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Sacha
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Il fuoco, la campanella e il bastone di ferula: Sant'Antonio

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Una figura complessa che è presente nel Medioevo è quella di Sant'Antonio Abate. Perché complessa, perché maggiormente conosciuto al Sud Italia, dove invece al Nord è maggiormente diffuso il culto di Antonio di Padova.
Eppure questo santo ha avuto un importanza fondamentale nella vita sociale dell'era di Mezzo.
Antonio nasce a Coma (attuale Qumas) nell'Egitto post ellenistico, sotto il dominio romano nel 251 d.C., da una famiglia di ricchi agricoltori cristiani. Tra i 18 e i 20 anni perde i genitori ritrovandosi erede di un ricco patrimonio e dovendo provvedere all'educazione della sorella minore.
Tuttavia proprio in questo periodo sente la chiamata del Signore, seguendo il precetto evangelico di donare tutto ciò che si possiede ai poveri e di seguire Gesù.
Venduti i beni e affidata la sorella a una comunità monacale femminile, chiede a Dio di essere illuminato ed ha la visione di un uomo che sta tessendo una corda, lascia poi il lavoro e torna a tessere; quell'uomo è un angelo e tale scena è un precursore della regola: Ora et labora, che fa di Antonio il Padre Precursore del Monachesimo ancor più di San Benedetto da Norcia, due secoli dopo in Occidente.
Ritiratosi presso il deserto della Tebaide (compreso nella zona dell'antica città di Tebe), inizialmente non si sposta più di tanto dalla sua città natale, ritirandosi nelle vicinanze di una grotta; non conosce per il momento nient'altro che la cultura copta.
Qui vive di povertà, castità e obbedienza; subisce le tentazioni del demonio (elemento portante nella futura iconografia), tanto che viene ritrovato esanime da chi gli porta cibo e riportato nella chiesa della città, dove si riprende.
Successivamente, attorno al 285 Antonio si sposta sul monte Pispir sul Mar Rosso e trova rifugio presso un antica fortezza romana, dove vive per circa 20 anni in una torre, dove giornalmente gli viene calato del pane.
La fama del suo ascetismo spinge molti giovani a seguire il suo esempio, tanto che le mura del forte dove si è rifugiato vengono abbattute, e Antonio viene liberato.
Sebbene l'eremita della Tebaide pur non rinunciando totalmente al distacco del mondo abbia aiutato talvolta qualcuno, ora il suo modo di agire cambia radicalmente.
Antonio è ora a capo di un gruppo di seguaci noti con il nome di Padri del Deserto, diffusi in due grandi comunità a Occidente e a Oriente del Nilo: Antonio è visto come il Padre spirituale di questi monaci, pur sostenendo ancora l'anacoretismo al cenobitismo.
L'eremita egiziano è già in fama di santità: è visto come un grande predicatore verso il popolo e come taumaturgo, a cui sono attribuite numerose guarigioni miracolose e esorcismi.
Antonio abbandona il suo eremitaggio in due occasioni: la prima per portare conforto ai cristiani della città di Alessandria d'Egitto, sede dell'omonimo patriarcato nel 311 a causa della persecuzione di Massimino Daia, non è perseguitato ed ha il sostegno dell'amico e allievo Atanasio futuro vescovo della città e santo.
Successivamente Antonio sosterrà Atanasio nella lotta all'arianesimo e lo stesso vescovo è autore di una biografia sul santo eremita.
Antonio muore all'età di 105 anni, nel deserto della Tebaide, presso il monte Qolzum nel 357 d.C. e i suoi monaci lo seppelliscono in luogo segreto.
Altri eventi della fama di Sant'Antonio Abate presso i suoi contemporanei sono: la visita di Sant'Ilarione, nel 307, su come poter fondare un monastero a Majuma, vicino Gaza, dove infatti sorgerà la prima comunità monastica della Palestina.
Viene infine costruita sopra la grotta dell'eremita, il Monastero di sant'Antonio non solo uno dei monasteri cristiani copti più antichi, ma anche il più antico monastero cristiano al mondo.
L'importanza di Antonio Abate nel mondo medievale inizia proprio a partire da questo momento: Secondo la testimonianza di Aymar Falco storico dell'Ordine dei Canonici Antoniani, risalente al XVI, le reliquie di Sant'Antonio Abate, vengono recuperate dal luogo segreto e portate a Costantinopoli sotto il regno dell'imperatore Giustiniano.
Tali reliquie vengono portate in Francia da Jaucelin di Châteauneuf, nobile di Vienne che le ha avute in dono dall'imperatore di Bisanzio.
Guigues de Didier fa costruire presso La Motte (divenuta in seguito Saint-Antoine), una chiesa che accolga i resti del santo e questa fa a capo dell'abbazia benedettina di Montmajour.
Col tempo il priorato benedettino, entra in contrasto con l'ordine dei Cavalieri Ospitalieri a causa della rendita del luogo e questi ultimi spingono gli Antoniani ad andarsene ponendo i resti dell'abate presso la Chiesa di Saint-Julien ad Arles.
Per comprendere Antonio Abate a partire dal Medioevo occorre dunque partire dalla tradizione attorno a lui formatasi.
Secondo la storica Laura Fenelli, l'eremita che si vede nei dipinti post-cristiani circondato dai fedeli, è lo stesso che si vede accompagnato da un maialino nei dipinti trecenteschi, così come è lo stesso santo protettore degli animali da cortile e da stalla e dalle malattie, così come è protettore degli incendi presso i contadini.
L'attribuzione della protezione dal fuoco al santo abate deriva da due tradizioni: si racconta che Antonio abbia donato il fuoco all'umanità ascendendo all'inferno, dove entrò a causa del suo maialino che stava devastando l'interno, dopo che gli fu negato l'ingresso a causa della sua santità, poiché i diavoli non riuscivano a fermare l'animale.
I demoni vollero però vendicarsi per la devastazione causata dal maiale e strappato il bastone al santo eremita provarono a bruciarlo, ma il legno era di ferula e essendo spugnoso il fuoco rimase all'interno, furono dunque costretti a ridarlo all'abate che calmò nuovamente la bestiola.
Antonio uscì beffando così i diavoli tre volte, dato che gli avevano dato inconsapevolmente il prezioso elemento.
L'eremita benedì il fuoco e lo distribuì al mondo roteando il bastone e tornò al suo eremitaggio.
Il maialino si accosta alla campanella: dopo il recupero delle spoglie del santo, viene infatti fondato l'ordine Ospedaliero dei canonici regolari di sant'Agostino di sant'Antonio Abate, o Ordine degli Antoniani, di stampo monastico cavalleresco: approvato nel 1095 da Papa Urbano II al Concilio di Clermont e nel 1218 confermato con una bolla papale di Onorio III.
Questi canonici sono specializzati nella cura contro il virus del ignis sacer causa dell'ergotismo, una forma di avvelenamento della segale da panificazione. Curano inoltre l'Herpes Zoster, usando per entrambe le malattie spalmare grasso di cotenna di maiale.
Questo male è dunque chiamato fuoco di Sant'Antonio, e i monaci di questi monasteri allevano maiali a spese della comunità, tali maialini girano liberi con una campana legata al collo come simbolo di riconoscimento, accade inoltre che molti contadini allevino un maiale destinato poi al convento.
Sant'Antonio Abate è inoltre riconosciuto come patrono tra gli altri: degli eremiti, macellai, salumieri e cordai.
Dunque la definizione dell'importanza di Sant'Antonio Abate deriva da quest'intreccio tra iconografia, storia e tradizione: che delinea tale santo come importante per l'opera taumaturgica attribuitagli, ma anche attraverso la conoscenza popolare che delinea e modifica il suo culto secondo le leggende e le storie di determinati mondi sociali, formando l'immagine che viene così perpetuata attraverso i secoli.
https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_abate
https://it.wikipedia.org/wiki/Canonici_ ... _di_Vienne

