IL MEDIOEVO - CASTELLI, MERCANTI, POETI

Commercio, istituzioni, usi e costumi, istruzione...
Avatar utente
Veldriss
"IL CREATORE"
"IL CREATORE"
Messaggi: 5345
Iscritto il: 21 ottobre 2008, 10:55
Località: Sovere (BG)
Contatta:

STORIA - Il commercio

Messaggio da leggere da Veldriss »

di Maria Elisa Soldani

Tra Due e Trecento il commercio conosce una forte fase di intensificazione, ampliamento e integrazione tra aree diverse. Le navi mercantili collegano ora i porti dal Baltico al Mar Nero, mentre gli uomini d’affari frequentano fiere e mercati all’estero organizzandosi in forme societarie sempre più complesse.

I caratteri del commercio nel pieno Medioevo

Il processo di cambiamento economico di lungo periodo iniziato alla fine dell’VIII secolo e articolatosi qualitativamente nell’XI e nel XII secolo, si intensifica quantitativamente e si estende geograficamente tra Due e Trecento. Il crescente aumento della popolazione e degli aggregati urbani, la stabilizzazione delle istituzioni politiche, lo sviluppo nel settore agricolo ed estrattivo, il diffondersi delle specializzazioni artigianali insieme al ripristino delle reti terrestri e fluviali favoriscono l’intensificazione dei commerci e il relativo sviluppo del credito. Causa, e allo stesso tempo effetto, della forte espansione dei commerci sono la disponibilità di argento e il ritorno in Occidente dell’oro che, dalla seconda metà del Duecento, giunge dal Nord Africa attraverso le vie transahariane.

In Lombardia, Inghilterra, Fiandre e Germania si diffondono fiere e mercati che hanno un forte peso sull’articolazione dei commerci in quanto luogo fisico in cui domanda e offerta si incontrano. Nel XIII secolo vivono il proprio splendore le fiere di Champagne, che si tengono quasi tutto l’anno nell’omonima regione a Provins, Troyes, Lagny e Bar-sur-Aube. I mercanti stranieri ottengono speciali condizioni da parte delle autorità politiche che gestiscono le fiere e i trasporti vengono organizzati in modo tale da facilitare le operazioni e i collegamenti tra Mediterraneo ed Europa settentrionale. Già dalla fine del XIII secolo le galee genovesi iniziano a connettere direttamente i porti ponentini in cui confluiscono le merci – Bruges, Anversa, Sandwich e Southampton – con quelli del Mediterraneo occidentale e del Levante. Presto su questa rotta si inseriscono anche Pisani, Veneziani e Catalani che, con i loro navigli, rendono regolari e frequenti le comunicazioni sulla rotta atlantica.

Il Mediterraneo di questi secoli conosce un fortissimo ampliamento delle reti commerciali e dei porti. L’area orientale e quella adriatica sono adesso strettamente connesse a quella occidentale, che comprende gli scali tirrenici, le coste a est della Penisola Iberica e il Nord d’Africa. Le imbarcazioni si muovono integrando i circuiti locali e interregionali con quelli internazionali. Per il trasporto di uomini e merci su lunghe tratte vengono impiegate imbarcazioni con caratteristiche diverse: le galee, lunghe e sottili, che viaggiano sia a propulsione velica sia a remi ed hanno la possibilità di essere armate; le navi tonde, più adatte al commercio, che privilegiano la capacità di carico alla velocità, e necessitano quindi di un minore equipaggio. A partire dal Trecento, fa la sua apparizione sul mare anche la cocca, una nave a uno o due alberi che utilizza una vela quadrata attraverso un sistema che permette di ampliare rapidamente la superficie velica e la rende più manovrabile. Il trasporto sull’acqua è quello che permette una maggiore rapidità degli spostamenti e il contenimento dei costi grazie all’introduzione, nel Trecento, della differenziazione dei noli sulla base della tipologia delle merci. Questi percorsi integrano le vie d’acqua a quelle terrestri, in cui i pedaggi si incrementano a causa della moltiplicazione delle iniziative, signorili, cittadine ed ecclesiastiche per il mantenimento della sicurezza sui diversi tratti stradali.

Tra le principali tecniche commerciali che consentono ai mercanti di svolgere operazioni a distanza con le maggiori piazze deve essere ricordata la lettera di cambio, strumento che si perfeziona con l’introduzione delle cifre arabe e lo sviluppo della contabilità e dei conti correnti. Anche le formule societarie si differenziano, divenendo progressivamente più elaborate. Si diffondono società temporanee come la commenda – o societas maris come viene definita a Pisa e a Genova – che, legata a un solo tipo di viaggio, contempla l’esistenza di uno o più soci viaggiatori, incaricati di portare a termine l’operazione, e di uno o più soci finanziatori. In modo simile il contratto di colonna, utilizzato nel traffico di cabotaggio, prevede la registrazione da parte dello scrivano di bordo della partecipazione a una società temporanea di tutti gli uomini della nave.

Nel nuovo contesto cittadino quella del commercio è l’unica attività veramente in grado di aumentare considerevolmente la ricchezza e di innescare processi di ascesa sociale. Tuttavia quella mercantile è una professione sempre più complessa e non può essere affatto improvvisata.

La lotta tra Genova e Venezia per il predominio sul commercio orientale

Veneziani, Genovesi, e in seguito Catalani, concentrano la propria attenzione sul Mediterraneo orientale. Costantinopoli rimane uno dei centri più vitali: oltre a produrre sete, armi, ori, smalti, avori e telerie, svolge una funzione di mediazione nelle comunicazioni tra l’Asia e l’Europa latina. Gran parte delle spezie proviene infatti dall’India, da Ceylon, da Giava, dalle Molucche e dalla Cina. Sono gli arabi a farsi intermediari di questo prezioso traffico percorrendo le vie di terra e le rotte marittime per portare tali beni nei maggiori porti del Levante – Giaffa, Acri, Beirut, Alessandria, Tripoli, Antiochia. Dai primi decenni del Duecento al 1340 circa, la stabilità in Asia è garantita dall’unificazione sotto l’Impero mongolo e quella che viene definita la pax mongolica porta a un ampliamento degli spazi economici sulla via della seta. In questo periodo i mercanti occidentali, come il celebre veneziano Marco Polo (1254-1324), possono raggiungere direttamente i centri asiatici per l’acquisto della seta e delle spezie senza dover ricorrere alla mediazione dei mercanti arabi.

