Mercenari e mercenariato nel medioevo
Le compagnie d’arme e il mercenariato
Con mercenariato si intende la prestazione di servizi militari in cambio del corrispettivo di un prezzo.
Tenendo presente questa definizione,si può affermare che l’uso di truppe pagate divenne comune già prima del medioevo; per esempio era abitudine dei romani, nel periodo di declino dell’impero, assoldare barbari per svolgere compiti militari.
Prima del Mille
Nei primi secoli del medioevo, coloro che fecero più uso dei mercenari furono i bizantini. Quest’ultimi infatti, sfruttarono come truppe pagate molti guerrieri, facenti parte di popoli – esercito, per difendere i confini, garantendo un lauto pagamento e la possibilità di stanziarsi in diverse regioni senza incorrere in repressioni da parte dell’Impero Romano d’Oriente.
Un esempio possono essere i Longobardi, famoso popolo di cui alcuni guerrieri combatterono per Bisanzio verso la fine del V e gli inizi del VI secolo d.C. per i quali fu vista con favore la decisione di migrare dalla Pannonia e stanziarsi nella regione italica (all’epoca sotto il controllo dell’impero).
Con la grande espansione territoriale dell’impero bizantino, molti popoli di ogni tipo infoltivano le fila dell’esercito in sostegno ai catafratti (cavalleria pesante di Bisanzio), in cambio di una retribuzione.
Mentre il tipico soldato bizantino doveva addestrarsi specialmente nella cavalcata e nel tiro con l’arco da cavallo, i mercenari erano truppe di rapido reclutamento in quanto non necessitavano di un ulteriore addestramento.
Per questo, nei secoli che precedettero l’anno Mille, furono molto usate truppe tipicamente mercenarie a sostegno dell’esercito regolare.
Famosi erano gli arcieri di Trebisonda, gli Alamanni, i mercenari dalmati o italici ( specialmente dalle zone di Ravenna e Venezia) e i famosissimi Variaghi (o vareghi).
Quest’ultimi costituirono la guardia personale dell’imperatore bizantino; infatti la nascita della guardia Variaga si fa risalire all’anno 989 d.C., quando Vladimir, re dei Rus1, appena convertito lui e il suo popolo, mandò all’imperatore di Miklagard (nome con cui gli scandinavi chiamavano Costantinopoli) 6000 guerrieri variaghi.
I mercenari nell’XI secolo
Nell’anno Mille non si può ancora parlare di vere e proprie compagnie d’arme ne di compagnie di ventura, nonostante fosse molto comune il mercenariato.
Tuttavia, delle congreghe di uomini dediti alle armi erano una realtà presente, come dimostra la già citata guardia variaga (da var = giuramento e da varingr = uomini itineranti uniti da un patto).
Queste unioni di uomini erano unite da un patto o da un giuramento che le rendeva comunità guerriere caratterizzate dalla forte tendenza al saccheggio e al culto del “bottino”.
Esse nascevano generalmente intorno a un centro, spesso un villaggio fortificato, e sviluppavano un commercio piuttosto ben strutturato oltre a una fama di grandi e affidabili guerrieri.
La ricchezza di queste comunità forniva un buon equipaggiamento militare e navale, segno di prosperità e sviluppo economico rispetto ad altri, oltre ad aumentare il prestigio e la garanzia per i signori che ingaggiavano uomini in queste società.
Una famigerata comunità guerriera è quella di Jomsborg, divenuta famosa con la saga dei vichinghi di Jom.
Jomsborg :
La città fortificata venne fondata da Aroldo Denteazzurro, re di Danimarca, quando venne spodestato da suo figlio Sven Barbaforcuta. Da allora il re che perse il trono si impegnò, insieme coi suoi uomini, a portare razzia e terrore in tutto il mar Baltico, rendendo la nuova città di Jomsborg un prospero porto mercantile nonché base militare per le razzie.
Spesso i guerrieri di Jom lavorarono come mercenari, insieme con altri, nelle terre dei Rus, andando a costituire la famosa Druzhina, corpo speciale del re di Kiev e Novgorod costituito specialmente da svedesi ma anche da altri scandinavi.
