrina lulliana delle dignitates (su cui torneremo più avanti), ovvero alla nozione dei nomi divini, compatibile con tutte e tre.

Nel corso degli anni, tuttavia, la consapevolezza della realtà politica e la difficoltà di concretizzare il proprio ideale missionario portano Lullo a aderire all’idea di crociata, che intende peraltro come subalterna e finalizzata alla missione e a cui dedica diversi scritti, fra i quali primeggia il Liber de Fine (1305): qui egli suggerisce la fondazione di un nuovo ordine militare e descrive minuziosamente la strategia da tenere nella crociata, ma inserisce nell’equipaggiamento dei crociati una serie di opere da lui scritte, utili per la formazione dei crociati stessi e per la predicazione agli infedeli.

Anche durante i soggiorni parigini Lullo non distoglie la propria attenzione dal progetto missionario, sviluppando un’intensa polemica verso quegli scolastici che, quasi testa di ponte dell’islam, propongono nel mondo cristiano l’interpretazione della filosofia aristotelica data da Averroè (1126-1198). La prima chiara presa di posizione antiaverroista si ha nella Declaratio per modum dialogi edita (1298), che riprende gli articoli della condanna contro gli “errori” dei seguaci di Aristotele emessa dal Cancelliere dell’Università di Parigi nel 1277. Cronologicamente vicino alla Declaratio e come questa scritto a Parigi, il più ampio degli scritti mistici lulliani, l’Arbor philosophiae amoris (1299), realizza l’unione di “Filosofia del Sapere” e “Filosofia d’Amore” utilizzando i dispositivi dell’ars e presentando come “fiori” e “frutti” dell’esperienza mistica le dottrine filosofiche e teologiche che confutano concezioni tipiche dell’averroismo. In questa idea delle rationes necessariae come “frutti dell’albero d’Amore” si coglie il “segreto” della vita del Doctor Illuminatus, nella cui ricerca filosofica s’intrecciano esperienza visionaria e radicale intellettualismo (Amadar Vega, Ramon Llull y el segredo de la vida, 2002).
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SCIENZE E TECNICHE - L’influenza islamica sulle matematiche

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L’influenza islamica sulle matematiche europee
di Giorgio Strano

Un indicatore della portata del rinnovato interesse del mondo cristiano per le matematiche greche è costituito dal fatto che la spinta a compiere traduzioni dall’arabo di testi filosofici e scientifici non si esaurisce nel XII secolo, ma prosegue per tutto il secolo successivo. Fu anzi in quest’epoca che, per cercare di superare difficoltà e incertezze emerse dai testi arabi, la traduzione di molte opere viene affrontata più volte e, sempre più spesso, ricercando le fonti greche originali a cui gli islamici avevano attinto. Acquisita maggior confidenza con i contenuti dei testi matematici, gli europei possono infine affrontare in modo più maturo alcuni di quei lavori che avrebbero condizionato la cultura occidentale fino al XVII secolo.

Gli studi astronomici

L’astrolabio piano, nato intorno al VII secolo, assurge presto a strumento simbolo del calcolo astronomico e del primato detenuto dagli islamici nelle scienze matematiche. Lo strumento, una sorta di calcolatore analogico, è composto da varie parti mobili le une rispetto alle altre. Reca anteriormente un elemento mobile, detto “rete”, che riproduce in una particolare proiezione, concepita da Ipparco di Nicea (II sec. a.C.), alcune stelle fisse e il percorso annuo del Sole lungo lo zodiaco. La rete può ruotare sopra una parte fissa, chiamata “timpano”, che riporta invece una griglia di coordinate celesti riferite all’orizzonte dello specifico luogo d’osservazione. Sul retro dell’astrolabio c’è poi una serie di promemoria in forma di scale graduate di vario genere. Fra esse sono di solito incluse una scala per misurare le altezze degli astri sopra l’orizzonte tramite un braccio girevole munito di mire, una scala zodiacale divisa in dodici sezioni di 30° ognuna per le costellazioni dall’Ariete ai Pesci, e una scala calendariale divisa in dodici mesi per trovare il punto dello zodiaco dove si trova il Sole in ciascun giorno dell’anno. Come spiegavano vari trattati islamici, con un buon astrolabio si potevano compiere una cinquantina di operazioni diverse: ricavare l’ora dall’altezza del Sole o di una stella sull’orizzonte, determinare l’istante del sorgere o del tramontare del Sole o di un altro astro in qualunque giorno dell’anno, stabilire la lunghezza del crepuscolo, individuare l’ascendente astrologico in base all’ora e alla data di nascita di un individuo, convertire le ore dall’uno all’altro dei vari sistemi usati per misurare il tempo e, all’occorrenza, stimare l’altezza di montagne, la profondità di pozzi, la distanza di città.

