Eserciti periodo napoleonico

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Eserciti periodo napoleonico

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Grande Armata
https://it.wikipedia.org/wiki/Grande_Armata#Fanteria

La Grande Armata (in francese Grande Armée) fu l'esercito che l'imperatore Napoleone Bonaparte creò nel 1804 e che schierò, a partire dalla campagna dell'anno successivo, per affrontare le monarchie continentali raggruppate nelle successive coalizioni antifrancesi.

Molto agguerrita e combattiva, temuta dai suoi avversari, guidata personalmente dall'imperatore e dai suoi prestigiosi marescialli, la Grande Armata ottenne una serie di schiaccianti vittorie in Germania, Austria, Polonia e Spagna, che consentirono di estendere i confini del dominio francese dalla penisola iberica al fiume Niemen.

La Grande Armata fu quasi totalmente distrutta durante la campagna di Russia del 1812. La perdita pressoché totale della cavalleria e la scomparsa di decine di migliaia di ufficiali, sottufficiali e soldati veterani, impedì che i successivi eserciti di Napoleone, costituiti prevalentemente da coscritti giovani e inesperti, raggiungessero la sua efficienza, il suo affiatamento e la sua potenza militare.

Protagonista dell'epopea delle guerre napoleoniche, la Grande Armata mantiene ancora una reputazione leggendaria nella storia.

La Grande Armée

Organizzazione
Dopo il trattato di Lunéville (1801), Bonaparte iniziò a epurare l'esercito allontanandone gli elementi che riteneva deboli, affaticati, esausti o sospetti. Molti ufficiali furono avvicendati e i soldati che avessero affrontato almeno quattro campagne poterono accedere al congedo. In sostanza Napoleone mise in atto una vera e propria rivoluzione all'interno dei suoi eserciti. Tale rivoluzione portò a riformare circa un ottavo dell'effettivo. Dal 1801 al 1805, Napoleone ebbe a disposizione cinque anni durante i quali riorganizzò le sue milizie affinché nascesse un esercito numeroso ed efficiente che avrebbe preso il nome di Grande Armée; al contempo ebbe modo di riflettere su come far operare sul campo efficacemente tale armata. Per la prima volta nel 1805 l'esercito francese fu posto sotto il comando di un unico generale[1].

Un elemento che creò attorno all'Imperatore grande entusiasmo fu la concreta valorizzazione delle ambizioni personali dei soldati tramite promozioni per meriti conquistati in battaglia e la concessione di medaglie importanti come la prestigiosa Legion d'onore[2]. Inoltre, i soldati che avevano combattuto per la Francia furono costantemente onorati dallo Stato e, malgrado possedessero un grado minimo di istruzione, non fu loro preclusa la carriera militare. Furono attuate delle norme tra le più moderne dell'Europa dell'epoca a favore dei veterani in base alle quali anche coloro che fossero stati feriti avrebbero avuto l'opportunità di continuare ad essere alloggiati agli Invalides. Agli orfani e alle vedove di caduti in battaglia fu riconosciuto il diritto all'assistenza di Stato e ai feriti una pensione[3].

La coscrizione obbligatoria
Al fine di aumentare i soldati e poter così infoltire l'esercito Napoleone fece ampio ricorso alla coscrizione obbligatoria estendendola a tutti i paesi occupati. Furono dapprima richiamate le classi tra i diciotto e i quarant'anni, ma poi verso la fine del conflitto si passò anche ad arruolare classi più giovani, i cosiddetti Marie-Louise[4].

La coscrizione obbligatoria, già in vigore ai tempi del Direttorio, andava a superare la vecchia concezione del militare inteso come mercenario dei tempi dell'Ancien Régime. Il modello di soldato nato da questa riforma era differente: non più un uomo istruito alla guerra professionalmente, ma un cittadino chiamato a difendere o a combattere per la propria patria[5]. La recluta, chiamata al fronte, si mescolava con veterani e da questi imparava i rudimenti delle tattiche belliche[6].

Il reclutamento delle truppe avveniva secondo la legge che obbligava al servizio militare tutti i francesi maschi che avessero un'età compresa tra i venti e i venticinque anni. La legge non risparmiò la leva neppure agli uomini sposati e ai vedovi, fino a una modifica delle regole della coscrizione che nel 1808 accordò loro l'esenzione; da questa data in poi il numero dei matrimoni precoci aumentò a dismisura.

Numerosi furono i casi di diserzione all'indomani dell'introduzione dell'arruolamento obbligatorio nei territori dell'Impero, in particolare in quelle regioni che già precedentemente erano prive di tradizioni militari[7].

L'ostilità alla coscrizione obbligatoria, nonostante un certo successo iniziale nella chiamata alle armi di volontari, assorbì molte energie dell'Impero francese. Si dovette pertanto ricorrere all'arruolamento forzato e alle amnistie verso coloro che non si presentavano immediatamente. Si ricorse inoltre al trasferimento dei compiti di reclutamento ai prefetti e ai sottoprefetti francesi che sostituirono in questo compito le amministrazioni locali.

Contingenti stranieri nella Grande Armata
I Contingenti stranieri, nel corso delle Guerre napoleoniche, contribuirono in maniera sempre più determinante alla formazione della Grande Armée francese, tanto che nel corso della campagna di Russia i soldati stranieri equivalevano quelli francesi per numero. Molte armate europee del tempo reclutarono milizie e volontari stranieri e il Primo Impero francese non fece eccezione. Quasi tutte le nazionalità europee furono rappresentate nei ranghi della Grande Armée.

A tal proposito riportiamo di seguito l'elenco delle nazionalità degli oltre 600.000 uomini che servirono Bonaparte nella campagna di Russia del 1812:

300.000 uomini arruolati tra Francia e Paesi Bassi;
95.000 reclutati in Polonia;
50.000 italiani;
24.000 reclutati in Baviera;
20.000 Sassoni;
20.000 provenienti dalla Prussia;
35.000 Austriaci;
35.000 croati;
17.000 provenienti dalla Vestfalia;
15.000 svizzeri.

La Grande Armata nella storia
L'esercito francese assunse per la prima volta l'appellativo di «Grande Armata» nell'agosto 1805, su indicazione dell'imperatore dopo l'abbandono dei piani di sbarco in Inghilterra e dopo la decisione di trasferire le truppe dal campo di Boulogne, denominate originariamente "Armata d'Inghilterra", al fronte del Reno e del Danubio per affrontare gli eserciti della Terza coalizione. I soldati della Grande Armata dimostrarono la loro sorprendente rapidità di marcia, la loro combattività e resistenza alle fatiche durante la guerra della Terza coalizione; nonostante grandi difficoltà materiali, scarsi mezzi e il clima rigido, la Grande Armata diede, sotto la guida di Napoleone, una schiacciante dimostrazione della sua superiorità con la marcia dalla Manica al Danubio, con la manovra di Ulma, con l'avanzata su Vienna e con la grande vittoria di Austerlitz[12].

La Grande Armata rimase accantonata nella Germania meridionale dopo la vittoria e nell'ottobre 1806 poté intervenire rapidamente contro la Prussia che aveva dato vita insieme alla Russia alla Quarta coalizione; le truppe francesi diedero una nuova dimostrazione di potenza bellica. In una settimana Napoleone poté concentrare i corpi della Grande Armata e sbaragliare completamente l'esercito prussiano nella battaglia di Jena. I soldati francesi marciarono con rapidità e precisione, nonostante la consueta disorganizzazione logistica, e sul campo di battaglia diedero prova di una chiara superiorità tattica di fronte all'antiquato esercito nemico. La successiva fase di inseguimento, condotta con grande energia dai luogotenenti dell'imperatore, mise a dura prova la resistenza delle truppe, ma al termine delle operazioni, la Grande Armata aveva distrutto o catturato l'esercito prussiano e Napoleone era entrato a Berlino.

Tuttavia la guerra non era finita; l'esercito russo era in avvicinamento per soccorrere la Prussia e la Grande Armata, dopo essere avanzata in Polonia fino alla Vistola, dovette combattere una difficile campagna d'inverno che per la prima volta mise in difficoltà le truppe francesi e mostrò le disastrose carenze logistiche che provocarono le sofferenze dei soldati e la disorganizzazione dei reparti. Alla battaglia di Eylau, combattuta sotto una tempesta di neve, la Grande Armata si trovò in grave difficoltà e il VII corpo venne distrutto negli scontri e dovette essere ufficialmente sciolto. Napoleone fu costretto a sospendere le operazioni e procedere nella primavera 1807 a una completa riorganizzazione della Grande Armata e a una militarizzazione dei servizi di retrovia per migliorarne l'efficienza[14]. Dopo la ripresa delle operazioni nel giugno 1807, Napoleone vinse la decisiva battaglia di Friedland dove la Grande Armata combatté con valore e abilità; l'artiglieria per la prima volta venne impiegata dall'imperatore concentrata in grandi batterie che inflissero pesanti perdite al nemico. La pace di Tilsit sanzionò la vittoria francese ed estese il dominio napoleonico fino ai confini dell'Impero russo[15].

Ufficialmente la Grande Armata, che dopo i Trattati di Tilsit del luglio 1807 era rimasta acquartierata sul territorio prussiano, venne sciolta una prima volta il 12 ottobre 1808, quando venne riportata a ovest dell'Elba in preparazione della campagna di Napoleone in Spagna. Nella penisola iberica si trasferirono quindi una parte dei corpi d'armata mentre il maresciallo Louis Nicolas Davout rimase in Germania meridionale con due corpi d'armata riorganizzati nella "Armata del Reno"[16]. Nella primavera del 1809 Napoleone ricostituì la Grande Armata in Germania per affrontare la Quinta coalizione: oltre ai corpi del maresciallo Davout vennero accorpati nuovi reparti di coscritti, truppe straniere e la Guardia imperiale richiamata dalla Spagna[17].

Dopo la vittoria l'imperatore lasciò sul posto la "Armata di Germania" al comando del maresciallo Davout, inviò rinforzi in Spagna e riorganizzò il campo di Boulogne dove furono costituiti nuovi reparti; per la campagna di Russia del 1812 l'imperatore organizzò la Grande Armata raggruppando le truppe del maresciallo Davout già schierate sull'Oder, i nuovi reparti provenienti da Boulogne, i contingenti stranieri e l'Armata d'Italia[18].

Protagonista delle campagne vittoriose dell'imperatore, la Grande Armata guadagnò una grande reputazione in Europa; nel 1805 era l'esercito migliore del mondo[19]. Fino alla sua distruzione nel corso della campagna di Russia, era molto temuta dai suoi avversari. In realtà la caratteristica organizzativa più rilevante della Grande Armata, nonostante la sua immagine esteriore di potenza e invincibilità, era la sua estemporaneità. Infatti qualsiasi cosa, sia si parli della strategia di guerra, sia si parli della preparazione degli uomini, era improvvisata. Per Napoleone l'addestramento e la preparazione degli uomini erano pressoché inutili[20].

Napoleone rimase sempre fedele ai metodi della rivoluzione, la quale insegnava che addestrare meccanicamente gli uomini non era indispensabile. Le nuove leve non ricevevano un addestramento formale, la vera esperienza il soldato doveva acquistarla sul campo. La Grande Armée di Napoleone basava la propria forza sull'amalgama tra i vecchi soldati esperti delle precedenti campagne e nuovi coscritti che venivano subito immessi nei ranghi e si addestravano direttamente sul campo di battaglia. Inoltre i quadri degli ufficiali e dei sottufficiali, provenienti dai ranghi inferiori, erano formati da uomini giovani e coraggiosi che aspiravano al successo materiale e all'elevazione sociale consentita dal sistema della promozione per merito. I soldati della Grande Armata per gran parte della vicenda napoleonica mantennero un alto morale, grande combattività, senso di superiorità nei confronti degli eserciti mercenari dell'antico regime; sotto la guida del "rapato", il soprannome con cui i grognards (i "brontoloni") indicavano Napoleone, estesero in pochi anni i confine del "Grande Impero" dalla penisola iberica al Niemen.

Comandanti della Grande Armata nel 1805
I corpo d'armata, maresciallo Jean-Baptiste Bernadotte

II corpo d'armata, generale Auguste Marmont

III corpo d'armata, maresciallo Louis Nicolas Davout

IV corpo d'armata, maresciallo Nicolas Soult

V corpo d'armata, maresciallo Jean Lannes

VI corpo d'armata, maresciallo Michel Ney

VII corpo d'armata, maresciallo Pierre Augereau

Riserva di cavalleria, maresciallo Gioacchino Murat

Per immagini dei comandanti: https://it.wikipedia.org/wiki/Grande_Ar ... a_nel_1805

Comandanti della Grande Armata nel 1812
I comandanti dei corpi d'armata della Grande Armata all'inizio della campagna di Russia. Tra i comandanti originari, nel 1812, il maresciallo Bernadotte era divenuto Principe ereditario di Svezia, i marescialli Soult e Marmont erano impegnati in Spagna e il maresciallo Lannes era morto a seguito delle ferite riporta durante la battaglia di Aspern-Essling del 21 maggio 1809.

Forze di prima linea
I corpo d'armata, maresciallo Louis Nicolas Davout

II corpo d'armata, maresciallo Nicolas Oudinot

III corpo d'armata, maresciallo Michel Ney

IV corpo d'armata, principe Eugenio di Beauharnais

V corpo d'armata, principe Józef Poniatowski

VI corpo d'armata, generale Laurent de Gouvion-Saint-Cyr

VII corpo d'armata, generale Jean Reynier

VIII corpo d'armata, generale Jean-Andoche Junot

X corpo d'armata, maresciallo Étienne Macdonald

Riserva di cavalleria, re di Napoli, maresciallo Gioacchino Murat

Forze di riserva in Polonia e in Germania
IX corpo d'armata, maresciallo Claude Victor

XI corpo d'armata, maresciallo Pierre Augereau

Per immagini dei comandanti: https://it.wikipedia.org/wiki/Grande_Ar ... a_nel_1812
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Guardia imperiale (Primo Impero)

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Guardia imperiale (Primo Impero)
https://it.wikipedia.org/wiki/Guardia_i ... mo_Impero)

La Guardia imperiale (Garde impériale) fu l'unità militare di élite creata da Napoleone Bonaparte il 18 maggio 1804 a partire dalla vecchia Guardia consolare (Garde des consuls) dell'epoca post-rivoluzionaria. Guardia d'onore e vera e propria unità combattente, fu rivolta interamente alla protezione della persona di Napoleone.

Nel 1814 fu suddivisa in "Giovane", "Media" e "Vecchia Guardia", ognuna costituita da uno stato maggiore, corpi di cavalleria, artiglieria e fanteria, fra cui i celebri granatieri, nonché da unità di zappatori e fanti di marina. I suoi membri godevano di privilegi rispetto agli altri soldati dell'esercito.

Composizione
La Guardia era composta da tre livelli: la "Vecchia Guardia" comprendeva alcuni dei migliori soldati d'Europa, veterani al servizio di Napoleone sin dalle prime campagne; la "Media Guardia" era composta da veterani delle campagne più recenti (1805-1809); la "Giovane Guardia" era frutto del reclutamento annuale di coscritti, e non fu mai considerata al livello delle precedenti, sebbene sempre superiore ai normali reggimenti di linea.

La Media Guardia era più esposta ai combattimenti della Vecchia, tenuta spesso in riserva, mentre la Giovane Guardia veniva impiegata senza particolari cautele e pressoché sistematicamente: dovendo formare la futura Vecchia Guardia era chiamata a forgiare combattenti esperti. A Waterloo la Media Guardia non esisteva più per cui fu integrata ufficialmente nella Vecchia Guardia.

La Guardia ebbe fra i propri ranghi anche reggimenti eterogenei fra loro, come i mamelucchi, esploratori tatari, guardie olandesi dalle uniformi bianche, ed una Piccola Guardia di ragazzi al servizio del re di Roma, figlio dell'Imperatore e futuro Napoleone II.[1]

La Guardia aveva infine un proprio servizio amministrativo e un servizio di sanità comandato dal celebre chirurgo Dominique Larrey.

Nel 1804 la Guardia contava meno di diecimila uomini, dieci anni dopo aveva superato i centomila; possedeva una propria artiglieria, cavalleria e fanteria, esattamente come un normale corpo d'armata.

Stato Maggiore
Nato poco dopo la creazione della Guardia stessa, il corpo di Stato Maggiore nel 1806 comprendeva i quattro colonnelli-generali delle quattro divisioni, tutti marescialli dell'Impero, con un ispettore delle riviste, un commissario di guerra, 24 aiutanti di campo ed altri ufficiali specialisti, coi loro sottufficiali e attendenti.

Fanteria
La Fanteria della Guardia Imperiale era suddivisa in tre corpi: un corpo di fanteria della Vecchia guardia (1805-1815), erede della Guardia consolare in cui militavano i soldati con più esperienza, un corpo della Media Guardia (1806-1815) e uno della Giovane Guardia (1809-1815). Al centro dello schieramento erano posizionati i Fucilieri che combattevano a ranghi molto serrati, sfruttando la potenza di fuoco, ai loro lati si posizionavano, sulla sinistra i Volteggiatori, mentre sulla destra i Granatieri, o più raramente i Carabinieri. L'armamento era solitamente costituito dal moschetto Charleville del 1777 con baionetta e sciabola. I reggimenti della Vecchia guardia servivano nella 3ª Divisione, gli altri nella 1ª e 2ª Divisione.

Vecchia Guardia
La Vecchia guardia (Vieille Garde) era composta dai più anziani veterani che avevano combattuto da tre a cinque campagne nelle truppe napoleoniche, divisi inizialmente in due reggimenti (1º Reggimento granatieri a piedi e 1º Reggimento Cacciatori a piedi); essa rappresentava l'élite della Grande Armée.

I "Granatieri a piedi della Guardia imperiale" (Régiment de grenadiers à pied de la Garde impériale) erano i più anziani reggimenti della Grande Armée. Durante la campagna di Polonia del 1807, i granatieri si guadagnarono il soprannome di les grognards ("i brontoloni") dallo stesso Napoleone. Essi erano i fanti più coraggiosi e con più esperienza della Guardia, alcuni veterani avevano servito in oltre 20 campagne. Per diventare un granatiere, una recluta doveva aver servito nell'esercito per almeno 10 anni, aver ricevuto una citazione per il coraggio, essere istruita ed essere alta almeno 178 cm. I Granatieri a piedi non si vedevano spesso combattere come le truppe di fanteria della Giovane e Media guardia, ma quando erano impiegati suscitavano ammirazione. Nel 1815, i Granatieri della Vecchia guardia furono ampliati fino a raggiungere i quattro reggimenti. Il 1º Reggimento fu scisso creando anche il 2º Reggimento. Questo, insieme ad altri reggimenti, 3º e 4º di nuova costituzione, fu immediatamente classificato come appartenente alla Vecchia guardia, nonostante essi non fossero in alcuna maniera eguali al valore del 1º Reggimento Granatieri. Per questo motivo, talvolta, ci si riferisce a loro come Media Guardia. Furono questi reggimenti ad essere sconfitti dai granatieri britannici nella battaglia di Waterloo. Il 1º Reggimento Granatieri fu ingaggiato in combattimento dai prussiani a Plancenoit. I Granatieri a piedi indossavano un abito lungo blu scuro con risvolti rossi, spalline e risvolti bianchi. I granatieri si distinguevano maggiormente per gli alti berrettoni di pelliccia d'orso decorati con uno stemma dorato, un pennacchio rosso e cordini bianchi.