Un’ipotesi è che furono anche assoldati come mercenari da Cnut, re di Danimarca e Inghilterra, figlio di Sven Barbaforcuta.
Non bisogna però pensare che la saga dei vichinghi di Jom dica complete verità; infatti, scavi presso la cittadina di Wollin (sorta sulle rovine di Jomsborg intorno al 1250 d.C.), dimostrano che la comunità di quel posto, intorno all’anno Mille, non era esattamente come descritta nella saga, cioè una “possente base nordica e una colonia vichinga autonoma,con tanto di porto artificiale e grandi mura, dietro le quali stava un’accolta di guerrieri giurati, amanti della disciplina severa e spregiatrice del commercio e della morte”(da L’epopea dei vichinghi di Rudolf Portner).
Jomsborg era più che altro una fiorente città mercantile, una colonia di cultura e popolazione mista (slavo-nordica), caratterizzata da un vivace commercio, un artigianato e industria vari che usavano prodotti di varia provenienza.
Da queste informazioni si può quindi dedurre che, Jomsborg non fosse strettamente una comunità guerriera, ma per questo non si può nemmeno affermare che questa città non facesse uso delle armi.
I commerci, in quei periodi, erano indubbiamente poco sicuri e la pirateria e i continui saccheggi portarono, tutti coloro che volevano viaggiare, a proteggersi con una guardia armata. Così, anche i mercanti di Jomsborg si munirono di guerrieri sulle proprie imbarcazioni e molto spesso, gli stessi che impugnavano le armi erano anche coloro che remavano, formando degli equipaggi costituiti all’occorrenza interamente da armati e capaci, in caso di una cattiva stagione di commerci, di razziare per riempire le proprie tasche.
Per questo, si può dire che a Jomsborg, lo sviluppo del commercio fu affiancato a una forte tradizione guerriera capace di svolgere bene il proprio ruolo, tanto da essere assoldata da signori abbastanza facoltosi da permetterselo.
Altre realtà che dimostrano l’esistenza del mercenariato, nei secoli centrali del medioevo, sono ricercabili in molti frangenti della vita medievale.
Nonostante non vi fossero delle compagnie d’arme guidate da un capitano, vi erano però gruppi di guerrieri costituiti da individui diversissimi tra loro. Generalmente questi gruppi di mercenari erano formati da fuorilegge, disagiati e individui ai margini della società che vedevano, nel mettersi al servizio di qualcuno, un facile modo per arricchirsi.
Un tipico esempio è il caso dei mercanti di sale che risalivano il Po nella seconda metà dell’XI secolo d.C. Costoro erano chiamati “milites” poiché si munivano sempre di una scorta, costituita da mercenari, per proteggersi dalle frequenti aggressioni dei briganti che miravano a trafugare il prezioso sale marino.
Un altro esempio è quello dei saraceni, infatti, all’inizio del IX secolo d.C. si formò un’importante emirato in Tunisia governato dalla dinastia detta “aglabita”.
“Questa dinastia, protagonista di una politica particolarmente aggressiva nel Mediterraneo, a integrazione delle milizie normali dell’islam, non disdegnò di ricorrere occasionalmente e di garantire copertura a bande di pirati o predoni di religione musulmana, combattenti irregolari noti come «Saraceni»” ( da Dieci secoli di medioevo, Giuseppe Sergi e Renato Bordone)
I saraceni erano quindi un ramo di una popolazione da cui prendevano il nome, i Sarkénoi, e i loro attacchi erano principalmente contro il Sud Italia e le coste della Provenza.
Vennero spesso assoldati come mercenari dalla dinastia Tunisina degli aglabiti.
Le compagnie d’arme dal XII secolo
“A partire dal XII secolo, il denaro era ormai il maggior intermediario tra il potere e gli uomini d’arme” (da La guerra nel medioevo di Contamine).
Le parole di Contamine fanno capire bene il sorgere di compagnie, che non si potevano ancora confrontare a quelle di ventura del XIV secolo d.C. ma che erano dedite alla guerra e agli esercizi marziali e basavano la propria sopravvivenza quasi esclusivamente su quest’ultime caratteristiche.
Per questo si possono definire Compagnie d’arme.