Per buona parte del XIII secolo pochissimi astronomi europei sanno come usare un astrolabio piano o una delle sue numerose varianti escogitate dai matematici islamici. A maggior ragione quasi nessuno ha le conoscenze materiali per costruire strumenti del genere. A quest’ultimo proposito, l’inglese Ruggero Bacone (1214/1220-1292) si trova costretto ad ammettere che per compiere indagini astronomiche, oltre a buoni strumenti, occorrono anche molti soldi per procurarseli. Di solito, acquistare strumenti significava rivolgersi direttamente ai produttori islamici attraverso i due mercati privilegiati della Spagna e della Sicilia, come sembra dimostrare l’uso frequente di riadattare gli oggetti più complessi, e specialmente gli astrolabi piani, raschiandone via le originali incisioni in arabo per sostituirle con nuove incisioni in latino.

Anche il primo tentativo di produrre tavole astronomiche e strumenti propriamente europei appare in realtà fortemente debitore dell’islam. Alfonso X di Castiglia (1221-1284, re dal 1252), detto el Sabio, si rivela un mecenate attento ai vari aspetti della cultura scientifica e in particolare all’astronomia. Egli raduna alla propria corte un gruppo di matematici islamici, ebrei e cristiani allo scopo di aggiornare in modo decisivo i risultati dell’astronomia tolemaica, ottenendo tuttavia un successo alterno. Da un lato il gruppo di matematici prepara, grazie alla padronanza delle conoscenze islamiche concernenti la soluzione per via trigonometrica dei triangoli piani e sferici, una nuova serie di tavole astronomiche che passano alla storia come le Tavole alfonsine. Data la precisione che permettono di ottenere nella previsione delle posizioni celesti, queste tavole acquistano una fama superiore a quella delle Tavole toledane e godono di numerose riedizioni sia manoscritte che a stampa fino a tutto il XVI secolo. Da un altro lato, i matematici di Alfonso X compongono una serie di scritti in lingua castigliana specificamente dedicati a particolari problemi o strumenti astronomici, che vengono riuniti in un’opera ponderosa intitolata Libros del Saber de Astronomía. L’opera ha una stretta dipendenza dall’astronomia tolemaica nel caso dei modelli planetari e dei grandi strumenti da utilizzare nelle osservazioni astronomiche, e da quella islamica nel caso della realizzazione degli strumenti di calcolo e di misura del tempo: astrolabi piani di vario genere, orologi ad acqua, a mercurio o a polvere ecc. Anche se alcune parti dei Libros del Saber vengono tradotte in latino, l’insieme ha scarsissima circolazione.

I principi dell’ottica

Le lenti sferiche cominciano a circolare in Europa proprio nel XIII secolo e Grossatesta cerca di spiegarne il funzionamento elaborando la propria teoria della doppia rifrazione. La capacità di ingrandimento di una lente era dovuta al prodursi di una prima rifrazione dei raggi di luce quando essi passavano dal mezzo rarefatto dell’aria al mezzo più denso del vetro, e di una seconda rifrazione inversa quando essi uscivano dal vetro per tornare all’aria. Grossatesta si dedica del resto a cercare di individuare la legge geometrica che regola il fenomeno della rifrazione e al tentativo di promuovere l’uso delle lenti per aiutare la vista nella lettura.

La circolazione dei primi occhiali mette a disposizione di chi voleva compiere indagini di ottica lenti convesse di varia dimensione e ingrandimento, sebbene tutte di scarsissima qualità. Proseguendo l’opera di Grossatesta, Bacone si dedica a tali lenti e alle possibilità offerte dalla loro combinazione per migliorare la vista. Egli delinea in questo modo l’ampia gamma di prospettive, talora del tutto fantastiche, che si aprivano davanti a chi coltivava l’ottica, quali la possibilità di combinare lenti e specchi in modo da bruciare oggetti grazie alla concentrazione dei raggi solari o la possibilità di creare visioni apocalittiche in grado di terrorizzare gli eserciti nemici. Su più solide basi sperimentali e di osservazione – avvalendosi per esempio di un astrolabio piano per compiere accurate misurazioni di angoli – Bacone prosegue il lavoro di Grossatesta sull’arcobaleno sia confermando i risultati ottenuti nell’antichità da Aristotele, sia sviluppando alcune ipotesi originali.

La circolazione accanto ai testi islamici delle traduzioni dall’arabo dell’Ottica di Euclide (IV-III sec. a.C.), delle Coniche di Apollonio di Perga (262 a.C. ca. - 180 a.C. ca.) e dell’Ottica di Tolomeo dà modo ai dotti europei di creare un canone organico di testi su cui si fonda la cosiddetta tradizione perspettiva dell’ottica. Sebbene non aggiungano nulla di veramente nuovo all’ottica islamica, le opere successive di Witelo (XIII sec.), di John Peckham (1240 ca. - 1292) e di Teodorico di Freiberg (1250-1310 ca.) danno sempre maggior consistenza e impulso a questo canone. A esso si rivolgono per vari secoli quanti sono interessati alla possibilità di costruire lenti e specchi ustori o di individuare i punti in cui si formano le immagini da essi prodotte. In generale, l’ottica perspettiva rafforza anche nell’Occidente latino l’idea, già maturata nel mondo islamico e presente soprattutto negli scritti di astronomia, che gli effetti dei fenomeni sensibili possono sempre essere correttamente studiati e previsti grazie all’osservazione, all’esperimento e alla definizione di relazioni matematiche e geometriche. Questione ben diversa è invece considerata l’investigazione delle cause prime all’origine dei fenomeni così interpretabili, ritenuta compito specifico della speculazione filosofica.
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SCIENZE E TECNICHE - L’apogeo delle scienze matematiche isla