Venezia ha un antico predominio sull’Adriatico e un rapporto privilegiato con l’Impero bizantino che le garantiscono a lungo il controllo del commercio delle spezie e del cotone con cui vengono approvvigionate le industrie tedesche di fustagni. Questo impero marittimo è costituito da una serie di basi navali, avamposti e colonie situati a partire dall’Adriatico e poi nella parte settentrionale del Mediterraneo orientale, in Romania e a Costantinopoli, e sul Mar Nero. Il commercio con l’Oriente viene gestito attraverso la presenza di colonie di mercanti occidentali che operano in accordo con ciò che rimane del Regno di Gerusalemme e con l’ordine degli Ospitalieri fino alla caduta di San Giovanni d’Acri (1291). Il rapporto tra Venezia e gli imperatori bizantini conosce tuttavia momenti di tensione e nel 1172 i Veneziani vengono espulsi da Costantinopoli. La situazione culmina nella quarta crociata che nei propositi iniziali deve portare alla liberazione della Terrasanta, ma che invece si risolve nel saccheggio di Costantinopoli e nella spartizione dei territori bizantini (1204). I Veneziani contrattano con i crociati la prestazione dei servizi di trasporto navale e ottengono come ricompensa parte dei territori dell’Impero bizantino: la costa occidentale della Grecia, la Morea, Nasso, Andros, Negroponte, e Gallipoli, Adrianopoli, insieme ad altri porti della Tracia e sul Mar di Marmara, con un evidente vantaggio commerciale per la Serenissima che amplia e consolida il proprio circuito.

Allo strapotere veneziano in Oriente si contrappone con sempre maggiore forza quello genovese. Grazie all’appoggio dato a Michele VIII Paleologo (1224-1282) nelle operazioni di riconquista dei territori bizantini, i Genovesi ottengono gli stessi privilegi garantiti prima ai Veneziani. Oltre a fissare il proprio quartiere a Costantinopoli, stabiliscono colonie commerciali a Cipro, sul Mar Nero a Trebisonda, Tana e Caffa, nelle isole egee di Chio, Creta e Rodi, e sulle coste della Turchia a Smirne, Efeso e Focea. Per Genova sono Pera e l’isola di Chio i principali centri di organizzazione del traffico di grano, vino, schiavi, legna, seta, cotone e allume. Il Mar d’Azov e il Mar Nero sono monopolio delle colonie genovesi e veneziane che là si riforniscono di quelle mercanzie che arrivano dall’Ucraina, dalla Russia e dall’area danubiana. Gli avamposti commerciali che la città della lanterna si assicura nel Levante alimentano una conflittualità continua con Venezia a partire dalla seconda metà del Duecento, che culmina con la guerra di Chioggia e l’affermazione della Serenissima (1381).

I collegamenti tra il Nord Europa e il Mediterraneo

Il grande traffico internazionale trova una sua tappa fondamentale nel porto di Bruges, città che fa capo a una delle regioni più popolate e produttive delle Fiandre. Dalla fine del XIII secolo i centri dell’Artois come Arras, Saint-Omer e della Fiandra meridionale come Douai, Lilla e Tournai insieme alle città di Ypres, Gand e Bruges diventano importanti per le manifatture tessili tanto che i panni fiamminghi sono uno dei beni più commerciati sulla rotta tra Ponente e Levante. Tra le merci trafficate in quest’area ci sono il lino, la lana inglese, il tessile, coloranti come il guado e la robbia, i metalli dall’argento al rame, dallo stagno al piombo e i loro manufatti di produzione inglese e tedesca.

Nelle Fiandre e in Inghilterra sono pure presenti le grandi società senesi del XIII secolo, come la Gran Tavola di Orlando Bonsignori, insieme alle Piccolomini, Tolomei, Salimbeni, quelle lucchesi dei Ricciardi e dei Battosi e ancora le fiorentine dei Frescobaldi e dei Mozzi, che operano allo stesso tempo come banchieri del Papa e delle principali monarchie europee.
Avatar utente
Veldriss
"IL CREATORE"
"IL CREATORE"
Messaggi: 5345
Iscritto il: 21 ottobre 2008, 10:55
Località: Sovere (BG)
Contatta:

STORIA - Mercati, fiere e vie di comunicazione

Messaggio da leggere da Veldriss »

di Diego Davide

Parallelo allo sviluppo cittadino, tra XIII e XIV secolo, vi è un fenomeno di rinascita dei commerci, conosciuto come rivoluzione commerciale, nel quale l’Italia, fulcro dell’asse che unisce Oriente ed Europa nord-occidentale, svolge un ruolo fondamentale. La centralità italiana, oltre ad essere la conseguenza della sua collocazione geografica, dell’audacia con la quale i suoi mercanti intraprendono viaggi avventurosi verso l’Estremo Oriente, creando piazzeforti commerciali in territori ostili, è soprattutto il frutto della capacità di elaborare strumenti finanziari adeguati alle esigenze dei traffici.

Apogeo e crisi del commercio medievale

Va nascendo lo jus mercatorum e vengono istituiti i primi tribunali mercantili.

Le nuove vie di comunicazione

Il predominio mongolo nello spazio asiatico apre una nuova via commerciale, attraverso Baghdad, Teheran, Samarcanda, che consente di raggiungere i luoghi di produzione della seta e delle spezie sottraendosi alle vessazioni e alle imposizioni fiscali degli intermediari musulmani che monopolizzano i porti dell’Egitto e della Siria. I sovrani mongoli aprono le porte dei propri possedimenti ai missionari e ai mercanti occidentali, e proprio lungo la nuova via terrestre, tra il 1260 ed il 1268, il padre e lo zio di Marco Polo (1254-1324) raggiungono la corte del gran khan.

