LA CAVALLERIA

Armi, armature, tattiche, formazioni, logistica e altro ancora...
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Veldriss
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UNA "INVENZIONE" CHE HA RIVOLUZIONATO LA GUERRA
L'invenzione del cavallo
di Nicola Zotti http://www.warfare.it

Achille Campanile scrisse un'esilarante commedia intitolata "L'inventore del cavallo". In questa commedia il nome dell'inventore del cavallo ci viene rivelato: è il professor Bolibine.

L'Accademia delle Scienze sta per conferirgli un premio per l'eccezionale invenzione, quando il passaggio sotto le finestre della sala della cerimonia di una parata militare e di un reggimento di cavalleria, rivela agli accademici e al professore la terribile verità: il cavallo esisteva da prima che questi lo inventasse.

Il povero Bolibine, sopraffatto dalla vergogna, si suicida.

Non sarà stato il professor Bolibine, però qualcuno il cavallo lo ha inventato. Creato ovviamente no, ma neppure scoperto, proprio inventato: come arma.

Quel qualcuno probabilmente non lo immaginò, ma aveva dato inizio ad una rivoluzione militare.

Secondo storici e archeologi, il cavallo fu domato in diverse località tra Asia centrale e Ucraina, più o meno contemporaneamente tra il 4.500 e il 3.000 a. C.: in questo lasso di tempo ci sono ritrovamenti di crani di cavalli con i molari consumati da un morso.

Il periodo è molto ampio, ma rimane incerto, perché potrebbe trattarsi di "cavalli da compagnia", puledri catturati e poi tenuti presso la famiglia senza essere mangiati, come era magari capitato ai loro genitori.

La prima prova provata del connubio uomo-cavallo è ancora un millennio successiva: la tomba di Kriove Ozero in Siberia, della cultura di Andronovo nella sua prima forma detta di Sintashta-Petrovka, datata 2026 a. C., primo esempio di sepoltura funearia con un carro a due ruote trainato da cavalli.

La natura bellica di questa tomba è suggerita dal ritrovamento al suo interno di punte di freccia e di lancia.

Il cavallo è così importante per quelle popolazioni che nello stesso periodo, attorno al II millennio a. C., da sedentarie si trasformeranno in nomadi.

Il carro da guerra l'avevano probabilmente inventato i Sumeri, come sembra testimoniare lo stendardo di Ur datato 2.500 a. C., però si trattava di carri con 4 ruote piene trainati da onagri. Quelli della cultura di Sintashta-Petrovka sono invece carri più agili e adatti a seguire un gregge o una mandria nelle pianure della steppa.

I nostri antenati avevano scoperto che il cavallo è un animale meno bizzarro dell'asino e, per quanto all'epoca avesse più o meno la stessa taglia di quest'ultimo, poteva essere migliorato con la selezione delle razze.

Per molti secoli il cavallo non fu abbastanza robusto da essere cavalcato, ma con un carro una coppia di animali era sufficiente a garantire il trasporto di due uomini e delle loro armi.

Il cavallo, inoltre, ha spontaneamente tre andature -- passo, trotto e galoppo -- mentre l'asino cammina ad una velocità pari o inferiore a quella dell'uomo, oppure parte ad un galoppo difficilmente controllabile, caratteristica che non ne fa un animale particolarmente affidabile in una situazione bellica.

Al contrario il cavallo risponde ai comandi del guidatore con molta più docilità ed è sicuramente meno testardo dei suoi parenti da soma. Il cavallo veniva anche cavalcato, ma data la debolezza della groppa, doveva essere montato sul posteriore, come vengono cavalcati ancora oggi gli asini.

Il cavallo è un animale timoroso e delicato, soggetto a molti malanni, non può vomitare e il suo corto intestino lo obbliga a mangiare tre volte al giorno, ma il vantaggio di possedere un mezzo di trasporto così efficiente, era una motivazione bastevole a superare qualsiasi difficoltà. il cavallo fu quindi "inventato" come arma da guerra, traslando al conflitto tra popoli il vantaggio che il pastore aveva sulla mandria che custodiva.

Il pastore sapeva difendere con arco e frecce il proprio bestiame dalle bestie feroci, ma aveva imparato anche a radunarlo, conosceva come catturare altri capi o inseguire animali veloci nella caccia: questa esperienza tornò utile affrontando popolazioni sedentarie, le cui milizie di fanti erano praticamente indifese contro queste sofisticate tattiche di manovra.