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L’apogeo delle scienze matematiche islamiche
di Giorgio Strano

Dopo il grande slancio dei primi secoli dall’acquisizione delle conoscenze greche e indiane, alcune delle scienze matematiche islamiche, come l’ottica, cominciano a subire un rallentamento sempre più evidente rispetto a quanto ormai matura in Europa. L’astronomia islamica invece conserva per almeno altri due secoli un primato indiscusso grazie all’alto valore attribuitole sia dai capi religiosi per l’utilità nel culto, sia dai capi politici e militari per l’utilità nelle predizioni astrologiche.

L’astronomia

Di fatto, l’ultimo grande lavoro di ottica scritto in area islamica è il Tanqih al-manazir (Correzioni sull’ottica) di Kamal al-Din al-Farisi (1267 ca. - 1320 ca.) che rimane addirittura sconosciuto all’Occidente latino. Nell’opera, prosecuzione ideale del Kitab al-manazir di Ibn al-Haytham (965-1040), si trova un’indagine accurata del fenomeno dell’arcobaleno ottenuta per via sperimentale. In particolare, al-Farisi si dedica a scomporre la luce in colori mediante piccole sfere di vetro riempite d’acqua, simulacri su scala ingrandita delle gocce di pioggia. Questa esperienza gli permette di riconoscere nell’arcobaleno il prodotto di un effetto cromatico generato dall’insieme delle gocce di pioggia sospese nell’atmosfera.
...
Con tempo e mezzi pressoché illimitati per approfondire lo studio dell’astronomia tolemaica, le varie scuole superano già alla fine del X secolo la fase di mero aggiornamento dei parametri astronomici e dei modelli planetari inclusi nell’Almagesto, utili per preparare tavole astronomiche, e passano a una fase di evidenziazione di vari elementi problematici di quella che ancora rimaneva la più grande opera matematica scritta nell’antichità.

Le principali scuole astronomiche

Un secondo gruppo di astronomi si raccoglie intorno alla figura di Nasir al-Din al-Tusi (1201-1274). Questi riceve dal proprio sovrano, Hulagu Khan (1217 ca. - 1265, re dal 1256), ingenti mezzi per edificare a Maragha un osservatorio astronomico dotato di grandi strumenti graduati con cui seguire gli astri per diversi anni. L’istituzione viene realizzata secondo un modello che viene poi seguito in tutti gli altri grandi osservatori islamici, da quello sorto a Samarcanda sotto la conduzione di Ulugh Beg (1393-1449) a quello costruito a Istanbul da Taqi al-Din ibn-Ma’ruf (1526-1585), nonché nei primi osservatori europei della fine del XVI secolo. L’osservatorio di Maragha si componeva di un’area centrale destinata a ospitare gli strumenti fissi, per registrare le posizioni delle stelle fisse e dei pianeti, e di una struttura ridotta, chiamata il “piccolo osservatorio”. Qui gli astronomi si riunivano per consultare i libri raccolti in una fornita biblioteca e per eseguire calcoli astronomici con strumenti portatili di vario tipo. In un primo tempo al-Tusi propone a Hulagu un periodo di ricerca di 30 anni, tale cioè da permettere di seguire un intero corso di Saturno lungo lo zodiaco; ma, su pressione del Khan, desideroso di cogliere al più presto dall’attività dell’osservatorio i primi frutti astrologici, il periodo di ricerca viene ridotto a 12 anni, equivalenti al corso di Giove. Al-Tusi e i suoi astronomi producono due lavori notevoli: lo Ziji Ilkhani, una raccolta di tavole astronomiche debitamente dedicata a Hulagu, e il trattato Al-Tadhkira fi ‘ilm al-hay’a (Prontuario di astronomia), un’opera teorica intesa a rinnovare radicalmente l’astronomia planetaria. Al-Tusi mette a punto in sostanza alcuni modelli planetari basati su sistemi di gusci sferici incastonati gli uni dentro gli altri e in grado di salvare tutti i fenomeni compendiati dai modelli planetari di Tolomeo, ma senza mai ricorrere a qualcosa di analogo all’aborrito cerchio equante.