Fondamentale nei commerci e nelle comunicazioni è il ruolo delle colonie che le maggiori città mercantili riescono a istallare a Gerusalemme, Giaffa, Cesarea, Beirut, Tripoli, Antiochia, Alessandria, e su tutte le coste dell’Africa settentrionale. Le colonie, dotate non solo di residenze per i mercanti ma anche di forni, bagni, empori, luoghi di culto, hanno varia estensione, godono di diritti extraterritoriali e sono governate da un console con ampi poteri amministrativi e giudiziari. A partire dal XIV secolo vengono create colonie italiane anche in Occidente, a Bruges e a Londra, e benché siano per dimensioni e densità abitativa più piccole delle levantine, la loro popolazione è divisa in “nazioni”, ciascuna delle quali elegge il proprio console.

Nello spazio europeo le maggiori correnti di traffico si registrano nelle zone costiere del Mediterraneo, del Mar del Nord e del Baltico, sul Mar Nero, lungo le coste atlantiche verso Londra e Bruges e poi nelle popolate regioni delle Fiandre, del Brabante, e della Champagne, dove, per tutto il XIII secolo, si tiene un ciclo fieristico di primaria importanza merceologica e finanziaria. La vivacità dei gruppi mercantili italiani favorisce anche l’apertura di nuove vie di collegamento tra la penisola e l’area franco germanica; tra i percorsi maggiormente battuti spiccano quello che attraversa i valichi del Moncenisio e del San Bernardo in direzione delle Fiandre, quello (più a est) per il San Gottardo, che mette in collegamento l’area toscana e lombarda con i centri tessili della Germania meridionale, e ancora quello che attraverso le Alpi bavaresi che conduce da Venezia a Norimberga. Lungo la direttrice est-ovest vanno ricordati, invece, i tragitti da Dortmund a Magdeburgo, da Lubecca a Stettino, e più a sud dalla Francia occidentale alla Boemia.

Le tecniche finanziarie

Tra i meriti ascrivibili ai mercanti italiani c’è quello di aver contribuito alla nascita e allo sviluppo di nuove tecniche finanziarie che influiscono non poco sull’aumento del volume degli scambi. Sono quelli lombardi presenti alle fiere della Champagne a inventare il sistema della compensazione, in base al quale alla chiusura della fiera è calcolata per ciascun operatore la differenza tra crediti e debiti e il saldo che questi avrebbe dovuto pagare al successivo incontro. Al fine di ovviare all’inconveniente di viaggiare portando con sé grossi quantitativi di danaro, viene adottato il contratto di cambium, che ha forma pubblica e richiede la stesura di un atto notarile intitolato instrumentum ex causa cambii. Con esso si riconosce l’esistenza di un debito da estinguersi in un luogo diverso da quello della sottoscrizione e in una moneta diversa, secondo un tasso di cambio stabilito in precedenza che comprende anche un compenso per il creditore. Ben presto l’atto notarile viene sostituito da una scrittura privata: la lettera di cambio o cambiale tratta. Dell’originario contratto di cambium conserva i requisiti di distantia loci e di permutatio pecuniae. Le figure coinvolte nell’operazione sono quattro: il numerante che è il soggetto intenzionato a versare una somma a una persona in un’altra città, un mercante o banchiere che rilascia la lettera di cambio e contatta un corrispondente nella città del beneficiario a cui ordina di effettuare il pagamento in favore di quest’ultimo.

Il commercio nel Nord Europa

Le avanzate tecniche italiane stentano ad attecchire nell’area commerciale del Mare del Nord e del Mare Baltico, egemonizzata dai mercanti tedeschi, ai quali si deve la fondazione di Lubecca nel 1158, di Wisby sull’isola di Gotland nel 1160, e più tardi di Straslunda, Danzica e Riga. L’asse commerciale anseatico si stende da Novgorod a Londra, passando per Reval, Riga, Danzica, Lubecca, Bruges. Il porto di Bruges, che ospita le kogge anseatiche accanto alle galee genovesi e veneziane, diventa nel corso del XIV secolo l’emporio del continente. Oltre al sale del golfo di Biscaglia, ai vini di Bordeaux e La Rochelle, al pesce salato della Scania, allo stoccafisso di Bergen, alle lane inglesi, al grano, al legname, al potassio e al miele del Baltico è possibile reperire spezie e tinture del Levante, fustagno e allume italiani, sapone nero spagnolo e altri oggetti di lusso.

Dalla spontanea collaborazione economica di questi kontor con le patrie di origine e una serie di altri avamposti in località minori nasce la Lega Anseatica o Hansa, alleanza delle città mercantili germaniche in difesa dei comuni interessi e privilegi economici. La Lega, che ha il proprio centro a Lubecca e riunisce verso la fine del XIII secolo più di 200 città dell’area baltica e renana, tra cui Cracovia, Danzica, Riga, Stoccolma, ha nella coesione e nella capacità di dar vita a blocchi e boicottaggi delle merci la sua vera forza.
Avatar utente
Veldriss
"IL CREATORE"
"IL CREATORE"
Messaggi: 5345
Iscritto il: 21 ottobre 2008, 10:55
Località: Sovere (BG)
Contatta:

STORIA - Lo sviluppo della navigazione

Messaggio da leggere da Veldriss »

Lo sviluppo della navigazione, le imprese nell’Atlantico e le scoperte geografiche

di Ivana Ait

La “rivoluzione commerciale” crea, tra l’Oriente e l’Occidente, un unico vasto mercato, legato per lo più al mare, il cui centro e tramite naturale è la penisola italiana. L’incremento dei traffici del commercio interregionale, l’aumento esponenziale di mercati e la differenziata domanda di merci favorisce la nascita di numerose categorie di produttori che non pensano più al consumo locale ma allo smercio dei loro manufatti verso località anche molto lontane. Rischio e profitto entrano a far parte della mentalità e del sistema economico che si viene affermando.