1º e 2º Reggimento granatieri a piedi
Creati con i granatieri della Guardia consolare dell'originario 1er Regiment de Grenadiers-à-Pied de la Garde Imperiale erano i più antichi e venerati reggimenti dell'esercito francese; facevano parte della Vecchia guardia. In particolare il nuovo 1er Regiment de Grenadiers-à-Pied de la Garde Imperiale ereditava dal vecchio le insegne e le tradizioni.

3º Reggimento granatieri a piedi
Il reggimento fu creato da un'armata olandese disciolta nel 1810 come 3e Regiment de Grenadiers-à-Pied de la Garde Imperiale.

4º Reggimento granatieri a piedi
Un quarto reggimento (4e Regiment de Grenadiers-à-Pied de la Garde Imperiale) fu reclutato nel 1815.

I "Cacciatori a piedi della Guardia imperiale" erano il secondo reggimento per anzianità nella Grande Armée. Il 1º Reggimento Cacciatori era la formazione sorella del 1º Reggimento Granatieri a piedi. Essi rispettavano gli stessi criteri di accesso, furono comunque accettate anche reclute che erano alte almeno 172 cm. I Cacciatori eseguirono i propri compiti in combattimento bene come i Granatieri, compiendo valorose azioni in diverse cruciali battaglie. Al seguito di Napoleone dopo il suo ritorno nel 1815, i Cacciatori furono ampliati fino a raggiungere i quattro reggimenti. Il 1º Reggimento fu scisso creando anche il 2º Reggimento. Questo, insieme ad altri reggimenti, 3º e 4º di nuova costituzione fu immediatamente classificato come appartenente alla Vecchia guardia, anche se formati con reclute che avevano solo quattro anni di esperienza.

Questi reggimenti, insieme con i Reggimenti Granatieri a Piedi delle Media Guardia, costituirono le truppe d'assalto durante la fase finale della Battaglia di Waterloo. Così come il 1º Reggimento Granatieri a Piedi, il 1º Reggimento Cacciatori a piedi fu impegnato in battaglia a Plancenoit. I Cacciatori a Piedi indossavano un abito lungo blu scuro con risvolti rossi, spalline rosse orlate di verde e risvolti bianchi. In battaglia, i Cacciatori spesso indossavano pantaloni blu scuro. Così come i Granatieri, i Cacciatori si distinguevano maggiormente per gli alti colbacchi, decorati con un pennacchio rosso e verde e cordini bianchi.

1º e 2º Reggimento Cacciatori a piedi
Creati con i Chasseurs-à-Pied della Guardia consolare dell'originario 1er Regiment de Chasseurs-à-Pied de la Garde Imperiale erano i più antichi e venerati reggimenti dell'esercito francese. Facevano anch'essi parte della Vecchia guardia. In particolare il nuovo 1er Regiment de Chasseurs-à-Pied de la Garde Imperiale ereditava dal vecchio le insegne e le tradizioni.

3º e 4º Reggimento Cacciatori a piedi
Ebbero una breve esistenza durante la campagna dei Cento Giorni.

Fucilieri-Granatieri della Guardia Imperiale
Costituiti nel 1807, i Fucilieri-Granatieri erano un Reggimento della Fanteria della Media Guardia. I Fucilieri-Granatieri erano organizzati allo stesso modo dei Fucilieri-Cacciatori, essendo una formazione leggermente più ampia. I Fucilieri-Granatieri operarono spesso con la formazione sorella dei Fucilieri-Cacciatori, come parte della Brigata Fucilieri della Guardia. I Fucilieri-Granatieri furono impiegati in costanti azioni, dimostrando il proprio valore volta dopo volta, finché furono sciolti nel 1814 in seguito all'abdicazione di Napoleone. I Fucilieri-Granatieri non furono ricostituiti nel 1815 dopo la Battaglia di Waterloo. I Fucilieri-Granatieri indossavano un abito lungo blu scuro con spalline rosse, colletti rossi con risvolti bianchi. Sotto indossavano corpetto bianco e pantaloni bianchi. I Fucilieri-Granatieri indossavano uno sciaccò bianco con cordoni e un alto pennacchio rosso. I Fucilieri-Granatieri erano armati con un Moschetto Charleville del 1777, baionetta e spada corta. Creato come Fusiliers de la Garde nel 1806, il reggimento divenne Regiment de Fusilier-Grenadiers de la Garde Imperiale nel 1807. Un secondo reggimento fu reclutato e divenne il 2° Fusiliers-Grenadiers. Altri due reggimenti furono reclutati nel 1806 ma vennero sciolti nel 1814.

Fucilieri-Cacciatori della Guardia Imperiale
Nel 1806, i Fucilieri-cacciatori (Régiment de Fusiliers-chasseurs de la Garde impériale) erano costituiti come un Reggimento della Media Guardia di Fanteria. Probabilmente la miglior Fanteria dell'intera Guardia, i Fucilieri-cacciatori operarono spesso con la formazione sorella dei Fucilieri-Granatieri, come parte della Brigata Fucilieri della Guardia. I Fucilieri-Cacciatori furono impiegati in costanti azioni, dimostrando il proprio valore volta dopo volta, finché furono sciolti nel 1814 in seguito all'abdicazione di Napoleone. I Fucilieri-Cacciatori non furono ricostituiti nel 1815 dopo la Battaglia di Waterloo. I Fucilieri-Cacciatori indossavano un abito lungo blu scuro con spalline verdi orlate di rosso, colletti rossi con risvolti bianchi. Sotto indossavano corpetto bianco e pantaloni che potevano essere sia blu che marroni. I Fucilieri-Cacciatori indossavano uno sciaccò bianco con cordoni e un alto pennacchio rosso e verde. I Fucilieri-Cacciatori erano armati con un Moschetto Charleville del 1777, baionetta e spada corta. Il 1º Reggimento fucilieri-cacciatori (Regiment de Fusilier-Chasseurs de la Garde Imperiale) fu creato nel 1807 nell'ambito della riorganizzazione dei Fusiliers de la Garde, dai primi battaglioni di granatieri e cacciatori dei veliti.

Marinai della Guardia Imperiale
I Marinai della Guardia Imperiale (Marins de la Garde) furono costituiti nel 1803, con l'iniziale compito di equipaggiare il vascello che doveva trasportare l'Imperatore durante la prospettata invasione dell'Inghilterra. Il battaglione fu formato con cinque equipaggi (compagnie, ma solo di nome). Dopo la cancellazione dell'invasione, i Marinai continuarono a fare parte della Guardia Imperiale, fornendo d'equipaggio alle navi o battelli su cui Napoleone si trovò a viaggiare. Inoltre Napoleone stesso affermò che i marinai potevano essere considerati come le truppe più versatili dell'esercito francese, in quanto potevano essere usati come marinai, come fanteria di linea e persino come addetti all'artiglieria. I Marinai della Guardia Imperiale indossavano giacchette blu mare sullo stile degli Ussari chiamata anche "Dolman" (un tipo di indumento di origine turca) e pantaloni decorati con cordoni dorati. Indossavano un sciaccò adornato in Oro con un alto pennacchio rosso.[6] I Marinai erano armati, come la fanteria, con un Moschetto Charleville del 1777 e baionetta, e molti di essi erano inoltre equipaggiati con pistole che risultavano meno d'impaccio durante il loro servizio.

Giovane Guardia
La Giovane Guardia (Jeune Garde) fu inizialmente costituita con veterani con almeno una campagna, insieme con giovani entusiasti ufficiali e le migliori reclute dell'anno tratte dai coscritti. Più tardi i suoi ranghi furono reintegrati quasi interamente da coscritti selezionati e volontari. Erano conosciuti più per il loro entusiasmo che per le capacità belliche.[7]

Tiragliatori-granatieri
Il primo reggimento della Giovane Guardia, i Tiragliatori-granatieri (1er Regiment de Tirailleurs de la Garde Imperiale) fu reclutato nel 1809 da coscritti che soddisfacessero il requisito di saper leggere e scrivere. Un secondo reggimento venne formato nello stesso anno. Nel 1810 furono entrambi rinominati in 1e & 2e Regiments de Tirailleurs de la Garde Imperiale.

Tiragliatori-cacciatori
Due reggimenti di Tiragliatori-cacciatori furono formati contemporaneamente ai precedenti, e anch'essi inclusi nella Giovane Guardia. Per la campagna di Russia del 1812 furono creati altri quattro reggimenti. I due originari divennero 5e & 6e Regiments de Tirailleurs de la Garde Imperiale nel 1811. Nel 1813-1814 il numero dei reggimenti di tirailleur fu portato a sedici, sebbene raramente eguagliassero in qualità i reggimenti della Giovane Guardia del 1811.

Volteggiatori della Guardia
Creati dai tirailleur-cacciatori nel 1810, i reggimenti di volteggiatori (Voltigeurs de la Garde Imperiale) divennero il corpo più numeroso della Guardia, assorbendo anche i reggimenti di cacciatori formati da coscritti, contando sino a sedici reggimenti nel 1814. Il 14e Regiment de Voltigeurs de la Garde Imperiale fu creato coi volontari spagnoli che seguirono l'esercito francese in ritirata e coi membri del Regiment de Voltigeurs de la Garde Royale Espagnol.

Granatieri coscritti
Creati nel 1809, i due reggimenti di granatieri coscritti (Regiment de Conscrit-Grenadiers), sebbene concepiti per costituire una riserva alla Giovane Guardia, non vi vennero inclusi, ricevendo il trattamento della fanteria di linea. I due reggimenti divennero 3e & 4e Regiment de Tirailleurs de la Garde Imperiale nel 1810.

Cacciatori coscritti
Creato nel 1809 allo scopo di servire da riserva per la Giovane Guardia, il reggimento di cacciatori coscritti non vi venne tuttavia incluso, e riceveva il normale trattamento della fanteria di linea.

Reggimento della Guardia Nazionale
Il reggimento fu creato da compagnie della Guardia nazionale dei dipartimenti francesi settentrionali; entrò tuttavia nell'organigramma della fanteria di linea e nel 1813 fu rinominato 7º Reggimento volteggiatori.

Granatieri e cacciatori fiancheggiatori
In preparazione dell'invasione della Russia, Napoleone ordinò l'istituzione di nuove unità della Guardia fra cui il Regiment de Flanqueurs-Grenadiers de la Garde Imperiale ed il Regiment de Flanqueurs-Chasseurs de la Garde Imperiale.

Cavalleria
Nel 1804, la Cavalleria della Guardia consisteva di due reggimenti, i Cacciatori a Cavallo e i Granatieri a cavallo, oltre ad una piccola unità di élite di Gendarmi e uno squadrone di Mammelucchi. Un terzo reggimento fu aggiunto nel 1806, il Regiment de Dragons de la Garde Impériale (più tardi conosciuto come Dragoni dell'Imperatice). In seguito alla Campagna in Polonia del 1807, fu aggiunto un reggimento di Lancieri polacchi, il Regiment de Chevau-Légers de la Garde Impériale Polonais. L'ultima aggiunta fu fatta nel 1810, con un altro Reggimento di Lancieri, questa volta creato con reclute francesi e olandesi, il 2e Regiment de Chevau-Légers Lanciers de la Garde Impériale o Lancieri rossi. La Cavalleria della Guardia fu coinvolta in diverse battaglie, e con scarse eccezioni dimostrò il proprio valore in azione. Forse il più famoso episodio nella storia della Cavalleria della Guardia fu la carica dei Lancieri polacchi nella Battaglia di Waterloo, dove, affiancati dai Corazzieri, sbaragliarano gli Scots Greys e la Union Brigade.

Granatieri a cavallo della Guardia
Conosciuti anche come: i Giganti, i Granatieri a cavallo (Grenadiers à Cheval de la Garde Impériale) rappresentavano l'élite della cavalleria della Guardia napoleonica e la controparte montata dei Grognards. I Granatieri a Cavallo indossavano alti colbacchi, giacche blu scuro e baveri con risvolti bianchi e stivali alti. L'intera formazione era montata su grossi cavalli neri. Le reclute dovevano essere alti più di 176 cm, e avere 10 anni di servizio dopo aver servito almeno in quattro campagne e aver ricevuto una citazione per il coraggio. I Granatieri si comportarono in maniera ammirabile nella Battaglia di Austerlitz, dove sconfissero la Cavalleria della Guardia Russa, ma la loro più famosa battaglia fu quella di Eylau. Dopo essere state a lungo sotto il fuoco della sesta armata russa, le truppe cominciarono a cercare copertura. Il loro comandante, il colonnello Louis Lepic, ordinò alle truppe «Su la testa signori, ci sono solo pallottole, non pezzi di merda».[8] Subito dopo, guidati da Murat, si lanciarono alla carica contro le linee russe. I Granatieri a Cavallo, con i Lancieri polacchi, furono le sole unità della Cavalleria della Guardia mai battute in battaglia. I granatieri a cavallo (Regiment de Grenadiers-a-Cheval de la Garde Imperiale) formavano il reggimento più esperto della cavalleria della Guardia, ed originava dalla Guardia consolare. Sebbene classificato come unità di cavalleria, il reggimento non indossava una corazza, ma era riconoscibile per il caratteristico copricapo in pelo d'orso e i cavalli neri.

Cacciatori a cavallo della Guardia
Conosciuti come i "Figli prediletti" (con connotazioni di Monelli viziati), i Cacciatori a Cavallo della Guardia (Chasseurs à cheval de la Garde Impériale) erano la Cavalleria leggera della Guardia, l'unità da ricognizione preferita dall'Imperatore Napoleone e una delle più usate della Grande Armée. Nel 1796, durante la Campagna d'Italia, Napoleone ordinò la costituzione di una unità di Guardie del corpo dopo che era a mala pena sfuggito ad un attacco dei cavalleggeri austriaci a Borghetto mentre pranzava.[9] Questa piccola unità di 200 uomini delle Guide fu il precursore dei Cacciatori a Cavallo della Guardia; la loro stretta affiliazione con l'Imperatore era palese dal fatto che egli spesso indossasse l'uniforme da colonnello del loro reggimento. Nella loro sgargiante divisa verde, rossa e oro sullo stile degli Ussari, i Cacciatori erano noti per l'esplicito affetto che aveva per loro l'Imperatore, pur mostrando poca disciplina e insubordinazione in alcune occasioni. Fecero la loro prima apparizione durante la Battaglia di Austerlitz, dove giocarono un importante ruolo nella sconfitta della Cavalleria della Guardia Russa. Durante la guerra d'indipendenza spagnola i Cacciatori subirono un'imboscata da parte di una grossa formazione di Cavalleria britannica a Benavente nel 1808 e vennero sconfitti. Essi riguadagnarono la loro reputazione mostrando estremo coraggio durante la Battaglia di Waterloo. Il 1º reggimento dei cacciatori a cavallo (1er Regiment de Chasseurs-a-Cheval de la Garde Imperiale) venne anch'esso formato dalla Guardia consolare, ed era secondo in anzianità sebbene facesse parte della cavalleria leggera. Era il reggimento che più spesso fungeva da scorta personale per l'Imperatore, e questi spesso indossava l'uniforme del reggimento in riconoscimento del servizio reso, la stessa che lo rivestiva quando fu sepolto a Sant'Elena. Un secondo reggimento (2e Regiment de Chasseurs-a-Cheval de la Garde Imperiale) venne istituito per un breve periodo a partire dal Reggimento lancieri esploratori (Regiment d'Eclaireurs Lanciers) nel 1815.

Dragoni dell'Imperatrice
Creati nel 1806 come Reggimento Dragoni della Guardia Imperiale (Regiment de Dragons de la Garde Impériale), furono rinominati in onore dell'Imperatrice Giuseppina di Beauharnais l'anno seguente (Dragons de l'Impératice). Originariamente le reclute avrebbero dovuto avere almeno 6 anni di servizio, più tardi 10 anni, e la partecipazione ad almeno due campagne con citazioni per il coraggio, bisognava essere istruiti e alti almeno 173 cm (quelli un po' più bassi erano destinati ai Granatieri a Cavallo della Guardia). A non più di 12 candidati da ciascuno dei 30 regolari Reggimenti dei Dragoni era permesso di fare domanda di arruolamento, questa quota sarebbe stata più tardi ridotta a 10. Ai volontari provenienti da altri Reggimenti della Guardia era permesso il trasferimento. Considerato che questa era un'unità più cerimoniale che da combattimento e raramente fu impiegata in battaglia, acquartierarsi nei Dragoni dell'Imperatrice era molto ambito. Allo stesso modo dei Lancieri rossi, i suoi squadroni, così come la Vecchia Guardia e la Giovane Guardia servì l'Imperatore fino alla fine. I reggimenti di dragoni di linea si distinsero nella campagna di Germania del 1805, così Napoleone decise, con decreto del 15 aprile 1806, di riorganizzare la cavalleria della Guardia e costituire nel suo ambito un reggimento di dragoni (Regiment de Dragons de la Garde Imperiale), composto da tre squadroni, comandati da sessanta ufficiali selezionati personalmente dall'Imperatore. Il primo squadrone contava 296 uomini, ed era composto da vélites, mentre gli altri due erano squadroni regolari di 476 cavalieri. Per completare questa nuova unità ciascuno dei trenta reggimenti di dragoni di linea fornì dodici uomini con almeno dieci anni di servizio. Il reggimento divenne ben presto noto come "Régiment de dragons de l'Impératrice" (Dragoni dell'Imperatrice) come tributo alla sua patrona, Giuseppina di Beauharnais. I componenti di quest'unità salirono a 1269 nel 1807 con l'aggiunta di due nuovi squadroni, e il 9 dicembre 1813 venne fuso col 3º Reggimento esploratori. Vestiario ed armamento erano gli stessi dei granatieri a cavallo, solo l'uniforme era verde anziché in blu, e invece del copricapo di pelo indossavano un elmetto in rame con una criniera e una piuma rossa.