Un terzo gruppo di astronomi di quella che è solitamente chiamata la Scuola di Maragha, dominato dall’allievo, rivale e successore di al-Tusi, Qutb al-Din al-Shirazi (1236-1311), e da Mu’ayyad al-Din al-’Urdi (?-1266), elabora invece modelli planetari più affini a quelli tolemaici, ma meglio confacenti all’assunto platonico e aristotelico dei moti celesti circolari e uniformi. Entrambi questi astronomi propongono modelli in cui il corso del pianeta è regolato da un sistema comprendente due, tre o quattro epicicli i cui centri scorrono con moto uniforme l’uno lungo la circonferenza dell’altro e, infine, tutti lungo un grande cerchio concentrico alla Terra immobile. Il cardine di questa operazione consiste nel sostituire il famigerato cerchio equante di Tolomeo con un opportuno sistema equivalente di piccoli epicicli.
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SCIENZE E TECNICHE - Pro e contro Tolomeo

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Pro e contro Tolomeo
di Giorgio Strano

Il pensiero tolemaico e il modello astronomico proposto nell’Almagesto suscitano le perplessità degli studiosi occidentali, alle prese con un apparato concettuale difficilmente conciliabile con le convinzioni religiose sull’operato divino. Le incongruenze fra i modelli cosmologici di matematici e filosofi spingono però verso un’originale elaborazione che apre nuove vie.

Verso nuovi modelli del cosmo

La discordanza fra l’interpretazione fisica e l’interpretazione geometrica del cosmo era del resto ben evidenziata nel trattato di Abu Ishaq al-Bitruji (1150 ca. - 1200 ca.), tradotto in latino da Michele Scoto (1175 ca. - 1235 ca.) con il titolo di Liber Astronomiae. In ritardo di circa due secoli rispetto a quanto era avvenuto nel mondo islamico, la discussione europea sull’argomento comincia a preparare il terreno a uno sviluppo del tutto originale dell’astronomia occidentale.

A partire dal XIII secolo i matematici europei iniziano a verificare le ipotesi tolemaiche che, di fatto, restavano le più utili. Da un lato, da un punto di vista pratico, le predizioni astrologiche e la corretta gestione del calendario giuliano, per il quale sia Roberto Grossatesta (1175-1253) che Ruggero Bacone (1214/1220 - 1292) evidenziano l’esigenza di una riforma, non traevano alcun vantaggio dall’eventuale esistenza delle sfere celesti di Aristotele. Dall’altro, si diffonde gradatamente l’idea che qualunque teoria scientifica debba in primo luogo mirare a fornire una spiegazione il più aderente possibile ai fatti osservati. Senza ancora mettere in dubbio i risultati pratici raggiunti con le Tavole toledane e le Tavole alfonsine, molti matematici europei si dedicano a creare strumenti scientifici, sperando di confermare o di smentire con essi le teorie tolemaiche mediante nuove osservazioni. Parte di questi strumenti, come quelli attribuiti a Campano da Novara (1210 ca. - 1296) e a Giovanni de Muris (1290 ca. - 1351 ca.), riprendono la struttura di quelli esposti nell’Almagesto. Altri, perfezionati nella scuola astronomica di Montpellier, e in particolare dall’ebreo Levi ben Gerson (1288-1344), derivano invece dall’elaborazione di strumenti islamici. In ogni caso non si giunge mai a erigere strutture organizzate analoghe ai grandi osservatori del Medio Oriente e nemmeno si ottengoro risultati eclatanti. Le nuove osservazioni hanno come esito principale l’aggiornamento di alcuni parametri astronomici fondamentali e, al più, la redazione di liste contenenti le coordinate celesti di alcune stelle utili per preparare la rete dell’astrolabio piano.
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SCIENZE E TECNICHE - L’astrologia

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L’astrologia
di Antonio Clericuzio

A partire dal XII secolo l’astrologia, che si è sviluppata soprattutto nel mondo arabo, si diffonde nell’Occidente latino e i dibattiti vertono sul modo di concepire le influenze degli astri. La diffusione della fisica aristotelica prepara il terreno allo sviluppo dell’astrologia tra i latini: quasi tutti i filosofi cristiani accettano l’idea che gli astri influenzano gli eventi fisici, ma non le attività dell’anima razionale. Numerosi sono coloro che si oppongono alla versione forte, deterministica dell’astrologia, quella che afferma che anche l’agire umano è determinato dagli astri. La necessità di salvaguardare il libero arbitrio è motivo di intense polemiche intorno allo status e agli scopi dell’astrologia. L’impiego delle conoscenze astrologiche in medicina è accettato senza riserve, come attestano le numerose cattedre universitarie di astrologia.

Fondamenti e metodi dell’astrologia medievale

Nel Medioevo si distinguono due tipi di astrologia: una, detta giudiziaria, sostiene che gli astri determinano con le loro influenze eventi e azioni che hanno luogo sulla terra, inclusa la vita degli uomini. Di conseguenza, con osservazioni dei corpi celesti e con accurati calcoli, sarebbe possibile trarre oroscopi, prevedere il futuro di individui e popoli, nonché l’esito di eventi, quali viaggi, battaglie, matrimoni. L’altra, detta naturale, studia le influenze dei corpi celesti sui fenomeni meteorologici e sul corpo umano, in particolare sulle origini e sul decorso di malattie. È una versione più debole dell’astrologia, non ha carattere deterministico, come invece la prima, ma ammette la libertà dell’agire umano ed è riassumibile nella formula “gli astri inclinano, ma non necessitano”. L’astrologia giudiziaria si compone di quattro parti: lo studio delle rivoluzioni (congiunzioni dei pianeti e loro effetti sul mondo), gli oroscopi (configurazione del cielo alla nascita di un individuo, che permette di definirne le caratteristiche e il destino), le interrogazioni (divinazione sulla base degli aspetti reciproci dei corpi celesti), le elezioni (scelta, sempre sulla base degli aspetti astrali, del momento favorevole per intraprendere azioni rilevanti, sul piano sia individuale che collettivo).