Le innovazioni tecniche

Altri importanti progressi vengono fatti nel settore della navigazione, specie quella oceanica. I miglioramenti nautici sono determinati dai perfezionamenti delle tecniche di navigazione: iniziano a essere usate nuove attrezzature, come la bussola, i portolani, il timone assiale fissato al dritto di poppa.

L’ago calamitato, già noto alla fine dell’XI secolo, si trasforma in una vera e propria bussola solo verso la fine del XIII secolo: una scatola fissa nella quale l’ago è associato a una rosa dei venti, a sua volta divisa in riquadri.

Con l’invenzione della bussola si ha come conseguenza immediata e pratica l’incremento della navigazione mediterranea anche nei mesi invernali e una maggiore sicurezza dei viaggi per l’Inghilterra e i Paesi Bassi. In questo senso i navigatori vengono aiutati dall’uso dei portolani, che contengono l’accurata descrizione delle coste, dei porti e dei ripari utili, e delle tavole di martelogio, grazie alle quali si può calcolare la risultante rettilinea di una serie di percorsi a zig zag. Il calcolo delle distanze e delle direzioni è la maggiore preoccupazione; la prima carta, detta pisana, è elaborata nel 1275 con l’intento di fornire i dati indispensabili per la nuova tecnica di navigazione.

Il timone posizionato sulla linea centrale della nave si diffonde dapprima nel Mare del Nord ed è poi perfezionato nel Baltico; negli ultimi decenni del XIII secolo si trova utilizzato nella Spagna Cantabrica mentre sulle navi che solcano il Mediterraneo viene introdotto solo nel XIV secolo. Discorde sull’importanza di questa ideazione è lo storico Frederic Lane che mette in discussione l’effettiva superiorità del nuovo tipo di timone, sostitutivo delle due grandi pale adoperate in precedenza attraverso un sistema molto perfezionato di pilotaggio (Frederic Lane, Storia di Venezia, 1978).

L’adozione della vela quadra, tipica delle imbarcazioni nordiche, nel Mediterraneo permette un notevole risparmio di lavoro. La vela quadra, infatti, può essere volta al vento con estrema facilità, al contrario della vela latina, di forma triangolare, che richiede operazioni faticose e pericolose.

Comunque all’insieme di novità, introdotte nella navigazione, e, indubbiamente facilitato dalla diffusione di strumentazioni più funzionali, si aggiunge l’impiego di nuovi tipi di vascelli, quali la cocca, la galera, il galeone.

Le navi e le “mude”

Le imbarcazioni in uso nel Mediterraneo sono fondamentalmente di due tipi: la galera e il veliero.

La galera, o galea, nave lunga, sottile e bassa, procede a propulsione prevalentemente umana, ma possiede anche le vele. La forma permette di guadagnare velocità ma, restringendo la stazza, la nave viene a possedere una ridotta capacità di carico. Nondimeno viene utilizzata nei viaggi commerciali in quanto facilmente difendibile. Nelle galere i banchi sono disposti su di un unico ordine, a file di banco per ogni lato, al centro uno stretto corridoio. Nel corso del XIII secolo sono due i rematori per ogni banco ma alla fine dello stesso secolo, con l’avvento di galere di dimensioni maggiori, vengono sistemati tre rematori per ogni banco.

Diversamente i velieri, caravelle e galeoni, navi tondeggianti, panciute e alte sul mare, sono a sola propulsione eolica. Compaiono all’inizio del XIII secolo, hanno dimensioni maggiori con due o tre ponti, dotati di un castello di poppa e uno di prua e una coffa da combattimento. I galeoni, simili alla naus portoghese, più largo di baglio, hanno una maggiore capacità di carico a fronte di una minore velocità (Carlo M. Cipolla, Guns, Sails and Empires, 1966).

Anche la cocca, d’origine nordica, apparsa nel Mediterraneo nella prima metà del XIV secolo, è un’imbarcazione di grandi dimensioni, tondeggiante e alta, con velatura quadra.

In questo periodo viene organizzato in maniera sistematica il sistema delle mude sia veneziane sia genovesi. Si tratta della navigazione effettuata in convogli di galere adibite al trasporto delle merci che per motivi di sicurezza viaggiano armate o perlomeno scortate da navi armate. La partenza periodica ha date fisse e scali prestabiliti; mete principali sono Costantinopoli, Cipro, la Siria, l’Egitto, l’Inghilterra e le Fiandre. Salvo congiunture eccezionali, le mude partono due volte l’anno: a Venezia nel mese di febbraio per tornare all’inizio dell’estate; la seconda muda tra luglio e agosto con rientro per le festività natalizie. Naturalmente le date variano da regione a regione e secondo il tipo di imbarcazione. Da calcoli effettuati da Gino Luzzatto, questi servizi di linea nel Duecento trasportano complessivamente dalle 3000 alle 5000 tonnellate di merci e, nel Trecento, con l’aumento della portata delle navi, da più di 7000 alle 10 mila tonnellate. Tali cifre possono aumentare considerevolmente se, accanto alle mude regolari, si considera “tutto un complesso di attività marinare, che non rientravano in alcun modo nel quadro di una navigazione di linea organizzata e disciplinata dallo Stato” (Gino Luzzato, Storia economica di Venezia dall’XI al XVI secolo, 1961).

Alle galee a remi, dunque, a propulsione prevalentemente umana, più adatte per la navigazione mediterranea e costiera, si sostituiscono i galeoni, dotati di numerosi alberi e attrezzati con vele quadrate e triangolari, con timoni posteriori centrali in grado di risalire la direzione stessa del vento navigando di bolina. Le navi diventano più grandi e robuste, in grado di trasportare una quantità maggiore di merci oltre che di uomini. Sono le navi che ben presto si trasformano nel principale strumento di guerra per le conquiste coloniali.

Verso nuovi mondi

Sembra che dal 1380, ossia da quando il re dimora a Siviglia, si sia avviata l’esplorazione o la conquista di una parte dell’arcipelago delle Isole Fortunate, presto chiamate Canarie “e i baschi e gli andalusi armano delle navi per conquistarle o commerciarvi in vista di buoni profitti”, secondo le parole di Diego Ortiz de Zuniga.