Dall'eremo alla stalla: Storia di Sant'Antonio Abate e del suo culto, Laura Fenelli, Laterza 2011
Ultima modifica di Sacha il 25 aprile 2017, 22:35, modificato 3 volte in totale.
Sacha
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San Giorgio: La Spada di Dio

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Nella religiosità medievale molti santi sono di origine militare: San Martino, per il mondo franco, San Maurizio per il Sacro Romano Impero, San Teodoro per la Serenissima repubblica di Venezia (prima del 1204, con l'arrivo delle spoglie di San Marco da Alessandria d'Egitto).
Tra i tanti però, quello che possiede maggior fortuna è San Giorgio, portatore di infiniti patronati fra cui quello dei bellatores; l'ordine dei cavalieri uno dei tre pilastri della società medievale.
Le informazioni sulla vita di San Giorgio derivano dalla Passio sancti Georgi, fonte ritenuta dal Decretum Gelasianum del 496 d.C., come apocrifa ma molto letta e conosciuta.
Giorgio è figlio del persiano Geronzio e della cappadoce Policromia, arruolatosi nell'esercito romano milita in Palestina, dove il suo valore lo porta a divenire membro della guardia imperiale.
Il suo essere cristiano lo porta a subire il martirio per alcuni nell'ultima persecuzione, voluta da Diocleziano, per altri sotto Daciano, imperatore dei persiani.
San Giorgio subisce il martirio per ben tre volte e per tre volte risorge: la prima dopo aver subito la fustigazione e la lacerazione, dopo la durezza del carcere; la seconda viene tagliato in due da una ruota dotata di spade, ma risorge e opera la conversione del magister militium Anatolio e dei suoi soldati, abbatte poi gli idoli di un tempio pagano e converte l'imperatrice Alessandra; per questi fatti tutti subiscono il martirio.
Infine Giorgio viene decapitato non prima di aver fatto risorgere e fatto sparire due persone morte da quattrocentosessant'anni, e incenerisce i settantadue re che i due potenti hanno convocato per decidere contro i cristiani.
Le reliquie di questo santo riposano oggi nella Chiesa greco-ortodossa di Lod (al tempo Lydda), in Israele.
Più conosciuta è la leggenda riportata da Jacopo da Varazze nella Legenda Aurea, importante documento sia storico che artistico per comprendere l'iconografia del Medioevo.
La città di Selem in Libia, è terrorizzata da un terribile drago, dopo aver razziato tutto il bestiame, la popolazione disperata è costretta a sacrificargli dei giovani estratti a sorte.
Un giorno è il turno della principessa Silene, il re è disperato e non vorrebbe, ma deve concedere il sacrificio. Mentre la giovane si reca sul luogo del martirio, uno stagno fuori la città il cavaliere Giorgio accorre in aiuto.
Dice alla giovane di portare un collare per il drago e questi infatti la segue fin dentro la città,(non prima che il coraggioso eroe lo abbia trafitto con la lancia presso il corso d'acqua); dove viene ucciso dal giovane. Giorgio afferma poi di essere venuto a portare la salvezza di Cristo somministrando al re e agli abitanti il battesimo.
La leggenda di San Giorgio come si vede, risente non poco dell'influsso del mondo greco classico, con particolare riferimento ai miti di Teseo, che si reca a Creta per liberare la città dal tributo di sangue del Minotauro e di Perseo che salva Andromeda dal sacrificio a Cetus; a riprova della costante della cultura medievale nata dall'incontro tra cultura pagana e cristiana.
In particolar modo questa Storia si riferisce al Tempo delle Crociate e tale immagine di Giorgio deriva dall'iconografia bizantina, dove l'imperatore Costantino il Grande è raffigurato mentre schiaccia un drago, ed ha per appellativo l'aggettivo di Vittorioso.
Sempre nell'iconografia, San Giorgio è raffigurato a cavallo di un cavallo bianco, mentre uccide il mostro, similmente a San Demetrio di Tessalonica che è compatrono con lui della casta dei cavalieri e dell'esercito bizantino.
E' curioso notare un analogia con leggere differenze di questi due santi: per tradizione Demetrio è militare, forse addirittura proconsole e cavalca un cavallo nero, mentre uccide un moro. Altro santo simile è San Teodoro, raffigurato mentre uccide un drago o un serpente.
L'importanza di Giorgio dunque è quella di essere patrono di coloro che combattono: gli sono infatti intitolati molti ordini militari tra cui l'Ordine della Giarrettiera, l'Ordine Teutonico, l'Ordine Militare di Calatrava, il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e molti altri.
Ma la sua funzione è quello di essere il simbolo per eccellenza della lotta tra Bene e Male, per alcuni studiosi infatti, San Giorgio come San Michele si ricollega alla mitologia babilonese in particolar modo nel mito della creazione, del dio babilonese Marduk.
San Giorgio è venerato anche dai Templari e anche i crociati lo eleggono a loro patrono, tra cui la figura di re Riccardo Cuor di Leone, che vede nel suo mito la sconfitta del drago come sconfitta dell'Islam. Ma incredibilmente, questo santo suscita rispetto perfino nel mondo mussulmano, dove gli arabi lo tributano come profeta.
Anche nel mondo slavo, Giorgio è venerato: sia per la sua funzione di santo agricoltore (il suo nome in greco significa infatti contadino) ed è protettore della vegetazione che ricresce dopo l'inverno e contro le streghe.
Adattamenti del mito di San Giorgio si ritrovano inoltre nel ciclo bretone e carolingio. Per comprendere meglio la grandezza di questa figura nel Medioevo, occorre anche citare il suo patronato contro: serpenti velenosi, peste, lebbra e sifilide; ma anche di Paesi e città come: Genova, Inghilterra, Portogallo (scelto per evitare San Giacomo, patrono della Spagna), Etiopia, Georgia, Catalogna e Lituania.
In Italia, nei paesi vicino il Vesuvio è evocato per protezione, contro le eruzioni del vulcano.
Tra le categorie sociali protette oltre ai cavalieri troviamo: soldati, arcieri, alabardieri, armaioli, piumaroli, cavalli, lebbrosi, schermitori e sellai.
In tempi più recenti a riconferma della sua fama; San Giorgio è anche patrono del Canada e del movimento internazionale degli scout fondato da Robert-Baden Powell.
Infine per sottolineare l'importanza di questo personaggio sia considerato a San Michele arcangelo, la Spada di Dio, basta citare la più famosa delle formule di investitura della cavalleria, quella del regno inglese:

In Nome di Dio,
di San Michele e
di San Giorgio,
Io ti faccio
cavaliere.


