La guerra di corsa
Inviato: 27 gennaio 2020, 15:16
Riporto un capitolo del libro Storia delle Repubbliche marinare di Marc'Antonio Bragadin:
"CAP VII: Corsari e pirati
Pirati e corsari sono stati una piaga su tutti i mari dalla più remota antichità fin quasi ai nostri giorni (persino il grande Giulio Cesare fu costretto a guerreggiare con i pirati che infestavano il Mare Nostrum; l’ultimo autentico pirata, il portoghese Benito De Soto, fu impiccato a Gibilterra nel 1832). Tuttavia la loro attività ha attraversato fasi alterne secondo le circostanze e i tempi.
Finora abbiamo incontrato più volte i pirati slavi, saraceni e moreschi; adesso meritano un cenno i corsari che agirono in Mediterraneo durante l’epoca di cui ci stiamo occupando.
La distinzione fra pirati e corsari è piuttosto sottile. I pirati, infatti, erano volgarissimi rapinatori a mano armata, paragonabili ai briganti che si appostavano sulle strade. Aggredivano qualsiasi nave o qualsiasi località costiera, adatte al loro scopo: predavano, saccheggiavano, violentavano, uccidevano e, circostanze permettendo, catturavano i superstiti per guadagnare il riscatto o per venderli come schiavi. I corsari non agivano diversamente, solo che, invece di lavorare in proprio, aggredivano in nome e per conto di un governo riconosciuto, seguendone le istruzioni.
Infatti i governi rilasciavano le cosiddette patenti per la guerra di corsa, con le quali i corsari acquisivano la personalità giuridica di combattenti più o meno regolari: perciò, almeno in teoria, se venivano catturati, non potevano essere giustiziati ipso facto, come spettava ai pirati. D’altronde, se erano sudditi del governo mandante (come spesso si verificava), i corsari effettivamente servivano la patria, sia pure a modo loro, e non pochi compirono gesta addirittura gloriose. Ma i governi arruolavano i corsari anche fra gli autentici pirati, che perciò talvolta esercitavano contemporaneamente le due attività.
Come i pirati anche i corsari navigavano a loro rischio e pericolo e con mezzi propri, ma dovevano impegnarsi ad assaltare soltanto le navi di bandiera nemica al governo da cui dipendevano e guadagnavano circa la metà delle prede. Il resto spettava al governo mandante, secondo clausole di ripartizione precisate nelle patenti.
Tuttavia la guerra di corsa era molto redditizia per ambedue i contraenti, e ciò ne spiega la grande diffusione in tutto il Mediterraneo, ogni volta che le circostanze la favorirono. Infatti, il governo interessato poteva, con i corsari, colpire e talvolta paralizzare i traffici marittimi degli avversari, senza alcuna spesa né rischio, anche quando non era in aperto conflitto. In questo caso, il governo poteva sconfessare il corsaro, abbandonandolo al nemico come un volgare pirata e declinando ogni responsabilità per le sue aggressioni. Ma i corsari agivano con tale audacia e fantasia, da poter accumulare in breve tempo ingenti ricchezze, accompagnate talvolta anche da grandi onori: mete che ben compensavano i rischi affrontati.
Nel Mediterraneo, i corsari trovarono impiego assai intenso intorno al 1200. Molti di loro compirono gesta famose e resero preziosi servigi ai governi che li avevano patentati. Purtroppo, la distanza che ci separa da quelle imprese ne ha cancellato quasi ogni dettaglio. Tuttavia, almeno dei corsari italiani più importanti, ci rimangono i nomi, tanto suggestivi da risvegliare gli echi di quelle gesta e da delineare i caratteri dei protagonisti: Enrico il Pescatore, Sifante, Giovanni il Grasso, Recupero, il conte Manente, Alamanno da Costa, Giovanni il Porco, Gafforio, Buonalbergo, Paganello da Porcaria.
In certi periodi, l’attività dei corsari fu talmente sfrenata, che le marine si trovarono costrette a riunire in convoglio le
navi da carico più importanti per scortarle con navi da guerra almeno sulle rotte di maggior pericolo. Intorno al Duecento si verificarono innumerevoli aggressioni che produssero per molti anni disordini e complicazioni nei traffici marittimi.