L’astrologo opera una serie di delimitazioni della sfera celeste per essere in grado di stabilire di volta in volta la forza o la debolezza di pianeti e costellazioni. Assegna a ciascuno dei pianeti una certa “casa” in una delle dodici figure dello zodiaco. Mentre il Sole e la Luna (considerati anch’essi pianeti nella cosmologia precopernicana) hanno una casa – il Sole il Leone, la Luna il Cancro – gli altri pianeti hanno due case ciascuno, una diurna e una notturna. Un pianeta raggiunge il massimo di potenza quando è nella propria casa. I pianeti hanno punti di esaltazione e di depressione. Essendo il pianeta più freddo, Saturno ha la sua esaltazione dove il Sole ha la sua depressione, nella Bilancia. Lo zodiaco è inoltre diviso in 36 zone di dieci gradi l’una, ciascuna governata da un decano; all’origine i decani sono divinità sideree egiziane che presiedono il tempo ed esercitano il loro dominio sui pianeti.

Astrologia, religione e storia

L’astrologia araba sviluppa la dottrina delle congiunzioni planetarie, che stanno al mondo come l’oroscopo all’uomo. La congiunzione dei tre pianeti superiori, Marte, Giove e Saturno nella stessa costellazione è particolarmente temuta in quanto portatrice di sciagure, guerre, carestie. Alla congiunzione di questi tre pianeti nel segno dello Scorpione sono ricondotte la nascita di Maometto e la Morte Nera del 1348. La teoria delle grandi congiunzioni fa dipendere da cause naturali le grandi vicissitudini della storia, la nascita e la fine di imperi, popoli e civiltà, l’avvento e il tramonto di religioni. Saturno, quello con un periodo maggiore, è considerato il primo e supremo fra i pianeti; è causa di mutamenti radicali delle leggi e delle religioni e, in generale, di ogni cosa che avviene in lungo tempo, quale ad esempio ogni dottrina e religione che abbraccia molte generazioni e molti anni. Gli altri due pianeti esterni, Giove e Marte, determinano eventi di minor importanza e il cui corso è più breve. La teoria delle grandi congiunzioni è contenuta nell’opera di Albumasar (787?-886) che, tradotta in latino nel XII secolo con il titolo di Introductorium in astronomiam, ha larga diffusione fino al Cinquecento. È una concezione naturalistica e deterministica della storia, che, includendo nel ciclo cosmico anche l’origine della religione cristiana, sembra subordinare la rivelazione alle ferree leggi della natura. Numerosi filosofi cristiani adottano la dottrina dell’oroscopo delle religioni, anche se la interpretano in modi differenti. Nell’Opus maius Ruggero Bacone (1214/1220-1292) espone la dottrina dell’oroscopo delle religioni legandola alla profezia dell’avvento dell’Anticristo: “Affermano i filosofi che Giove nella sua congiunzione con altri pianeti annunzia religioni e fede. E poiché sono sei i pianeti con cui può congiungersi, sostengono che sei devono essere nel mondo le religioni principali. Se si congiunge con Saturno, indica i libri sacri, e cioè il giudaismo, che è più antico delle altre religioni, come Saturno è il padre dei pianeti. Se Giove si congiunge con Marte, dicono che indichi la religione caldea, che insegna ad adorare il fuoco. Se col Sole, significa la religione egizia, che vuole si adori la milizia celeste, di cui il Sole è signore. Se con Venere, dicono che significa la religione dei saraceni, che è in tutto voluttuosa e venerea. Se con Mercurio, la religione mercuriale, che è la cristiana, finché verrà a turbarla la religione della Luna, che è la setta dell’Anticristo”.