Un po' per conquista e un po' per emulazione, dalla Siberia centrale il carro si diffuse inizialmente in tutta la steppa, fino ai confini della taiga a nord e dell'Iran a sud. Da qui giunse più o meno nello stesso periodo, ovvero attorno alla prima metà del secondo millennio, in Cina a est, in Europa centrale e nei Balcani a ovest, in Asia minore e in Egitto a sud.

I Mitanni nella Siria del nord furono i primi in quest'epoca a guadagnarsi la fama di abili guerrieri su carri scrivendo il primo manuale sul loro addestramento, giuntoci in una versione Ittita, assieme agli Hyksos che, da popolazione intimamente ancora nomade e di commercianti, si infiltrarono in Egitto fino a diventarne i governanti per oltre un secolo (dal 1674-1548). Gli Hyksos pare siano anche inventori dell'arco composito, che permise di utilizzare la piattaforma del carro per colpire i nemici da ancora maggiore distanza.

L'invenzione del cavallo portò alla ribalta della storia militare un principio tattico ancora attuale: quello della mobilità e della manovra. L'uomo che per primo capì l'importanza della manovra, non farebbe alcuna fatica a comprendere la Blitzkrieg, la Airland Battle, o Shock & Awe.

I mezzi sono cambiati, la tecnologia ha fornito l'arsenale degli uomini di nuovi strumenti, ma l'essenza della guerra dopo l'invenzione del cavallo si è consolidata nella ricerca di un vantaggio sull'avversario originato dalla velocità degli spostamenti: carri armati, elicotteri, aerei, e domani astronavi non sono altro che super-cavalli: solo meno belli ed eleganti.
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La mobilità strategica della cavalleria

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LE PRESTAZIONI DEI CAVALLI
La mobilità strategica della cavalleria
di Nicola Zotti http://www.warfare.it

Il cavallo è un animale delicato. I manuali militari dall'"Ipparca" in poi lo ripetono costantemente. Eppure è capace di prestazioni straordinarie, che dipendono in larga misura dall'affiatamento uomo-animale, da un addestramento costante e rigoroso che li trasforma in un'entità unica.

La più precisa tabella di marcia che ho a disposizione è quella che segue, riportata nella sezione 1-B: Capacità di marcia della cavalleria, dei“Tactical Principles and Logistics for Cavalry”, The Cavalry School, US Army 1934.

"La capacità di marcia della cavalleria varia grandemente a seconda delle condizioni. Quelli che seguono sono standard notevoli e praticabili in condizioni favorevoli. Questi standard dovrebbero essere utilizzati nell’addestrameno teorico e pratico.
Senza limitazioni di una situazione tattica, o temperature estreme, in terreno normale, su buone strade, con sufficiente foraggio, e uomini e cavalli addestrati, la cavalleria può marciare ad una velocità di 6-6,5 miglia (Km. 9,7-10,5) all’ora, per una distanza di 35 miglia (Km. 56,5) al giorno, con un giorno di riposo alla settimana, per un periodo di tempo sufficiente a qualsiasi normale missione di cavalleria.
Se la situazione tattica lo richiede, la cavalleria può marciare, in favorevoli condizioni di terreno e di tempo:

distanza in miglia (Km.) - ore - miglia (Km.) all’ora
6 (9,7) - 30’ - 12 (19,4)
10 (16,1) - 1 - 10 (16,1)
16 (25,8) - 2 - 8 (12,9)
21 (33,9) - 3 - 7 (11,3)
28 (45,2) - 4 - 7 (11,3)
35 (56,5) - 5 - 7 (11,3)
50 (80,7) - 8 - 6 1/4(10,1)
60 (96,8) - 10 - 6 (9,7)
75 (121,1) - 15 - 5 (8,1)
100 (161,4) - 24 - 4 1/6 (6,7)
150 (242,1) - 48 - 3 1/8 (4,5)
200 (322,8) - 72 - 2 1/4 (3,4)

Ho riportato la tabella così come è scritta e ritengo necessiti qualche spiegazione. L'unità di riferimento non è specificata ma si tratta sicuramente di un'unità minore, una truppa o uno squadrone, che vengono indicate più avanti come le unità di riferimento per la marcia. Insomma appena qualche centinaio di uomini al massimo senza grandi apparati logistici al seguito. SI parla quindi di una colonna di non più di 500 metri, perfettemente controllabile da un comandante: un'altra condizione ideale da aggiungere alle altre precedentemente indicate dal manuale.

I tempi indicati sono dunque i migliori possibili per la distanza complessiva percorsa ovvero: in mezz'ora in addestramento l'unità può essere portata a percorrere circa 10 km. a una velocità di quasi 20 km all'ora, ecc.