Esploratori della Guardia Imperiale
Nella campagna di Russia del 1812 l'esercito francese aveva patito gravemente gli attacchi dei cosacchi, tanto da impressionare Napoleone. Al momento di combattere sul suolo francese, per la prima volta dalle guerre rivoluzionarie, Napoleone decise di riorganizzare la Guardia imperiale. Nell'articolo 1 del decreto datato 4 dicembre 1813 istituì i tre reggimenti di Éclaireurs a Cheval de la Garde Imperiale (esploratori), noti anche come Ussari esploratori, di cui il 1º Reggimento fu assegnato ai granatieri a cavallo, e quindi battezzato reggimento esploratori-granatieri, come controparte dei cosacchi. Giunsero sul teatro di operazioni il 1º gennaio 1814 appena in tempo per partecipare alla Campagna dei sei giorni ed essere poi disciolto con la Restaurazione. Il 2e Regiment d'Eclaireurs a Cheval de la Garde Imperiale fu assegnato ai dragoni della Guardia, il 3e Regiment d'Eclaireurs de la Garde Imperiale fu assegnato al 1er Regiment de Chevau-Legers-Lanciers.

Il 1º Reggimento lancieri (polacchi) fu istituito come Regiment de Chevau-Legers Polonaise de la Garde nel 1807 e posto al comando del colonnello maggiore Claude Testot-Ferry. Quest'ultimo ferito, fu insignito del titolo di Barone dell'Impero dallo stesso Napoleone sul campo di battaglia di Craonne il 7 marzo 1814. Dopo la sconfitta alleata e l'occupazione francese della Polonia. Nel 1811 con il reclutamento dei lancieri olandesi della Guardia il reggimento fu ribattezzato 1er Regiment de Chevau-Legers-Lanciers de la Garde Imperiale. Il 2º Reggimento lancieri (olandesi) fu istituito nel 1810 da unità di cavalleria dell'ex esercito olandese col nome di 2e Regiment de Chevau-Legers-Lanciers de la Garde Imperiale. Diversamente dal 1º Reggimento, si distingueva per lo sciaccò che era cilindrico, ed era sormontato da una coccarda di cordicella e da un pompom semisferico. Il cordoncino era allacciato dinanzi al collo per gli ufficiali, le truppe lo portavano invece nella maniera usuale. Lo shako utilizzato dal Reggimento era lo stesso usato dagli Ussari. Il pompom sferico portava i colori dello squadrone. il reggimento divenne noto come "Lancieri rossi" dal colore dell'uniforme. Il 3º Reggimento lancieri (lituani) Creato come 3e Regiment de Chevau-Legers-Lanciers de la Garde Imperiale al comando del Generale Jean Kozietulski combatté in Lituania durante la campagna di Russia. Formato in gran parte da lituani di nazionalità polacca, fu quasi del tutto distrutto durante la ritirata ed incorporato nel 3e Regiment de Eclaireurs. Del reggimento faceva parte uno squadrone di tatari lituani noto come Tartares lituaniens de la Garde impériale.

Squadroni di Mamelucchi
Al seguito di Napoleone si trovava anche uno Squadrone di Mamelucchi (Escadron de Mamalukes), forte inizialmente di 250 cavalieri arruolati durante la spedizione in Egitto. Essi combinavano una superba maestria con la spada a un coraggio quasi fanatico. Spesso furono "romanticamente" visti come "i veri figli del deserto", altre volte come semplici tagliagole. I loro ufficiali erano francesi, nei ranghi non vi erano soltanto egiziani e turchi, ma anche greci, georgiani, siriani e ciprioti. Originariamente costituivano una compagnia (o mezzo squadrone) dei Cacciatori a cavallo della Guardia. Si distinsero particolar modo nella Battaglia di Austerlitz del 1805, dove ottennero il loro stendardo, un secondo trombettiere e la promozione a Squadrone. Questa unità divenne parte della Vecchia Guardia, e fu al servizio dell'Imperatore fino alla Battaglia di Waterloo. Nel 1813, fu formata una seconda compagnia di Mammelucchi e unita alla Nuova Guardia. Così come i loro predecessori, furono incorporati nei Cacciatori a cavallo, e prestarono servizio durante il periodo dei Cento giorni nel 1815. La loro uniforme distintiva era verde (più tardi rosso) cahouk (copricapo), turbante bianco, un pastrano, una camicia e un saroual rossi (pantaloni), con stivali gialli o rossi. Le loro armi consistevano in una lunga scimitarra, una coppia di pistole e un pugnale. Il loro copricapo e le armi erano decorate con una luna crescente e una stella di rame.

Gendarmeria
Soprannominati Gli Immortali dovuto al fatto che essi raramente erano stati visti combattere, i Gendarmi (Legion de Gendarmerie d'Elite) nondimeno svolgevano un ruolo vitale, infatti svolgevano compiti di Polizia Militare della Grande Armée. Garantendo il mantenimento della sicurezza e dell'ordine presso il quartier generale, i Gendarmi svolgevano anche ruolo di guardie d'onore per i visitatori di alto rango e di protezione degli effetti personali dell'Imperatore. Inoltre si occupavano di interrogare i prigionieri. I Gendarmi indossavano giacche blu scuro con risvolti rossi e stivali alti, insieme a un colbacco un po' più sottile di quello dei Granatieri a Cavallo. Dopo il 1807, i gendarmi cominciarono ad essere impiegati in battaglia, distinguendosi nella difesa del ponte sul Danubio ad Aspern-Essling nel 1809.

Guardia d'onore
La Guardia d'onore (Regiment de Garde d'Honneur) era costituita da quattro reggimenti di cavalleria leggera che Napoleone creò nel 1813 per la campagna di Germania allo scopo di rinforzare la sua cavalleria della Guardia decimata in Russia. I reggimenti appartenevano alla Giovane Guardia, e vestivano l'uniforme degli Ussari.

Artiglieria
L'Artiglieria della Guardia comprendeva il reggimento artiglieria appiedata (Regiment d'Artillerie a Pied de la Garde Imperiale), il reggimento artiglieria a cavallo (Regiment d'Artillerie a Cheval de la Garde Imperiale), il treno d'artiglieria della Guardia (Train d'Artillerie de la Garde Consulaire[10]) e il parco d'artiglieria della Guardia (Parc d'Artillerie de la Garde Imperiale), gli ultimi due creati nel 1807. Nonostante la carenza di pezzi d'artiglieria, nel 1813 Napoleone istituì il Regiment d'Artillerie a Pied de la Garde Imperiale della Giovane Guardia. Il Parc du materiale de la Garde Imperiale fu istituito nel 1813 per rimpolpare le risorse del Bataillon du Train des equipage militaire dopo le perdite della campagna del 1812.

Genio
Sebbene non schierati come singola unità combattente, i genieri (Genie de la Garde Imperiale), istituiti nel 1804 come genieri della Guardia consolare, presero parte ai combattimenti più di quanto accadde ad unità della Guardia solitamente tenute in riserva. Nel 1810 l'ufficiale capo del genio della Guardia comandava una compagnia di zappatori (140 uomini), tutti membri della Vecchia Guardia. Nel 1813 le compagnie divennero due, poi un quattro organizzate su un battaglione, in totale 400 uomini. La 1ª e 2ª compagnia erano classificate come Vecchia Guardia, la 3ªe 4ª come Giovane Guardia.

Formazione e reclutamento
Per il reclutamento era richiesta un'altezza minima, di 1,83 metri per i granatieri 1,73 metri per i cacciatori (e in genere per le unità di cavalleria).

Occorreva un minimo di dieci anni di servizio per entrare nel 1e Régiment de Grenadier-à-Pied de la Garde Impériale e di otto per il 2º Reggimento, nonché aver tenuto nel corso dei combattimenti una condotta irreprensibile, essere di buona moralità e saper leggere e scrivere. Sebbene quest'ultimo requisito sembra sia stato talvolta trascurato, nondimeno era una condizione per accedervi. Per gli ufficiali occorrevano due anni in più di servizio. Il valore dei reggimenti era legato alle condizioni draconiane di reclutamento, essendo i soldati ammessi alla Guardia per le loro qualità militari e non per ragioni di nascita o nepotismo.

La disciplina era molto dura ma umana, i provvedimenti d'espulsione definitivi. In ogni Guardia i gradi erano superiori di uno rispetto ai gradi delle truppe di linea, ad esempio un caporale della Guardia equivaleva a un caporale maggiore delle truppe di linea.

Le punizioni corporali erano vietate, le Guardie si davano del voi e si chiamavano «Monsieur». Era obbligatorio portare i baffi (ma raderli durante l'inverno), così come le basette o favoriti. Gli zappatori portavano la barba. La Vecchia Guardia teneva i capelli lunghi raccolti in due trecce dietro la nuca e incipriati di bianco/grigio, legati da un cordoncino, e il colore dei capelli contribuì al nome di "Vecchia" Guardia; ogni soldato portava a ciascun orecchio un anello d'oro della dimensione di uno scudo.

Tutti gli ufficiali della Guardia erano appartenenti alla Vecchia Guardia, i sottufficiali salivano di un grado nella gerarchia, così un sottufficiale in servizio nella Giovane Guardia faceva parte della Media Guardia e così via.

Napoleone sorvegliava personalmente a che non si scrivesse nulla circa la Guardia imperiale: lo stesso bollettino militare ufficiale non pubblicò mai una sola riga al riguardo; così il nemico non poteva conoscerne l'entità e la composizione.

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Storia dell'unità

Origini
La Guardia imperiale ebbe origine dalla Guardia consolare (Garde des consuls), creata il 28 novembre 1799 dalla fusione della Guardia del Direttorio (Garde du Directoire exécutif) con i granatieri della Convenzione nazionale (Grenadiers près de la Représentation nationale). Tali formazioni ebbero come loro principale fine la sicurezza delle branche esecutiva e legislativa della Prima Repubblica francese, e contavano su un piccolo numero di uomini, circa un migliaio.

La Guardia consolare assunse il nome di Guardia imperiale (Garde Impériale) il 18 maggio 1804. In origine era costituita da granatieri a piedi, a cavallo e da alcune unità di artiglieria; fu su tali unità che Napoleone si appoggiò per il colpo di Stato del 18 brumaio.

Se inizialmente il compito principale della Guardia era la protezione dell'Imperatore, rapidamente divenne una unità combattente formando la riserva e la spina dorsale dell'esercito. Servendo da modello alle altre truppe, doveva essere irreprensibile, rinforzando la coesione fra le altre unità con la propria sola presenza e condotta. La Guardia portava un'uniforme più prestigiosa e di taglio migliore rispetto alle truppe normali, così come era migliore l'armamento, la paga e il rancio; aveva priorità nei rifornimenti durante le campagne, e in tempo di pace aveva spesso il privilegio di acquartierarsi a Parigi. Possedeva un proprio corpo musicale e in combattimento sfoggiava l'alta uniforme (tranne che a Waterloo).

La Guardia, unità prestigiosa, serviva solitamente da riserva durante le battaglie, intervenendo solo nei momenti decisivi, nelle situazioni più favorevoli non combattendo affatto: i bollettini di vittoria terminavano in tal caso con la frase «La Guardia non ha dato», a sottintendere l'esito largamente positivo dello scontro.

Terza coalizione
Nel 1805 in Germania la Guardia fu impiegata sporadicamente, combattendo ad Elchingen. A Langenau i cacciatori a cavallo caricarono la Divisione Wermeck in 400 contro 1500, a Norimberga si impadronirono di un parco d'artiglieria mentre i granatieri entrarono in città marciando alla testa delle truppe e portando ciascuno una bandiera strappata al nemico, conseguenza diretta della battaglia di Ulma

Ad Austerlitz, la Guardia a piedi non fu impiegata, contrariamente alla cavalleria e all'artiglieria. I granatieri a cavallo eseguirono una carica contro la Guardia imperiale russa e ne fecero prigioniero il comandante. La Guardia ebbe in totale due ufficiali (fra cui il colonnello Morland dei cacciatori a cavallo) e 22 sottufficiali e soldati uccisi o mortalmente feriti.

Quarta coalizione
Ad Eylau, il generale Dalhmann, succeduto a Morland alla testa dei cacciatori, fu ucciso durante una carica. Il generale Lepic attraversò diverse volte coi suoi granatieri a cavallo i ranghi dei granatieri russi. Malgrado tutto i russi avanzarono verso la chiesa di Eylau dove Napoleone si trovava con lo Stato Maggiore. L'Imperatore ordinò al 2º Reggimento cacciatori a cavallo e al 2º Reggimento granatieri di attaccare. Fu in quel momento che il generale Dorsenne che li comandava gridò ad un granatiere sul punto di sparare: «Granatieri, armi al braccio! La Vecchia Guardia non si batte che alla baionetta». I russi furono fermati; le truppe di Ney, giunte in ritardo sul campo di battaglia, permisero la vittoria francese.

Guerra d'indipendenza spagnola
Durante la campagna spagnola la Guardia imperiale scortò Napoleone dal suo arrivo in Spagna. Fu fermata nelle gole di Somosierra; Napoleone esclamò: «Come? La mia Guardia si ferma di fronte a degli spagnoli, davanti a bande di paesani armati!». Ordinò quindi ai cavalleggeri polacchi della Guardia di attaccare. In 150 i polacchi, appoggiati dai cacciatori a cavallo, conquistarono con quattro cariche le batterie spagnole.

Nel 1810-1811, la Giovane Guardia fu impegnata in numerosi combattimenti contro gli spagnoli, a Luzzara, Acedo, Santa Cruz. La missione della Giovane Guardia era quella di assicurare l'ordine lungo il corso del Douro, proteggere la Navarra e le comunicazioni per Valladolid.

Quinta coalizione
Ad Essling, l'Imperatore fu colpito leggermente ad una gamba, e il generale Walther che comandava la Guardia gli disse: «Sire, ritiratevi o vi farò portare via dai miei granatieri». Mentre le sorti della battaglia erano indecise il generale Mouton, alla testa dei suoi tirailleur della Giovane Guardia si scontrò con gli austriaci che attaccavano verso ovest: questa piccola vittoria agevolò la ritirata al resto delle truppe francesi.

A Wagram l'artiglieria della Guardia, bersagliando il centro dello schieramento austriaco con sessanta cannoni, permise alla Giovane Guardia e all'Armata d'Italia del maresciallo Macdonald di attaccare e fare breccia.

Campagna di Russia
In Russia la Guardia imperiale, costituita inizialmente da 47.200 uomini, fu accuratamente salvaguardata da Napoleone durante la prima parte della campagna; essa quindi non venne impiegata dall'imperatore nella battaglia di Borodino nonostante le ripetute sollecitazioni dei suoi luogotenenti che ritenevano che il suo impiego avrebbe potuto essere decisivo. La prudenza di Napoleone si dimostrò opportuna nella seconda fase della campagna di Russia; durante la catastrofica ritirata la Guardia mantenne in parte la coesione e la disciplina e svolse un ruolo importante soprattutto nella battaglia di Krasnoi dove il suo apporto fu decisivo per salvare i resti dell'armata. Il 5 dicembre 1812, al momento della partenza di Napoleone per Parigi, rimanevano solo 3.000 soldati della Guardia ancora inquadrati e organizzati[11].

Sesta coalizione
In Sassonia, nel 1813, il maresciallo Bessières comandante la cavalleria della Guardia fu ucciso da una pallottola. La Giovane Guardia combatté a Lützen dove riprese il villaggio di Kaja massacrando la Guardia prussiana. La Giovane Guardia fu nuovamente impegnata a Dresda dove impedì agli Alleati di entrare in città.

Fu durante la campagna di Francia del 1814 che la Guardia fu più spesso impiegata. Alla battaglia di Champaubert, la cavalleria catturò 21 cannoni e lo Stato Maggiore russo. A Montmirail si distinse la fanteria della Guardia.

Ma la Guardia, per quanto valorosa, non poté opporsi indefinitamente alla sproporzione di forze: Napoleone che con la Guardia colpiva la retroguardia degli Alleati in avanzata, non poté impedire la sconfitta di marescialli che difendevano Parigi. Dopo l'abdicazione l'Imperatore fu accompagnato all'Elba da 600 soldati della Vecchia Guardia.

Campagna di Waterloo
A Waterloo la Guardia visse la propria giornata peggiore, impiegata per un ultimo attacco al fine di sfondare il centro indifeso dell'armata di Wellington ed impedirne il congiungimento con le forze prussiane. Sebbene si tratti di uno dei momenti più famosi della storia militare non è chiaro quali unità vi presero parte: sembra si trattasse di cinque battaglioni della Media Guardia, e non di granatieri o cacciatori della Vecchia Guardia.

«... Vidi arrivare quattro reggimenti della Media Guardia, condotti dall'Imperatore. Con queste truppe egli voleva attaccare nuovamente, e sfondare il centro nemico. Mi ordinò di prenderne il comando: generali, ufficiali e soldati, tutti mostravano il più grande ardimento, ma questo corpo era troppo debole per resistere a lungo alle forze nemiche, e fu presto necessario rinunciare alla speranza che questo attacco aveva, per qualche momento, ispirato.»
(Maresciallo Michel Ney)

Tre battaglioni della Vecchia Guardia avanzarono e formarono la seconda linea d'attacco, sebbene rimanessero in riserva e non attaccassero direttamente la linea alleata. Marciando attraverso una grandinata di proiettili e mitraglia, i tremila uomini della Guardia avanzarono ad ovest di La Haye Sainte, e così facendo si divisero in tre forze separate. Una, di due battaglioni di granatieri, sconfisse la prima linea di Wellington e proseguì l'avanzata; la divisione olandese di Chassé, relativamente fresca, fu inviata per fermarli e la sua artiglieria li colpì di fianco. Tuttavia ciò non bastò per arrestarne l'avanzata, così Chassé ordinò alla sua 1ª Brigata di caricare i francesi: questi, inferiori di numero, non poterono resistere e si dispersero.

Più ad ovest 1.500 Guardie britanniche agli ordini di Maitland erano a terra per ripararsi dall'artiglieria francese: all'avvicinarsi di due battaglioni di cacciatori, il secondo contingente d'attacco della Guardia, gli uomini di Maitland scattarono in piedi colpendo a bruciapelo i francesi. I cacciatori si schierarono per rispondere al fuoco ma iniziarono a cedere; una carica alla baionetta li disperse. Il terzo contingente, un battaglione fresco di cacciatori, venne in aiuto. I britannici si ritirarono ma i francesi furono fermati dal 52º Reggimento Oxfordshire.

I resti della Guardia ripiegarono, e un'ondata di panico attraversò le linee francesi. Wellington diede il segnale di avanzata generale e la sua armata si gettò sui francesi in ritirata.

I sopravvissuti della Guardia imperiale si riunirono ai loro battaglioni di riserva per un'ultima resistenza a sud di La Haye Sainte. Una carica della brigata di Adam e degli hannoveriani del battaglione Osnabrück, con alla destra tre brigate di cavalleria, li gettò nella confusione più totale. Il colonnello Halkett chiese la resa del generale Cambronne, ricevendo la famosa risposta «La Garde meurt, elle ne se rend pas!» («La Guardia muore, non si arrende!»).

La Giovane Guardia resistette ancora per poco a Plancenoit, villaggio nei pressi di Lasne; i prussiani delle divisioni Hiller, Tippelkirsh e Ryssel combatterono casa per casa, strada per strada. Il maggiore prussiano von Damitz ammise: «Dovemmo annientare i francesi per prendere Plancenoit».