Astrologia, filosofia, medicina

L’impiego dell’astrologia per la medicina ha radici antiche: dal Corpus Hippocraticum si diffonde nella medicina greca e araba. La corrispondenza tra parti del corpo, umori e pianeti ne costituisce il fondamento teorico, la genesi e l’evoluzione di una malattia rispondono anch’esse a influenze astrali: ciò è particolarmente evidente nel caso delle febbri periodiche e delle malattie acute. Queste ultime hanno una fase critica, che si manifesta con una repentina secrezione di umori. La teoria dei “giorni critici” ha lo scopo di fornire al medico gli strumenti per la prognosi e la terapia. Il medico non deve limitarsi a considerare lo stato del paziente, ma deve necessariamente consultare i corpi celesti, in particolare i moti della luna. Ben si comprende l’insistenza di Ruggero Bacone sulla necessità di fondare la medicina sull’astrologia: il buon medico non è quello che si limita a somministrare farmaci, ma quello che regola la propria azione sui moti dei pianeti e i loro aspetti. Pietro d’Abano (1257-1315 ca.) critica i medici del suo tempo perché ignoranti in materia astrologica. Tutti i pianeti – afferma Pietro – esercitano un’influenza sulle malattie, ma lo fanno in modi differenti: in base alla loro posizione nello zodiaco, in relazione ai punti cardinali, alla posizione nell’epiciclo e alla posizione in rapporto ad altri pianeti (congiunzioni e aspetti).
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L’astrologia è l’arte che insegna come impossessarsi delle forze celesti che governano il mondo. L’astrologo gioca un ruolo non secondario nelle lotte politiche, come mostra la carriera di Guido Bonatti (?-1296 ca.), il più noto astrologo del XIII secolo, al servizio di Federico II, Ezzelino (1194-1259), Guido Novello da Polenta (1275 ca. - 1333) e Guido da Montefeltro (1223-1298). Per mezzo dell’osservazione degli astri, Bonatti ritiene di aver indicato il momento propizio per la vittoria dei ghibellini nella battaglia di Montaperti (1260). L’ingresso dell’insegnamento dell’astrologia nelle università italiane avviene nella seconda metà del XIII secolo, nelle facoltà di medicina. Pietro d’Abano insegna astrologia a Padova e Biagio Pelacani (?-1416) a Bologna e Padova. Secondo Pietro l’unica scienza certa è la matematica, che è divisa in due parti, geometria e astrologia; quest’ultima rappresenta la parte operativa della geometria, in particolare delle conoscenze geometriche dei moti celesti.
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SCIENZE E TECNICHE - La fisica del moto e la scienza dei pes

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La fisica del moto e la scienza dei pesi
di Antonio Clericuzio

In quest’epoca due importanti innovazioni interessano lo studio del moto: innanzitutto una nuova concezione del moto violento, che, partendo dalla critica della teoria aristotelica avanzata nel VI secolo da Giovanni Filopono, introduce il concetto di impetus, o forza impressa dal motore al mobile, con cui si spiega la prosecuzione del moto di un proietto; in secondo luogo un approccio quantitativo allo studio della cinematica, con il cosiddetto teorema mertoniano della velocità media. L’ambito in cui l’eredità greca dà i maggiori risultati nella direzione della matematizzazione della fisica è la scienza dei pesi o statica. Il recupero della tradizione archimedea e di quella pseudo aristotelica di Questioni Meccaniche contribuisce allo studio matematico delle condizioni d’equilibrio dei corpi.

La statica

Nell’Occidente latino la statica (che gli scolastici chiamano “scienza dei pesi”) riceve un significativo impulso dall’opera di traduzione che caratterizza i secoli XII e XIII.
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Figura di primo piano della statica medievale è Giordano Nemorario, della cui vita si sa ben poco, salvo che soggiornò a Parigi nella prima metà del XIII secolo.
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Al XIII secolo risale uno dei primi trattati di idrostatica, il De insidentibus in humidum, attribuito ad Archimede e derivante da antiche fonti latine e arabe.
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SCIENZE E TECNICHE - L’alchimia e la metallurgia in Europa

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L’alchimia e la metallurgia in Europa
di Andrea Bernardoni

Delle dottrine alchemiche islamiche la cultura europea del XIII secolo assimila prevalentemente l’aspetto legato alla metallurgia. Sia gli alchimisti che i filosofi della natura latini vedono nelle teorie della tradizione araba, fino a quel momento sostanzialmente sconosciuta, una possibilità per completare la conoscenza del mondo minerale che, non sviluppata in maniera esauriente da Aristotele, è basata soltanto su opere come la Naturalis Historia di Plinio, le Etymologiae di Isidoro di Siviglia e lapidari di origine bizantina.

L’assimilazione dell’alchimia araba nella filosofia naturale dei latini

Bartolomeo Anglico (1190 ca. - 1250 ca.) e Vincenzo di Beauvais (1190 ca. - 1264). Il primo è un francescano formatosi a Oxford nella prima metà del XIII secolo al quale dobbiamo il De proprietatibus rebus (Sulle proprietà delle cose), un trattato di carattere pedagogico di notevole successo, in seguito tradotto anche in francese, olandese e spagnolo.
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Vincenzo di Beauvais, nella cui opera enciclopedica, intitolata Speculum Maius,si trovano i primi riferimenti e un primo tentativo di integrazione dell’alchimia nelle gerarchie del sapere occidentale.
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Vincenzo si appropria della teoria di matrice araba che riconosce nello zolfo e nel mercurio i costituenti primari dei metalli e la amplia, ritenendo che le varie specie metalliche siano scomponibili nei quattro spiriti primari dell’arsenico, del mercurio, dello zolfo e del sale ammoniaco, a partire dai quali si possono ricomporre le specie metalliche dell’argento e dell’oro.