Dagli inizi di questo secolo quindi, iniziarono a nascere alcune piccole combriccole di uomini, molte volte costituite da non più di una decina di persone, specializzate nell’uso delle armi e spesso assoldate da segnores locali o da vescovi per proteggere rispettivamente terre di banno o delle immunitas.
Queste compagnie d’arme, erano formate da una gerarchia costituita generalmente dai mercenari più vecchi ed esperti, i veterani, che si fidavano ciecamente di un capo (in molti aspetti simile ai famosi capitani di ventura di due secoli successivi) che prendeva gli incarichi, si occupava della pianificazione per lo svolgimento dei compiti e divideva gli introiti, fossero essi di derivazione da un lavoro eseguito oppure derivanti dall’esecuzione di una razzia.
I loro componenti si dedicavano esclusivamente all’uso delle armi ed erano per lo più itineranti, perché sempre alla ricerca di chi li assoldasse o di un facile bottino, predando piccole comunità rurali o viaggiatori sguarniti di una scorta.
Esistono numerose fonti che attestano la presenza delle compagnie d’arme nell’Europa medievale chiamando gli uomini che le componevano solidarii ( mercenari), stipendiarii ( stipendiati) e nominando anche il procedimento dell’arruolamento dietro compenso (summonitiones ad denarios).
Intorno al 1150 d.C., l’abate di Cluny, Pietro il Venerabile, accusa Pons de Melgueil, suo predecessore, di aver sperperato il tesoro dell’abbazia assoldando dei soldati.
Tra il 1176 e il 1179 d.C., venne scritto il “De necessariis observantiis Scaccarii dialogus” in cui è scritto :<<Il denaro è necessario non solo in tempo di guerra ma anche in tempo di pace. Nella guerra si spende per fortificare i castelli, per i salari dei soldati e per molte altre bisogne che dipendono dalla natura delle persone assoldate per la difesa del regno>>.
Lo stesso Fibonacci, nel suo Liber Abaci (scritto tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo d.C.) descrive alcuni esempi di calcolo per il pagamento dei mercenari.
Dalla metà del XII secolo d.C., le compagnie d’arme divennero sempre più grandi e forti, grazie alla ricchezza accumulata e alla fama da loro guadagnata.
Infatti erano sempre più i comuni che, sfruttando la possibilità dei cittadini di pagare un determinato soldo (per riscattarsi dal servizio militare dovuto), assoldavano mercenari, inizialmente, per fare la guardia alle mura e ai terreni della città e, successivamente, per compiere numerosi atti violenti e guerreschi contro altri comuni o contro i signori locali.
Al formarsi di un comune, infatti, il potere che risiedeva in città (cioè generalmente il vescovo o il collegio consolare) perse gradualmente la propria influenza sulle campagne circostanti.
Questo causò parecchi problemi all’interno del territorio che, in antichità, era interamente governato come comitatus, dando vita a molti scontri che coinvolgevano parecchi domini locali tra loro oppure quest’ultimi e il comune stesso.
In città era cresciuta moltissimo la classe mercantile che trovava, subito fuori dalle mura, una moltitudine di nobili o grandi proprietari terrieri agguerriti e insofferenti alla transizione sul proprio territorio, facendo spesso pagare forti tributi e/o mandando i propri guerrieri a bloccare i passaggi obbligati.
Dopo l’unificazione dei territori circostanti le città, la continua espansione territoriale dei comuni portò inevitabilmente allo scoppio di grandi guerre (per esempio tra Milano e Lodi) e,
dopo aver nominato e incaricato un podestà di occuparsi dei problemi militari, si arrivava allo scontro armato.
Gli eserciti, per la parte attaccante, non erano basati su una leva per la difesa della città, quindi il normale servizio obbligatorio di ogni cittadino non era previsto, ma le tasse contribuivano a formare un’armata di mercenari che, seppur più piccola, era composta da uomini specializzati nell’arte della guerra ed erano quindi un avversario temibile. Dall’altra parte, un comune che si vedeva attaccato da truppe specializzate, pensava di non avere alcuna scelta schierando un esercito basato sulla leva popolare, quindi si muniva anch’esso di mercenari.