A Rossome i due quadrati del 1º granatieri della Guardia fecero blocco. Era il corpo di élite della Guardia: quattro uomini su dieci si fregiavano della Legion d'onore, quasi tutti avevano oltre quattordici anni di servizio e non pochi ne avevano più di venti, in media erano alti 1.82 metri. Attorno ad essi il suolo era coperto di cadaveri e di cavalli di nemici, ma anche dei corpi di francesi che avevano cercato rifugio nei quadrati. La sicurezza dei quadrati prima di tutto: «Tiravamo su tutto quello che si avvicinava, amici e nemici, per non far entrare gli uni con gli altri» disse il generale Petit, comandante del reggimento. Tutte le cariche furono respinte.

Questi due battaglioni tennero testa a due armate. L'Imperatore che per un momento aveva trovato rifugio nei quadrati ordinò di lasciare la posizione. Il 1º granatieri iniziò la ritirata coprendo le spalle ai resti dell'armata, fermandosi ogni 200 metri per rettificare lo schieramento e respingere il nemico che esitava a caricare.

L'Imperatore, raggiungendo il 1º Battaglione del 1º cacciatori, apprese che questo aveva appena respinto un attacco prussiano che cercava di tagliare la ritirata. Ordinò che il battaglione seguisse la colonna in marcia, mettendosi davanti ai granatieri. Più tardi il 1º granatieri della Guardia si mise in colonna per sezione, col nemico che non osava attaccare.

La fine
Dopo la Battaglia di Waterloo la Guardia Imperiale e i resti dell'Esercito francese si ritirarono presso le alture di Charonne e di Saint-Chaumont a estrema difesa di Parigi contro i prussiani e gli inglesi che si stavano avvicinando. La battaglia campale non avvenne. Ci furono solo piccoli scontri a sud e a ovest della capitale, in particolare presso Versailles, tra i Dragoni e Cacciatori a Cavallo contro gli Ussari prussiani. Due giorni più tardi il maresciallo Louis Nicolas Davout e Fouchè firmarono la resa il 3 luglio 1815. La Guardia Imperiale ricevette l'ordine di ritirarsi al di là della Loira. All'atto di capitolazione la Guardia Imperiale ricevette il seguente ordine:

«L'ex Guardia Imperiale si metterà immediatamente in marcia per ritirarsi al di là della Loira, dove sarà congedata. Porterà con sé armi e bagagli e tutto il suo materiale da campagna. I feriti potranno restare a Parigi fino a nuovo ordine, sotto la protezione dei generali di Gran Bretagna e Prussia.»

Il 4 luglio 1815 la Guardia Imperiale si mise in marcia per le destinazioni stabilite. Nell'atto di capitolazione era inoltre previsto che:

«Nessun comandante di corpo, generale, ufficiale superiore, ufficiale o sottufficiale dell'ex Guardia Imperiale che abbia combattuto contro le potenze alleate nei giorni del 16, 17 e 18 giugno scorso potrà in futuro, a nessun titolo, far parte del nuovo esercito in via di costituzione.»

La Guardia Imperiale consegnò le bandiere e i soldati sostituirono la coccarda tricolore con la coccarda bianca simbolo della monarchia.
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Contingenti stranieri nella Grande Armata

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Contingenti stranieri nella Grande Armata
https://it.wikipedia.org/wiki/Contingen ... nde_Armata

I contingenti stranieri nella Grande Armata, nel corso delle guerre napoleoniche, contribuirono in maniera sempre più determinante alla formazione della Grande Armée francese, tanto che nel corso della campagna di Russia i soldati stranieri equivalevano quelli francesi per numero. Molte armate europee del tempo reclutarono milizie e volontari stranieri e il Primo Impero francese non fece eccezione. Quasi tutte le nazionalità europee furono rappresentate nei ranghi della Grande Armée.

Primi arruolamenti
Già nel 1805, 35 000 uomini della Confederazione del Reno (olandesi, belgi e tedeschi) difesero le linee di comunicazione e i fianchi dell'armée. Più di 20 000 sassoni furono impiegati per operazioni di destabilizzazione contro i prussiani. Durante l'inverno del 1806-1807, i tedeschi, i polacchi e gli spagnoli supportarono il fianco sinistro della Grande Armée a impadronirsi dei porti di Stralsund e Danzica situati sul mar Baltico. Nella Battaglia di Friedland del 1807, il corpo d'armata del maresciallo Jean Lannes è composto da molti polacchi, sassoni e olandesi. I contingenti stranieri giocano un ruolo importante nelle grandi battaglie distinguendosi sempre.

Anche gli spagnoli furono numerosi nell'armata francese. Solamente dopo l'invasione della Spagna da parte le truppe napoleoniche e dopo la scomunica di Napoleone da parte del papa, gli spagnoli, leali sudditi della monarchia spagnola e ferventi cattolici si rifiutarono di aiutare i soldati francesi e, sostenuti finanziariamente e militarmente dall'Inghilterra, diedero vita a un'intensa attività di guerriglia.

I portoghesi furono presenti nella Grande Armée, con la Legione Portoghese e si fecero notare nella battaglia di Wagram e nella battaglia della Moscova.
Durante la campagna d'Austria del 1809, un terzo della Grande Armée era composta da soldati della Confederazione del Reno e un quarto dell'armata in Italia era composta da italiani.

La Campagna di Russia
All'apogeo dell'Impero, più di metà delle truppe che marciavano contro la Russia non erano francesi ma rappresentavano più di 20 differenti paesi: 300 000 francesi, olandesi e belgi, 95 000 polacchi (comandati dal generale principe Józef Antoni Poniatowski), 35 000 austriaci (comandati dal principe Schwarzenberg), 25 000 italiani, 24 000 bavaresi, 20 000 sassoni, 20 000 prussiani (comandati dal generale Julius von Grawert, in seguito dal generale Ludwig Yorck von Wartenburg), 17 000 della Westfalia, 15 000 svizzeri e 3 500 croati. Con l'eccezione dei polacchi, degli austriaci e dei prussiani, i vari contingenti stranieri erano posti al comando di generali e marescialli francesi. Il contingente italiano inviato in Russia era parte del IV Corpo d'armata al comando del viceré del Regno d'Italia Eugenio di Beauharnais e si distinse nelle battaglie di Smolensk e di Borodino.

Solamente dopo il disastro della Campagna di Russia, la Prussia e l'Austria dichiararono guerra alla Francia. I rispettivi contingenti (prussiani e austriaci) integrati nella Grande Armeè si ricongiunsero con le truppe dei rispettivi paesi.

La Battaglia di Lipsia
Nel 1813, durante la Battaglia di Lipsia, la divisione sassone della Grande Armée, vista la superiorità numerica degli avversari, raggiunsero i ranghi nemici di Jean-Baptiste Jules Bernadotte, principe ereditario di Svezia e vecchio maresciallo di Napoleone. Alla fine della battaglia, fu la volta dei bavaresi di abbandonare i ranghi francesi e di raggiungere gli austriaci che avrebbero invece dovuto contenere. Non contento di aver piantato in asso i suoi vecchi compagni d'arme, il generale, barone Wrede (comandante il contingente bavarese della Grande Armée fin dal 1806) si propose ugualmente di tagliare loro la ritirata posizionandosi a Hanau. Ma fu sconfitto dai francesi. Tra i caduti vi fu il maresciallo polacco Józef Antoni Poniatowski, che aveva raggiunto tale grado militare soltanto il giorno precedente.

Dopo la battaglia di Lipsia, il 25 novembre 1813, Napoleone non fidandosi più dei contingenti stranieri decise di scioglierli tutti e di ridurli a Reggimento pionieri. Fu il caso, in particolare delle truppe tedesche e portoghesi. Napoleone continuò a fidarsi solamente dei polacchi che ne ricambiarono la fiducia. Così, durante la campagna dei Cento giorni del 1814, il reggimento dei cavalleggeri polacchi della Guardia combatté a Brienne, La Rothière dans l'Aube, Champaubert (10 febbraio 1814), Montmirail, Château-Thierry, Vauchamps (Marna), Montereau (Yonne), Troyes, Berry-au-Bac, Craonne, Laon, Reims, La Fère-Champenoise, Arcis-sur-Aube, Vitry, Saint-Dizier, Le Bourget, così come alla difesa di Parigi. Il reggimento polacco resistette fino a dopo la sconfitta di Napoleone. Il 4 aprile 1814, il suo comandante, il generale Zygmunt Krasiński, scrisse una lettera a Napoleone, assicurando che il suo reggimento, a differenza dei marescialli, gli sarebbe restato fedele contro tutte le avversità. Fu questa fedeltà incrollabile che – secondo lo storico Robert Bielecki – convinse l'Imperatore a portare con sé, nel suo esilio all'isola d'Elba, uno Squadrone di 110 cavalleggeri polacchi comandati dall'eroe della ritirata di Russia, Pawel Jerzmanowski.

I cento giorni
Nel 1815, durante i Cento giorni, la Grande Armèe fu composta interamente di soldati francesi con l'eccezione di uno Squadrone polacco al comando di Pawel Jerzmanowski. Nel corso di questa Campagna, un decreto imperiale escluse gli stranieri dal servizio nella Guardia imperiale, ma fu fatta un'eccezione per lo squadrone polacco (costituito da 225 cavalieri). Lo Squadrone polacco conservò l'uniforme polacca e si trovò integrato ai Lancieri rossi del generale Colbert. I cavalleggeri svolsero il loro ultimo servizio agli ordini dell'imperatore Napoleone malgrado l'appello del granduca Konstantin Pavlovič Romanov, che esortava Jerzmanowski, sotto la minaccia della pena capitale, di ricondurre lo squadrone nel Ducato di Varsavia. I cavalleggeri combatterono coraggiosamente a Ligny e a Waterloo. In seguito alla sconfitta, lo squadrone polacco si ritirò ordinatamente armi in pugno, dietro le linee della Loira, per porsi al comando del maresciallo Louis Nicolas Davout. Il 1º ottobre 1815 lo squadrone polacco è definitivamente esonerato dal servizio nell'Armata francese. Il colonnello Jerzmanowski, malgrado le sue richieste, non ottenne il permesso di far parte del piccolo seguito imperiale in partenza verso l'isola di Sant'Elena.

Unità straniere in servizio francese

Truppe polacche
Legione della Vistola
Il 5 aprile 1807, Napoleone ordinava l'istituzione di una legione polacca, formata con le poche truppe presenti in Italia. Prese il nome di legione polacco-italiana all'inizio del 1808, passando poi al servizio della Francia alla fine di marzo con il nome di legione della Vistola. Il corpo era composto da un reggimento di cavalleria e tre reggimenti di fanteria, ogni armata aveva il proprio consiglio di amministrazione separato. I Lancieri della Vistola vennero creati tramite decreto il 4 maggio 1808 e organizzati sotto uno stato maggiore, quattro squadroni con due compagnie e una compagnia al deposito, per un totale di 47 ufficiali e 1 124 soldati. La paga era identica a quella dei reggimenti di cacciatori a cavallo e veniva conservata l'uniforme ereditata dalla legione polacco-italiana. La fanteria comprendeva tre reggimenti divisi in due battaglioni, composti ciascuno da sei compagnie, nonché un battaglione insediato nel deposito di Sedan. Il numero totale di effettivi era di 5 880, tutti polacchi con alcune rare eccezioni.

Venne decretata una II legione della Vistola il 8 luglio 1809, e venne organizzata a Wolkersdorf, in Austria. Le reclute furono prelevate tra i soldati prigionieri polacchi che prestavano servizio nell'esercito austriaco. Questa nuova legione avrà un'esistenza effimera, poiché si dissolse il 12 febbraio 1810 nella sua interezza e verrà poi accorpato alla I legione. Per la campagna di Russia, nel 1812, il corpo fu unito alla Guardia Imperiale e prese parte alle operazioni successive, sotto il comando del generale Claparède. Le operazioni causeranno pesanti perdite, con conseguente fusione dei quattro reggimenti in un unico reggimento della Vistola formato da due battaglioni.

Lancieri polacchi della guardia imperiale
«Quando Napoleone entrò a Varsavia nel dicembre 1806, fu scortato da una guardia d'onore composta da nobili polacchi il cui superbo aspetto lo sedusse. Così, il 2 marzo 1807, l'imperatore ordinò la formazione di un pulk, o corpo di cavalleria polacca, di quattro squadroni destinati a far parte della Guardia ... a cui fu dato il nome di Cavalleggeri polacchi ...»

A Wagram, nel 1809, si improvvisarono lancieri strappando di mano le lance agli ulani austriaci per poterli poi inseguire meglio. "È in conseguenza di questa prodezza d'armi che il reggimento, che ha definitivamente adottato la lancia come armamento, ha preso il titolo di "cavalleggeri lancieri polacchi", più comunemente chiamati "lancieri polacchi ".

Ultimi soldati stranieri a combattere nell'esercito di Napoleone, i lancieri polacchi della Guardia furono fedeli all'Imperatore per tutta l'epopea napoleonica fino ai Cento giorni: uno squadrone di lancieri polacchi fu infatti integrato nei lancieri rossi del generale Pierre David de Colbert-Chabanais, ancora con la livrea blu. Il reparto svolse il suo ultimo servizio con l'Imperatore nonostante l'appello del Granduca Costantino, che esortava Jerzmanowski, sotto la minaccia della pena capitale, di riportare la squadriglia in Polonia. I Cavalleggeri combatterono coraggiosamente a Ligny e Waterloo. Lo squadrone si ritirò quindi in ordine di battaglia e in armi, dietro la linea della Loira, per mettersi al comando del maresciallo Davout. Il 1º ottobre 1815 terminata l'epopea napoleonica dei polacchi, vengono congedati definitivamente dal servizio nell'esercito francese. Nonostante le sue richieste, il colonnello Jerzmanowski non ottenne il permesso di far parte del piccolo seguito imperiale in partenza per Sant'Elena.

Tutti i cavalieri polacchi in servizio negli eserciti di Napoleone si distinguevano per due caratteristici pezzi di uniforme: la kurtka, una giacca con baschi corti e pettorale abbottonato su entrambi i lati, e la chapska, il copricapo che sarebbe stato utilizzato dai lancieri e dagli ulani europei fino alla prima guerra mondiale.

Truppe lituane
Durante la campagna russa del 1812, Napoleone realizzò rapidamente il potenziale militare offerto dai lituani nella sua guerra contro l'Impero russo e desiderò quindi creare un grande esercito lituano sul modello di quello del ducato di Varsavia. Si occupò personalmente delle unità di cavalleria lituane assegnate alla Guardia imperiale, tra cui un reggimento di lancieri e uno squadrone di tartari lituani.

Reggimenti svizzeri
La Repubblica Elvetica schierò un contingente di 18 000 uomini di fanteria per il servizio e la retribuzione della Francia in base a un accordo firmato il 19 dicembre 1798. Nei primi mesi del 1799 si formarono sei mezze brigate di fanteria con tre battaglioni. Nel gennaio 1801, a causa della forza incompleta, si rese necessaria una fusione delle mezze brigate: la prima con la sesta, la seconda con la quarta e la terza con la quinta.

"Con l'atto di mediazione del 1803, Bonaparte aveva riorganizzato la Repubblica Elvetica. Lo stesso anno impose un trattato di alleanza che obbligava la Svizzera a fornirgli un contingente di 16'000 uomini. Questa fu l'origine dei quattro reggimenti di fanteria svizzeri istituiti nel 1804.»

Questi quattro reggimenti di fanteria furono impiegati da Napoleone I, sia in Spagna, dove si distinsero durante la battaglia di Balén, sia in Russia, dove furono particolarmente eccelsi durante la battaglia della Beresina. Il colonnello generale degli svizzeri fu il maresciallo Jean Lannes, nominato a questo incarico nel 1807 e succeduto da Louis-Alexandre Berthier, principe di Wagram e Neuchâtel, viceconsole dell'Impero, nel 1810.

Accanto a questi reggimenti arresi c'era anche il battaglione del Principe di Neuchâtel (soprannominato il battaglione delle Canarie) e un battaglione noto come battaglione "vallesano" cresciuto nel cantone del Vallese.

«"In totale, la Svizzera aveva fornito a Napoleone 90.000 uomini, metà dei quali furono uccisi " .»

Legione irlandese
Il 31 agosto 1803, fu creata la legione irlandese in preparazione dello sbarco in Irlanda, nel progetto di invasione della Gran Bretagna. Organizzato come un reggimento di due battaglioni; le reclute erano soprattutto irlandesi o scozzesi ma c'erano anche diversi volontari inglesi. Dopo aver abbandonato il progetto di sbarco, l'unità agì nei Paesi Bassi. Nel 1808, il II battaglione entrò in Spagna con le truppe di Murat e partecipò alla repressione della rivolta del due di maggio. Il resto della legione combatté contro gli inglesi durante la spedizione di Walcheren nel 1809, prima di diventare il così detto III reggimento straniero nel 1811.

Eserciti degli stati satelliti della Francia
I nuovi monarchi o governatori degli Stati Satellite, in particolare gli italiani, ma anche i polacchi, si adoperarono subito per crearsi un esercito.

La creazione di eserciti nazionali ebbe come riflessi positivi di ridurre i costi di mantenimento delle truppe francesi e di tutelare in parte l'autonomia dei nuovi regni. Anche se spesso per infittire i ranghi dei nuovi eserciti si ricorse nell'arruolamento coatto di carcerati e di disertori o renitenti alla leva provenienti da altri eserciti[1]. In secondo luogo, la nascita di eserciti nazionali italiani ebbe il vantaggio di creare, per la prima volta, una coscienza italiana nei soldati che si trovavano a combattere insieme.

Il contingente italiano nella "Grande Armée"
In Italia la creazione di un esercito avvenne principalmente per soddisfare la vocazione militare di Eugenio di Beauharnais nel Regno Italico, dove vigeva la coscrizione obbligatoria già dal 1802 ai tempi della Repubblica Italiana, e di Gioacchino Murat nel regno di Napoli. Ma anche per evitare che nei propri regni avessero a sostare un numero troppo alto di soldati francesi li inviati a mantenere il controllo del territorio. Per esempio le truppe francesi nel regno di Napoli nel 1806 ammontavano a 40 000 uomini.

Contingente polacco
L'esercito di questo stato ebbe in gran parte origine dalla legione polacca in servizio francese. un numero più alto di quanto l'esercito della Confederazione polacco-lituana avrebbe mai potuto schierare.

Ci furono arruolamenti volontari in massa, in quanto la popolazione polacca voleva liberarsi dal dominio straniero.

All creazione dello stato l'esercito poteva schierare 30 000 uomini (su una popolazione di 2,6 milioni di abitanti). Nel 1812 l'esercito mise in linea quasi 100.000 uomini.

