I guerrieri della reconquista
Inviato: 29 settembre 2015, 20:33
Tratto da "Le grandi battaglie del Medioevo" di Andrea Fedriani.
È esistito un vero e proprio Far-west anche nel Medioevo. Ed era l’estremo ovest della Cristianità medievale, dove la contiguità con l’Africa musulmana poneva le due religioni l’una di fronte all’altra: un continuo conflitto che ebbe come scacchiere la penisola iberica, nella quale la frontiera tra i due blocchi contrapposti si spostò ripetutamente e, spesso, non ebbe neanche confini ben definiti. La presenza delle mandrie di bestiame e delle fattorie per il loro allevamento, oggetti principali delle razzie, ci offre un’ulteriore conferma delle similitudini con la frontiera americana del XIX secolo.
Il risultato di questo confronto permanente fu una guerra di frontiera fatta solo di rado di grandi battaglie e assedi, e più spesso di raid, razzie, sfide tra signori locali, cavalieri seguiti dalle loro masnade; e come tale, si trattò di una guerra imperniata sul reciproco rispetto e sulle regole della cavalleria, che mai come nel settore iberico trovarono una frequente applicazione. Altrettanto reciproco fu l’influsso esercitato dai belligeranti dei due blocchi, che finì per riflettersi anche sull’organizzazione tattica e sull’armamento, rendendo virtualmente indistinguibili gli uni dagli altri, in processo di tempo, cristiani e musulmani.
Nell’epoca della battaglia di Las Navas de Tolosa, poi, non c’era una reale differenza tra la cavalleria leggera e quella pesante: l’estremo dinamismo della guerra nella penisola iberica aveva prodotto una maggiore tendenza, rispetto ad altre aree geografiche, a valersi di combattenti leggeri. Di cavalieri, in realtà, ve ne erano varie categorie. L’aristocrazia feudale era distinta, a seconda del grado di ricchezza, in ricoshombres, ovvero i baroni, e hidalgos, tutti caratterizzati da rapporti feudali differenti con la corona, a seconda del regno di appartenenza. L’usanza più peculiare vigeva nel León, il regno che più di ogni altro vantava un legame diretto con l’antico reame visigoto; lì un cavaliere aveva il diritto di lasciare il proprio feudo al figlio solo se moriva in battaglia; in caso di morte nel proprio letto, invece, i suoi possedimenti tornavano alla corona.
In linea di massima, nella Spagna orientale, ovvero in Aragona e in Catalogna, l’evoluzione del sistema feudale seguì quella classica vigente in Francia, con l’obbligatorietà del servizio militare, le cui spese erano a carico del combattente. Nel resto della Spagna, i signori combattevano in cambio di rendite feudali, disponendo di un seguito personale, le masnadas, raccolto in base al loro prestigio più che agli obblighi di vassallaggio.
La nobiltà minore, che prestava servizio a pagamento, era costituita dai caballeros, col tempo sempre meno in grado di equipaggiarsi completamente. Un cavaliere iberico del XIII secolo si contraddistingueva, rispetto a quelli degli altri scacchieri europei, per una maggior diffusione di ornamenti nel suo armamento. Il mantello contrassegnava il suo rango, unitamente alla spada e ai colori vivaci; lo scudo era rotondo e di cuoio, con delle nappe sul lato esterno, secondo le influenze andaluse, oppure rettangolare con il lato basso arrotondato, prerogativa esclusivamente spagnola; sopra la cotta di maglia, che mancava di coprire solo la sezione del viso tra occhi e naso, spesso ma non sempre appariva una sopravveste lunga, decorata con motivi moreschi, che ricopriva il corpo e le braccia fino al gomito. In alternativa all’elmo chiuso, si utilizzava volentieri una semplice cervelliera con o senza nasale.
Una terza categoria di combattenti era rappresentata dalle milizie cittadine, i cui componenti erano uomini liberi tenuti a prestare il servizio militare al comando di un ufficiale nominato dal re, chiamato juez – mentre le autorità cittadine eleggevano gli alcaldes per le singole campagne –, in tempi e modi diversi a seconda del grado di autonomia detenuto da una città. Tra i soldati di un centro urbano, i più benestanti erano tenuti ad acquistare un cavallo e a prestare servizio come caballeros villanos, ma erano gratificati con l’esenzione dalle tasse e con terre, fino ad acquisire, in progresso di tempo, lo stesso status della nobiltà minore, e perfino l’ereditarietà dei privilegi. D’altra parte, potevano anche perdere tutto se non si facevano trovare equipaggiati di tutto punto nel corso delle ispezioni annuali, che in Castiglia si tenevano due volte l’anno; in tali circostanze, infatti, essi dovevano presentarsi con scudo, lancia, cotta di maglia – o giaccotti imbottiti accompagnati da protezioni agli arti –, elmo di metallo, e in alcuni casi corazzamento per il cavallo. Anche un peone, un cittadino che prestava servizio come fante, poteva entrare nella categoria dei caballeros villanos, qualora avesse raggiunto un determinato livello di ricchezza. Il classico milite cittadino a piedi disponeva di uno scudo rotondo con nappine e di lancia, e solo raramente indossava elmo, corazza metallica e spada.