Per percorsi di varie ore va considerato che erano previste pause di alcuni minuti ogni ora per ricostruire i reparti e far rifiatare uomini e cavalli.

ll Manuale pone grande importanza nell’insegnare ai cavalli a marciare al passo alla velocità regolare di 4 miglia (Km. 6,5) all’ora, e 8 e 9 miglia (Km.13 e Km. 14,5) al trotto: solo a questa velocità è possibile marciare per più giorni consecutivi.

In realtà la cavalleria è capace di prestazioni anche superiori a quelle citate nella tabella. Qualche esempio riportato disordinatamente potrà dare un'idea delle possibilità della cavalleria.

Giulio Cesare, ad esempio, nella campagna contro Vercingetorige nel 52 a. C. compì un balzo di 400 Km. in 4 giorni in Inverno e tra montagne innevate. Un'impresa simile a quella compiuta dal 5th US Cavalry nella campagna dell'inverno 1858-59 contro gli indiani Buffalo Hump tra le nevi delle Wichita Mountains. Un susseguirsi di marce forzate tra le quali spicca quella di circa 150 Km. in 36 ore, corredata da annesso combattimento sostenuto con cariche alla sciabola.

Con il caldo il discorso non cambia: oltre 150 Km in 36 ore vennero percorsi da un'unità di artiglieria a cavallo nativa nel 1818 in India. E una prestazione anche superiore è stata compiuta dalla Mounted Police di Città del Capo nel 1907, quando cavalcò per 140 Km. in 24 ore per catturare il capo ribelle Morenga.

I cavalli antichi non erano meno capaci di queli moderni: Dione nel 357 a. C. condusse la sua cavalleria in una notte a coprire 125 Km. quando dovette impedire lo sbarco del suo nemico Eraclide a Siracusa.

La resistenza dei cavalieri era naturalmente superiore a quella dei cavalli. Catone il Vecchio prima corse da Brindisi a Taranto (60 Km.) in mezza giornata, e poi da Taranto a Roma (480 Km.) in altri 4 giorni, con una media complessiva di 120 Km. al giorno: i cavalli vennero cambiati, ma lo sforzo fisico del cavaliere rimane notevole.

Questa impresa è stata superata nel 1902 nella corsa Bruxelles-Ostenda dal cavallo Courageaux, montato dal luogotenente Madamet, che coprì 132 Km. in meno di 7 ore.

In quanto a sforzo fisico, tuttavia, mi riesce difficile immaginare che qualcuno possa superare quello compiuto da un confratello di san Francesco, Giovanni da Pian del Carpine, nel 1245-6. Sessantacinquenne portò un'ambasceria papale al Khan dei mongoli percorrendo, solo in una tappa del suo viaggio, circa 4800 chilometri in 106 giorni.

Le prestazioni delle cavallerie nomadi non sono comparabili, più che altro per la scarsa verificabilità delle fonti. Solo a titolo esemplificativo si racconta, ad esempio, che un messaggero mongolo percorse con il suo pony oltre 950 Km. in 16 giorni, alla media di 60 Km. al giorno, mentre l'esercito poteva marciare anche a 160 Km. al giorno cambiando più monte, costringendo per brevi periodi i cavalli quasi a digiunare.

I mongoli, infatti, come altre cavallerie dell'antichità, usavano più monte, fino a 10 in media, il che spiega la necessità di vasti pascoli per il transito degli eserciti.

Più modestamente, altre cavallerie, ad esempio i numidi, andavano in guerra con 2 cavalli. Questo genere di truppa era chiamata "anfibbi": con due b, mi raccomando.
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Il cavallo mongolo

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PIU' CHE UN ANIMALE, L'ORIGINE DI UN SUCCESSO
Il cavallo mongolo
di Nicola Zotti http://www.warfare.it

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Molto del successo delle armate mongole era strettamente legato alla razza del cavallo che ne costituiva il principale mezzo di locomozione.

Perché di cavallo si tratta e non di pony, come potrebbero far pensare le modeste dimensioni dell'animale: tra i 13 e i 14 palmi mediamente di altezza al garrese, ovvero tra i 122 e i 142 cm. Mentre il peso medio si aggira sui 272 kg.

Un animale estremamente solido, per quanto inelegante, di costituzione massiccia, con zoccoli larghi e robusti che non necessitano la ferratura, e un pelo duro e folto capace di far sopportare all'animale gli sbalzi di temperatura della Steppa: da -40 gradi in Inverno a +30 in Estate; una lunga coda e una fluente criniera che nelle giumente era tagliata a scopi utilitaristici e non estetici.