Contingente della Vestfalia

Contingente sassone
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Esercito del Regno d'Italia (1805-1814)

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Esercito del Regno d'Italia (1805-1814)
https://it.wikipedia.org/wiki/Esercito_ ... 1805-1814)

L'esercito del Regno d'Italia, attivo dal 1805 al 1814, fu l'esercito di terra creato del Regno d'Italia (1805-1814).

Sotto il Primo Impero francese, i nuovi monarchi o governatori degli Stati satelliti napoleonici, in particolare gli italiani, ma anche i polacchi, si adoperarono subito per dotarsi di un esercito. In Italia ciò avvenne principalmente per soddisfare la vocazione militare di Eugenio di Beauharnais nel Regno d'Italia, dove vigeva la coscrizione obbligatoria già dal 1802 ai tempi della Repubblica Italiana, e di Gioacchino Murat nel Regno di Napoli; ma anche per evitare che nei propri regni avessero a sostare un numero troppo alto di soldati francesi lì inviati a mantenere il controllo del territorio. Per esempio le truppe francesi nel Regno di Napoli nel 1806 ammontavano a 40 000 uomini. La creazione di eserciti nazionali ebbe come riflessi positivi di ridurre i costi di mantenimento delle truppe francesi e di tutelare in parte l'autonomia dei nuovi regni. Anche se spesso per infittire i ranghi dei nuovi eserciti si ricorse nell'arruolamento coatto di carcerati e di disertori o renitenti alla leva provenienti da altri eserciti.[1] In secondo luogo, la nascita di eserciti nazionali italiani ebbe il vantaggio di creare, per la prima volta, una coscienza italiana nei soldati che si trovavano a combattere insieme.

Uniforme
Nel 1806 le uniformi della fanteria di linea furono ridisegnate e il verde delle tuniche e dei calzoni venne sostituito dal bianco. Il taglio e lo stile delle nuove uniformi erano interamente francesi, così come le distinzioni tra le compagnie e i distintivi di grado.

I granatieri indossavano berrettoni di pelle d'orso con in cima una placca d'ottone con una granata, una pennacchio rosso con corde bianche, le spalline erano rosse e con dei nodi bianchi.

I fucilieri avevano lo Sciaccò con piastre romboidali e mentoniere in ottone, una coccarda verde e rossa, e un pompon con il colore della compagnia (verde per la prima; azzurro per la seconda; arancione per la terza; viola per la quarta). Le spalline erano bianche e bordate. Per le parate venivano aggiunti dei cordoni bianchi allo shako. La cintura per portare le sciabole era bianca

I volteggiatori avevano pennacchi verdi con la punta gialla, corde verdi, spalline verdi con mezzelune gialle e cinture verdi per le sciabole.

Bandoliere, giustacorpi e pantaloni erano bianchi, le ghette nere. Gli zaini , le borse, le sciabole e i moschetti erano in stile francese[2].

Fanteria leggera
La foggia era quella della controparte francese ma i giustocorpi e i calzoni erano verde scuro

I Carabinieri (i granatieri della fanteria leggera) indossavano il berrettone di pelo con una piuma e delle corde rosse. Di questo colore erano anche le spalline e la cintura per la sciabola[3].

Cavalleria
Dragoni del Reggimento Dragoni Regina (a sinistra, con i risvolti rosa) e del Reggimento Dragoni Napoleone (a destra, in rosso)
La cavalleria di linea era formata da due reggimenti di dragoni, il Reggimento Dragoni Regina e il Reggimento Dragoni Napoleone. I dragoni avevano un'uniforme in stile francese con giustacorpo e spalline verdi, bottoni, panciotto, pantaloni e cinture bianchi; i Dragoni Regina avevano colletto e risvolti rosa, un pennacchio verde con sommità rosa sul lato sinistro dell'elmo, e un turbante di pelle di leopardo, mentre il colore dei Dragoni Napoleone era il carmino, fino al 1812 quando divenne rosso, mentre il colletto divenne verde, il pennacchio era nero con una punta carminia, e un turbante in pelliccia nero.[3].

Repubblica Cisalpina e Repubblica Italiana
Nel luglio 1797 fu creata la Repubblica Cisalpina nel nord Italia.

La Legione Lombarda nacque inizialmente su base volontaria per iniziativa di alcuni cittadini milanesi che intendevano costituire una Guardia d'Onore per Napoleone. A questo primo nucleo fu consegnata il 6 novembre 1796 in Piazza del Duomo la prima bandiera tricolore. La Legione Lombarda era suddivisa in 7 coorti (3 arruolate nella città di Milano, una da Cremona e Casalmaggiore, una da Lodi e Pavia, una da Como, e infine una composta da patrioti provenienti in prevalenza dallo Stato Pontificio e dal Regno di Sicilia). In seguito l'iniziativa fu adottata anche da altre città che istituirono una sorta di Guardia cittadina. La Legione Lombarda ebbe il suo battesimo del fuoco durante la battaglia di Arcole e successivamente contro le forze pontificie sul Senio.

«Il generale Lannes, comandante dell'avanguardia, individuato il nemico che cominciava ad aprire il fuoco, ordinò subito agli esploratori della Legione Lombarda di attaccare. Il comandante della Legione, De La Hoz, riunì i suoi granatieri in colonna serrata per attaccare, alla baionetta, le batterie nemiche. Questa Legione, che era al suo battesimo del fuoco, si coprì di gloria e catturò 14 cannoni sotto il fuoco di 3-4000 uomini trincerati.»

(Napoleone Bonaparte nelle sue corrispondenze private n° 1448)
La vittoriosa offensiva della Seconda coalizione nel 1799 causò la caduta della Repubblica Cisalpina e delle altre repubbliche sorelle sorte in Italia e conseguentemente lo scioglimento della Legione Lombarda. Parte di questa tuttavia radunatasi a Tolone diede vita al primo nucleo della Legione italica agli ordini di Giuseppe Lechi. La Legione italica, al seguito delle truppe francesi, combatté in Italia a Varallo. Il 2 giugno 1800 il generale Domenico Pino fu incaricato di creare un'ulteriore Legione che fu inizialmente impiegata in Toscana, poi in seguito alla nuova guerra tra Francia e Inghilterra del 27 marzo 1802, fu trasferita sulle coste della Manica.

Sempre nel 1802, per volontà vicepresidente della repubblica Italiana, Francesco Melzi d’Eril, Pavia divenne sede del reggimento di artiglieria a piedi e cavallo della repubblica, e nella città venne istituita la Scuola teoretico pratica d’artiglieria, che doveva fornire un’istruzione tecnico-militare sia alle reclute sia a veterani e ufficiali, e la fonderia d'artiglieria[4] (che nel 1813 disponeva di 41 operai) produsse cannoni su modello francese (cannoni da 12, 18 e 24 libbre, mortai da otto e 10 pollici e obici da cinque pollici[5]).

I soldati piemontesi, in virtù dell'annessione alla Francia nel 1802 furono inquadrati direttamente nell'esercito francese, i Dragoni costituirono il 21º Reggimento Dragoni e gli Ussari il 17º Reggimento Cacciatori a Cavallo (rinumerato poi come 26º Reggimento nel maggio 1802).

Regno d'Italia
Per iniziativa del Ministro della Guerra il 17 luglio 1805, dopo la proclamazione del Regno d'Italia, le guardie d'Onore cittadine furono sciolte al fine di istituire la Guardia Reale Italiana nei territori del nuovo Regno d'Italia.

La Guardia Reale Italiana, armata con moschetto Charleville del 1777, fu costituita da 6 reggimenti di fanteria di linea, 3 reggimenti di fanteria leggera, un reggimento di fanteria dalmata, 2 reggimenti di dragoni e 2 reggimenti di cacciatori a cavallo. Il piccolo contingente del Regno d'Italia inizialmente operò solamente in Italia insieme alle truppe francesi del maresciallo Andrea Massena.[6]

Nel dicembre 1805 alcuni reparti della Guardia reale italiana parteciparono alla battaglia di Austerlitz guadagnandosi una citazione sul bollettino di guerra.

«...le genti d'Italia hanno dimostrato molta energia...sono piene di spirito e di passione, per cui è facile, per esse, acquisire le qualità militari. I cannonieri della Guardia Reale si sono coperti di gloria alla battaglia di Austerlitz, ed hanno meritato la stima di tutti i vecchi cannonieri francesi. La Guardia Reale è stata sempre al fianco della Guardia Imperiale e dovunque ne è stata degna. Venezia sarà restituita al Regno d'Italia.»

(Napoleone Bonaparte nel Bollettino n. 37 della Grande Armata, Schonbrunn, 26 dicembre 1805)
Altri reparti italiani, sempre affiancati da reparti francesi, nel 1806 si recarono in Istria e Dalmazia per reprimere le continue rivolte della popolazione slava.

Nel 1806 i territori del Regno d'Italia furono suddivisi in sei Divisioni Territoriali Militari con comando a Milano, Brescia, Mantova, Ancona, Venezia e Bologna.

La Guardia Reale Italiana, al comando di Giuseppe Lechi partecipò nel 1808 alla Guerra d'indipendenza spagnola conquistando Barcellona. Nel 1809 sulle Alpi, la Guardia Reale Italiana al comando del viceré Eugenio di Beauharnais partecipò alla campagna contro l'Austria che aveva aderito alla Quinta coalizione.

Campagna di Russia
Nella primavera del 1812, le truppe italiane al comando del viceré Eugenio di Beauharnais cominciarono a mobilitarsi in previsione della Campagna di Russia e a trasferirsi sulla Vistola. Integrati nel IV Corpo d'Armata parteciparono alla campagna la 14ª Divisione comandata dal generale Teodoro Lechi con la fanteria della Guardia Italiana e la 15ª Divisione comandata dal generale Domenico Pino,[8] quest'ultima includeva 4 reggimenti di fanteria italiani, il reggimento di fanteria dalmata, il Reggimento "Dragoni Regina" e il Reggimento "Dragoni Napoleone". La cavalleria del IV Corpo d'Armata era composta dai due reggimenti di cacciatori a cavallo italiani.[9]

La Guardia Reale Italiana ebbe modo di distinguersi per il valore dimostrato nel corso della battaglia di Smolensk e di Borodino e in virtù di queste le fu concesso di sfilare per prima nella città di Mosca dopo l'occupazione e per decisione di Napoleone il Reggimento Fanteria di Linea della Guardia Reale cambiò denominazione diventando Reggimento Granatieri della Guardia Reale.

Il 24 ottobre 1812 le truppe del contingente italiano, sotto il comando di Giuseppe Sacchini, furono duramente impegnate nella battaglia di Malojaroslavec da violente controffensive russe nel corso delle quali persero e riconquistarono più volte la città; nella cronaca del tempo questa battaglia passò alla storia con il nome di "Battaglia degli italiani".[10]
«L'onore di questa giornata appartiene totalmente a voi e ai vostri bravi Italiani, i quali hanno deciso una così brillante vittoria.»

(Napoleone Bonaparte al viceré Eugenio di Beauharnais)
«... il 24 corrente il IV Corpo che io comando ha sostenuto brillante combattimento contro il nemico. Ci si doveva impadronire di una posizione da mantenere per tutta la giornata. E ciò fu fatto dal solo IV Corpo. malgrado le difficoltà del terreno e nonostante l'Esercito nemico avesse diretto contro di noi ben otto attacchi consecutivi. Le forze dei russi erano più che doppie delle nostre. La Divisione italiana ha spiegato molto coraggio ed intrepidezza; la Guardia Reale ha dimostrato molto sangue freddo. I due battaglioni cacciatori hanno avuto occasione di distinguersi.»

(A sua volta il viceré Eugenio di Beauharnais al ministro della guerra del Regno d'Italia)
Dopo la ritirata dalla Russia alcuni reggimenti italiani furono impiegati anche nella Battaglia di Lipsia sempre nel IV Corpo d'armata, altri nell'VIII Corpo al comando del principe Józef Antoni Poniatowski.

«I segnalati servigi che gli Italiani hanno reso in questa campagna mi hanno colmato di giubilo. La loro fedeltà intemerata, in mezzo alle tante seduzioni adoperate dai nostri nemici e ai loro esempi, la loro intrepida costanza dimostrata fra i rovesci e le sventure di ogni specie, mi hanno sensibilmente commosso. Tutto ciò mi ha confermato che bolle sempre nelle vostre vene il sangue dei dominatori del mondo.»
(Napoleone Bonaparte accomiatandosi dalle truppe italiane, Magonza novembre 1813)

L'esercito del Regno d'Italia si ritirò ordinatamente nei territori del regno dove sostenne vittoriosamente una prima offensiva austriaca sul Carso, ma con la caduta di Napoleone la Guardia Reale fu ufficialmente sciolta il 30 maggio 1814. Gli ufficiali ebbero il privilegio di poter mantenere tutte le decorazioni e di poter essere reintegrati nell'esercito austriaco con il proprio grado. La truppa fu regolarmente congedata.

Gradi militari
I gradi dell'esercito del Regno d'Italia erano identici, come per tutte le armate napoleoniche, ai gradi della Grande armata.
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Esercito del Regno di Napoli

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Esercito del Regno di Napoli
https://it.wikipedia.org/wiki/Esercito_ ... _di_Napoli

L'Esercito del Regno di Napoli, attivo durante il decennio francese, ovvero allorquando il regno borbonico fu conquistato e governato dai napoleonidi, fu una forza armata di terra che prese parte, al fianco della Grande Armata, a molte delle principali campagne delle guerre napoleoniche. Con l'occupazione napoleonica e la creazione del nuovo regno nel 1806 il trono napoletano venne affidato in un primo momento a Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone. Nel 1808, fino al 1815, il trono napoletano fu occupato invece da Gioacchino Murat, uno dei più brillanti comandanti militari dell'impero napoleonico.

Storia

Giuseppe Bonaparte
Nel 1806 il Regno di Napoli fu occupato dalle truppe napoleoniche, mentre le truppe Borboniche, sconfitte, si rifugiarono al seguito del re Ferdinando IV in Sicilia. Il 15 febbraio 1806 infatti Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone, entrò a Napoli alla testa di un corpo di spedizione franco-italiano che, dopo aver sconfitto le truppe borboniche a Campo Tenese, si impadronì di tutta la parte continentale del regno (se si escludono le fortezze di Gaeta, Civitella del Tronto e l'estremo sud della Calabria, che continuarono a resistere all'assedio francese per molto tempo). Nell'aprile dello stesso anno Giuseppe Bonaparte si proclamò "re delle Due Sicilie", diventando fautore di una politica innovatrice in campo politico e legislativo, e cominciando a dotarsi di un esercito proprio, con reparti formati dai nuovi sudditi. Il nuovo esercito nazionale si affiancò in un primo momento all'Armata di Napoli francese, che rimase nel regno ancora per qualche anno.

La costituzione del nuovo esercito inizialmente si dimostrò ardua: le resistenze filo-borboniche nei primi anni del decennio francese erano ancora diffuse e il nuovo modello di leva obbligatoria introdotto da Giuseppe Bonaparte nel 1807 non diede i risultati sperati. Vennero così creati 2 reggimenti di Fanteria di Linea napoletani, sul modello francese, dotati di 4 battaglioni ciascuno. Questi due reggimenti furono subito inviati fuori dal regno, prima in Italia settentrionale e poi in Spagna (Guerra d'indipendenza spagnola). Durante queste campagne, a causa dei ritardi provocati dall'introduzione della coscrizione obbligatoria, i rinforzi vennero in buona parte reclutati nelle carceri. Questo metodo, usato per tutto il 1808, fu oggetto di aspre critiche da parte di Napoleone e venne definitivamente eliminato con la salita al trono di Napoli di Gioacchino Murat, avvenuta il 1º agosto 1808.[1]

Gioacchino Murat
Gioacchino Murat salì al trono di Napoli il 1º agosto 1808, dopo la nomina di Giuseppe Bonaparte a re di Spagna. Ferma intenzione del nuovo sovrano era quella di dotare il regno di un numeroso e moderno esercito nazionale. In questo proposito fu aiutato dallo stesso Napoleone, che con la convenzione di Bayonne impose al Regno di Napoli di fornire all'Impero almeno 16.000 fanti e 2.500 cavalieri. Nel fare questo Murat decise di usare la leva obbligatoria come forma di reclutamento principale, riuscendo infine ad accattivarsi le simpatie del popolo e a risolvere i problemi sorti durante il regno di Giuseppe Bonaparte. Anche la Marina fu ingrandita e, nonostante non fosse ancora in grado di contrastare la flotta inglese, conseguì un importante successo riuscendo quello stesso anno a conquistare l'isola di Capri, già nelle mani di sir Hudson Lowe.[2]

Nel 1809 il nuovo re costituì il 3º Reggimento di Fanteria di Linea, organizzandolo su un modello originale formato da 3 battaglioni (4 in guerra) di 7 compagnie ciascuno (di cui due scelte di granatieri e volteggiatori), con uno stato maggiore e uno minore. Con minime variazioni questa divenne la struttura-tipo dei reggimenti di linea napoletani. Puntando sul carattere rude e deciso degli abitanti degli Abruzzi e delle Calabrie, nel 1809 Murat costituì anche due reggimenti di fanteria di linea a reclutamento regionale: il 4° "Real Sannita" e il 5° "Real Calabria". Nel 1810, per sopperire alle perdite riportate in Spagna e nella spedizione in Sicilia, venne creato il 6º Reggimento Fanteria di Linea "Napoli", formato da elementi della Guardia Municipale di Napoli. Nello stesso anno venne incorporato nell'esercito napoletano anche un ex-reparto francese formato da soldati di colore, che divenne il 7º Reggimento di Fanteria di Linea "Real Africano". Nel 1811, a Saragozza, fu creato l'8º Reggimento di Fanteria di Linea, formato dai rinforzi inviati da Napoli al 1° "Re" e al 2° "Regina" di linea, reggimenti da lungo tempo impegnati nella guerra spagnola. Il 1812 vide l'esercito napoletano impegnato in Spagna, Russia e in Polonia, contro le potenze della sesta coalizione. In questo periodo si fece pienamente ricorso a tutte le classi di leva e alla riserva, riuscendo, nonostante il grande sforzo, appena a ricolmare le perdite subite.[3]

Nel 1813, tornato a Napoli dalla Russia, Murat decise che per salvare il proprio trono era giunto il momento di staccarsi dalla causa napoleonica, ormai vacillante dopo la sconfitta di Lipsia. Con questo intento richiamò tutti i reggimenti in patria, li dotò di una compagnia di artiglieria ciascuno e formò il 9º Reggimento Fanteria di Linea. Nei primi mesi del 1814 tutti i reggimenti napoletani parteciparono alla breve campagna contro le truppe napoleoniche nell'Italia centro-settentrionale, occupando Roma, la Toscana, l'Emilia e le Marche. Alla fine della campagna le truppe napoletane rimasero stanziate nelle Marche, provocando le proteste del Papa, tuttavia ignorate da Murat.[3]

Nonostante la pace raggiunta, Murat ben presto si pentì di aver abbandonato Napoleone (in quel periodo all'Elba) e i nuovi alleati, Austria e Inghilterra, non gli davano troppo affidamento. Così, alla metà del 1814, il governo napoletano riallacciò i rapporti con Napoleone, decidendo per un ulteriore potenziamento delle forze armate in vista di un imminente ritorno alla guerra. Vennero per l'occasione costituiti il 10º Reggimento Fanteria di Linea, l'11° (grazie ai volontari italici dislocati nelle Marche) e il 12°, ultimo Reggimento di linea, formato dai reduci di Danzica. Il 1815 vide tutti i reggimenti napoletani impiegati nella guerra contro l'Austria. Questa guerra nacque dalla volontà del re di Napoli di unificare la penisola italiana sotto la propria corona, in modo da permettere a Napoleone, ritornato nel frattempo sui campi di battaglia, di disfarsi della minaccia austriaca. Conquistata tutta l'Italia centrale in meno di un mese, l'esercito di Murat occupò le rive del Po dall'Adriatico fino a Reggio Emilia. Il 30 marzo 1815 il sovrano, per ovviare all'inferiorità numerica nei confronti degli austriaci, emise il "Proclama di Rimini", che chiamava tutti gli italiani a battersi sotto le bandiere napoletane per l'indipendenza nazionale. Questo appello tuttavia diede magri risultati: le popolazioni locali, stanche della guerra, fornirono solo poche centinaia di volontari (in gran parte ex-ufficiali italici). L'avanzata napoletana oltre il Po fu respinta dagli austriaci a Occhiobello, costringendo Murat a ripiegare fino alle Marche dopo una lunga e combattuta ritirata. In questa regione, e precisamente a Tolentino, l'esercito napoletano fu sconfitto in maniera decisiva dagli austriaci. Benché la battaglia non avesse avuto un esito negativo per le truppe di Murat, il sovrano decise di ritirarsi immediatamente a Napoli dopo aver ricevuto notizie, probabilmente esagerate, su possibili sollevazioni filo-borboniche e su un intervento inglese sui mari.

