Da http://www.monetaecivilta.it/storia/medievale.html
Secc XII e XIII
In Italia meridionale il re normanno Ruggero II si trovò nella necessità di mettere ordine nelle questioni monetarie del suo regno che si trovava nel punto di confluenza di tre diversi sistemi monetari (tarì arabo, follaro bizantino e denaro carolingio). Avviò, dunque, una riforma (nel 1140), introducendo il ducale in argento, in rappresentanza del miliarense bizantino, pari a 1/12 del solido, in lega molto bassa, 500/1000.
Pochi anni più tardi, Federico I, togliendo a Milano lo ius monetae, affidò ad una nuova zecca la coniazione di un denario, l’imperiale, di buon fino, che doveva essere convertibile con le più importanti valute del regno, ripristinando, così una omogeneità monetaria nei territori dominati, collegando il regno locale con il regno svevo di Sicilia e, quindi, il mondo tedesco.
Negli anni ’60-’70 la scoperta di nuovi giacimenti in Boemia, nelle Alpi orientali ed in Toscana dettero nuovo impulso all’attività delle zecche, come Verona che emise il denaro crociato, un denaro di mistura così chiamato per la croce, presente sia la D/ che al R/ (1185-1250c.).
Ma fu Venezia a trovare l’innovazione più rivoluzionaria per sostituire nel commercio internazionale sia i miliarensi bizantini che i dirhem arabi: fu il ducato di argento o grosso matapan, del peso di oltre gr. 2, emesso tra il 1194 e il 1201 dal doge Enrico Dandolo, moneta di stile e tipologia vicini alle emissioni romane di oriente , con figure frontali sedute o stanti.
Tale moneta ebbe enorme fortuna per la sua funzione di raccordo tra nominali diversi, soprattutto dopo la conquista di Costantinopoli con la IV crociata, quando i Veneziani, avendo guadagnato il primato nei traffici con l’Oriente, ne facilitarono la diffusione, dal mare del Nord fino all’India (come era stato per il denario romano e poi il solido bizantino).
Il ducato andò anche ad integrare le emissioni di Milano, Genova, Pisa Verona, Bologna e della Toscana, favorendo così la creazione di una solida area economica.
Da allora si creò la distinzione nella definizione della nuova moneta grossa e la moneta picciola, i vecchi denari carolingi.
Lo stesso non accadde nell’Europa del Nord, in cui nacquero, invece, aree monetarie ben differenziate in rapporto al diverso potere di acquisto della moneta, che si andava sempre più assottigliando ed allargando, fino ad essere prodotta con una tecnica a sbalzo per produrre i ben noti bratteati, sottili monete con una faccia in rilievo e l’altra in incavo, ben diversi dagli incusi di Magna Grecia, prodotti, come è noto, con due conii indipendenti, uno a rilievo e l’altro in incavolink a tecniche monetali.
La crisi dell’Impero bizantino e la creazione dell’Impero latino d’Oriente favorirono la nascita di nuovi fondaci che determinarono non solo l’incremento dei traffici veneziani, ma anche l’afflusso di maggior quantitativo di oro in Occidente, opportunità che colse Federico II, volendo affiancare al tarì un multiplo: le zecche di Messina e Brindisi coniarono, dunque, l’augustale, di gr. 5,31 con un fino aureo di 854/1000, del valore di 6 tarì.
Chiamato così per evidente riferimento alle monete del primo imperatore romano, fu moneta di prestigio, ma non sufficientemente apprezzata in Sicilia, dove si preferiva la vecchia moneta bizantina e non ebbe buona accoglienza e grande diffusione, come, invece le monete d’oro di tradizione carolingia, del peso di gr. 3,53 a 24 carati, emesse a Genova, il genovino e Firenze, il fiorino nel 1252, seguite da Venezia con il suo ducato, nel 1284, in difesa ed appoggio del suo matapan e via via dalle altre zecche italiane, fino a Roma.
GENOVINO
FIORINO
Queste spesso mutuano il loro nome da quello della zecca di emissione o dal tipo che le contraddistingue.
Grazie alla facilità del sistema di conto per il suo rapporto di cambio semplice con le altre monete (genovino 10 soldi, fiorino 20) tale nuova moneta d’oro contribuì all’unificazione monetaria sulla base del mercato, anche senza riferimento al contesto politico.
Questo generale assenso favorì lo sviluppo del credito e delle lettere di cambio, che evitavano rischiosi viaggi con valuta pregiata, potendo beneficiare di accrediti nei luoghi collegati, con conseguente notevole espansione commerciale e crescita delle operazioni finanziarie su vasta scala.
Secoli XIII-XIV
Seguì più di secolo di grande floridezza per le società italiane che aprirono filiali per tutta Europa, Londra, Parigi, Corinto, Napoli, tali da far trasformare i mercanti in banchieri, con tanto di attestati di idoneità.
Nascono così le Signorie di grandi casate nobiliari riciclate o di famiglie che avevano saputo far buon uso delle proprie attività commerciali e che investono grandi capitali in imprese pubbliche, sia di carattere culturale che religioso, certo con qualche tornaconto, non solo di carattere morale (si pensi all’attuale investimento degli utili, a scopi essenzialmente fiscali). Naturalmente, tutto questo coinvolgimento favorì anche la rinascita di una vecchia figura professionale, quella del cambiavalute (l’antico trapezita).
GROSSO TORNESELa diffusione dei grossi d‘argento favorì le diversificazioni, quali il saluto (annunciazione) napoletano, con il suo corrispondente aureo D81/82, detti anche di gigliato o carlino. Ad Ancona compare l’agontano, con San Ciriaco stante. Il corrispondente francese fu il grosso tornese, così detto dalla lira di Tours emessa da Luigi IX nel 1266.
Quando il matapan veneziano, la più importante moneta d’Europa, entrò in sofferenza per problemi di approvvigionamento dell’argento e la concorrenza dei re di Serbia, in sua difesa Venezia decise con provvedimento legislativo nel 1284 di far battere una moneta d’oro, il già citato ducato, destinata a grandi successi, in grado di sostituirsi al fiorino e di essere richiesta sul mercato fino alla fine del secolo successivo diapo 37. La guerra scatenata da Padova per contrastarlo non ebbe alcun esito, se non la propria definitiva sconfitta.
Ma questa grande potenza economica degli Stati italiani non era sostenuta da un adeguato potere politico: il loro frazionamento e il loro continuo stato di belligeranza fu, anzi, il maggior fattore di debolezza. Per converso, fu grande la solidarietà tra la nuova classe di imprenditori/mercanti/banchieri che si scambiavano informazioni e notizie, talvolta redigendo anche interessanti trattati. Preziosa per noi la Pratica della Mercaturadi Francesco Pegolotti D X diapo 52 o, poi, Giovanni di Antonio da Uzzano, senza le quali non conosceremmo molti aspetti della monetazione medievale. Tutto questo stimolò anche le prime riflessioni teoriche sugli scambi, l’usura e il credito da parte di studiosi e teologi, personalità quali San Tommaso d’Aquino.