È nel maggio del 1291 che Ugolino e Guido Vivaldi (XIII sec.) partono con due galee intenzionati a superare le Colonne d’Ercole per giungere fino alle Regioni d’India attraverso l’Oceano (ad partes Indiae per mare Oceanum). Nel momento in cui Venezia incrementa il commercio delle spezie attraverso il Mar Rosso, i due fratelli genovesi cercano una via alternativa per l’India passando da Gibilterra.
Avatar utente
Veldriss
"IL CREATORE"
"IL CREATORE"
Messaggi: 5345
Iscritto il: 21 ottobre 2008, 10:55
Località: Sovere (BG)
Contatta:

STORIA - I grandi viaggiatori e la scoperta dell’Oriente

Messaggio da leggere da Veldriss »

di Sung Gyun Cho

Molto spesso quando si parla di Estremo Oriente si pensa ad un mondo molto lontano da quello europeo, totalmente distaccato, che non ha avuto alcun genere di contatto con la cultura che si è sviluppata in Europa. Se guardiamo alla storia dei Paesi asiatici, invece, possiamo trovare molte fonti che indicano che tra Occidente e Oriente, tra Europa e Asia, vi sono molti contatti soprattutto nel XIII secolo, quando si forma l’impero universale di Gengis Khan. Le ricchezze dell’Oriente spingono i mercanti a viaggiare verso il “Khatai”, seguendo l’antica via che viene di solito ricordata come la “via della seta”.

I primi missionari

Un altro missionario-esploratore è Guglielmo di Rubruck (XIII sec.), anch’egli francescano, recatosi in Mongolia per diffondervi il cristianesimo, ma senza risultato; egli racconta il suo viaggio nell’Itinerarium, una relazione precisa e realistica, assai più di quella di fra Giovanni, che rappresenta una fonte importante per ricostruire la storia dei Mongoli. Meritano menzione anche Giovanni da Montercorvino (1246-1328), francescano, che diffonde il cristianesimo in Cina molti secoli prima dell’arrivo dei Gesuiti, diventando il primo arcivescovo di Pechino; e Odorico da Pordenone (1265 ca. - 1331), anch’egli francescano, che viaggia lungo le coste indiane e che è il primo occidentale a raggiungere Giava, Borneo e il Tibet, e visita anche Lhasa, l’antica residenza dei Dalai Lama.

Marco Polo

Proprio in relazione alle ricche attività mercantili della Cina di Kubilai, il mercante veneziano Marco Polo (1254-1324) raggiunge nel 1275 Pechino: il suo viaggio, in questo contesto, può essere considerato di gran lunga il più significativo. Partito da Venezia nel novembre del 1271, insieme al padre e allo zio, che già in precedenza hanno raggiunto Khanbaliq, attraverso l’altopiano anatolico, i monti dell’Armenia, l’altopiano iranico, egli raggiunge Ormus, sul Golfo Persico, per tentare di arrivare in Asia via mare. La via marittima, però, si presenta troppo pericolosa e Marco, Matteo e Niccolò Polo decidono di proseguire via terra. Ritornano a nord, verso il Khorasan e poi piegano verso oriente, superano la Grande Muraglia cinese, e infine entrano nella valle dell’Hoang-ho, seguendo la quale arrivano a Shang-tu, la residenza estiva di Kubilai Khan. È l’anno 1275 e fino al 1291 i Polo, soggiornano nel Khatai, come viene allora denominata la Cina (i Gesuiti pensano che sia dovuto al nome dei Khitan, un popolo che aveva dominato i Mongoli prima delle loro vittorie militari e della loro ascesa egemonica tra i popoli delle steppe).

Marco lavora al servizio del khan, il quale, avendone intuito le notevoli capacità, lo invia più volte come suo messaggero speciale in regioni lontane, dandogli l’occasione di acquisire cognizioni sempre più numerose e più vaste sul continente asiatico. Da Khanbaliq, per esempio, Marco è inviato nel cuore della Birmania, con le sue foreste tropicali, così diverse dal paesaggio cinese, con la sua civiltà particolare, che il grande viaggiatore veneziano annota mentalmente e confronta con altre tradizioni e altri luoghi.

Dopo aver soggiornato per circa 20 anni in Cina, i Polo decidono di tornare in patria: il viaggio è compiuto in parte via mare, veleggiando lungo le coste meridionali della Cina, l’Indocina e la Malesia, oltrepassando l’odierno Sri Lanka, e la parte meridionale della penisola indiana, per giungere fino a Ormus. Poi i Polo proseguono via terra fino a Trebisonda, sul Mar Nero, e di qui, per mare, essi raggiungono direttamente Venezia nel 1295, dopo più di tre anni di viaggio.

Preso prigioniero nel 1298 dai Genovesi, Marco Polo detta le sue memorie di viaggio a Rustichello da Pisa (XIII sec.): da ciò nasce il Libro delle Meraviglie o Milione. Questo libro rappresenta senz’altro un documento fondamentale sia per la storia dell’Occidente che per quella dell’Oriente (basti pensare che in Cina hanno mantenuto un ponte vicino a Pechino con il nome di Marco Polo). Il testo si diffonde presso i missionari e i mercanti che, lette le gesta dei Polo, si spingono a loro volta verso Oriente.
Avatar utente
Veldriss
"IL CREATORE"
"IL CREATORE"
Messaggi: 5345
Iscritto il: 21 ottobre 2008, 10:55
Località: Sovere (BG)
Contatta:

STORIA - Il credito e la moneta

Messaggio da leggere da Veldriss »

di Valdo d’Arienzo

Con la nascita della “rivoluzione commerciale” nell’Europa occidentale acquistano un ruolo sempre più importante le figure dei mercanti-banchieri. Il proliferare delle fiere e degli strumenti creditizi sono gli aspetti più evidenti di questa fase di crescita, in cui la riforma monetaria voluta da Luigi XI e il ricorso alle coniazioni di monete d’oro, inizialmente da parte delle città italiane, sono gli strumenti adottati proprio per sostenere questo processo.