Nel frattempo le truppe austriache avevano provveduto a rioccupare buona parte del versante tirrenico della penisola, ricollocando il Papa Pio VII a Roma e giungendo fino a San Germano (l'Attuale Cassino). Qui l'esercito napoletano di Murat fu sconfitto per l'ultima volta dagli austriaci, in decisiva superiorità numerica. Il 19 maggio Gioacchino Murat si rifugiò nel Gargano con l'intenzione di ritornare a Parigi, mentre i suoi generali firmavano la resa decretata dal Trattato di Casalanza. Murat, in un primo momento deciso a raggiungere Napoleone, escogitò un piano per ritornare trionfalmente a Napoli con un manipolo di poche centinaia di fedelissimi. Tuttavia in seguito a una tempesta fu costretto a sbarcare in Calabria, a Pizzo, dove il 13 ottobre 1815 fu catturato e fucilato dai reparti borbonici.

Con la sconfitta di Murat il Regno di Napoli ritornò in possesso di Ferdinando IV di Borbone, che l'8 dicembre 1816 decise di prendere il titolo di Ferdinando I, re del nuovo Regno delle Due Sicilie. Quest'esito finale tuttavia permise ugualmente all'esercito che era stato di Murat di veder riconosciuti i suoi diritti. Quest'esercito non venne sciolto, ma amalgamato con l'altro esercito che i Borbone avevano provveduto a conservare durante il loro esilio in Sicilia. L'Esercito delle Due Sicilie infatti, così come gran parte delle istituzioni del nuovo regno, si basò in grandissima parte sugli ordinamenti e sulla legislazione del decennio francese. L'esercito murattiano tuttavia donò alla nuova forza armata borbonica anche un'altra eredità: quella del liberalismo e del costituzionalismo, che di lì a pochi anni germogliò con i moti del 1820, i primi del Risorgimento italiano, proprio a causa degli ufficiali che combatterono al servizio di Gioacchino Murat.

Le campagne
Il primo compito affidato alle truppe napoletane al di fuori dei confini nazionali fu la difesa delle guarnigioni dell'Italia del nord, in particolare di Mantova, nel 1807. Con l'ascesa al trono di Gioacchino Murat, avvenuta nel 1808, il ruolo delle truppe napoletane mutò radicalmente: il loro impiego venne attuato su tutti i maggiori fronti napoleonici, fino alla caduta del sovrano (maggio 1815).

Campagna di Spagna
Nel gennaio 1808 entrò in Spagna la divisione napoletana al comando del generale Lechi, andando a occupare in un primo momento le piazzeforti di Barcellona. Con l'abdicazione del re Carlo IV, a Madrid scoppiò una rivolta popolare che si estese velocemente a tutta la Spagna. Le truppe napoletane furono costrette a reprime la reazione popolare, a cui nel frattempo si aggiunse quella delle truppe spagnole. Cominciò così un'aspra guerriglia, in cui a battaglie campali vere e proprie si alternarono agguati e imboscate da parte dei partigiani spagnoli. Nel giugno del 1808 le truppe napoletane parteciparono all'assedio di Girona per volere del generale francese Duhesme. Seguì un difficile rientro a Barcellona, che durante l'assenza delle truppe cadde completamente in mano ai rivoltosi, supportati dall'intera popolazione locale. La città venne così assediata con gravi perdite fino al 16 dicembre del 1808, quando grazie all'intervento del maresciallo Saint-Cyr si riuscì di nuovo a rioccupare la capitale catalana. Il comandante francese non mancò per l'occasione di elogiare il comportamento tenuto dalle truppe napoletane, e in particolare dal maggiore D'Ambrosio (futuro generale). L'arrivo dei rinforzi da Napoli avvenne via terra: le truppe di rincalzo furono costrette ad aprirsi la strada combattendo fino a Barcellona, e appena arrivate furono destinate all'assedio di Girona con l'intera divisione napoletana. Nell'agosto del 1809, dopo l'apertura di una breccia nelle mura della città catalana, si tentò una sortita nella piazzaforte a cui parteciparono molti battaglioni scelti napoletani, ma l'assalto non riuscì e le truppe murattiane furono falcidiate. I reparti napoletani vennero così inviati a Figueras per la ricostruzione, senza poter assistere alla caduta di Girona avvenuta nel dicembre del 1809.[4]

Nel 1810 Murat decise di mandare in Spagna altri reparti freschi napoletani per un totale di circa 6.000 uomini, al comando del generale Francesco Pignatelli-Strongoli, coadiuvato da Florestano Pepe. La divisione napoletana fu impiegata nella repressione della guerriglia alla periferia di Barcellona, e nella difesa dalle navi inglesi sulla costa. Tuttavia i rapporti tra i comandanti napoletani e quelli francesi divennero ben presto pessimi: Pignatelli-Strongoli per questo motivo fu costretto a rientrare in patria alla fine dell'anno. Il suo posto venne preso dal generale Ferrier, che ridusse le dimensioni della divisione napoletana, relegandola a compiti di sorveglianza sull'Ebro. La brigata napoletana quindi partecipò alla battaglia di Calatayud, per essere poi trasferita a Valencia. Successivamente la brigata si distinse nell'assedio del castello di Oropesa. Le truppe napoletane furono poste, nei primi mesi del 1812, al comando di Guglielmo Pepe, che decise di stanziarsi a Saragozza. Da Saragozza i reparti vennero trasferiti a Castellón de la Plana, dove vennero gradualmente smembrati nei vari distaccamenti circostanti nel tentativo di reprimere la guerriglia filo-spagnola. Anche Guglielmo Pepe tuttavia fu richiamato in patria per dissidi con i francesi, così nel 1813 la brigata napoletana fu trasferita nuovamente a Saragozza, venendo impiegata contro i guerriglieri locali. Ricolmate per l'ultima volta le perdite, la brigata napoletana partecipò alle ultime azioni della guerra di Spagna seguendo le sorti delle altre truppe napoleoniche. I reparti che più si impegnarono sul fronte spagnolo furono il 1º, il 2º e l'8º Reggimento Fanteria di Linea.

Campagna di Russia e di Germania
A partire dalla primavera del 1812, al comando di Murat, circa 10.000 soldati partirono dal reame di Napoli per la campagna di Russia. Solo nel 1814, in seguito alla disfatta generale dell'armata napoleonica, le truppe napoletane si ritirarono nei territori del regno.

La divisione napoletana fu posta al comando di Florestano Pepe e comprendeva i seguenti reparti: I Brigata al comando del maresciallo di campo Rosaroll (5º Reggimento Fanteria di Linea, 6º Reggimento Fanteria di Linea, Marinai della Guardia Reale), II Brigata al comando del maresciallo di campo D'Ambrosio (7º Reggimento Fanteria di Linea, Veliti della Guardia Reale, 5 squadroni di cavalleria della Guardia Reale e una compagnia d'artiglieria a cavallo). Partiti a fine aprile i napoletani impiegarono 5 mesi per attraversare l'Europa, arrivando nella Polonia orientale (odierna Bielorussia) all'inizio dell'autunno. A fine ottobre la divisione napoletana venne schierata in Lituania, a Kowno e a Wilna, dove la cavalleria della Guardia ebbe l'onore di scortare lo stesso Napoleone nella fase finale della sua ritirata, subendo gravi perdite soprattutto a causa del clima. La stessa sorte toccò ai Veliti, che coprirono la ritirata della Grande Armata fino a Kowno, perdendo 1.200 uomini tra morti e feriti.[4]

I Marinai e altre compagnie scelte vennero invece aggregati in un nuovo reggimento formato appositamente per coprire la ritirata dei reparti francesi. A questo reggimento si aggiunse poi il 4º Reggimento Fanteria Leggero, spedito appositamente da Napoli. Questa brigata napoletana venne incorporata nella 31ª Divisione (gen. Gerard) dell'XI Corpo d'armata francese, e seguì la Grande Armata dalla Slesia fino a Dresda combattendo assiduamente. Nel maggio del 1813 i napoletani furono impiegati nella controffensiva napoleonica ad Eissdorf, e poi a Bautzen e Lützen, subendo gravi perdite. Al momento dell'armistizio di Pleiswitz lo stesso Napoleone decorò della legion d'onore il comandante napoletano Mac Donald, insieme a parecchi ufficiali e soldati. Alla ripresa delle ostilità la brigata partecipò alla battaglia di Lipsia, poi venne impiegata ad Hanau e, nel novembre 1813, i pochi superstiti furono finalmente rimpatriati.

«Io partecipavo ad un pregiudizio di scarsa stima delle truppe napoletane: esse mi hanno colmato di meraviglia a Lutzen, a Bautzen, in Danzica e ad Hanau. I famosi Sanniti, loro avi, non avrebbero combattuto con maggior valore. Il coraggio è come l'amore, ha bisogno di alimento.»
(Napoleone Bonaparte accomiatandosi dalle truppe italiane, Magonza novembre 1813)

I reparti di linea vennero invece stanziati a Danzica, dove si attendeva l'arrivo delle armate russe. L'assedio iniziò il 21 gennaio 1813 e si protrasse per quasi un anno. All'inizio dell'assedio alcune compagnie napoletane si trovavano a Stettino per compiti di scorta, furono costrette a rientrare a Danzica combattendo. Il gelo, la fame, le malattie e le numerose ricognizioni offensive al di fuori delle mura, provocarono forti perdite tra le truppe murattiane. Il 9 giugno il comandante della piazza di Danzica, generale Jean Rapp, impiegò le truppe napoletane nella sua controffensiva, causando altre perdite. Due giorni dopo fu firmata una tregua, e i comandanti napoletani ne approfittarono per mandare a Murat dei rapporti elogiativi sul comportamento delle loro truppe. Lo stesso generale francese Detres fece pervenire al sovrano una relazione riportante ottime impressioni sui soldati napoletani, relazione pubblicata poi sul "Monitore delle Due Sicilie". Al contrario delle notizie provenienti dalla Spagna infatti, le notizie provenienti dal fronte russo furono puntualmente pubblicate sulla stampa napoletana.

Due mesi e mezzo dopo la tregua, si ebbe la controffensiva russa del 29 agosto 1813, respinta, in cui i napoletani persero alcune centinaia di uomini. Nel mese di settembre vi fu un nuovo attacco russo, respinto dai napoletani al fianco dei soldati bavaresi e westfaliani, al prezzo di 200 morti. Man mano però il cerchio russo si strinse intorno alle mura di Danzica, e l'impiego dell'artiglieria da parte dei russi provocò numerosi e gravi incendi nella città anseatica, fatta principalmente di costruzioni di legno. Il generale Rapp, intuendo l'inutilità di protrarre la difesa della piazzaforte, chiese alla fine di novembre ai russi di poter abbandonare la città con le sue truppe, ma la proposta francese incontrò un netto rifiuto da parte dello Zar. A questo punto i comandanti napoletani suggerirono al Rapp di aprirsi la strada combattendo attraverso gli schieramenti assedianti, ma il generale francese optò più saggiamente per una resa incondizionata. Alla fine dell'assedio le truppe napoletane corrispondevano a quasi la metà (1.700 soldati) di quelle presenti all'inizio delle operazioni (3.200 soldati). I napoletani inoltre furono, tra i contingenti di diverse nazionalità presenti (francesi, tedeschi, polacchi), quelli che ebbero il minor numero di diserzioni, 22 in tutto.[5] Il 7 gennaio 1814 i napoletani superstiti furono quindi avviati verso la prigionia russa. Dopo pochi giorni però, il passaggio di Murat dalla parte degli alleati, rese loro la libertà. Con una lunga marcia compiuta in perfetto ordine, tanto da destare l'ammirazione delle autorità civili e militari dei paesi attraversati, i napoletani percorsero la Slesia, la Sassonia e l'Austria, si imbarcarono a Trieste e così raggiunsero Ancona e Barletta. Giunti infine a Napoli, come premio per il loro comportamento, Murat incluse i reduci di Danzica nella Guardia reale.[4]

Sulla condotta dell'esercito napoletano durante la campagna di Russia, lo storico Raffaele de Cesare così si espresse:

«Durante l'impero napoleonico, i napoletani che combattevano in Ispagna, vennero lodati dai marescialli Suchet e Saint Cyr; nel 1812 Murat ne condusse nella campagna di Russia dieci mila, i quali fecero prodigi e nella tremenda ritirata di Mosca, Napoleone non ebbe altra scorta che di cavalieri napoletani, comandati da Roccaromana e da Piccolellis, il quale guidava i cavalli della carrozza dov'era l'Imperatore. Questi diecimila napoletani erano comandati da Florestano Pepe, da Rossaroll, da D'Ambrosio, da Cianciulli, da Costa, da Arcovito, da Roccaromana, da Piccolellis e da Campana. Nella famosa ritirata di Mosca il freddo colpì i due colonnelli Campana e Roccaromana e a Florestano Pepe si gelarono i piedi. Dopo Lutzen, Napoleone pubblicò quest'ordine del giorno:

"S. M. l'Imperatore dei francesi e Re d'Italia, volendo dare alle truppe napoletane che fanno parte del grande esercito, una pruova della sua soddisfazione, pel coraggio da esse addimostrato nelle battaglie di Lutzen, con decreto del 22 maggio ha loro conceduto ventisei decorazioni della legion d'onore, da distribuirsi ai militari dei diversi gradi e classi, che si sono maggiormente distinti."
Murat ne fece di sua mano la distribuzione. A Danzica le truppe napoletane ebbero elogi dal maresciallo Rapp; e qualche anno dopo combattettero valorosamente, benché infelicemente, a Modena e a Macerata, condotti dallo stesso Murat.»

(Raffaele de Cesare, La fine di un Regno, Volume I)

Campagna del 1814
Sul finire del 1813 l'esercito napoletano venne inviato in Italia settentrionale con l'obiettivo ufficiale di schierarsi contro gli austriaci a difesa di Napoleone, tenendo tuttavia un atteggiamento ostile nei confronti degli italici. La reale intenzione di Murat però era quella di trovare un accordo con gli alleati per conservare il trono di Napoli dopo la disfatta di Russia. Nel frattempo le truppe napoletane occuparono tutta l'Italia centrale: al momento dell'accordo tra Murat e gli alleati quindi l'esercito napoletano entrò facilmente in possesso di tutte le province occupate. Il 1°, il 2º e il 3º Reggimento Fanteria di Linea vennero inviati nella valle del Po, dove avrebbero dovuto coadiuvare l'azione anglo-austriaca contro i franco-italici. Tuttavia la collaborazione coi nuovi alleati fu scarsa, l'unica battaglia degna di nota a cui parteciparono i reggimenti napoletani fu quella di Reggio Emilia, avvenuta il 7 marzo 1814.

La guerra austro-napoletana
L'esercito napoletano fu impiegato anche nel notevole tentativo di Murat di unificare l'Italia, l'ultima sua operazione militare. Nel marzo 1815 infatti, con 35.000 fanti, 5.000 cavalieri e 60 cannoni, il sovrano si diresse alla conquista del nord Italia nel tentativo di creare un baluardo "italiano" contro la minaccia austriaca nei confronti dell'Impero napoleonico.