Fonti
https://it.wikipedia.org/wiki/San_Giorgio
https://it.wikipedia.org/wiki/Demetrio_di_Tessalonica
http://www.foliamagazine.it/san-giorgio-e-il-drago/
http://www.santiebeati.it/dettaglio/26860
Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze
San Teodoro. L’invincibile guerriero: Storia, culto e iconografia, Teodoro De Giorgio, Gangemi, 2016
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Veldriss
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Rabban Bar Sauma

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Rabban Bar Sauma (siriaco ܪܒܢ ܒܪ ܨܘܡܐ; Rɑbbɑn bɑrsˤɑuma), noto anche come Rabban Ṣawma o Rabban Çauma, (拉賓掃務瑪S) (Pechino, 1220 circa – Baghdad, 1294) è stato un monaco cristiano mongolo. Fu ambasciatore della Chiesa d'Oriente in Europa.

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Rabban Bar Sauma viaggiò da Pechino fino a Roma, Parigi e Bordeaux, incontrando i più importanti regnanti del suo tempo.

Originario di Pechino, fu monaco nestoriano e guidò una missione diplomatica in Europa per conto di un sovrano mongolo di Persia, l'Ilkhan Hulago. Ha lasciato ai posteri la descrizione dei suoi viaggi. È stato il primo autore di un relazione ufficiale su un viaggio in direzione est-ovest (da Pechino a Roma) nello stesso periodo in cui Marco Polo effettuò lo stesso viaggio in direzione contraria. Molto pio, partì da Pechino per un pellegrinaggio a Gerusalemme con uno dei suoi discepoli, Rabban Marcos. Essi non raggiunsero mai la città santa a causa del fatto che l'itinerario prestabilito attraversava territori interessati da conflitti militari. Si fermarono nella Baghdad controllata dai mongoli, dove trascorsero molti anni. Nel 1281 il suo discepolo Rabban Marcos fu scelto come patriarca della Chiesa d'Oriente (assunse il nome di Mar Yab-Alaha III). Successivamente consigliò l'invio del suo maestro Bar Sauma in una nuova missione, come ambasciatore mongolo in Europa. L'anziano monaco incontrò il papa e molti sovrani europei, nel tentativo di stringere un'alleanza tra Mongoli e Crociati. Le sue esperienze ebbero luogo prima del viaggio di ritorno di Marco Polo in Europa.

Formazione
Rabban ("Maestro") Bar Sauma nacque attorno al 1220 a Khanbaliq (la «città del khan», la futura Pechino). Secondo il noto storico e teologo siro Barebreo (1226-1286) era di origine uigura. Fonti cinesi ne descrivono la discendenza come Wanggu (o Ongud), una tribù mongola della dinastia Yuan. Il nome bar Ṣauma in aramaico significa "Figlio del Digiuno" anche se in realtà nacque in una famiglia benestante. Battezzato nella Chiesa d'Oriente, divenne un monaco asceta attorno ai vent'anni, prima di diventare maestro di teologia, incarico che svolse per alcuni decenni.

Pellegrinaggio a Gerusalemme
A metà della propria vita, Rabban Bar Sauma s'imbarcò con uno dei suoi discepoli, Rabban Marcos (1245-1317), in un pellegrinaggio dalla Cina a Gerusalemme, luogo di origine della cristianità. Attraversarono l'ex stato Tangut, le città di Hotan, Kashgar, Talas nella valle del Syr Darya, il Khorasan (attuale Afghanistan), Maraga (nell'lAltopiano iranico) e Mosul, giungendo a Ani in Armenia. Ricevute notizie preoccupanti riguardo alla sicurezza delle strade che conducevano in Siria meridionale, decisero di non proseguire verso Est.

Si diressero invece nella Persia controllata dai Mongoli, dove furono accolti dal patriarca della Chiesa d'Oriente, Mar Denha I (1265-1281). Il patriarca chiese ai due monaci di recarsi alla corte dell'Ilkhan, Abaqa, nella capitale Maraga, al fine di ottenere lettere di conferma per l'ordinazione di Mar Denha a patriarca nel 1266. Durante il viaggio, Rabban Marcos ricevette la nomina a vescovo della chiesa persiana. Successivamente il patriarca cercò di rimandare i monaci come messaggeri in Cina, ma il conflitto militare in corso lungo la strada ne ritardò la partenza, per cui essi rimasero a Baghdad. Quando il patriarca morì, Rabban Marcos fu nominato suo successore, diventando Mar Yaballaha III (1281). I due monaci viaggiarono fino a Maraga per fare confermare l'elezione da Abaqa, ma il reggente dell'Ilkhanato morì prima del loro arrivo, lasciando il regno al figlio Arghun.

Arghun aveva intenzione di formare un'alleanza strategica tra Mongoli e Crociati, contro il comune nemico dei musulmani Mamelucchi. Il nuovo patriarca Mar Yaballaha suggerì di incaricare il suo maestro Rabban Bar Sauma di avviare contatti con i cristiani. Egli fu così inviato dal papa e dai monarchi europei.

Ambasciatore in Europa
Viaggio di andata

Nel 1287 l'anziano Bar Sauma intraprese il viaggio in Europa, portando doni e lettere di Arghun all'imperatore bizantino, al papa ed ai re europei. Seguì l'ambasciata di un altro nestoriano, Isa Kelemechi, mandato da Arghun presso papa Onorio IV nel 1285.

Rabban Bar Sauma viaggiò con numerosi assistenti e trenta animali. Tra i compagni di viaggio c'erano il cristiano nestoriano (archaon) Sabadinus, Tommaso d'Anfossi (genovese, membro di un'importante compagnia bancaria genovese che funse da interprete)[10] ed un secondo interprete italiano di nome Uguetus o Ughetto. Bar Sauma, nonostante parlasse correntemente cinese, turco e persiano, non conosceva nessuna lingua europea. Suo successore nel ruolo di ambasciatore presso Arghun fu il nobile genovese Buscarello Ghisolfi.

Viaggiò attraverso l'Armenia fino al bizantino impero di Trebisonda sul Mar Nero, poi via nave fino a Costantinopoli dove ottenne un'udienza con l'imperatore Andronico II Paleologo. Gli scritti di Bar Sauma forniscono una descrizione entusiastica della sontuosa basilica di Santa Sofia. Il monaco raggiunse poi, sempre via nave, l'Italia. Quando costeggiò la Sicilia fu testimone della grande eruzione dell'Etna del 18 giugno 1287. Pochi giorni dopo il suo arrivo assistette ad una battaglia navale nel golfo di Napoli il giorno di San Giovanni, 24 giugno 1287, durante il conflitto dei Vespri siciliani. La battaglia fu combattuta tra la flotta di Carlo II (che lui chiama "Irid Shardalo", ovvero "Il re Carlo Due") che lo aveva accolto nel suo regno e Giacomo II di Aragona, re di Sicilia (che chiama Irid Arkon, ovvero "Il re di Aragona"). Bar Sauma scrisse che Giacomo II vinse uccidendo 12.000 uomini. Si trasferì poi a Roma, troppo tardi per poter incontrare papa Onorio IV morto poco tempo prima. Bar Sauma avviò quindi negoziati con i cardinali della curia e visitò la basilica di San Pietro.