La moneta

Le autorità di Venezia, città mercantile per eccellenza e sempre attenta ad assecondare i flussi e le trasformazioni economiche, coniano al principio del XIII secolo il matapan, un denaro d’argento di grammi 2,18 del valore superiore di circa 12,33 al vecchio denaro che da allora va a prendere il nome di piccolo; successivamente anche le altre maggiori città italiane, come Genova e Firenze tra le altre, adottano un criterio simile. Oltralpe sarà Luigi IX (1214-1270, re dal 1226) a far coniare a Tours, da cui prende il nome, il “grosso tornese”, moneta d’argento di grammi 4,22 cui fanno seguito monete di valore equivalente battute nelle zecche spagnole, tedesche, inglesi e dei Paesi Bassi. Il tornese francese, tuttavia, viene considerato e rimane, per certi versi, la “moneta internazionale”, favorita dall’essere ancora, per molti decenni, le fiere di Champagne e di Brie i centri dove si radunano e operano i mercanti provenienti da tutta Europa.

La necessità di “battere” monete dal valore sempre più alto determina la scelta, verso la metà del Duecento, di riprendere a coniare quelle d’oro. Anche in tale occasione sono le città italiane le prime a operare in questa direzione. Genova nel 1252 introduce il genovino di grammi 3,53 e subito dopo è Firenze a far battere il fiorino dal peso di poco superiore di 3,54 grammi; solo più tardi, e precisamente nel 1284, Venezia fa coniare il ducato d’oro, chiamato anche zecchino, di ben 3,56 grammi. Queste monete, tutte di 24 carati, avendo all’incirca lo stesso peso, circolano in tutto il continente con valore quasi identico, divenendo così la “moneta internazionale” per eccellenza, poiché vantano un valore molto più alto rispetto al tornese francese e ai denari d’argento, sia di vecchio che di più recente conio.
Avatar utente
Veldriss
"IL CREATORE"
"IL CREATORE"
Messaggi: 5345
Iscritto il: 21 ottobre 2008, 10:55
Località: Sovere (BG)
Contatta:

STORIA - Nobiltà e borghesie

Messaggio da leggere da Veldriss »

di Catia Di Girolamo

Inclinazione militare e centralità del patrimonio fondiario caratterizzano ancora la nobiltà bassomedievale, nobiltà che ottiene però in questi secoli una codificazione giuridica. Resta piuttosto alta la permeabilità con lo strato superiore delle borghesie cittadine che cercano di condividere con l’aristocrazia il potere politico.

Borghesia, borghesie

Il borghese può dunque essere un ex contadino o un proprietario terriero avventuroso, e può diventare un artigiano, un oste, un notaio, un mercante, un banchiere e una pluralità di altre cose diversissime fra loro: ciò che lo contraddistingue è il fatto che non viva di agricoltura, né come lavoratore né come percettore di rendita, e che prenda la sua dimora in città; come sostiene Salimbene da Parma: “i nobili vivono in campagna e nei loro possedimenti, invece i borghesi abitano nella città” (Salimbene da Parma, Cronica). Per questa ragione, con riferimento all’età medievale, è più corretto l’uso del termine al plurale: “borghesie”.

l’alta borghesia mira più a inserirsi nei ranghi della nobiltà che a sostituirsi ad essa, sforzandosi di assumerne stile di vita e condotta, pur affermando gradualmente anche un nuovo orgoglio della ricchezza, della capacità produttiva, del lavoro ben fatto, di nuovi valori di prudenza, rispettabilità e credito che non appartenevano all’orizzonte ideale nobiliare.
Avatar utente
Veldriss
"IL CREATORE"
"IL CREATORE"
Messaggi: 5345
Iscritto il: 21 ottobre 2008, 10:55
Località: Sovere (BG)
Contatta:

STORIA - Le confraternite

Messaggio da leggere da Veldriss »

di Elena Sanchez de Madariaga

Le confraternite, associazioni volontarie di laici con fini religiosi, si diffondono nei secoli XIII e XIV nella cristianità occidentale. I mezzi finanziari di cui dispongono, le loro finalità e la loro composizione sono molto vari. La pratica della carità fra confratelli e verso il prossimo, la ricerca della salvezza, la promozione del culto, la solidarietà corporativa favoriscono la nascita e la moltiplicazione di confraternite che raccolgono individui appartenenti a ceti differenti e hanno un ruolo rilevante nella vita religiosa e sociale. Nel secolo XIII nascono le confraternite penitenziali dei flagellanti e alla fine del successivo la Compagnia dei Bianchi si specializza nell’accompagnamento dei condannati a morte.

Vecchie e nuove devozioni

Con il movimento dei disciplinati, iniziato a Perugia nel 1260, si creano, in tempi diversi, confraternite di flagellanti in numerose località italiane.

Confraternite e mestieri

A partire dai secoli XII e XIII, inoltre, molti mestieri si organizzano secondo il modello della confraternita e/o della corporazione. Ai fini religiosi e sociali queste confraternite, formate da artigiani e commercianti di tipo molto diverso, uniscono interessi economici, professionali e corporativi. Le norme che le guidano dipendono sia dai membri stessi sia dalle autorità cittadine. Le confraternite di mestiere sono presenti nelle città di tutta l’Europa (Paesi Bassi, Inghilterra, Portogallo, Navarra, Corona di Aragona, Francia, Italia, specialmente al centro e al nord, Boemia ecc.).
Avatar utente
Veldriss
"IL CREATORE"
"IL CREATORE"
Messaggi: 5345
Iscritto il: 21 ottobre 2008, 10:55
Località: Sovere (BG)
Contatta:

STORIA - Il processo penale

Messaggio da leggere da Veldriss »

di Dario Ippolito

Il consolidamento delle istituzioni monarchiche, l’influenza pratica della dottrina giuridica, la forza esemplare della legislazione ecclesiastica sono i fattori più visibili della modernizzazione dei sistemi penali nel secondo Medioevo. Mentre in Inghilterra si delineano, a partire dal XII secolo, le articolazioni processuali del trial by jury di stampo accusatorio, nell’Europa continentale del XIII secolo si afferma il paradigma inquisitorio del processo romano-canonico.