Un’altra testimonianza significativa, che mostra l’importanza dell’alchimia negli ambienti universitari, è il Liber secretorum alchimiae di Costantino Pisano...
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Per gli alchimisti la ricerca del segreto delle operazioni per trasformare i metalli vili in oro non può essere considerata un’arte meccanica ma parte integrante della ricerca filosofica. È in questa prospettiva che i due massimi rappresentanti dell’alchimia duecentesca, il cosiddetto Geber latino (XIII sec., pseudonimo del frate francescano Paolo di Taranto) e Alberto Magno, il doctor universalis della scolastica, accolgono e interpretano i procedimenti operativi degli alchimisti cercando di assimilarli nella gerarchia del sapere scolastico.

Alberto Magno

Alberto Magno considera le dottrine di matrice araba sulla generazione dei metalli un completamento della sua filosofia naturale e di quella di Aristotele. Nel suo De mineralibus, che pretende di completare le lacune aristoteliche sulla mineralogia e sulla geologia, vengono prese in considerazione varie dottrine alchemiche, inquadrandole in un discorso unitario e omogeneo. Da esse l’alchimia emerge come una scienza specialistica, dotata di un proprio apparato dottrinario e di specifiche finalità operative preposte alla conoscenza teorica e alla trasformazione tecnica dei metalli.

Geber latino

L’opera più importante e più nota di Geber è la Summa perfectionis magisterii, nella quale l’autore raccoglie i materiali della tradizione araba dalle opere di Razi (Liber secretorum e Liber de aluminibus et salibus), Jabir (721 ca. - 815 ca.) (Liber septuaginta), Pseudo Aristotele (De perfecto magisterio) e Avicenna (De congelatione et conglutinatione lapidum ed Epistola ad Hasen regem de re recta). Tra le fonti latine, invece, anche se nel XIII secolo è creduta molto più antica e di origine greca, viene dato particolare rilievo allo pseudo-epigrafico Liber Hermetis e all’idea da esso veicolata secondo la quale il tradizionale rapporto di subordinazione dell’arte alla natura, di matrice aristotelica, viene ribaltato.
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Sulla base degli argomenti presentati nel Liber Hermetis, nella Summa perfectionis si propone un’analisi confutativa di tutte le obiezioni sollevate nel dibattito filosofico sull’alchimia, alle quali l’autore risponde rimandando dal piano dialettico a quello empirico dell’effettiva realizzazione dell’opus. Nel secondo libro della Summa si prendono in considerazione i metalli che, come nella tradizione araba, sono indicati quasi sempre con i nomi dei pianeti a loro corrispondenti (Sole-oro, Luna-argento, Giove-rame, Marte-ferro, Mercurio-argentovivo, Venere-stagno/piombo), in modo da sottolineare lo stretto legame tra la loro realtà materiale e gli influssi astrali dai quali dipendono.
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Come per la tradizione araba di Jabir e Razi, le fasi operative dell’opus sono sette: sublimazione, distillazione, calcinazione, soluzione, coagulazione, fissazione, e infine fluidificazione o cerazione, descritte in maniera chiara e priva di allusioni metaforiche. Il terzo e ultimo libro, infine, è dedicato alla realizzazione della medicina capace di curare e aumentare il grado di perfezione dei metalli. Nonostante Geber mostri un atteggiamento orientato maggiormente alla sperimentazione, egli rivela qui un’influenza della concezione alchemica di Alberto Magno secondo la quale l’alchimista, una volta individuate le cause che determinano l’imperfezione del metallo, opera su di esso come un medico per facilitare l’azione della natura e farlo pervenire così a uno stato di perfezione più elevato.

Ruggero Bacone

Un progresso ulteriore nel dibattito epistemologico sull’alchimia si ha con Ruggero Bacone (1214/1220-1292), il quale inquadra questa disciplina all’interno di un ampio programma di riforma della conoscenza teso a superare le separazioni e la rigidità della gerarchia dei saperi proprie dell’epistemologia scolastica. Nella sua Scientia experimentalis Bacone definisce l’alchimia scientia duplex, distinguendo una parte speculativa, che si occupa in generale dei problemi inerenti alla generazione di tutte le cose naturali inanimate, e una parte operativa, che testa e certifica la validità delle speculazioni teoretiche relativa alla generazione di metalli, colori e medicinali. Bacone sviluppa il parallelismo con la medicina, già proposto da Alberto, arrivando a considerare l’alchimia come un presupposto fondamentale, oltre che della medicina, anche di tutta la filosofia naturale...
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La presa di coscienza che in Aristotele non vengono posti veti nei confronti della trasmutazione induce Bacone a ritornare sui suoi passi e a riconsiderare il proprio scetticismo sull’alchimia, giungendo perfino a concludere che l’oro artificiale prodotto dagli alchimisti è migliore di quello naturale; nella forma di “oro potabile”, cioè preparato per mezzo della distillazione al fine di un’assunzione terapeutica, questo metallo acquista il potere non solo di risanare gli organismi malati, ma anche di prolungare la vita. Con Bacone cambiano i termini del dibattito e l’alchimia da arte meccanica, legata esclusivamente al problema della trasmutazione metallica, assume una dimensione filosofica che finisce per minare i fondamenti del paradigma aristotelico. Questo tema del farmaco capace di prolungare la vita, che ha un corrispettivo nella tradizione alchemica indiana e cinese, trova una limitazione nella teologia cristiana, che non contempla la possibilità dell’immortalità materiale. Perseguendo questa prospettiva Bacone apre così un altro fronte di contrasto con il sapere istituzionale che contribuisce a gettare un ulteriore discredito sull’alchimia.
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SCIENZE E TECNICHE - La Quaestio de alchimia