Ed erano soprattutto le giumente (o i puledri) ad essere cavalcate in campagna e in battaglia, vuoi per la loro natura più tranquilla, vuoi perché se erano in periodo di allattamento potevano fornire al guerriero circa 2 litri e mezzo di latte in eccedenza rispetto alle esigenze del puledro, per un equivalente di 1.500 calorie: sufficienti per completare la dieta di un uomo o per non farlo morire di fame in caso di emergenza.

Gli stalloni, ai quali al contrario la criniera non veniva mai tagliata, avevano la tendenza ad essere aggressivi tra loro per il dominio sulle femmine e, peggio, tendevano a spingerle via per portarsele appresso, cosa che in battaglia poteva causare immaginabili disastri.

Gli animali, femmine e maschi, adatti alla guerra erano comunque altamente selezionati e preparati: per questo motivo ogni guerriero doveva innanzitutto essere un esperto allevatore e possedere una mandria assai numerosa dalla quale prelevare gli animali necessari alla campagna.

Tra puledri, giumente e stalloni era necessaria una mandria come minimo di 30 capi, meglio se 50, per prelevarne quei 5 o più che venivano portati in guerra: questi erano condotti ad ingrassare in Primavera ed Estate e sottoposti ad intensi allenamenti in Autunno, riducendone contemporaneamente le razioni per irrobustirli e aumentarne la resistenza fisica: il risultato era un animale con la groppa forte, il ventre solido e capace di sopportare enormi fatiche.

In primo luogo la alta e pesante sella mongola, costruita appositamente per sollevare il guerriero e permettergli di orientare senza limitazioni il proprio arco composito mantenendosi saldo in groppa con l'aiuto di due appoggi anteriori e posteriori. La tendenza del cavallo mongolo a decidere da sé direzione e andatura, in questo senso, tornava utile al guerriero mongolo che poteva contare su un mezzo di locomozione "pensante" anche durante i combattimenti. Altrimenti il cavaliere mongolo teneva le briglie molto strette costringendo con la forza il cavallo a seguire la propria volontà.

Il principale difetto del cavallo mongolo è tuttavia l'incapacità a tenere a lungo il galoppo, che lo sfianca presto, ed è per questo motivo che in battaglia tornavano utili le molte cavalcature, che venivano cambiate con estrema rapidità.

In compenso il cavallo mongolo ha un "canter" naturale, ovvero un'andatura tra il trotto e il galoppo utile per percorrere rapidamente grandi distanze: in condizioni normali 60 km. al giorno potevano essere sostenuti anche per lunghi periodi di tempo.

Tuttavia gli spostamenti di un'armata mongola erano normalmente molto più lenti a ragione del fatto che gli animali venivano nutriti preferibilmente con la naturale pastura dei prati: 14 kg. almeno di erba al giorno (o 4,5 kg. di fieno e orzo) e una ventina di litri di acqua possono sembrare pochi, e in effetti lo sono rispetto ad un esigente e delicato cavallo europeo, tuttavia possono impegnare circa metà di una giornata per essere consumati.

Soprattutto, però, richiedevano grandi spazi: considerando circa 600 kg. la produzione di erba di un ettaro di steppa, le 5 monte di un guerriero potevano consumarlo in 3 settimane, al ritmo di una ventina di m2 al giorno per ciascun animale: 16,6 m2 più qualcosa di calpestato che andava sprecato.

Il problema si presentava durante le campagne, quando i mongoli radunavano mandrie di centinaia di migliaia di animali.
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IL PRIMO MANUALE MILITARE DI CAVALLERIA

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IL PRIMO MANUALE MILITARE DI CAVALLERIA
La carica di cavalleria negli statuti della regola dell'ordine dei Templari
da "I Templari, la Regola e gli Statuti dell'Ordine", a cura di Jose Vincenzo Molle, ECIG, Genova 1994 http://www.warfare.it

Dello squadrone

161. Quando i fratelli sono divisi in squadroni, non devono andare da uno squadrone all'altro, né montare a cavallo, o prendere lancia e scudo senza permesso; e quando hanno preso le armi devono disporre gli scudieri con la lancia dinanzi a loro e quelli col cavallo di dietro, a seconda delle istruzioni del maresciallo, o di chi ne fa le veci; e fintantoché sono nello squadrone nessuno deve volgere indietro il cavallo per combattere o incitare i compagni, né per nessun altro motivo.