Venezia fu forse lo stato che più si servì di questo insidioso mezzo bellico: dopo il fallimento della spedizione punitiva di Costantinopoli, ad esempio, la repubblica sguinzagliò in Egeo un gran numero di corsari per colpire i traffici bizantini, e poi — anche quando tornò in pace con l’impero — li lasciò per lungo tempo ad aggredire le navi di tutti i rivali.
E di quel periodo un episodio molto singolare, unico nel suo genere, che si può ascrivere tra le maggiori imprese dei corsari italiani. Andronico, nuovo imperatore bizantino, aveva fatto sobillare la popolazione di Costantinopoli fino a scatenare una sommossa xenofoba. E un certo giorno, d’improvviso i bizantini aggredirono tutti gli stranieri presenti in città, che per la massima parte erano veneziani, genovesi e pisani: molti furono massacrati, altri vennero tratti in schiavitù, quartieri e beni depredati o distrutti. Ma gli scampati corsero al porto e si impadronirono di una quarantina di navi greche, sulle quali presero il largo; e poi, passata la paura e rassettate le navi, si autoproclamarono corsari ai danni di Costantinopoli.
Con il tacito consenso e il segreto appoggio dei governi interessati, questa singolarissima forza navale — equipaggiata da veneziani, genovesi e pisani, altrimenti irriducibili rivali — saccheggiò furiosamente le rive dei Dardanelli e, uscita in Egeo, si diede a predare tutto quel che di greco le capitava a tiro. Invano la flotta bizantina si sforzò di annientare quelle strane navi: i corsari la tennero sempre in scacco, fino al giorno in cui decisero di tornare ai patri lidi. Vi portarono un bottino valutato in cifre enormi, di gran lunga superiori al danno che le tre comunità avevano sofferto a Costantinopoli.
L’attività dei corsari fu vivacissima anche durante la terza guerra fra Pisa e Genova, cui si sovrappose quella tra l’imperatore tedesco e il re di Sicilia. I corsari non soltanto colpirono le navi avversarie, ma conquistarono molte fortezze e città costiere, talvolta in collaborazione con le flotte da guerra interessate. Corsari pisani, ad esempio, espugnarono il castello di Bonifacio, in Corsica, e vi rimasero fino a quando ne furono sloggiati da quelli al servizio di Genova. Giovanni il Grasso (o forse il Porco) conquistò Malta per incarico del re di Sicilia, guadagnando il titolo di conte dell’isola, e con altre gesta divenne ammiraglio della marina siciliana.
I pisani, forse i più scatenati in questo campo, mandarono in corsa la più grande nave da essi mai costruita, Il leone della foresta, reputata imprendibile; ma poi una squadretta di corsari catturò il gigante mentre si riposava nel porto di Cagliari. In compenso, il pisano Recupero violò il porto di Palermo, impossessandosi di nove galee genovesi. Quasi contemporaneamente, altri corsari pisani espugnarono la fortezza genovese di Portovenere.
A un certo punto del conflitto, la repubblica di Pisa, alleata dell’imperatore tedesco, mandò la sua flotta a conquistare la piazzaforte di Siracusa, necessaria come testa di ponte per invadere la Sicilia. Allora i genovesi e i loro alleati siciliani si impegnarono a recuperare la città. L’impresa era molto ardua, ma Genova ne incaricò il suo corsaro più famoso, Alamanno da Costa, e questi pensò bene di associarsi a un collega non meno famoso, Enrico il Pescatore (frattanto divenuto conte di Malta, perché Giovanni il Grasso, o il Porco che fosse, morto impiccato per un grave incidente professionale, gli aveva lasciato la contea in eredità).
A Siracusa, fra corsari al servizio di Genova e milizie pisane si ingaggiò una furiosa battaglia. Ma infine i corsari espugnarono la città e Alamanno da Costa se ne impossessò in nome della sua repubblica, alzando lo stendardo di San Giorgio sulle mura diroccate. Genova, molto riconoscente, insieme ai premi contrattuali nominò Alamanno conte di Siracusa.
Tuttavia i pisani non si rassegnarono e mandarono in campo tre agguerriti corsari: Paganello di Porcaria, Buonalbergo e il conte Manente. Battagliarono per quattro mesi intorno alle mura di Siracusa ma, quando stavano per giungere alla vittoria, furono costretti a ritirarsi da una schiera di corsari genovesi. Neanche Paganello e compagni accettarono la sconfitta, e si rifecero poco dopo, espugnando Palermo in nome di Pisa.