La seconda parte del viaggio di Bar Sauma riguardò la visita dei principali monarchi cristiani.
Durante il viaggio verso Parigi si fermò prima in Toscana (Thuzkan) e poi nella Repubblica di Genova. Passò l'inverno del 1287/88 a Genova, all'epoca uno dei principali centri finanziari europei. Filippo il Bello re di Francia (Frangestan) rispose positivamente all'arrivo dell'ambasciata mongola. Bau Sauma fu ospitato per un mese dal monarca e ricevette molti regali. In Guascogna (Francia meridionale), allora in mano agli inglesi, Bar Sauma incontrò re Edoardo I d'Inghilterra, probabilmente nella capitale Bordeaux. Edoardo fu entusiasta dell'ambasciata, ma non fu in grado di fornire un'alleanza militare a causa del conflitto in corso con gallesi e scozzesi.

Re Filippo aveva incaricato uno dei suoi nobili, Gobert de Helleville di riaccompagnare Bar Sauma in Mongolia. Gobert de Helleville partì il 2 febbraio 1288 con due chierici francesi, Robert de Senlis e Guillaume de Bruyères, oltre al balestriere Audin de Bourges. Raggiunsero Roma ed attesero l'arrivo di Bar Sauma dalla Guascogna per poi accompagnarlo fino in Persia.

Viaggio di ritorno
Al ritorno a Roma Bar Sauma fu ricevuto cordialmente dal neoeletto papa Niccolò IV, il quale gli diede la comunione la Domenica delle palme del 1288, permettendogli di celebrare l'eucaristia nella capitale della cristianità. Niccolò affidò a Bar Sauma una preziosa tiara da consegnare al patriarca della chiesa d'Oriente Mar Yaballaha (il suo ex discepolo Marcos). Bar Sauma fece ritorno a Bagdad nel 1288, portando messaggi e doni dai vari monarchi europei.

Alle lettere ricevute, Arghun rispose nel 1289. Il re persiano consegnò le sue missive al mercante genovese Buscarello Ghisolfi, agente diplomatico dell'Ilkhanato. Nella lettera indirizzata a re Filippo IV di Francia, Arghun citò Bar Sauma.

«"Con il potere del cielo eterno, il messaggio del grande re, Arghun, al re di Francia..., dice: Ho accettato le parole che mi avete mandato tramite il messaggero Saymer Sagura (Rabban Bar Sauma), nel quale affermavate che se i guerrieri dell'Il Khaan avessero invaso l'Egitto li sosterreste. Vorremmo anche dare il nostro contributo andandovi alla fine dell'inverno dell'anno della tigre [1290], adorando il cielo, ed insediandoci a Damasco all'inizio della primavera [1291].

Se mandate guerrieri come promesso in Egitto, adorando il cielo, allora vi consegnerò Gerusalemme. Se qualcuno dei nostri guerrieri arriva più tardi di quanto concordato, tutti saranno inutili e di nessun beneficio. Potreste farmi sapere il vostro parere, e sarò lieto di accettare qualsiasi esempio di opulenza francese che vorrete mandarmi tramite i vostri messaggeri.

Vi mando questo messaggio tramite Myckeril e dico: Tutto sarò noto per la potenza del cielo e la grandezza di re. Questa lettera è stata scritta il sesto giorno dell'estate dell'anno del bue a Ho’ndlon."»

Gli scambi epistolari riguardo un'alleanza con gli europei si rivelarono poi infruttuosi ed i tentativi di Arghun furono abbandonati. Rabban Bar Sauma riuscì comunque a attivare importanti contatti che migliorarono le comunicazioni ed il commercio tra Oriente e Occidente. Oltre all'ambasciata di re Filippo presso i Mongoli, anche la Santa Sede inviò missionari, come Giovanni da Montecorvino, alla corte mongola.

Ultimi anni
Dopo la sua ambasciata in Europa, Bar Sauma trascorse il resto della vita a Baghdad. Fu probabilmente in questo periodo che scrisse il resoconto dei suoi viaggi. La testimonianza è unica in quanto restituisce una descrizione dell'Europa medievale nel periodo delle ultime crociate redatta da un osservatore esterno e di larghe vedute.

Rabban Bar Sauma morì nel 1294 a Baghdad.


https://it.wikipedia.org/wiki/Rabban_Bar_Sauma
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Giovanni da Montecorvino

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Giovanni da Montecorvino (Montecorvino Rovella, 1247 – Pechino, 1328) è stato un missionario e arcivescovo cattolico italiano, francescano e fondatore della missione cattolica in Cina. È venerato come beato dalla Chiesa cattolica. È venerato come santo dai cattolici della Cina, nonostante il suo processo di canonizzazione non sia stato ancora concluso.

Biografia
Nato a Montecorvino Rovella nel 1247, entrò tra i Frati Minori dopo aver trascorso una giovinezza ricca di soddisfazioni mondane. Prese i voti nel 1270 nel Convento di San Lorenzo in Napoli, da poco costruito . In quel tempo l'Ordine francescano si occupava principalmente della conversione degli infedeli, perciò verso il 1279 venne inviato con altri frati a predicare il messaggio cristiano in Armenia, Persia e altre regioni mediorientali.

Nel 1286 Arghun, ilkhan mongolo sovrano della Persia, inviò una richiesta al Papa attraverso un vescovo nestoriano, Bar Soma, chiedendo l'invio di missionari cattolici presso la Corte del grande Imperatore cinese, Kublai Khan (1260-1294), che vedeva con favore il messaggio cristiano.

Verso il 1288, Giovanni da Montecorvino tornò a Roma con una richiesta simile: papa Nicola IV gli affidò l'importante compito di fondare delle missioni nell'Estremo Oriente, dove ancora era presente il famoso Marco Polo.

Giovanni iniziò il suo viaggio nel 1289, avendo con sé delle lettere per i seguenti sovrani: l'ilkhan Arghun, il grande imperatore Kublai Khan, il principe dei tartari Kaidu, il re del Regno armeno di Cilicia ed il patriarca della Chiesa ortodossa siriaca. Suoi compagni furono il domenicano Nicola da Pistoia ed il mercante genovese Pietro di Lucalongo.