162. Se un fratello desidera mettere alla prova il proprio cavallo, per verificare le sue condizioni o controllare che sia stato sellato e coperto a dovere, può montare in sella ed uscire per qualche tempo senza permesso, e poi tornare tranquillamente e in silenzio nello squadrone; ma non può prendere lancia e scudo senza permesso; è consentito indossare il cappuccio di ferro senza attendere il permesso, ma non toglierselo. Nessuno deve caricare o uscire dai ranghi senza permesso.

163. Nel caso un cristiano si comporti in modo avventato e un turco lo assalga per ucciderlo, ed egli sia in pericolo di morte, se qualcuno, trovandosi in quei pressi, decide di lasciare lo squadrone per soccorrerlo, poiché sente in cuor suo di poterlo aiutare, può farlo senza permesso, e poi deve rientrare nello squadrone, tranquillamente e in silenzio. Chi va alla carica o esce dai ranghi per qualunque altro motivo sarà punito e verrà inviato a piedi all'accampamento e privato di tutto meno che dell'abito.

Della carica

164. Quando il maresciallo lo ritiene opportuno, si fa consegnare, in nome di Dio, il gonfalone dal sotto-maresciallo, e se il maresciallo non lo trattiene, il sotto-maresciallo raggiunge il turcopoliero. QUindi il maresciallo ordina a cinque o sei, fino a un massimo di dieci fratelli cavalieri di proteggere lui e la bandiera; e questi cavalieri devono sbaragliare il nemico tutt'intorno al gonfalone, e dare il megio di sé, senza dividersi o abbandonare la posizione, ma anzi mantenendosi il più vicino possibile al gonfalone in modo da poterlo proteggere se necessario. E gli altri fratelli possono attaccare davanti, di dietro, a sinistra e a destra, ovunque ritengano di poter opprimere il nemico, in modo da poter soccorrere il gonfaloniere ed essere da questo sostenuti, se necessario.

165. E il maresciallo deve ordinare al commendatore dei cavalieri, che deve essre uno dei dieci balivi del capitolo, di portare un altro gonfalone arrototlato intorno alla lancia. E il commendatore non deve mai abbandonare il maresciallo, ma anzi stargli il più vicino possibile, dimodoché, se il gonfalone del maresciallo viene abbattuto o distrutto, o nel caso, Dio non voglia, si verifichi qualche altra disgrazia, egli possa dispiegare il proprio gonfalone; o comunque fare in modo che i fratelli si riuniscano, se occorre, intorno al gonfalone. E se il maresciallo è ferito o accerchiato e non in grado di comandare la carica, questa deve essere lanciata da colui che regge il gonfalone. E quanti hanno l'incarico di proteggere il gonfalone devono andare con lui; né il maresciallo, né colui che porta il gonfalone arrotolato devono colpire con l'asta del gonfalone, né abbassarla per nessun motivo.

166. E soprattutto chi è alla testa di uno squadrone di cavalieri non deve caricare o uscire dai ranghi senza il permesso o il consenso del maestro, se è presente, o di chi ne fa le veci (a meno che gli toccasse farlo per forza o si trovasse alle strette, tali da non poter chiedere facilmente il permesso); e se invece avviene diversamente verrà punito severamente e perderà l'abito. Il comandante di ogni squadrone deve avere un gonfalone arrotolato intorno alla lancia e disporre di dieci cavalieri che difendan lui e il gonfalone. E ciò che si è detto a proposito del maresciallo vale anche per i comandanti degli squadroni.

167. E se uno non è in grado di dirigersi verso il gonfaloniere per timore sei Saraceni che si frappongono fra lui e il gonfaloniere, oppure non riesce più a vederlo, raggiunga senz'altro il più vicino gonfalone cristiano. E se individua quello dell'Ospedale, si avvicini ad esso e informi il capo di quello squadrone, o un altro ufficiale, che non è in grado di raggiungere il proprio gonfalone, e lì rimanga quieto e in silenzio finché non è in grado di tornare dai suoi. Nessuno, per quanto gravemente ferito, deve lasciare i ranghi senza permesso; e se uno è gravemente ferito tanto da nonn poter andare a chiedere tale permesso, deve inviare un altro fratello a chiederlo in sua vece.

168. E se, Dio non voglia, accade che i cristiani siano sconfitti, nessuno deve abbandonare il campo di battaglia e tornare alla guarnigione finché rimane in piedi anche un solo vessillo bicolore; e chi lo fa venga espulso per sempre dalla casa. E quando è chiaro che non c'è più nienta da fare, si raggiunga il più vicino gonfalone dell'Ospedale o un altro gonfalone cristiano, se ce ne sono; e se anche questi vengono abbattuti ci si diriga verso la propria guarnigione, là dove piaccia a Dio.
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