Un’ulteriore, rilevante categoria era costituita dagli ordini militari, che nella penisola iberica fiorirono con una frequenza perfino maggiore che in Terrasanta, soprattutto nel corso del XII secolo. A loro era affidata la linea del fronte, dovunque si trovasse, e la colonizzazione delle aree sottratte al controllo musulmano. Oltre ai cavalieri ospitalieri e ai templari, che avevano basi soprattutto in Aragona e Navarra, quelli autoctoni erano soprattutto in Castiglia: l’ordine di Giacomo di Compostela, o di Santiago, l’ordine di San Giuliano de Pereyro, poi di Alcántara, l’ordine di Calatrava, l’ordine di Evora, poi di Avis, i cavalieri di Monte Gaudio, poi confluiti nell’ordine templare, quelli di Trujillo, quelli di Trufac, assorbiti dall’ordine di Calatrava, l’ordine di San Giorgio de Alfama; molti di essi erano eredi delle prime comunità religiose di guerrieri lungo la frontiera, chiamate hermanagildas. Nelle loro file, oltre ai confratelli cavalieri e ai sergenti, combattevano anche mercenari, ausiliari musulmani e fratelli di grado minore, affiliati all’ordine.
Tra quanti combattevano nelle file degli eserciti cristiani, infine, vi erano anche truppe musulmane, in particolar modo, i cavalieri leggeri, forniti dalle tribù zanata del Marocco, detti zenetes, poi jinetes in castigliano e genet in catalano; essi si distinguevano per lo scudo a forma di cuore, e disponevano di due o tre giavellotti, sia per il lancio che per l’affondo, nonché di una spada o di un lungo pugnale. Oltre a costoro, agivano come ausiliari i mori dell’Andalusia caduti sotto il controllo cristiano man mano che la reconquista sottraeva territori all’Islam. Definiti mudejar, “coloro cui è permesso di rimanere” in arabo, costituivano una parte consistente degli eserciti dei regni iberici, e si caratterizzavano per il loro armamento leggero, la barba – resa obbligatoria dalle leggi reali per distinguerli dai miliziani cristiani – e un copricapo a punta.
È esistito un vero e proprio Far-west anche nel Medioevo. Ed era l’estremo ovest della Cristianità medievale, dove la contiguità con l’Africa musulmana poneva le due religioni l’una di fronte all’altra: un continuo conflitto che ebbe come scacchiere la penisola iberica, nella quale la frontiera tra i due blocchi contrapposti si spostò ripetutamente e, spesso, non ebbe neanche confini ben definiti. La presenza delle mandrie di bestiame e delle fattorie per il loro allevamento, oggetti principali delle razzie, ci offre un’ulteriore conferma delle similitudini con la frontiera americana del XIX secolo.
Il risultato di questo confronto permanente fu una guerra di frontiera fatta solo di rado di grandi battaglie e assedi, e più spesso di raid, razzie, sfide tra signori locali, cavalieri seguiti dalle loro masnade; e come tale, si trattò di una guerra imperniata sul reciproco rispetto e sulle regole della cavalleria, che mai come nel settore iberico trovarono una frequente applicazione. Altrettanto reciproco fu l’influsso esercitato dai belligeranti dei due blocchi, che finì per riflettersi anche sull’organizzazione tattica e sull’armamento, rendendo virtualmente indistinguibili gli uni dagli altri, in processo di tempo, cristiani e musulmani.
Nell’epoca della battaglia di Las Navas de Tolosa, poi, non c’era una reale differenza tra la cavalleria leggera e quella pesante: l’estremo dinamismo della guerra nella penisola iberica aveva prodotto una maggiore tendenza, rispetto ad altre aree geografiche, a valersi di combattenti leggeri. Di cavalieri, in realtà, ve ne erano varie categorie. L’aristocrazia feudale era distinta, a seconda del grado di ricchezza, in ricoshombres, ovvero i baroni, e hidalgos, tutti caratterizzati da rapporti feudali differenti con la corona, a seconda del regno di appartenenza. L’usanza più peculiare vigeva nel León, il regno che più di ogni altro vantava un legame diretto con l’antico reame visigoto; lì un cavaliere aveva il diritto di lasciare il proprio feudo al figlio solo se moriva in battaglia; in caso di morte nel proprio letto, invece, i suoi possedimenti tornavano alla corona.