Nel marzo del 1815 Murat raggiunse con la III Divisione le Marche, dove, dall'anno precedente, in seguito alla campagna nell'Italia centro-settentrionale intrapresa dal sovrano contro i franco-italici, erano stanziate la I e la II Divisione napoletana. Contemporaneamente ordinò alla Divisione della Guardia Reale di avanzare attraverso il territorio laziale e toscano sul versante tirrenico della penisola. Murat decise di lasciare a difesa del Regno solo la IV Divisione, in corso di organizzazione. Gli austriaci avevano in Italia circa 50.000 uomini, di cui 25.000 alla destra del Po.[4]

Il 4 aprile si ebbe il primo vero combattimento: i napoletani riuscirono a passare il Panaro battendo gli austriaci, mentre la brigata Pepe marciava su Carpi. Entrato trionfalmente a Bologna, il re lanciò un proclama nella speranza di raccogliere nuovi soldati dalle province emiliane, ma solo poche centinaia di volontari raggiunsero le truppe napoletane. A quel punto Murat rivolse la sua attenzione al ponte di Occhiobello, nella speranza di attraversare il Po e congiungersi così a varie formazioni di volontari della Lombardia, regione in cui sperava di trovare il sostegno materiale che non aveva trovato in Emilia. Nel frattempo però gli austriaci avevano provveduto a fortificare la zona con efficaci trinceramenti: il 7 e l'8 aprile, nonostante gli sforzi, i napoletani non riuscirono a formare una testa di ponte salda, anzi subirono il contrattacco austriaco che però venne respinto. Gli austriaci attaccarono anche a Carpi, venendo nuovamente respinti dai napoletani. Nei giorni seguenti si tentò un nuovo attacco al ponte di Occhiobello, terminato con un niente di fatto. Così Murat, ricevendo anche notizie di un possibile intervento inglese contro il suo regno, decise di ritirarsi dal Po per raggiungere posizioni meglio difendibili. Allo stesso tempo fu ordinato alla Guardia Reale di abbandonare Firenze e di dirigersi su Pesaro.[4]

Il 14 aprile iniziò il ripiegamento, assai ordinato. I napoletani ebbero facilmente la meglio sugli austriaci che tentavano di sbarrargli la strada a Borgo Panigale. Scontri meno favorevoli si ebbero invece a Cesenatico e al passaggio del Ronco, senza tuttavia incidere sulle truppe, che proseguirono ordinatamente la loro lenta ritirata. Nel frattempo però gli austriaci del generale Nugent escogitarono un piano per tagliare la strada alla ritirata napoletana: attraversarono gli Appennini al Colfiorito nel tentativo di raggiungere le Marche prima delle truppe murattiane, ricevendo anche rinforzi toscani e pontifici. Solo quando Murat raggiunse Ancona scoprì che il nemico stava per chiuderlo in una tenaglia. Fortunatamente per lui, nonostante la velocità di Nugent e di Bianchi attraverso l'Appennino, le truppe austriache al comando di Neippberg, che lo seguivano da Bologna, erano ancora distanti. Così il re di Napoli decise di scontrarsi prima con la colonna di Bianchi a Tolentino, per poi rivolgersi contro Neippberg. Il 1º maggio Murat concentrò a Macerata le divisioni D'Ambrosio, Lechi e della Guardia Reale, inviandole a Tolentino il giorno successivo. Bianchi invece decise di schierare le truppe austriache sull'unica strada che portava da Tolentino a Macerata, nella valle del Chienti. Il terreno circostante, accidentato e bagnato, favoriva la difesa austriaca e ciò nonostante Murat decise di utilizzare solo una parte delle truppe disponibili nell'attacco. La mattina del 2 maggio l'attacco napoletano ebbe inizio con un assalto guidato dal generale D'Ambrosio, che riuscì a far indietreggiare le truppe austriache fin quasi al paese di Tolentino, dopo aver combattuto per tutto il giorno con gravi perdite (lo stesso D'Ambrosio fu ferito). Il 3 maggio Murat attaccò nuovamente Bianchi, facendolo ulteriormente indietreggiare e conquistando il castello della Rancia. Tuttavia una parte delle truppe napoletane, quelle comandate dal generale D'Aquino, che aveva ordinato ai suoi battaglioni un'inadeguata formazione da battaglia campale, venne respinta dalle cariche della cavalleria austriaca. Anche il terreno, viscido e brullo, non favorì l'avanzata napoletana. Queste circostanze sfavorevoli tuttavia non incisero sulle sorti dello scontro per i napoletani, ancora in bilico. A quel punto Murat avrebbe potuto ancora volgere la situazione in suo favore, ma quando seppe che una parte delle truppe austriache si stava dirigendo verso gli Abruzzi dopo aver occupato Roma, decise in tutta fretta di rompere il contatto col nemico e di ripiegare al più presto verso il suo regno.

La ritirata si dimostrò già dal principio ardua: a Macerta, dove lo Stato Maggiore napoletano intendeva concentrare le truppe per riorganizzarle, si ebbe una cruenta battaglia con gli austriaci, e i napoletani furono costretti ad aprirsi la strada verso sud combattendo e subendo ingenti perdite. Le condizioni meteorologiche peggiorarono e l'attraversamento dei fiumi marchigiani, ingrossati e spesso privi di ponti, comportò un grande numero di annegati. Poco a poco la ritirata si trasformò in rotta, anche se le retroguardie dello schieramento napoletano seppero fino all'ultimo tenere a bada le avanguardie austriache. Nel frattempo, il 13 maggio, giunse in soccorso di Murat la IV Divisione, e solo così i napoletani riuscirono a evitare la disfatta totale, sconfiggendo gli austriaci a Castel di Sangro. Murat raggiunse rapidamente Capua con la sua divisione, e ne approfittò per proclamare la Costituzione, con la speranza di stringere la popolazione intorno al trono. Ma era troppo tardi: la flotta inglese aveva già preso possesso del porto di Napoli e la IV Divisione era stata annientata dagli austriaci a Cassino. Solo le piazzeforti di Ancona, Pescara e Gaeta, assediate, resistevano ancora.[4]

Il 20 maggio, a Casalanza, Carrascosa e Bianchi stipularono una convenzione che pose termine alla guerra e che, al contempo, garantiva all'esercito murattiano la conservazione dei suoi diritti anche sotto la monarchia borbonica, appena reinsediatasi sul trono di Napoli. Il 22 maggio il generale Bianchi entrò a Napoli con Ferdinando IV di Borbone, ponendo fine al "decennio francese". Le fortezze di Ancona e Pescara aprirono le porte appena ebbero notizia del trattato di Casalanza, mentre Gaeta continuò a resistere: il generale Begani, comandante della piazzaforte, rifiutava di arrendersi se non dietro espresso ordine di Gioacchino Murat. Così venne portata a Gaeta anche la squadra inglese, e l'assedio fu rinforzato con altri contingenti austriaci, pontifici e borbonici. Nella fortezza di Gaeta invece erano schierati, oltre agli artiglieri, alcuni battaglioni del 10° e del 12° di Linea. La situazione all'interno della piazza era assai difficile, tutti sapevano che la guerra era ormai finita, ma la tenacia e la decisione delle ultime truppe murattiane resero possibile il prolungamento della difesa. La flotta inglese intensificò i bombardamenti contro la cittadella, così come le truppe di terra, e a fine giugno affluirono nuovi rinforzi e nuovi cannoni per gli assedianti. Oltre alle cannonate vennero lanciati sulla fortezza anche numerosi inviti alla resa, ma dalla piazzaforte si rispose sempre col fuoco. Nel frattempo Napoleone era stato sconfitto definitivamente a Waterloo e Luigi XVIII reinsediato a Parigi. Ma nonostante ciò a Gaeta si combatteva ancora. Solo il 5 agosto Begani intavolò trattative di resa, chiedendo solo che Gaeta fosse consegnata direttamente a Ferdinando IV, e non a stranieri (in modo da evitare il precedente di Malta), e che i suoi uomini potessero giovarsi della convenzione di Casalanza. Ottenne tutto quanto richiesto e l'8 agosto 1815 la bandiera murattiana venne ammainata per sempre. Begani partì per un lungo esilio, mentre il fragore delle cannonate (le ultime delle guerre napoleoniche) a Gaeta finalmente terminò.

Ordine di Battaglia (1815) https://it.wikipedia.org/wiki/Esercito_ ... lia_(1815)
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Re: Eserciti periodo napoleonico

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La battaglia napoleonica
Nicola Zotti
http://www.warfare.it/tattiche/battagli ... onica.html

La battaglia napoleonica non deve essere considerata un conflitto materiale tra due fronti contrapposti, dove quello più numeroso o con più cannoni deve vincere matematicamente: una battaglia è innanzitutto lo scontro tra opposte forze morali, tra due volontà incompatibili che vogliono prevalere l'una sull'altra. La vittoria non premia chi "ha ucciso" più nemici, ma chi ha distrutto nel nemico la determinazione di resistere.

Gli alti comandi prestano molta cura nel pianificare la battaglia, nello schierare gli uomini e nel programmare la sequenza con la quale dovranno scendere in campo.

Se i generali hanno la pertinenza cruciale del piano di battaglia e quella di guidare la manovra delle truppe, queste ultime sono le uniche depositarie di due importanti elementi costitutivi della battaglia: la distruzione e la decisione, ovvero l'azione di fuoco e l'urto.

La fanteria è la più importante delle armi perché può svolgere tutte le funzioni: può distruggere l'avversario sparando, può scacciarlo dal campo con le cariche alla baionetta, può sostenere la difesa senza nessun aiuto.

L'artiglieria è insostituibile nella distruzione, aprendo varchi paurosi tra i nemici, ma non può fare nè reggere l'urto.

La cavalleria non potrà mai competere con le altre specialità per la capacità di distruggere il nemico con le armi da fuoco, né può essere utilizzata come base nella difesa, perché la cavalleria che sostenesse da ferma una carica sarebbe inevitabilmente spazzata dal terreno.

La cavalleria è inferiore alle altre armi in tutto, tranne che in una caratteristica, in cui invece eccelle: la mobilità. Questa qualità è indispensabile per le riserve e per l'attacco, perché aumenta l'imprevedibilità dell'azione e perché la velocità moltiplicata per la massa provoca una forza d'urto formidabile.

La battaglia è spesso molto lunga. Le forze vengono gettate nella mischia come carbone in una fornace: il vincitore è inevitabilmente chi mantiene il proprio fuoco acceso più a lungo. Il decorso operativo della battaglia è diametralmente opposto a quello strategico della campagna: tanto questo è teso all'annientamento del nemico, fine per il quale tutte le forze sono simultaneamente impegnate, quanto la battaglia è, invece, una forma di lotta per logoramento.

Per questo motivo i comandanti schierano le proprie truppe su linee successive e hanno gran cura nel tenere a disposizione una riserva che verrà utilizzata solo in casi di estrema necessità: mai Napoleone fu tanto avaro quanto nell'impegnare la Guardia.

Un intenso fuoco di artiglieria dà il via alla battaglia. Raramente essa viene usata in controbatteria perché l'effetto è tanto ininfluente da essere considerato uno spreco di munizioni. Invece l'obiettivo prediletto dagli artiglieri sono le grandi formazioni di fanteria o di cavalleria che si tenta di colpire trasversalmente e non di fronte, in modo che i proiettili compiano il percorso più lungo possibile attraverso le unità: d'infilata o contro i quadrati o le colonne l'effetto è tremendo: un solo proiettile può falciare dozzine di uomini.

Ben presto il campo di battaglia è nascosto alla vista da nuvole di fumo acre e denso e i comandanti in capo dovranno fare affidamento sui messaggi che giungono loro dalla linea del fronte per capire che cosa sta succedendo: in questo modo essi si formano una visione complessiva dell'andamento della battaglia.

Gli ufficiali ai livelli inferiori, invece, conoscono solo ciò che avviene nel loro raggio visivo e sono, né più e né meno che i loro uomini, ingranaggi di un meccanismo più grande: il loro compito si limita ha trovare il modo più opportuno per realizzare gli ordini ricevuti.

Dopo il fuoco preparatorio inizia a muovere la fanteria. Al ritmo del tamburo i fanti marciano verso i propri obiettivi. Il rullio è ossessivo ma indispensabile per mantenere la cadenza del passo: per il resto verranno distribuiti pochi ordini. E pochi potrebbero essere ubbiditi, perché il rumore, la tensione, e il fatto che le truppe sono state "caricate" con bevande alcooliche – talvolta fino ad essere ubriache fradice – certamente non facilitano l'esecuzione di manovre molto complicate.

Davanti alla linea di fanteria agiscono gli schermagliatori che sparano contro gli ufficiali o tormentano le truppe con i loro tiri mirati. Sono abilissimi nel ritardare i movimenti avversari, ma anche molto vulnerabili dagli attacchi corpo a corpo e praticamente indifesi contro le cariche di cavalleria: all’approssimarsi di una minaccia consistente devono cedere il passo alla fanteria di linea.

La fanteria di linea ha marciato il più possibile in colonna e poi, a distanza di sicurezza dietro la protezione fornita dagli schermagliatori, si è dispiegata in linea.

Quindi è avanzata verso il nemico: l'ordine della formazione in questo momento è vitale: una linea che scarica all'unisono i moschetti a distanza ravvicinata può avere un'efficacia del 90%.

L'ufficiale dirige il tiro contro il centro della formazione nemica per limitare gli svantaggi della dispersione del proiettili.

I fanti seguono le cadenze del caricamento in modo sempre più convulso: i più inesperti non si accorgono se il fucile ha fatto cilecca e infileranno nella canna un'altra palla e poi un'altra ancora: tirando il grilletto brucerà appena la polvere nello scodellino ma un soldato impaurito non nota la differenza.

I fanti più furbi, invece, ridurranno il doloroso rinculo del moschetto contro la spalla versando un po' della polvere nera per terra anziché nella canna.

Ben presto anche di fronte alle linee di fanteria si accumuleranno le nuvole degli spari. I proiettili escono dalla canna in modo relativamente lento ma sono pesanti e provocano ferite spaventose.

Una dopo l'altra le formazioni di fanteria si alternano sulla linea di fuoco, fin quando un'unità riceverà l'ordine di inastare la baionetta: può essere sufficiente questa vista per far scappare un nemico fiaccato dall'effetto distruttivo del fuoco, ma se l'unità minacciata mostra di essere pronta a ricambiare, è difficile che la prima realizzi il suo proposito e le parti si invertiranno. Il chirurgo di Napoleone Larrey calcolò che solo il 2% scarso di perdite fosse causato dal "ferro", ma nonostante questo è la carica, anche solo dichiarata, che provoca la decisione dello scontro tra le fanterie.

Chi fa maggior uso dell'arma bianca è la cavalleria: gli ussari e i corazzieri, i dragoni e i carabinieri non hanno paura di prendersi a sciabolate guardandosi negli occhi: per questo si sentono superiori ai fanti.

Quando avviene uno scontro tra cavallerie pesanti, poi, il fragore del cozzo tra le formazioni si può sentire per tutto il campo di battaglia.

Nella battaglia tra cavallerie, chi usa la scherma francese tiene la spada dritta di fronte a sé in modo da colpire di punta, altri, ad esempio gli inglesi, hanno armi massicce che vengono usate di taglio.

raramente, però, la cavalleria agisce senza il supporto della fanteria o dell'artiglieria, perché quando le tre armi sono abilmente coordinate in un unico attacco la loro forza combinata è quasi irresistibile.

Il generale ordinerà che la cavalleria esca dalla riserva e si diriga verso un punto preciso dove potrà esercitare tutto il proprio potenziale di urto. Spesso è un ufficiale di massimo livello a cavalcare alla testa degli squadroni indicando con il proprio movimento la direzione a tutte le truppe.

E i cavalli procedono, prima al passo, poi al trotto, ed infine al galoppo per gli ultimi duecento metri divorati in pochi secondi: è uno spettacolo tremendo, un'onda imponente e luccicante di sciabole che fa tremare e rimbombare la terra: una fanteria disordinata o anche in linea non può sostenere questa visione terribile e tanto meno il suo urto devastante.

Fuggiranno e sarà ancora peggio, perché l'unico modo per salvarsi è quello di chiudersi in quadrato ed ergere a propria protezione una selva di baionette protese verso la gola del cavallo: questo può reggere anche tre o quattro palle in corpo e correre ancora, per morire dissanguato a battaglia conclusa, ma non può scavalcare quest'ostacolo: non è addestrato a saltare, e anche se lo fosse non ci riuscirebbe.

Il cavallo non calpesta nemmeno i fanti distesi per terra e spesso questa estrema misura è utilizzata dai fanti per salvarsi dalla cavalleria, sperando che prosegua oltre.

La battaglia è al suo culmine. La forza di decisione, squadroni e battaglioni freschi tenuti in riserva e impiegati solo al momento opportuno, ha definitivamente sconvolto il nemico, le sue formazioni sono rovesciate, la rotta della linea non può essere fermata da nessuno: non esiste più patria o imperatore che tenga.

Una riserva di cavalleria insegue spietatamente i fuggitivi: i fanti con lo zaino affardellato e la coperta arrotolata in cima hanno una protezione dai fendenti che provengono dall’alto: ma i cavalieri li superano e menano un colpo di taglio all’indietro.

Sul campo rimangono solo i morti, i feriti e i vincitori, esausti.
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Veldriss
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Re: Eserciti periodo napoleonico

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L'ordine misto napoleonico
Nicola Zotti
http://www.warfare.it/tattiche/ordre_mixte.html

Le formazioni tattiche fondamentali della fanteria napoleonica -- come ho avuto modo di spiegare parlando della tattica napoleonica -- erano la linea e la colonna.

Entrambe avevano punti di forza e di debolezza, particolarità che ne suggerivano o ne sconsigliavano l'uso in battaglia.

Chiunque abbia anche solo superficialmente accostato la storia militare del periodo sa che una particolare formazione utilizzata dai francesi sembrava risolvere tutti questi problemi, nascondendo in sé il segreto dei successi di Napoleone: questo schieramento è l'ordre mixte.

Immagine

Questa formazione viene considerata tipica dei reggimenti francesi su 3 battaglioni e raggiungerebbe il compromesso di associare tra loro la forza d'urto della colonna e il potere di fuoco della linea.

Nella figura qui a fianco vediamo una sintetica rappresentazione dell'ordre mixte: due battaglioni in colonna d'attacco disposti ai lati di un battaglione in linea.

La fama dell'ordine misto è dovuta anche ad una scuola di pensiero che ne fece risalire l'invenzione addirittura allo stesso Napoleone Buonaparte durante la campagna d'Italia il 16 marzo 1797 durante la battaglia del Tagliamento.

Questo è in realtà poco probabile, perché la formazione è citata già in opere tattiche di metà del Settecento, e già nella battaglia di Minden il 1o agosto del 1759, il Maresciallo de Contades adottò un ordine misto " a T", con due battaglioni in linea ai fianchi di uno in colonna.

Altri precedenti si possono trovare nell'Essai Générale de Tactique di de Guibert e anche generali come Charles Dumoriez (naturalmente prima che nel 1793 passasse agli austriaci) o Bathelemy Scherer, che fu anche ministro della guerra, potrebbero rivendicare nei loro scritti qualche diritto di primogenitura.

E' possibile collocare almeno temporalmente nell'epoca dell'Amalgame la prima esigenza pratica di ricorrere all'ordine misto per le armate rivoluzionarie francesi.

Uno dei problemi dei governanti della Francia rivoluzionaria fu quasi subito quello di creare una qualche forma di amalgama, appunto, tra le numerose milizie popolari che si erano aggiunte all'esercito ereditato dall'Ancién règime. Senza contare che poi a questi si sommati anche i coscritti.

Così, a partire dal 1791 e per anni a seguire, vi furono vari tentativi e proposte per cercare di uniformare, nel vero senso della parola, le forze armate francesi.

Uno di questi tentativi fu l'Embrigadement, ovvero la riunione in una demi-brigade di un battaglione di linea e due di volontari.

Alcuni storici individuano appunto in questa forma di Amalgame l'origine dell'ordre mixte. Di fatto, il battaglione regolare era addestrato a sufficienza per riuscire a schierarsi in linea, mentre i due battaglioni di volontari non avevano avuto il tempo materiale per raffinatezze di questo tipo ed era già tanto se riuscivano a stare in colonna.

Per inciso, una certa retorica glorificava l'entusiasmo di queste colonne considerandole espressioni peculiari della rivoluzione: una retorica che è giunta fino a noi, perché il luogo comune dell'entusiasmo delle armate rivoluzionarie è duro a morire.

Comunque sia, altre forme di Amalgame più radicali si imposero presto: i singoli battaglioni prima mischiarono le compagnie, quindi gli stessi uomini.

E' quindi difficile che l'Embrigadement possa essere all'origine dell'ordine misto, se non per un brevissimo periodo.