Inizialmente gli uomini d’arme che militavano in questo modo erano una piccola compagine dell’esercito comunale, costituito prevalentemente dai soldati dei grandi milites della città e di quelli del territorio circostante assoggettati al comune. Questo fu il processo che portò le compagnie d’arme a unificarsi sotto la guida di un’unico capo e diventare le famose compagnie di ventura, guidate da un capitano e strutturate come un’esercito.
Si può quindi affermare che dalla metà del XII secolo d.C. ci fosse una presenza “ininterrotta e dirompente di soldati di mestiere” ( da Rapine, assedi, battaglie, la guerra nel medioevo, Settia)
Walter Map, intorno al 1180 d.C., ci dice dei mercenari “brabanzoni”, originari del Brabante, che militarono anche in Italia con gli eserciti di Federico I. Costoro erano in principio semplici ladruncoli a cui poi si unirono in quantità considerevole dei fuorilegge, quali falsi chierici,monaci rinnegati e comuni delinquenti. Assoldati come mercenari, questi criminali vagavano per l’Europa coperti di cuoio e metallo in formazioni chiamate “rotte” e non esitavano a depredare e razziare monasteri e villaggi interi portando distruzione “per il puro gusto di fare violenza” ( da Rapine, assedi, battaglie, la guerra nel medioevo, Settia).
Anche Salimbene da Parma, negli ultimi decenni del XIII secolo d.C., ci parla di truppe al soldo di domini usciti dalle città padane. Quest’ultimi tenevano al proprio servizio “cavalieri mercenari,berrovieri e ribaldi”, di origine bergamasca, ligure o milanese che combattevano al servizio di chi li pagava e si lasciavano andare in saccheggi e distruzioni nei paesi del vescovado reggiano.
Tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento nacquero, in Italia, le masnade mercenarie costituite da soldati di mestiere ( bellatores) di bassa estrazione sociale.
Queste formazioni itineranti e non molto stabili erano solite calare nella penisola al seguito di un imperatore o di un re, quindi, aggregatesi al padrone di un castello, effettuavano scorribande e imprese che portassero nelle loro tasche denaro e bottino.
Le terre d’origine di queste masnade erano principalmente la Germania, il Brabante oppure l’Aragona e la Catalogna. Quest’ultime due famose regioni, hanno rifornito il seguito armato del re Pietro d’Aragona, che nel 1282 giunse in Sicilia con mercenari legati alle attività degli Amolgavari o Almovari.
Di questi guerrieri ci viene fornita una descrizione da Michele Amari che scriveva :« Breve saio a costoro, un berretto di cuoio, una cintura, non camicia, non targa, calzati d’uose e scarponi, lo zaino sulle spalle col cibo, al fianco una spada corta e acuta, alle mani un’asta con largo ferro, e due giavellotti appuntati, che usavan vibrare con la sola destra, e poi nell’asta tutti affidavansi per dare e schermirsi. I lor condottieri, guide piuttosto che capitani, chiamavansi anche con voce arabica “adelilli”».
Queste masnade venute nella penisola italica, erano solite fermarsi trovando facilmente impieghi o semplici scorrerie. Quest’ultime, in particolare, erano l’attività principale attuata dai mercenari di quei tempi trovando semplice sul suolo italico il saccheggio, facilitato dai problemi e dagli scontri interni che vedevano contrapporsi l’impero e i comuni oppure le dinastie principesche instauratisi in città.
In particolare da quest’ultime discenderanno alcuni grandi condottieri, come vedremo in seguito.
L’instaurarsi di alcune dinastie principesche nelle città italiane, deriva infatti dalla consuetudine dei comuni di assoldare dei mercenari che venivano ingaggiati singolarmente e a gruppetti. Quindi, posti sotto la guida di un capitano che doveva possedere doti militari molto sviluppate, compivano attacchi contro altri comuni o difendevano il comune che li aveva ingaggiati.
Alcuni capitani erano molto famosi tra i cittadini e quando non si era in periodi di guerra, le doti di politica e dialettica, unite alla fama guadagnata sul campo di battaglia, permettevano a questi personaggi di instaurarsi ai vertici del potere comunale grazie al sistema della Balia perpetua, un esempio sono i Visconti.