La prima missiva fu consegnata all'ilkhan Arghun. Frate Giovanni rimase in Persia fino al 1291, quando partì via mare per l'India, dove predicò per 13 mesi e battezzò circa cento persone. Frate Nicola da Pistoia morì di lì a poco. Viaggiando via mare da Meliapur con Pietro di Lucalongo, raggiunse la Cina settentrionale nel 1294. Quando giunse a Khān Bālīq, nome con cui era conosciuta in quell'epoca la città di Pechino, ricevette la notizia che Kublai Khan era appena morto. Gli era succeduto al trono Temür Khan (1265–1307) .

Sebbene quest'ultimo non volle abbracciare il Cristianesimo, non pose comunque alcun ostacolo sulla via dello zelante missionario che, anzi, a dispetto dell'opposizione dei nestoriani che già si trovavano in Cina, entrò presto nelle grazie del gran khan.

Nel 1299 fra' Giovanni costruì la prima chiesa di Khān Bālīq e nel 1305 ne costruì un'altra, con annesse officine e case per 200 persone, proprio davanti al palazzo imperiale. In quegli stessi anni riscattò da famiglie non cristiane circa 150 ragazzini dai 7 agli 11 anni, insegnò loro il greco ed il latino, scrisse appositi salmi ed inni e li educò al servizio liturgico della Messa ed al canto. Nello stesso periodo imparò approfonditamente la lingua uigura, parlata comunemente dalla classe dirigente mongola in Cina, allo scopo di iniziare a pregare in maniera pienamente comprensibile da chi lo ascoltava, e tradusse in quella lingua il Nuovo Testamento ed il Libro dei Salmi.

Tra le 6.000 persone convertite da Giovanni da Montecorvino vi fu un re di credo nestoriano, Giorgio (Giwargis in siriaco), vassallo del Gran Khan, menzionato da Marco Polo nel Milione.

Giovanni rimase unico predicatore della Chiesa di Roma per ben 11 anni (non potendo quindi neanche confessarsi) finché nel 1304 un legato tedesco, Arnoldo di Colonia, fu inviato ad aiutarlo.

Nel 1307 papa Clemente V, pienamente soddisfatto dell'opera del missionario, inviò altri sette frati francescani con l'incarico di consacrarlo arcivescovo di Khān Bālīq e "sommo vescovo" di tutta la Cina; a loro volta essi avrebbero dovuto diventare suoi vicari.

Di questi sette frati, però, solamente tre giunsero a destinazione: Gerardo Albuini, Pellegrino da Città di Castello e Andrea da Perugia. Essi lo consacrarono al loro arrivo a Khān Bālīq, avvenuto tra il 1309 e il 1313. Uno dopo l'altro, furono nominati dallo stesso Giovanni vescovi di Zayton.

Nel 1312 altri tre frati francescani furono inviati da Roma come vescovi suffraganei.

Giovanni morì nel 1328 a Khān Bālīq. Ai suoi funerali solenni partecipò una grande folla di persone, sia cristiani che non. Attorno alla sua figura si era diffusa, infatti, una fama di santità che, in modi diversi, si perpetuò nei secoli successivi.

Riconoscimenti
Nel novembre 1947 si tenne a Montecorvino Rovella (SA) una cerimonia commemorativa in occasione del settimo centenario della nascita del celebre missionario. In tale occasione fu apposta una lapide sulla facciata dell'allora sede municipale a ricordo dell'evento.

Nel 1984 e nel 1993, rispettivamente a Montecorvino Rovella ed a Paestum, si tennero due convegni sulla sua figura di primo evangelizzatore della Cina e nella prima occasione fu inaugurato un altare con immagine in maiolica, opera dello scultore Palumbo di Cava dei Tirreni e nella seconda occasione nacque nel Convento Francescano della Chiesa di Santa Maria della Pace, il Centro Missionario Provinciale OFM " Padre Giovanni da Montecorvino " che si occupa , con molta efficienza, di adozioni a distanza, con notevole partecipazione di laici devoti.

Nella cerimonia del 23 agosto 1984, tenutasi nei locali del Duomo dei SS. Apostoli Pietro e Paolo di Montecorvino Rovella, promossa dall'Ente Fiera Campionaria, tra i relatori intervenuti (Prof. Alberto Coralluzzo, Prof. Alberto Granese, don Gerardo Senatore e lo storico Nunzio Di Rienzo). Onorò il Convegno S.E. l'arcivescovo di Salerno Gaetano Pollio, che aveva trascorso molte vicissitudini[non chiaro] in Cina ed era stato vescovo di Otranto.

Nel 1994 fu organizzato un Convegno a Taiwan (vedi bibliografia) con l'intervento di numerosi studiosi ed addetti ai lavori.

L'amministrazione comunale di Montecorvino Rovella, con delibera consiliare n. 4 del 16 gennaio 1997, ha fatto voti alla Santa Sede per la Beatificazione di Giovanni da Montecorvino, allegando alla stessa una sottoscrizione popolare con circa tremila firme.

Nella sua città natale, Montecorvino Rovella, il 5 gennaio 2000, fu costruito un monumento, inaugurato da Monsignor José Saraiva Martins, postulatore, proveniente dal Vaticano, opera dello scultore Bruno Gandola, milanese, e detto monumento fu corredato, sempre ad opera dello stesso scultore, di alcuni quadri scolpiti concernenti la vita del missionario, offerti dalle Confraternite locali di San Rocco, Corpo di Cristo e Addolorata, nonché dall'ordine francescano secolare locale "Beato Giovanni da Montecorvino ".

Nel 2014, ad opera dell'amministrazione comunale, fu apposta una lapide sulla casa natale del missionario, in Via Diaz.

Nella Chiesa di Santa Maria della Pace, a Montecorvino, si tiene annualmente un triduo nei giorni dal 3 al 5 gennaio, per ricordarne la figura missionaria, con l'intervento di autorevoli relatori provenienti da Assisi e da altre sedi di appartenenza all'OFM.


https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_da_Montecorvino
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Ordine di Sant'Agostino

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L'Ordine di Sant'Agostino (in latino Ordo Fratrum Sancti Augustini), già detto degli eremitani di Sant'Agostino (in latino Ordo Eremitarum Sancti Augustini; sigla O.E.S.A.) è un istituto religioso maschile di diritto pontificio: i frati di questo ordine mendicante, detti agostiniani, pospongono storicamente al loro nome la sigla O.S.A.

Anche se la tradizione ne fa risalire le origini a sant'Agostino, l'ordine sorse nel 1244 dall'unione, promossa dal cardinale Riccardo Annibaldi e sancita da papa Innocenzo IV, delle fraternità di eremiti di Tuscia in un'unica famiglia religiosa sotto la guida di un priore generale e con la regola di sant'Agostino. Nel 1256 agli eremitani di sant'Agostino vennero unite altre congregazioni.

Nel 1968 il capitolo generale approvò il mutamento del titolo dell'istituto da eremitani di Sant'Agostino a Ordine di Sant'Agostino.

L'unione del 1244
Il 16 dicembre 1243 papa Innocenzo IV rivolse alle numerose comunità eremitiche della Tuscia due bolle (Incumbit Nobis e Praesentium vobis) per invitarle a riunirsi in un ordine sotto la regola di sant'Agostino, a eleggersi un priore generale e a dotarsi di costituzioni.