Incontreremo molti altri pirati e corsari nei secoli successivi…"
"CAP VII: Corsari e pirati
Pirati e corsari sono stati una piaga su tutti i mari dalla più remota antichità fin quasi ai nostri giorni (persino il grande Giulio Cesare fu costretto a guerreggiare con i pirati che infestavano il Mare Nostrum; l’ultimo autentico pirata, il portoghese Benito De Soto, fu impiccato a Gibilterra nel 1832). Tuttavia la loro attività ha attraversato fasi alterne secondo le circostanze e i tempi.
Finora abbiamo incontrato più volte i pirati slavi, saraceni e moreschi; adesso meritano un cenno i corsari che agirono in Mediterraneo durante l’epoca di cui ci stiamo occupando.
La distinzione fra pirati e corsari è piuttosto sottile. I pirati, infatti, erano volgarissimi rapinatori a mano armata, paragonabili ai briganti che si appostavano sulle strade. Aggredivano qualsiasi nave o qualsiasi località costiera, adatte al loro scopo: predavano, saccheggiavano, violentavano, uccidevano e, circostanze permettendo, catturavano i superstiti per guadagnare il riscatto o per venderli come schiavi. I corsari non agivano diversamente, solo che, invece di lavorare in proprio, aggredivano in nome e per conto di un governo riconosciuto, seguendone le istruzioni.
Infatti i governi rilasciavano le cosiddette patenti per la guerra di corsa, con le quali i corsari acquisivano la personalità giuridica di combattenti più o meno regolari: perciò, almeno in teoria, se venivano catturati, non potevano essere giustiziati ipso facto, come spettava ai pirati. D’altronde, se erano sudditi del governo mandante (come spesso si verificava), i corsari effettivamente servivano la patria, sia pure a modo loro, e non pochi compirono gesta addirittura gloriose. Ma i governi arruolavano i corsari anche fra gli autentici pirati, che perciò talvolta esercitavano contemporaneamente le due attività.
Come i pirati anche i corsari navigavano a loro rischio e pericolo e con mezzi propri, ma dovevano impegnarsi ad assaltare soltanto le navi di bandiera nemica al governo da cui dipendevano e guadagnavano circa la metà delle prede. Il resto spettava al governo mandante, secondo clausole di ripartizione precisate nelle patenti.
Tuttavia la guerra di corsa era molto redditizia per ambedue i contraenti, e ciò ne spiega la grande diffusione in tutto il Mediterraneo, ogni volta che le circostanze la favorirono. Infatti, il governo interessato poteva, con i corsari, colpire e talvolta paralizzare i traffici marittimi degli avversari, senza alcuna spesa né rischio, anche quando non era in aperto conflitto. In questo caso, il governo poteva sconfessare il corsaro, abbandonandolo al nemico come un volgare pirata e declinando ogni responsabilità per le sue aggressioni. Ma i corsari agivano con tale audacia e fantasia, da poter accumulare in breve tempo ingenti ricchezze, accompagnate talvolta anche da grandi onori: mete che ben compensavano i rischi affrontati.
Nel Mediterraneo, i corsari trovarono impiego assai intenso intorno al 1200. Molti di loro compirono gesta famose e resero preziosi servigi ai governi che li avevano patentati. Purtroppo, la distanza che ci separa da quelle imprese ne ha cancellato quasi ogni dettaglio. Tuttavia, almeno dei corsari italiani più importanti, ci rimangono i nomi, tanto suggestivi da risvegliare gli echi di quelle gesta e da delineare i caratteri dei protagonisti: Enrico il Pescatore, Sifante, Giovanni il Grasso, Recupero, il conte Manente, Alamanno da Costa, Giovanni il Porco, Gafforio, Buonalbergo, Paganello da Porcaria.
In certi periodi, l’attività dei corsari fu talmente sfrenata, che le marine si trovarono costrette a riunire in convoglio le
navi da carico più importanti per scortarle con navi da guerra almeno sulle rotte di maggior pericolo. Intorno al Duecento si verificarono innumerevoli aggressioni che produssero per molti anni disordini e complicazioni nei traffici marittimi.
Venezia fu forse lo stato che più si servì di questo insidioso mezzo bellico: dopo il fallimento della spedizione punitiva di Costantinopoli, ad esempio, la repubblica sguinzagliò in Egeo un gran numero di corsari per colpire i traffici bizantini, e poi — anche quando tornò in pace con l’impero — li lasciò per lungo tempo ad aggredire le navi di tutti i rivali.