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La Quaestio de alchimia
di Andrea Bernardoni

Le posizioni sull’alchimia di Alberto Magno, Geber latino e Ruggero Bacone contribuiscono a focalizzare problematiche sulla legittimità tecnica, scientifica e morale di questa disciplina già emerse nei precedenti tentativi di assimilarla ai principi della filosofia naturale aristotelica e che ora vengono affrontate in un dibattito allargato, che va oltre le argomentazioni speculative del mondo accademico per esplorare le posizioni anche di coloro che erano più o meno direttamente coinvolti nella sperimentazione alchemica.

Paolo di Taranto e Pietro Bono da Ferrara

... gli alchimisti cercano di mostrare, come nel Liber Hermetis e nella Summa perfectionis, la legittimità e la validità delle dottrine alchemiche sul piano empirico. A questi testi si allinea anche la Theorica et Practica di Paolo di Taranto (XIII sec., lo stesso autore che si cela dietro la Summa perfectionis), nella quale si cerca di dare una visione riduttiva delle problematiche antitrasmutazioniste sollevate dalle argomentazioni di Avicenna (980-1037) presenti nel De congelatione et conglutinatione lapidum e nella Epistula ad Hasen. La tesi di fondo di Paolo di Taranto è quella di riconoscere all’uomo la capacità di intervenire nei processi naturali di trasformazione delle specie. Le arti sono classificabili in due categorie: quelle che lavorano sulle “forme estrinseche” alla sostanza, come la pittura e la scultura, e quelle che lavorano sulle “forme intrinseche”, come l’agricoltura e la medicina; questa classificazione si basa sulla distinzione tra qualità primarie (caldo, freddo, secco, umido) e secondarie (colori, odori, sapori ecc.), per la quale solo le arti che intervengono sulle prime possono essere considerate trasmutatorie. Non si tratta tuttavia di interventi diretti dell’artefice nel processo di creazione delle forme sostanziali ma, conoscendo i principi con i quali lavora la natura, l’alchimista, così come il medico e l’orticultore, crea le condizioni perché si realizzi la trasmutazione di specie.
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Nella Theorica et practica Paolo di Taranto intende proprio porre una distinzione tra le tecniche, che rimangono all’interno di una dimensione artigianale, e le scienze applicate (medicina, agricoltura e alchimia), che, invece, intervengono sui meccanismi di trasformazione della natura con cognizione di causa e nel rispetto dei principi sui quali essa si basa. Questa distinzione tra artigiani e scienziati è importante perché colloca l’alchimia tra le scienze applicate, motivando la sua appartenenza a questa categoria con una serie di evidenze sperimentali che, se non sono sufficienti sul piano tecnologico per mostrare la riuscita dell’opus, lo sono sul piano sperimentale per dare una solida giustificazione, anche se non definitiva, alla teoria della trasmutazione.
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SCIENZE E TECNICHE - Dalla trasmutazione metallica all’alchi

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Dalla trasmutazione metallica all’alchimia dell’elisir
di Andrea Bernardoni

Con il XIII secolo si chiude il periodo aureo dell’alchimia metallurgica che aveva visto in autori come Alberto Magno e il Geber latino (Paolo di Taranto) i tentativi più compiuti per dare all’alchimia uno statuto epistemologico e inquadrarla all’interno della filosofia della natura aristotelica. A partire dal secolo successivo il problema della trasmutazione viene visto sempre meno in relazione alla trasformazione metallica ma, sviluppando una prospettiva che era stata posta da Ruggero Bacone, lo scopo degli alchimisti diventa la ricerca della perfezione, non più legata soltanto ai metalli ma anche all’essere vivente.

Rupescissa: l’elisir tra farmacologia e metafisica

... tre correnti principali: quella metallurgica, basata sul progetto della trasmutazione sviluppato nella Summa perfectionis magisterii del Geber latino; quella dell’elisir, che ha origine con Ruggero Bacone (1214/1220-1292) ed è elaborata successivamente nei testi attribuiti a Raimondo Lullo e Arnaldo da Villanova; infine, la pratica della distillazione di sostanze organiche e inorganiche per sintetizzare nuovi farmaci a scopi terapeutici, che prende il via con Rupescissa e viene esplicata in tutte le sue potenzialità nel XVI secolo con la riforma paracelsiana della medicina.
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