Oltre i giudizi di Dio

L’evoluzione delle istituzioni politiche, l’affermazione della nuova scienza del diritto, il dinamismo normativo della Chiesa romana contribuiscono a trasformare, nel secondo Medioevo, i metodi e le strutture dell’attività giurisdizionale, delineando lentamente, tra inerzie e resistenze, il paradigma della giustizia punitiva che caratterizzerà l’Europa moderna. Si tratta di un processo storico-istituzionale rivelatore di mutamenti più profondi, attinenti al piano della mentalità collettiva. Nel graduale abbandono delle procedure ordaliche come strumento di soluzione delle vertenze giudiziarie si riflette infatti, con tutta evidenza, la crisi della Weltanschauung magica, tipica dei popoli germanici, e l’emergere di una nuova razionalità.

Verso la definizione della sfera penale

La modernizzazione delle procedure giudiziarie tra primo e secondo Medioevo si accompagna all’incipiente diversificazione degli ambiti giurisdizionali.
Fino al XII secolo non è possibile individuare una sfera penale distinta da quella civile, né due diverse tipologie di processo. A livello giudiziario, tanto nelle corti feudali e locali quanto negli organi della giustizia regia, il ricorso alle ordalie vale a risolvere indiscriminatamente conflitti di diverso genere, classificabili, secondo un’ottica moderna, nei domini differenziati del civile e del penale.

La svolta inquisitoriale della procedura penale europea

Decisivo è il ruolo di Innocenzo III, che riforma il meccanismo processuale congegnato dal concilio di Tours (1163) e ridefinito dalla decretale Ad abolendam (1184) di Lucio III (?-1185, papa dal 1181), assegnando agli inquirenti ecclesiastici piena facoltà di attivazione investigativa sul mero presupposto della fama facti. La vecchia inchiesta vescovile ancorata al ruolo ricognitivo dei testes synodales è sostituita così da una procedura inquisitoria intrinsecamente discrezionale, che viene affidata alle competenze degli ordini francescano e domenicano. Su questo pericoloso terreno giudiziario si innestano successivamente ulteriori elementi offensivi nei confronti dell’imputato, quali la segretezza dei nomi dei testimoni, la pratica della tortura e l’irrogazione di pene straordinarie.

Il processo romano-canonico

I connotati fondamentali di tale modello sono: la segretezza dell’istruzione probatoria, la carcerazione preventiva dell’accusato, la gerarchia predefinita degli elementi di prova, la posizione di inferiorità della difesa rispetto all’accusa, la confusione tra organi requirenti e organi giudicanti.

L’esito pratico di questo sistema di “prove legali” è tuttavia paradossale: inteso a comprimere la discrezionalità potestativa dei giudici in nome dell’oggettività del giudizio, esso finisce per accrescere il carattere offensivo e arbitrario del processo, incentivando, data la difficoltà di raggiungere la probatio plena in base alle sue regole, il ricorso alla tortura per ottenere la confessione dell’imputato e procedere alla condanna.
Avatar utente
Veldriss
"IL CREATORE"
"IL CREATORE"
Messaggi: 5345
Iscritto il: 21 ottobre 2008, 10:55
Località: Sovere (BG)
Contatta:

STORIA - Le istituzioni politiche

Messaggio da leggere da Veldriss »

di Fabrizio Mastromartino

Il policentrismo politico, tipico del pieno e basso Medioevo, riflette l’articolato pluralismo giuridico del momento. Le istituzioni che si collocano in questo quadro – i poteri monarchici, le nuove realtà comunali e i regimi universali, dell’Impero e del papato – si inseriscono nella fitta trama del vecchio sistema feudale, che ancora permea le dinamiche politiche e sociali dell’epoca.

I Comuni

È così che la nuova stabilità politica si realizza in un assetto del potere gerarchizzato e tendenzialmente oligarchico, che si concentra nella figura del signore, espressione di un potere di fatto che si atteggia a garante di pace e di imparzialità, cui la società cittadina si affida esausta delle violenze e delle confische subite. Le istituzioni comunali formalmente permangono, ma sono ben presto esautorate dal signore, che si appropria di un potere smisurato, clamorosamente eccedente i normali poteri assegnati ai massimi organi comunali.
Avatar utente
Veldriss
"IL CREATORE"
"IL CREATORE"
Messaggi: 5345
Iscritto il: 21 ottobre 2008, 10:55
Località: Sovere (BG)
Contatta:

STORIA - Aspirazioni di rinnovamento religioso della Chiesa

Messaggio da leggere da Veldriss »

Aspirazioni di rinnovamento religioso della Chiesa ed eresie

di Ciro Di Fiore

Il Duecento e il Trecento sono secoli di grande rinnovamento della storia del cristianesimo e della Chiesa. Questo rinnovamento – entro il quale bisogna leggere anche il fenomeno delle eresie – contrassegnato dalla partecipazione sempre più numerosa dei laici e delle donne, dalla creazione di confraternite e dalla nascita di movimenti di penitenza, vedrà anche la fondazione e lo sviluppo dei nuovi ordini dei Francescani e dei Domenicani. Alla crisi della Chiesa istituzionale, durante il periodo avignonese e quello dello scisma e degli antipapi, si contrappone una sorta di cristianesimo femminile “dal basso”, profetico e visionario. Sia i movimenti dei laici devoti – e soprattutto quello della Devotio moderna, maturato in Olanda – , sia il profetismo producono un rinnovamento anche nei modelli di santità che vengono proposti ai fedeli.