Ogni comunità eremitana inviò a Roma uno o due delegati e nel marzo 1244 si celebrò il capitolo di fondazione, presieduto dal cardinale Riccardo Annibaldi, diacono di Sant'Angelo, assistito dagli abati cistercensi di Santa Maria di Falleri e Fossanova: l'ordine degli eremitani di sant'Agostino ebbe, così, formalmente inizio.

Le case dell'ordine, almeno 61, erano sparse in massima parte nei territori di Lucca e Siena ma erano presenti anche in altre zone della Toscana, in Lazio, Liguria, Umbria e Romagna; nel 1250 agli eremitani venne concessa anche una sede a Roma, presso la chiesa di Santa Maria del Popolo, lasciata liberi dai minori francescani trasferitisi all'Aracoeli.

Presto gli eremitani fondarono conventi anche in Francia e Inghilterra (prima del luglio 1255) e in Germania e Spagna (prima dell'aprile 1256).

La grande unione del 1256
Il 15 luglio 1255 papa Alessandro IV, con la bolla Cum quaedam salubria, convocò in Santa Maria del Popolo altre famiglie religiose invitandole ad aderire all'unione: con la bolla Licet Ecclesiae catholicae del 9 aprile 1256 unì agli eremitani di Tuscia i guglielmiti, i giambonini, i brettinesi e gli eremiti di Montefavale e li annoverò tra gli ordini mendicanti: si realizzava in tal modo quella che venne poi chiamata Grande Unione. Più tardi venne unita agli eremitani la provincia lombarda dei Poveri Cattolici (bolla Iustis petentium del 23 ottobre 1257).

Con l'ingresso nell'ordine di questi nuovi gruppi gli eremitani estesero la loro presenza in Lombardia, Emilia, Veneto, Umbria e nelle Marche.

Con l'unione ebbe inizio anche l'organizzazione del sistema di studi che doveva garantire una preparazione teologica ai membri dell'ordine in funzione dell'apostolato e della pastorale. Attorno al 1260 prese a funzionare a Parigi un collegio per gli studenti agostiniani che frequentavano la locale università: tra i primi a formarvisi fu Egidio Romano, che fu il primo dell'ordine a ottenere il magistero in teologia (1285).

Nel 1266 i guglielmiti si separono dall'unione, ma ciò non impedì all'ordine di svilupparsi e diffondersi soprattutto nelle città.

Il secondo concilio di Lione e il privilegio dell'esenzione
Nel 1274, con il secondo concilio di Lione, che decretò la soppressione di tutti gli ordini fondati dopo la celebrazione del quarto concilio lateranense (1215), gli eremitani rischiarono la dissoluzione: sopravvissero grazie al fatto che i loro primi eremi erano sorti già nell'XII secolo.

Fu in questo contesto che gli agostiniani cercarono di costruire legami diretti tra i loro più antichi eremi e la persona di sant'Agostino, al quale si cercò di attribuire la vera fondazione dell'ordine: sorsero leggende secondo le quali Agostino sarebbe stato rivestito dell'abito eremitano da Ambrogio già al suo battesimo, avrebbe trascorso un periodo in una comunità di eremiti ancora prima di lasciare l'Italia per tornare in Africa e avrebbe dato agli eremiti la sua regola a Milano o a Centocelle.

Il 23 agosto 1289, con la bolla Religiosam vitam suscipientibus, papa Niccolò IV concesse agli eremitani il privilegio dell'esenzione dalla giurisdizione dei vescovi locali.
Questo consentì agli agostiniani di diffondersi ulteriormente: nel 1295 nei paesi tedeschi si erano organizzati in quattro province (Baviera-Boemia, Colonia, Renania-Svevia e Turingia-Sassonia); erano state fondate case anche nell'Italia meridionale e nelle isole del mar Mediterraneo orientale (Creta, Corfù, Cipro, Rodi).

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Ordine_ ... 27Agostino
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Ordine della Beata Vergine del Monte Carmelo

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L'Ordine dei fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo (in latino Ordo Fratrum Beatissimae Mariae Virginis de Monte Carmelo) è un istituto religioso maschile di diritto pontificio. I frati di questo ordine mendicante, detti comunemente carmelitani, pospongono al loro nome la sigla O.C. o O.Carm.

...

A causa delle restrizioni poste dal Concilio Lateranense IV alla fondazione di nuovi ordini religiosi, gli eremiti del Carmelo chiesero al pontefice la conferma della loro regola, concessa da papa Onorio III il 30 gennaio 1226.

Trasferimento in Occidente
Per i crescenti pericoli legati all'avanzata degli arabi in Terra santa, nel corso del Duecento i carmelitani furono costretti a trasferire le loro comunità in Occidente (Cipro, Sicilia, Francia meridionale, Inghilterra): dalla Terra santa l'ordine fu del tutto sradicato nel 1291, alla caduta del regno latino di Gerusalemme, con la perdita dei conventi del Carmelo, di Accon e di Tiro.

Giunti in Occidente, ai carmelitani fu impossibile continuare a condurre lo stesso stile di vita tenuto in Palestina e il capitolo generale dell'ordine chiese al pontefice un adattamento della regola: servendosi di due domenicani, papa Innocenzo IV riformò la regola e l'approvò con la bolla Quae honorem Conditorem del 1º ottobre 1247.

Con l'adattamento della regola, il papa incanalò l'ordine verso il tipo dei mendicanti: le prescrizioni relative al silenzio, al digiuno e all'astinenza vennero attenuate; furono rafforzati gli elementi cenobitici (celle contigue e non più separate, refettorio comune, recita corale dell'ufficio divino) e si diede ai carmelitani il permesso di stabilirsi all'interno di paesi e città.

La nuova situazione incontrò numerose resistenze tra i carmelitani più conservatori, legati alle origini eremitiche dell'ordine: lo stesso Niccolò Gallico, priore generale, tentò di ricondurlo alla situazione iniziale e, attorno al 1270, scrisse la sua Ignea sagitta con la quale si scagliò con durezza contro il tentativo di adattamento.

Oltre alle difficoltà interne, l'ordine dovette anche affrontare le resistenze delle gerarchie ecclesiastiche ostili ai nuovi ordini e l'atteggiamento del Concilio di Lione II (1274), che decretò la soppressione degli ordini religiosi più recenti: i carmelitani furono tollerati in attesa di nuove disposizioni. La situazione di incertezza fu superata con la conferma dell'ordine da parte di papa Onorio IV, sancita definitivamente da papa Bonifacio VIII il 5 maggio 1298.

L'evoluzione dei carmelitani verso il tipo dei mendicanti si concluse sotto il pontificato di papa Giovanni XXII: con la bolla Sacer Ordo del 13 marzo 1317 il papa concesse ai carmelitani di dedicarsi a ogni attività apostolica (insegnamento, predicazione, direzione spirituale, cura d'anime) e il 21 novembre 1326 estese loro i privilegi già concessi a domenicani e francescani con la bolla Super cathedram.