Il punto vero della questione, però è un altro: ma ha senso tattico l'ordine misto così come viene rappresentato? Oppure invece di associare tra loro i pregi della colonna e della linea ne moltiplica i rispettivi difetti?

Personalmente qualche dubbio lo avrei.

Ad esempio è evidente che marciando in quella formazione il reggimento deve muoversi alla velocità dell'elemento più lento, perdendo in questo modo il vantaggio principale della colonna.

Poco saggia poi mi appare l'idea di impegnare tutto il reggimento in un unico sforzo, senza alcuna riserva.

Inoltre se è vero che la linea è protetta sui fianchi da un eventuale aggiramento non così sono le colonne che, costrette al passo della linea, sono anche un uttimo bersaglio per le artiglierie.

L'ordre mixte era in realtà qualcosa di meno esotico.

Immagine

Come possiamo ricavare da molti resoconti di battaglie, era una formazione in cui il battaglione in linea che iniziava la lotta era seguito da due battaglioni di rincalzo in colonna, pronti a dispiegarsi in linea al momento di entrare in combattimento, come è illustrato nello schema qui a fianco.

In questo modo il colonnello del reggimento aveva sotto controllo tutti i propri battaglioni, li poteva mettere in campo a seconda delle esigenze e soprattutto disponeva di una consistente riserva.

Con l'andar del tempo l'esercito francese ebbe reggimenti di tutte le dimensioni, ed era sempre più difficile, anche volendo, ricorrere all'ordine misto "teorico".

La colonna Macdonald a Wagram è uno di questi esempi: per altro un esempio che non ha certo lasciato un buon ricordo di sé nella storia militare.
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Il corpo d'armata
Nicola Zotti
http://www.warfare.it/tattiche/corpo_armata.html

Quando durante le guerre della rivoluzione francese gli eserciti si fecero più numerosi fu necessario raggruppare tra loro le divisioni in unità maggiori ma mantenendone le caratteristiche di autonomia d'azione che le avevano ispirate. Nacque così il corpo d’armata, inaugurato nel 1800 dal Generale Moreau che aggregò le 11 divisioni dell’Armata del Reno in 4 Corpi, che assunsero le caratteristicheoriginarie delle divisioni, ovvero la composizione multiarma.

Napoleone comprese la potenzialità dell’intuizione di Moreau e nel 1804 fece dei Corps d’Armee un’istituzione definitiva.

La riorganizzazione delle armate francesi operata da Napoleone giusto alla vigilia della campagna di Austerlitz ebbe una grande parte nel determinarne l’esito. Un Corps d’Armee francese è costituito di norma da tre o quattro divisioni di fanteria, una divisione di cavalleria leggera, e varie batterie di artiglieria. Appoggiavano questi elementi combattenti unità di specialisti del genio e i pontonieri, formalmente aggregati all’artiglieria.

Le dimensioni delle divisioni vennero ridotte in media a 10mila uomini e ciò ne diminuì drasticamente la capacità di operare indipendentemente dal resto dell'armata: il loro ruolo originario, però, era stato come detto assunto dal corpo d'armata e con ben altra consistenza.

La dimensione del corpo d’armata era variabile e attentamente considerata da Napoleone a seconda del compito che doveva svolgere nei suoi piani operativi.

All’occasione, come avvenne per l’VIII Corpo di Mortier, poteva rendersi necessaria l’estemporanea creazione di una nuova formazione per la quale concorrevano unità provenienti da altri Corpi.

Al comando di un Corps d'Armée è un ufficiale di alto grado, onorato dal titolo di Maresciallo. E' un militare di carriera esperto – coadiuvato da un nutrito staff tecnico di sua fiducia – il cui compito è quello di garantire l’esecuzione alla lettera degli ordini dell’Imperatore.

Napoleone ha nominato personalmente tutti i marescialli: essi hanno ricevuto la responsabilità di guidare un Corpo d’Armata dopo aver dato prova in più occasioni di valore personale, di fedeltà assoluta, di brillanti qualità militari e anche la capacità di districarsi in politica.

Ovviamente non tutti i Marescialli eccellevano in ciascuna di queste caratteristiche, anzi, più di una volta ognuno di essi dovette subire, per un motivo e per l’altro, la terribile ira del proprio padrone. Era comunque Napoleone a giudicare i meriti e il ruolo che l’individuo doveva giocare nei suoi schemi.

Il Maresciallo gode nell’espletamento del proprio compito di una sensibile libertà d’azione: ha un obiettivo categorico da raggiungere, ma ha anche l'autorità (spesso) e i mezzi (più raramente) per riuscirci. I piani a vasto raggio di Napoleone comportano che egli faccia un investimento di fiducia nelle capacità dei propri collaboratori: ma – fidarsi è bene… – le distanze tra un Corpo e l’altro sono tali che è sempre possibile portare aiuto ad un Corpo in difficoltà ed eventualmente correggere gli errori o affrontare gli imprevisti. E' la norma, però, che il Maresciallo durante una campagna si trovi in condizione di dover decidere in perfetta solitudine su questioni della massima importanza che possono avere un'influenza decisiva sul suo successo finale.

L'autonomia d'azione diminuisce man mano si discende la scala gerarchica. Però anche i generali di Divisione sono spesso chiamati a decisioni strategiche cruciali e non si tirano mai indietro dimostrando l'utilità del sistema delle promozioni per merito e non per censo – carrière ouverte aux talents – ereditato anch'esso dalle riforme di Carnot: un uomo che merita ampiamente l'appellativo di "organizzatore di vittorie" con il quale è passato alla storia.

Anche il corpo d'armata, come la divisione, rimase concettualmente invariato fino alla seconda guerra mondiale.
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La divisione
Nicola Zotti
http://www.warfare.it/tattiche/divisione.html

La Divisione è l'unità fondamentale del Corpo d’Armata. Come elemento amministrativo e tattico era nata in Francia nel 18o secolo.

Nel 1759 il duca de Broglie l’aveva introdotta nell’organizzazione dell’esercito integrando tra loro in modo permanente unità di fanteria – generalmente 2 brigate di 2 reggimenti ciascuna, in media 15mila uomini – con una batteria di artiglieria (6 o 8 cannoni) di medio calibro, e quindi si estese, sullo stesso modello organizzativo, anche alla cavalleria.

Ciò conferiva al comandante di Divisione un supporto di fuoco indipendente di cui disporre a proprio giudizio: un’autonomia decisionale che permetteva una grande adattabilità sul campo di battaglia.

Naturalmente era necessario un lungo periodo di addestramento comune tra le due componenti, che altrimenti avrebbero finito con l’ostacolarsi a vicenda.

Nel 1794 Lazar Carnot, Ministro della Guerra, sviluppò il concetto aggregando alla divisione un’aliquota di cavalleria leggera, alla quale venivano affidati compiti preziosissimi: per la Divisione i cavalleggeri sono “antenne” che usano il proprio lungo raggio d’azione per perlustrare il terreno, e “pinze” che durante le proprie scorribande contribuiscono in modo significativo al sostentamento della truppa, individuando e requisendo le risorse alimentari: gli uomini marciano leggeri con razioni sufficienti per pochi giorni, che per di più devono essere consumate solo quando il combattimento è imminente.

La loro sussistenza dipende da ciò che riusciranno a requisire nelle città e nelle campagne attraversate durante la marcia. A questo fine a ciascuna divisione viene riservata ad ogni tappa un'area di 20 chilometri quadrati di esclusiva pertinenza.

Napoleone comprese le potenzialità del sistema divisionale e ne fece l’insostituibile mezzo per la propria strategia fatta di alta mobilità e di manovre veloci e improvvise.

Durante le guerre napoleoniche i generali di divisione furono spesso chiamati a decisioni strategiche cruciali e non si tireranno mai indietro dimostrando l'utilità del sistema delle promozioni per merito e non per censo – carrière ouverte aux talents – ereditato anch'esso dalle riforme di Carnot: un uomo che merita ampiamente l'appellativo di "organizzatore di vittorie" con il quale è passato alla storia.

Negli anni successivi non solo il sistema divisionale venne adottato universalmente, ma l'importanza della divisione crebbe in proporzione all'aumentare della dimensione degli eserciti: le divisioni raggiunsero una numerosità che prima era limitata ai reggimenti e la potenza delle Forze Armate di una nazione iniziò ad essere calcolata in divisioni.

Opportunamente, va aggiunto, perché le divisioni acquisirono sempre maggiore autonomia e potere di fuoco, riprendendosi il ruolo originario di regine del teatro delle operazioni e del campo di battaglia.

Merita di essere ricordata a questo riguardo la discussa riforma Parriani che modificò, proprio alla vigilia della Seconda guerra mondiale, la struttura delle divisioni di fanteria del nostro esercito in controtendendenza rispetto agli altri eserciti belligeranti.

Da ternaria (ovvero su tre reggimenti) la nostra divisione divenne binaria (ovvero su due reggimenti), con conseguente aumento nominale delle nostre divisioni, ma con un disastroso effetto sulla loro efficienza bellica che si riduceva a 6 battaglioni contro i 9 di un'analoga formazione britannica, che era comunque meglio strutturata e armata.

Oggi le divisioni sono praticamente scomparse tranne che dagli eserciti maggiori, dove si sono trasformate in organizzazioni multiarma terribilmente complesse da governare.
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NAPOLEONE E LA SUA RIORGANIZZAZIONE TATTICA
Il decreto del 18 febbraio 1808
Nicola Zotti
http://www.warfare.it/tattiche/decreto_18021808.html

Tra le centinaia di decreti imperiali emanati da Napoleone uno dei più importanti, almeno per chi si interessa di storia della tattica militare, è il decreto del 18 febbraio 1808.

A prima vista si tratta solo di un decreto di riorganizzazione dei battaglioni e dei reggimenti di fanteria, ma in realtà i suoi scopi andavano ben al di là, per assumere un significato strategico, dimostrando la chiara volontà di Napoleone di avviare una nuova stagione di guerre e anche il forte legame che unisce -- o dovrebbe unire -- strategia e tattica.

Dopo tre intensi anni di campagne, subito dopo la pace di Tilsit, siglata il 9 luglio del 1807, Napoleone comprendeva la fragilità dei risultati conseguiti, ma non aveva gli strumenti per rafforzarli.

Fortunatamente per lui, i suoi avversari erano ridotti in condizioni anche peggiori, ma c'era però poco da stare tranquili: la situazione francese, in particolare per quanto riguardava ufficiali e sottufficiali era molto grave.

Possiamo ricavare gli ufficiali francesi feriti o deceduti dal 1805 al 1807 dall'enciclopedico lavoro di A. Martinien "Tableaux par corps et batailles des Officiers blessés et tués pendant les guerres de l'empire (1805-1815)".

Da questi dati risulta che i 140 reggimenti della fanteria leggera e di linea avevano perso nel periodo 3.114 ufficiali, contro i 300 della cavalleria e della guardia.

In pratica, possiamo stimare che alla fine di questo ciclo di campagne l'esercito francese si trovasse con circa il 20-25% di ufficiali in meno di quando le aveva cominciate, facendo un'ottimistica valutazione degli ufficiali feriti che tornavano in servizio, e la situazione doveva essere analoga per i sottufficiali.

Un esame del decreto ci farà comprendere in che modo Napoleone risolse il problema.

Il decreto

Il processo di riorganizzazione comprendeva 3 misure:

1) la riduzione delle compagnie dei battaglioni da 9 a 6,
2) la definizione dell'organico reggimentale a 5 battaglioni di cui 4 "da guerra" e 1 di deposito,
3) la riduzione dei reggimenti a 122 (96 di linea e 26 leggeri) più uno leggero che mantenne la vecchia organizzazione.

Delle 6 compagnie del battaglione di linea, 4 erano di fucilieri, una di granatieri e una di volteggiatori. I reggimenti di fanteria leggera avevano 4 compagnie di chasseur, una di carabinieri e una di volteggiatori.

Questa riorganizzazione dava a ciascun reggimento un totale complessivo teorico di 3.970 uomini: 108 ufficiali e 3.862 sottufficiali e uomini di truppa.

Vi furono un po' di problemi in questa redistribuzione degli uomini, come è testimoniato dall'esito immediato della riorganizzazione:

17 reggimenti di linea su 5 battaglioni e 2 compagnie di elite in eccesso (4.136 uomini)
69 reggimenti di linea su 4 battaglioni (3.682 uomini)
4 reggimenti leggeri su 5 battaglioni e 2 compagnie di elite in eccesso (4.136 uomini)
22 reggimenti leggeri su 4 battaglioni (3.682 uomini)
1 reggimento leggero con la vecchia organizzazione (9 compagnie e 4.136 uomini)
3 reggimenti assegnati alle colonie con 7 battaglioni (5.480 uomini)

I 122 reggimenti previsti dal decreto avrebbero dovuto avere una composizione standardizzata:

1 colonnello, 1 maggiore, 4 chefs de batallion, 5 aiutanti maggiori, 1 quartiermastro-tesoriere, 1 ufficiale pagatore, 1 porta aquila, 1 chirurgo maggiore, 1 aiutante chirurgo, 1 tamburo maggiore, 1 caporale tamburo, 4 capimastri.
Le compagnie erano uniformate su: 1 capitano, 1 tenente, 1 sottotenente, 1 sergente maggiore, 4 sergenti, 1 caporale furiere, 8 caporali, 121 soldati, 2 tamburini: in totale 140 uomini.

Erano dunque previsti 488 battaglioni da guerra che avrebbero avuto bisogno di un totale di 1.464 ufficiali reggimentali e 8.784 ufficiali di compagnia. Altri 244 ufficiali reggimentali e 1.464 ufficiali di compagnia servivano per i 122 battaglioni di deposito.

Limitandoci al calcolo per i 488 battaglioni da guerra possiamo valutare l'esigenza teorica per completare i ranghi di 40.992 sottufficiali nelle compagnie e 360.144 uomini.

Secondo i piani di Napoleone, dunque, il suo esercito, facendo tutte le somme (compreso il reggimento ancora su 9 compagnie) doveva raggiungere la ragguardevole cifra di 10.329 ufficiali di compagnia, 48.202 sottufficiali e 422.472 uomini di truppa.

Il rapporto quadri/truppa

Trattando dell'evoluzione dei reggimenti napoleonici, abbiamo visto qual era la consistenza dell'esercito francese precedente il 1808. Possiamo quindi confrontare tra loro gli organici prima e dopo la cura di Napoleone.

prima del 1808 dopo il 1808 differenza %
battaglioni 422 488 +66 15,6%
ufficiali 10.128 8.865 -1.263 -12,5%
sottufficiali 47.274 41.370 -5.904 -12,5%
truppa 330.004 362.448 +32,444 +9,8%

A fronte ad un aumento di 66 battaglioni (il 15,6% in più) e del numero degli effettivi di truppa (+32.444), corrisponde un taglio del 12,5% nella necessità di quadri: ovvero circa la metà di quanto abbiamo stimato essere le perdite dovute alle guerre. Ciononostante a Napoleone, secondo quanto abbiamo stimato, mancavano ancora almeno un migliaio di ufficiali e 5 volte tanti sottufficiali per riuscire a completare i ranghi reggimentali: senza la riforma del decreto la situazione sarebbe stata ancora peggiore, ma questo vuoto avrebbe comunque richiesto degli anni per essere colmato.

La riduzione del rapporto tra quadri e uomini di truppa era sensibile.

prima del 1808 dopo il 1808 differenza
ufficiali/truppa 3,1% 2,4% -0,6%
sottufficiali/truppa 14,3% 11,4% -2,9%
quadri/truppa 17,4% 13,9% -3,5%

uomini di truppa
prima del 1808 dopo il 1808 differenza
1 ufficiale ogni 32,6 40,9 +8,3
1 sottufficiale ogni 7,0 8,8 +1,8
1 quadro ogni 5,7 7,2 +1,5

Come si deduce, infatti, dalla tabella qui sopra, la riduzione dei quadri in ogni compagnia raggiungeva il 3,5%: ogni 100 uomini di truppa i quadri passavano da più di 17 a meno di 14, ovvero da 1 quadro ogni 5,7 uomini a 1 ogni 7,2.

I vantaggi della riforma

La riforma napoleonica, rimediava così almeno in parte alla carenza dei quadri, a spese però di una riduzione del rapporto col numero degli uomini di truppa, che aveva come ovvia conseguenza negativa una diminuzione della capacità di controllo dei primi sui secondi.

In realtà, però, altri fattori controbilanciavano ampiamente questo aspetto negativo.

Un primo vantaggio era già insito nella semplice standardizzazione degli organici, che metteva finalmente ordine, almeno formalmente, in un ventennio di giungla rivoluzionaria: reggimenti organizzati tutti sulle stesse basi costituivano un riferimento solido e affidabile sia per i comandanti superiori che per gli stessi ufficiali reggimentali.

Un grande vantaggio veniva anche dall'istituzione del battaglione di deposito che poteva fornire rimpiazzi addestrati con una certa continuità.

I generali di brigata e i comandanti di reggimento, poi, avevano a disposizione unità più piccole ma in numero maggioree quindi potevano articolare sul campo di battaglia tattiche più elastiche.

Quest'ultimo vantaggio veniva aumentato da motivazioni precipuamente tattiche: i battaglioni su 6 compagnie, infatti, avevano una velocità di schieramento sul campo di battaglia sensibilmente maggiore, fino a 3 volte nel caso di passaggio da linea a quadrato (circa 5' contro 1' e 30") e 30" più veloce passando da colonna a linea (3' contro 2' e 30"), solo per fare alcuni esempi.

Possono sembrare guadagni minimi, ma in battaglia potevano fare la differenza e la riduzione nel numero dei quadri per reggimento veniva ampiamente compensata da questo aumento complessivo della maneggevolezza dei battaglioni.

La prova dei fatti

Indubbiamente la riforma del decreto 18 febbraio 1808 raggiunse il suo scopo. Nella campagna del 1809 la Francia fu in grado di sconfiggere ancora una volta gli austriaci, nonostante l'impegno della guerra in Spagna.

Permaneva l'uso di "non mettere tutte le uova in un unico paniere", ovvero la pratica di dividere i battaglioni dei reggimenti su più scenari operativi, per limitare la possibilità che interi reggimenti venissero spazzati via, rendendo impossibile reintegrarli con i rincalzi, cosa che non avverrà, invece, durante la campagna di Russia quando i reggimenti vennero impiegati a pieno organico, per l'occasione portato a 5 battaglioni di guerra:

Senza il decreto, probabilmente, per Napoleone sarebbe stato impossibile allestire armate delle dimensioni di quelle che preparò per invadere la Russia, anche dopo 3 anni di relativa pace, che comunque vennero impiegati per sfornare ufficiali e sottufficiali in abbondanza.

Visti gli esiti della campagna di Russia, però, viene da chiedersi se il successo del decreto non si sia ritorto contro Napoleone, convincendolo a intraprendere imprese che altrimenti non avrebbe neppure concepito.
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