La povertà dei santi, la povertà dei nuovi ordini, la povertà degli eretici

Altri movimenti, come quello dei Penitenti, propriamente detto ordo poenitentiae, svilupperanno modelli simili. Un testo approvato dal papa nel 1221, noto come Memoriale propositi, ne delinea obblighi e statuto. Gli adepti, che rifiutano il giuramento e non possono portare armi, devono confessarsi e comunicarsi tre volte l’anno e vestire un abito non tinto e povero. Essi si attengono a digiuni più rigorosi dei semplici fedeli e recitano le sette ore canoniche come i monaci. A sottolineare la contiguità esistente tra questi movimenti di rinnovamento e quelli dei frati minori basterà dire che lo stesso san Francesco (1181/1182-1226) aveva all’inizio creato una fraternita di Penitenti che solo dopo l’approvazione di Innocenzo III darà origine, appunto, all’ordine dei Frati minori e a quello delle Pauperes dominae di santa Chiara (1194 ca. - 1253).

Nel 1292, i già ricordati Fratelli della vita povera o Fraticelli – un troncone degli Spirituali – capeggiati da Angelo Clareno (1245 ca. - 1337), ottengono il riconoscimento da Celestino V (1209/1210-1296, papa da maggio a dicembre 1294), ma essi, per il loro scarso rispetto della gerarchia, trovano un forte oppositore nel loro generale, Bonaventura da Bagnoregio (1221 ca. - 1274), e finiscono con l’aderire alle frange più radicali delle sette pauperistiche, fino a confondersi con i tanti contestatori extra ecclesiam. Tra costoro ricordiamo Gherardo Segarelli (?-1300), il quale, dopo aver tentato invano di farsi accogliere dai Francescani di Parma, vende i suoi beni, e, distribuito il ricavato ai poveri – ecco ancora l’eco delle parole del Vangelo di Matteo –, ripropone il modello di vita della Chiesa primitiva, dando luogo, intorno al 1260, al movimento dei cosiddetti Apostolici che condividono molte delle istanze che abbiamo già ritrovato in altri movimenti. Per essi bisogna “rifiutarsi di prestar giuramento, spogliarsi di ogni bene temporale e vivere di elemosine, non preoccuparsi mai del domani, avere per vestito solo una semplice tunica e un rozzo mantello, non avere fissa dimora ma fare penitenza e predicare, sebbene laici, queste norme di vita” (Cinzio Violante, “Eresie nelle città e nel contado in Italia dall’XI al XIII secolo”, in Studi sulla cristianità medievale, 1972). Gherardo Segarelli viene arso nel 1300 sul rogo, ma la sua azione è portata avanti da un suo discepolo, fra Dolcino di Novara (1250 ca. - 1307). Costui si fa promotore di un movimento di palingenesi sociale e religiosa, richiamandosi, come del resto il suo maestro, alle apocalittiche profezie di Gioacchino da Fiore (1130 ca. - 1202) e al prossimo avvento dello Spirito Santo da lui auspicato, durante il quale sarebbe stato instaurato il regno del Vangelo Eterno, predicato dal nuovo ordine monastico dei Giusti, nel quale parecchi dissidenti credono di identificarsi. I dolciniani, organizzati in bande armate che scorrazzano per l’Italia settentrionale, si rendono per anni responsabili di violenze, diremmo oggi “di classe”, contro le proprietà dei ricchi, ma anche di indiscriminati saccheggi e delitti. Sono almeno 4.000 quando si insediano sul monte di Parete Calva, nel Novarese. Qui vengono decimati dal lungo assedio delle truppe mercenarie al servizio dei vescovi di Vercelli e di Novara.

Rinnovare la Chiesa con la parola, rinnovarla con la repressione. La lotta contro i catari

Anche la vita di san Domenico di Guzmán (1170 ca. - 1221), originario della Castiglia, è strettamente intrecciata a quella degli eretici; egli si rende ben presto conto che alla base della capacità di persuasione dei catari vi sono la semplicità delle loro parole, la forza dell’esempio di vita, la scelta della povertà, l’amore disinteressato e spontaneo per il prossimo; in una parola, la loro “credibilità”. Deciso quindi a contrastare il movimento ereticale con le stesse armi che ne hanno decretato il successo, Domenico riesce a convincere papa Innocenzo III ad accettare la sua richiesta di fondare un nuovo ordine religioso, quello dei Frati predicatori, che nella scelta del loro stesso nome celano quel groviglio di problemi che il tempo aveva accumulato intorno al tema della predicazione, assente per lo più dalla pratica pastorale, inaccessibile quando praticata in linguaggi astratti, difficili o in una lingua ormai incomprensibile alla maggioranza dei fedeli come il latino. L’ordine sarà poi riconosciuto ufficialmente da Onorio III nel 1216. Il nuovo ordine diventa ben presto il più solerte custode dell’ortodossia: essi diventano i veri Domini canes, i mastini del Signore, come vengono chiamati fin dall’inizio i seguaci di Domenico. L’appellativo fa ambiguamente riferimento anche al fatto che dai ranghi dell’ordo Praedicatorum proviene la maggior parte di coloro che vogliono rinnovare la società nel segno più del rigore e della repressione che della convinzione: gli inquisitori. Fra costoro, uno dei primi e più famosi è Pietro da Verona (1203-1252), figlio di genitori catari, che perseguita con tanto accanimento gli eretici in Lombardia, da finire assassinato in un agguato tesogli a Barlassina, vicino a Seveso, diventando, col nome di san Pietro Martire, il patrono di tutti gli inquisitori.

I Domenicani, al contrario dei Francescani, restano sostanzialmente compatti e Innocenzo III, che nell’anno stesso della sua elezione ha indetto la quarta crociata, promuove anche l’offensiva contro l’eresia catara, che culmina nell’eccidio degli albigesi.

Beghine, sante, eretiche e profetesse. Le donne e le istanze di rinnovamento della Chiesa due-trecentesca

Basti pensare, per fare un unico esempio, al caso di Margherita Porete (?-1310), ritenuta non a torto da Giuseppe De Luca la maggior teorica del quietismo medievale, condannata a morte sebbene difesa da alcune tra le più importanti autorità religiose del tempo, e alla novità del suo Specchio delle anime semplici scritto in un nuovo linguaggio “materno”.

Chiara da Montefalco (1268-1308) e all’eco che ebbe la storia delle sue reliquie archetipo simbolico di quella “fisicità” che sembra voler conservare nella carne i segni di quella Passione di Cristo tanto sofferta dalle donne.
Rispondi