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Ordine_ ... te_Carmelo
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Secondo concilio di Lione

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Il secondo concilio di Lione fu il quattordicesimo concilio ecumenico della Chiesa cattolica, tenutosi nel 1274.

Concilio ecumenico delle Chiese cristiane
Data: 1274
Accettato da: cattolici
Convocato da: papa Gregorio X
Presieduto da: papa Gregorio X
Partecipanti: 560 vescovi ed abati
Argomenti: Conquista della Terra santa, Scisma d'Oriente-Occidente, Filioque, conclave
Documenti e pronunciamenti: temporanea soluzione dello scisma, decima per la crociata, riforma interna, approvazione degli ordini Domenicani e Francescani

Contesto storico
Il secondo concilio di Lione è caratterizzato soprattutto dal tentativo di ristabilire l'unità religiosa con la Chiesa ortodossa, unità peraltro ricercata con vani tentativi lungo tutto il XIII secolo. Nel 1261 l'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo riconquistava la città di Costantinopoli e ristabilì contatti con il papato per motivi politici: rafforzare la sua posizione per evitare la reazione dei latini e la minaccia di una invasione angioina. Così, nella politica dell'imperatore bizantino, l'unità religiosa diventava strumento per raggiungere la pace con l'Occidente cattolico. Tuttavia, benché segnata fortemente da motivazioni politiche, si cercò comunque una certa unità sul piano teologico-ecclesiale attraverso legazioni, scambi di lettere, discussioni, vari memoriali.

Il 4 marzo 1267 papa Clemente IV, in risposta alle richieste di unione e di pace da parte di Michele VIII, gli inviò una lunga lettera assieme a una professione di fede, che l'imperatore bizantino e tutta la Chiesa d'Oriente avrebbe dovuto sottoscrivere. Questa professione di fede prevedeva:

l'accettazione del Filioque e del primato giurisdizionale del papa di Roma sulla Chiesa orientale;
la comunione eucaristica con pane azzimo;
i patriarchi orientali concepiti come delegati del papa di Roma.
Ma la morte improvvisa di Clemente IV, nel 1268, e un lungo periodo di vacanza della sede romana (1268-1271) sembravano aver interrotto le trattative.

Solo nel 1272 il nuovo pontefice, Gregorio X inviò una nuova legazione a Costantinopoli, composta da quattro francescani tra cui Alberto Gonzaga, manifestando la sua volontà di convocare un concilio per l'aiuto alla Terra Santa, per la riforma dei costumi e per raggiungere l'unità; a questo scopo Michele VIII doveva accettare la professione di fede, a suo tempo inviatagli da papa Clemente IV, con un solenne giuramento. Solo in seguito il papa avrebbe convocato il concilio in cui non si doveva né discutere né formulare alcuna professione di fede, ma semplicemente rafforzare l'unità già fatta con una conferma pubblica. Nello stesso tempo Gregorio X scrisse anche al patriarca di Costantinopoli Giuseppe I e ad altri prelati greci per spronarli all'unione e a sostenere il loro imperatore. In questo contesto appare chiaro cosa volesse dire per i latini l'unione: accettare senza mezzi termini la fede prescritta da Roma, dimenticando tutta la tradizione ecclesiale, dottrinale e patristica orientale.

Ovviamente in questi termini l'unione non poteva essere accettata dalle autorità ecclesiastiche, dai monaci e dal popolo greco, già mal disposti verso l'Occidente e la sua teologia. L'errore dell'imperatore Michele VIII fu quello di volerla imporre con la forza, con la violenza e le persecuzioni, cosa che portò a una radicalizzazione delle posizioni e a una forte opposizione antiunionista. Tuttavia l'imperatore riuscì a convincere un folto gruppo di metropoliti e vescovi greci ad accettare la professione di fede di papa Clemente IV, con il chiarimento che essa non significava da parte greca alcun cambiamento ecclesiologico o nella vita ecclesiale concreta, né alcuna modifica o aggiunta al testo greco del Credo. Nel febbraio 1274, nel palazzo imperiale di Costantinopoli, l'imperatore e metropoliti e vescovi giurarono e proclamarono la professione di fede di papa Clemente IV. A questo punto, il papa Gregorio X convocò il concilio a Lione, al quale doveva presentarsi la delegazione greca.

Il pontefice invitò anche Tommaso d'Aquino, chiamato a presentare il suo trattato Contro gli errori dei Greci (composto su richiesta di Urbano IV) e a esprimersi, tra le altre cose, anche sulla questione del Purgatorio (problema affrontato dal filosofo nel Supplemento alla terza parte della Summa Theologiae); tuttavia, ammalatosi durante il viaggio, Tommaso morì nell’abbazia cistercense di Fossanova (Lazio), il 7 marzo.

I lavori conciliari e le decisioni
Gregorio X inaugurò i lavori conciliari il 7 maggio 1274 proclamando nella stessa seduta i tre scopi della convocazione, già annunciati due anni prima all'imperatore bizantino: l'aiuto alla Terra Santa, l'unione con i greci, la riforma dei costumi. Nella seconda sessione, il 18 maggio, apparve chiaro il carattere papale del concilio, senza discussioni o interventi in aula, il pontefice presentò un testo già preparato in precedenza, la costituzione Zelus Fidei, con la richiesta di decime in favore della Terra Santa. La Ordinatio Concilii generalis Lugdunensis, che è la fonte più autorevole per ricostruire i lavori conciliari (scoperta e pubblicata al tempo del Concilio Vaticano II), afferma che la Zelus Fidei fu semplicemente letta, senza interventi o approvazioni da parte dei padri conciliari.

In essa vengono fissate le somme che ogni nazione deve versare per aiutare la Terra Santa; si ricorda che le vittorie degli infedeli rappresentano uno scandalo per i cristiani; si stabiliscono le norme per evitare problemi alla spedizione militare (norme contro la pirateria, la mancanza di pace fra i re cristiani, contro i perturbatori, ecc.). Il 4 giugno si svolse la terza sessione del concilio, durante la quale furono presentate e lette 12 costituzioni di riforma, rivolte soprattutto a clero e laici. Il 24 giugno arrivò a Lione la delegazione greca, accolta con solennità e fastosità, composta di due vescovi e del segretario dell'imperatore. Nella solenne messa papale del 29 giugno il simbolo di fede fu cantato nelle due lingue, latina e greca, e si cantò per tre volte il Filioque. Inoltre, la dottrina del Filioque fu inserita fra i pronunciamenti dottrinali del Concilio di Lione II e da allora divenne una verità di fede appartenente al Magistero della Chiesa Cattolica.

Il 4 luglio giunse a Lione anche una delegazione dei Tartari e uno dei suoi membri il 16 luglio ricevette solennemente il battesimo. Il 6 luglio si svolse la quarta sessione del concilio, dedicata all'unione con i greci. Papa Gregorio X, dopo aver riassunto tutti i negoziati precedenti, affermava che i greci «venivano liberamente all'obbedienza della Romana ecclesia». I delegati greci ripeterono l'atto di obbedienza e professione di fede, già formulato dall'imperatore a Costantinopoli nel mese di febbraio precedente. Seguì il canto solenne del simbolo niceno-costantinopolitano con l'aggiunta del Filioque (cantato due volte). Durante la quinta sessione, il 16 luglio, l'assemblea conciliare approvò la costituzione Ubi Periculum che fissava nuove norme relative al conclave e altri decreti di riforma. Il giorno successivo si chiudeva il concilio.