Le compagnie straniere e le compagnie di ventura
Ancora nei primi anni del Trecento, i masnadieri furono, la maggior parte delle volte, dei veri e propri fuorilegge, come dimostra il caso dei “Cavalieri della Colomba”.
Questi nient’altro erano che un gruppo di mercenari, venuti in Italia al seguito di Giovanni di Boemia nel 1333 e, restati nella penisola, vissero di rapina anche dopo l’ingaggio da parte del comune di Perugia che risolvettero rapidamente per tornare ai saccheggi.
Nel 1339 arrivarono in Italia il duca Werner von Urslingen e il conte Konrad von Landau con le loro brigate.
Werner, dopo aver combattuto al soldo di diversi signori in Toscana e Lombardia, radunò tutti i mercenari sul suolo italico e, come dice Rendina, :«propose la costituzione di una libera compagnia “ per guerreggiare i più deboli e i più doviziosi”».
Nacque quindi la “Grande Compagnia” del temuto duca Guarnieri, ispirata da un preciso programma e senso del mestiere, regolata da una ferrea disciplina.
La compagnia di Werner, composta di tremila barbute formata ognuna da un cavaliere e un sergente, guerreggiò in Toscana e in Umbria compiendo saccheggi e devastazioni.
Il capitano della grande compagnia aveva scritto sulla sua armatura “Duca Guarnieri, Signore della Gran Compagnia, nimico di Dio, di pietà et di misericordia” . Egli era conteso, ma anche disprezzato, dai suoi datori di lavoro che nel 1343 decisero di pagare una grossa somma a titolo di liquidazione mandandolo in Friuli.
Tornato poi in Italia nel 1347, il duca e la sua compagnia furono impegnatissimi nella guerra tra il re d’Ungheria e Giovanna d’Angiò.
Negli anni seguenti la Grande Compagnia combatté contro ma anche al soldo del legato pontificio e finì per sciogliersi nel 1351, quando Guarnieri si ritirò in Svevia godendosi il denaro accumulato. Tuttavia, i rimasugli della compagnia di Werner furono ripresi da Fra Moriale e dal conte Landau e si perpetuarono ancora per undici anni, fino al definitivo scioglimento del 1362, quando gli ungari della Grande Compagnia rifiutarono di combattere contro i loro consanguinei della Compagnia Bianca guidata da Sterz e John Hawkwood.
Quest’ultimo nacque in Inghilterra intorno al 1320 ed era figlio del conciapelli Gilberto Hawkwood. Proveniva quindi da un’agiata famiglia borghese di campagna ma, non essendo il maggiore dei suoi fratelli e sorelle, la sua eredità era ben poca per potergli permettere di sopravvivere, perciò le strade che gli si aprivano davanti erano due, il chiericato o le armi.
John Hawkwood scelse le armi.
Partì quindi nel 1339 quando scoppiò la Guerra tra Francia e Inghilterra e venne addirittura insignito cavaliere dal Principe Nero del Galles.
Nel 1360 tuttavia, con la pace di Brètigny, molti soldati di mestiere di entrambe le fazioni si trovano improvvisamente senza lavoro e per non cadere in disgrazia iniziarono a cercare altri impieghi nella penisola italica. Un esempio furono i soldati chiamati brabantini, originari del Brabante, assoldati dai Francesi durante il periodo bellico.
Bisogna perciò aspettare il 1360 perché nascano le prime compagnie di ventura.
Questa è la data a cui si fa risalire il periodo iniziale di formazione di questi eserciti mercenari, in una pausa della guerra dei cent’anni, durante la quale soldati inglesi e francesi diedero vita a grandi unioni di soldati, identificate con l’origine geografica dei loro componenti.
Le compagnie di ventura, formate in questo periodo, avevano un assetto simile a quello di un esercito, infatti il termine ventura indica “un gruppo di combattenti che, abbandonando per un certo tempo la guarnigione o l’accampamento, si dedica alla ricerca del bottino o al sequestro di persona allo scopo di estorsione. La nozione ventura richiama infatti uno stile di guerra in cui l’obbiettivo non è più di superare un avversario ma di arricchirsi con tutti i mezzi possibili” (da Rapine assedi battaglie, la guerra nel medioevo, Settia).