E di quel periodo un episodio molto singolare, unico nel suo genere, che si può ascrivere tra le maggiori imprese dei corsari italiani. Andronico, nuovo imperatore bizantino, aveva fatto sobillare la popolazione di Costantinopoli fino a scatenare una sommossa xenofoba. E un certo giorno, d’improvviso i bizantini aggredirono tutti gli stranieri presenti in città, che per la massima parte erano veneziani, genovesi e pisani: molti furono massacrati, altri vennero tratti in schiavitù, quartieri e beni depredati o distrutti. Ma gli scampati corsero al porto e si impadronirono di una quarantina di navi greche, sulle quali presero il largo; e poi, passata la paura e rassettate le navi, si autoproclamarono corsari ai danni di Costantinopoli.
Con il tacito consenso e il segreto appoggio dei governi interessati, questa singolarissima forza navale — equipaggiata da veneziani, genovesi e pisani, altrimenti irriducibili rivali — saccheggiò furiosamente le rive dei Dardanelli e, uscita in Egeo, si diede a predare tutto quel che di greco le capitava a tiro. Invano la flotta bizantina si sforzò di annientare quelle strane navi: i corsari la tennero sempre in scacco, fino al giorno in cui decisero di tornare ai patri lidi. Vi portarono un bottino valutato in cifre enormi, di gran lunga superiori al danno che le tre comunità avevano sofferto a Costantinopoli.
L’attività dei corsari fu vivacissima anche durante la terza guerra fra Pisa e Genova, cui si sovrappose quella tra l’imperatore tedesco e il re di Sicilia. I corsari non soltanto colpirono le navi avversarie, ma conquistarono molte fortezze e città costiere, talvolta in collaborazione con le flotte da guerra interessate. Corsari pisani, ad esempio, espugnarono il castello di Bonifacio, in Corsica, e vi rimasero fino a quando ne furono sloggiati da quelli al servizio di Genova. Giovanni il Grasso (o forse il Porco) conquistò Malta per incarico del re di Sicilia, guadagnando il titolo di conte dell’isola, e con altre gesta divenne ammiraglio della marina siciliana.
I pisani, forse i più scatenati in questo campo, mandarono in corsa la più grande nave da essi mai costruita, Il leone della foresta, reputata imprendibile; ma poi una squadretta di corsari catturò il gigante mentre si riposava nel porto di Cagliari. In compenso, il pisano Recupero violò il porto di Palermo, impossessandosi di nove galee genovesi. Quasi contemporaneamente, altri corsari pisani espugnarono la fortezza genovese di Portovenere.
A un certo punto del conflitto, la repubblica di Pisa, alleata dell’imperatore tedesco, mandò la sua flotta a conquistare la piazzaforte di Siracusa, necessaria come testa di ponte per invadere la Sicilia. Allora i genovesi e i loro alleati siciliani si impegnarono a recuperare la città. L’impresa era molto ardua, ma Genova ne incaricò il suo corsaro più famoso, Alamanno da Costa, e questi pensò bene di associarsi a un collega non meno famoso, Enrico il Pescatore (frattanto divenuto conte di Malta, perché Giovanni il Grasso, o il Porco che fosse, morto impiccato per un grave incidente professionale, gli aveva lasciato la contea in eredità).
A Siracusa, fra corsari al servizio di Genova e milizie pisane si ingaggiò una furiosa battaglia. Ma infine i corsari espugnarono la città e Alamanno da Costa se ne impossessò in nome della sua repubblica, alzando lo stendardo di San Giorgio sulle mura diroccate. Genova, molto riconoscente, insieme ai premi contrattuali nominò Alamanno conte di Siracusa.
Tuttavia i pisani non si rassegnarono e mandarono in campo tre agguerriti corsari: Paganello di Porcaria, Buonalbergo e il conte Manente. Battagliarono per quattro mesi intorno alle mura di Siracusa ma, quando stavano per giungere alla vittoria, furono costretti a ritirarsi da una schiera di corsari genovesi. Neanche Paganello e compagni accettarono la sconfitta, e si rifecero poco dopo, espugnando Palermo in nome di Pisa.
Incontreremo molti altri pirati e corsari nei secoli successivi…"