La ricezione del concilio
L'atto di unione, formulato a Costantinopoli nel febbraio del 1274 e ripetuto a Lione il 6 luglio, non poteva avere vita lunga. Secoli dopo, papa Paolo VI, in una lettera del 19 ottobre 1974, ricorderà che l'unione fu siglata «senza dare alla Chiesa greca la facoltà di esprimere liberamente il proprio parere in questa materia. I latini infatti scelsero il testo e le formule che riproducevano la dottrina ecclesiologica elaborata e composta in occidente». L'atto di unione durò finché vissero i suoi protagonisti: l'imperatore Michele VIII cercò di imporre con la forza delle persecuzioni una fede in cui nessun suo suddito credeva e accettava; accusato da Roma di non saper imporre l'unione, venne scomunicato per eresia e scisma. Dopo la sua morte (1282), il figlio e successore Andronico, anti-unionista, sconfessò subito la professione di fede del padre e ogni contatto con l'occidente e l'atto di Lione, che doveva ricostruire l'unità, finì invece per approfondire il solco, politico e religioso, tra oriente e occidente cristiano.

https://it.wikipedia.org/wiki/Concilio_di_Lione_II
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Unam Sanctam Ecclesiam

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La Unam Sanctam Ecclesiam, comunemente nota come Unam Sanctam, è un'enciclica di papa Bonifacio VIII promulgata il 18 novembre 1302.

I precedenti
La bolla papale di Bonifacio VIII costituisce l'ultimo episodio del conflitto tra potere spirituale e potere temporale, e riprende, riaffermandoli con energia, gli ideali teocratici espressi in precedenza soprattutto da papa Gregorio VII, nel 1075 con il Dictatus Papae, e da papa Innocenzo III (decretale Venerabilem). Si tratta in realtà di un conflitto plurisecolare, che si può far risalire alla fine del V secolo, a papa Gelasio I e alla sua dottrina delle "due spade", quella spirituale e quella temporale, con l'affermazione, certo, della loro distinzione, ma anche con la definizione del primato della prima sulla seconda, e di conseguenza del papa sull'imperatore.

Contenuto
Nella bolla di Bonifacio VIII la novità consiste nel fatto che la figura dell'imperatore come rappresentante del potere temporale è sostituita da quella del re di Francia Filippo il Bello. Questo fatto è storicamente significativo perché dimostra come all'inizio del XIV secolo il potere dei re nazionali fosse aumentato notevolmente a scapito di quello imperiale. In realtà, dopo la morte di Federico II, avvenuta nel 1250, ed il Grande Interregno, il Sacro Romano Impero aveva vissuto lunghi periodi di incertezze e vuoti di potere.

La giustificazione biblica dell'interpretazione teocratica della dottrina delle due spade, nel testo di Bonifacio VIII, è data da un passo del Vangelo di Luca che narra come Gesù, prima di recarsi nell'orto di Getsemani accettasse due spade per la difesa della propria persona:

« Ed essi dissero: Signore, ecco qui due spade» (Luca - 22, 38)

Bonifacio VIII con questa bolla sottolinea inoltre l'unicità della Chiesa attraverso una particolare allegoria.

«Al tempo del diluvio invero una sola fu l'arca di Noè, raffigurante l'unica Chiesa; era stata costruita da un solo braccio, aveva un solo timoniere e un solo comandante, ossia Noè, e noi, come ci dice la Scrittura, leggiamo che fuori di essa ogni cosa sulla terra era distrutta.»

(Bonifacio VIII, Unam Sanctam Ecclesiam)

Nella citazione, il ripetuto utilizzo delle parole "un solo" o "una sola", ha il fine di dare l'idea di unicità della chiesa dal punto di vista spirituale (Dio si riconosce in un'unica Chiesa); le parole «e noi leggiamo nella Scrittura che fuori di essa ogni cosa sulla terra era distrutta» sottolineano l'importanza e la necessità della Chiesa anche per il buon ordinamento temporale dell'umanità.

Riassumendo il contenuto della bolla, si può dire che:

È affermata l'unità e l'unicità della Chiesa, al di fuori della quale non c'è salvezza; la Chiesa è un corpo mistico con un solo capo, Gesù Cristo;
È affermata la dottrina delle due spade: quella spirituale è usata dalla Chiesa stessa, quella temporale è concessa al regno;
Il potere temporale è subordinato a quello spirituale, così che il potere temporale è giudicato da quello spirituale; così pure, nella Chiesa, il potere spirituale inferiore è giudicato dal potere spirituale superiore (i vescovi sono giudicati dal papa); il papa a nemine iudicatur, ovvero non può essere giudicato da nessuno: solo da Dio;
È necessario, ai fini della salvezza, che ogni creatura sia sottomessa al papa.
La formula finale della bolla Unam sanctam, quella che più ha fatto discutere, è presa in prestito da un'opera di Tommaso d'Aquino (Contra errores graecorum), ma già in almeno due altre bolle Bonifacio aveva affermato che «...al capo supremo di questa Chiesa militante (il Papa) deve essere sottoposta ogni anima e a lui tutti i fedeli, quali che siano la loro dignità o il loro stato devono "chinare il collo"».

Alla redazione dell'enciclica diedero certamente il loro contributo alcuni prestigiosi teologi, particolarmente legati a Bonifacio VIII, tra cui il cardinale francescano Matteo d'Acquasparta e gli agostiniani Egidio Romano, che aveva precedentemente teorizzato nel De ecclesiastica potestate il concetto di plenitudo potestatis (cioè il pieno potere del papa), e Giacomo da Viterbo, che scrisse in quel periodo il trattato De regimine christiano, in cui il religioso viterbese sviluppò i concetti del papato, inteso come teocrazia, e del potere temporale della Chiesa.


https://it.wikipedia.org/wiki/Unam_Sanctam_Ecclesiam
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Egidio Romano

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Egidio Romano
Egidio Romano, latinizzato come Ægidius Romanus, indicato anche come Egidio Colonna (Roma, tra il 1243 e il 1247 – Avignone, 22 dicembre 1316), è stato un arcivescovo cattolico, teologo e filosofo italiano, generale dell'Ordine di Sant'Agostino. Dopo la sua morte, gli furono tributati i titoli onorifici di Doctor fundatissimus e Theologorum princeps.

Biografia
Figlio di Pietro conte di Genazzano, fu discepolo di San Tommaso d'Aquino all'Università di Parigi, dove più tardi insegnò, prima di diventare generale degli agostiniani e arcivescovo di Bourges (1295). Fu inoltre il precettore di Filippo il Bello per il quale scrisse il trattato De regimine principum, sostenendo l'efficacia della monarchia come forma di governo.

https://it.wikipedia.org/wiki/Egidio_Romano
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