In linea di massima, nella Spagna orientale, ovvero in Aragona e in Catalogna, l’evoluzione del sistema feudale seguì quella classica vigente in Francia, con l’obbligatorietà del servizio militare, le cui spese erano a carico del combattente. Nel resto della Spagna, i signori combattevano in cambio di rendite feudali, disponendo di un seguito personale, le masnadas, raccolto in base al loro prestigio più che agli obblighi di vassallaggio.
La nobiltà minore, che prestava servizio a pagamento, era costituita dai caballeros, col tempo sempre meno in grado di equipaggiarsi completamente. Un cavaliere iberico del XIII secolo si contraddistingueva, rispetto a quelli degli altri scacchieri europei, per una maggior diffusione di ornamenti nel suo armamento. Il mantello contrassegnava il suo rango, unitamente alla spada e ai colori vivaci; lo scudo era rotondo e di cuoio, con delle nappe sul lato esterno, secondo le influenze andaluse, oppure rettangolare con il lato basso arrotondato, prerogativa esclusivamente spagnola; sopra la cotta di maglia, che mancava di coprire solo la sezione del viso tra occhi e naso, spesso ma non sempre appariva una sopravveste lunga, decorata con motivi moreschi, che ricopriva il corpo e le braccia fino al gomito. In alternativa all’elmo chiuso, si utilizzava volentieri una semplice cervelliera con o senza nasale.
Una terza categoria di combattenti era rappresentata dalle milizie cittadine, i cui componenti erano uomini liberi tenuti a prestare il servizio militare al comando di un ufficiale nominato dal re, chiamato juez – mentre le autorità cittadine eleggevano gli alcaldes per le singole campagne –, in tempi e modi diversi a seconda del grado di autonomia detenuto da una città. Tra i soldati di un centro urbano, i più benestanti erano tenuti ad acquistare un cavallo e a prestare servizio come caballeros villanos, ma erano gratificati con l’esenzione dalle tasse e con terre, fino ad acquisire, in progresso di tempo, lo stesso status della nobiltà minore, e perfino l’ereditarietà dei privilegi. D’altra parte, potevano anche perdere tutto se non si facevano trovare equipaggiati di tutto punto nel corso delle ispezioni annuali, che in Castiglia si tenevano due volte l’anno; in tali circostanze, infatti, essi dovevano presentarsi con scudo, lancia, cotta di maglia – o giaccotti imbottiti accompagnati da protezioni agli arti –, elmo di metallo, e in alcuni casi corazzamento per il cavallo. Anche un peone, un cittadino che prestava servizio come fante, poteva entrare nella categoria dei caballeros villanos, qualora avesse raggiunto un determinato livello di ricchezza. Il classico milite cittadino a piedi disponeva di uno scudo rotondo con nappine e di lancia, e solo raramente indossava elmo, corazza metallica e spada.
Un’ulteriore, rilevante categoria era costituita dagli ordini militari, che nella penisola iberica fiorirono con una frequenza perfino maggiore che in Terrasanta, soprattutto nel corso del XII secolo. A loro era affidata la linea del fronte, dovunque si trovasse, e la colonizzazione delle aree sottratte al controllo musulmano. Oltre ai cavalieri ospitalieri e ai templari, che avevano basi soprattutto in Aragona e Navarra, quelli autoctoni erano soprattutto in Castiglia: l’ordine di Giacomo di Compostela, o di Santiago, l’ordine di San Giuliano de Pereyro, poi di Alcántara, l’ordine di Calatrava, l’ordine di Evora, poi di Avis, i cavalieri di Monte Gaudio, poi confluiti nell’ordine templare, quelli di Trujillo, quelli di Trufac, assorbiti dall’ordine di Calatrava, l’ordine di San Giorgio de Alfama; molti di essi erano eredi delle prime comunità religiose di guerrieri lungo la frontiera, chiamate hermanagildas. Nelle loro file, oltre ai confratelli cavalieri e ai sergenti, combattevano anche mercenari, ausiliari musulmani e fratelli di grado minore, affiliati all’ordine.
Tra quanti combattevano nelle file degli eserciti cristiani, infine, vi erano anche truppe musulmane, in particolar modo, i cavalieri leggeri, forniti dalle tribù zanata del Marocco, detti zenetes, poi jinetes in castigliano e genet in catalano; essi si distinguevano per lo scudo a forma di cuore, e disponevano di due o tre giavellotti, sia per il lancio che per l’affondo, nonché di una spada o di un lungo pugnale. Oltre a costoro, agivano come ausiliari i mori dell’Andalusia caduti sotto il controllo cristiano man mano che la reconquista sottraeva territori all’Islam. Definiti mudejar, “coloro cui è permesso di rimanere” in arabo, costituivano una parte consistente degli eserciti dei regni iberici, e si caratterizzavano per il loro armamento leggero, la barba – resa obbligatoria dalle leggi reali per distinguerli dai miliziani cristiani – e un copricapo a punta.