John Hawkwood, dopo essersi unito alla compagnia Bianca nel 1361 e aver imparato la gestione e le tecniche di formazione delle compagnie, si mise in proprio dando vita a una nuova compagnia di ventura totalmente riformata. Questa era composta da 1200 lance, che sostituivano la barbuta, ed erano formate da un capo-lancia o caporale, da uno scudiero e da un ragazzo in groppa a un ronzino. Quest’armata regolare mise in risalto Giovanni Acuto e i più grandi signori d’Italia non tardarono a ingaggiarlo. Combattè a fianco di Giovanni dell’Agnello e Bernabò Visconti, fino alla dura sconfitta inflittagli da Galeotto Malatesta nel 1364. Successivamente militò con la sua compagnia al soldo di Roberto di Ginevra e al servizio del papa commettendo eccidi incredibili alla guida della “Compagnia Santa”.
Alla fine Giovanni Acuto si mise al servizio stabile di Firenze che lo amò come un concittadino e gli diede solenni funerali alla sua morte nel 1394.
Seguendo l’esempio delle compagnie straniere formatesi in Italia, nacquero unioni di mercenari guidati da capitani di origine italica che spesso si formavano tra le stesse dinastie signorili cittadine. Una compagnia che si distinse per la sua formazione e non tanto per i suoi pregi militari fu la “Compagnia di San Giorgio” di Alberico di Barbiano costituita esclusivamente da milizie italiane.
Con questa compagnia si aprì l’epoca durante la quale i condottieri e le compagnie italiane subentrarono a quelle straniere con «una rinnovata efficienza militare e politica» (da I capitani di Ventura di Claudio Rendina).
In questo periodo, il capitano sceglieva i propri uomini e non viceversa, li arruolava tra i più fidati e li armava a sue spese, pagandoli col proprio soldo e stipulando contratti chiamati “condotta”. Il capitano quindi si fa Condottiero.
Le condotte erano contratti redatti dai legali delle due parti contraenti, in cui venivano specificati il numero di uomini, quello delle armi e la durata dell’ingaggio detto “ferma”.
I condottieri furono molto ricchi e la loro fortuna crebbe anche sul piano politico, dando vita a famiglie di condottieri-signori condizionate dalla fortuna militare degli stessi, è il caso degli Sforza, dei Colleoni e dei Gattamelata.
La decadenza delle compagnie di ventura inizia con la pace di Lodi nel 1454 e ha compimento negli ultimi anni del medioevo. Con la tendenza dei grandi signori stranieri, ad arruolare grandi contingenti di milizie d’ordinanza reclutate tra i propri sudditi, e quella dei principi italiani a frammentare le armate per non rischiare che gli si rivoltino contro, le compagnie di ventura, ora ridotte a esigui gruppi di uomini, non riescono a resistere alla forza dirompente delle armate straniere, superiori di numero e nella tecnologia delle armi da fuoco.
Il nascere dei primi nuclei di armate nazionali vede il tramonto delle compagnie di ventura la cui storia, si può dire, è solo e tutta medievale.
http://www.ilcontemezzocuore.it/info/me ... -medioevo/
A cura di:
Davide Chiolero
(Ricercatore de “Il Contemezzocuore”)
Bibliografia :
Renato Bordone e Giuseppe Sergi, Dieci secoli di medioevo, Einaudi, Torino 2009;
Philippe Contamine, La guerra nel medioevo, il Mulino, Bologna 1986;
Settia, Rapine, assedi battaglie, Laterza, Bari 2006;
Giovanni Tabacco e Grado Giovanni Merlo, Medioevo V/XV secolo, il Mulino, Bologna 1981; Rudolf Portner, L’epopea dei vichinghi, Garzanti Editore,1983;
Donald F.Logan, Storia dei vichinghi, casa editrice Odoya, 2009;
Claudio Rendina, I capitani di ventura, Universale Storica Newton di Newton & Compton Editori s.r.l., 2004;
Duccio Balestracci, Le armi, i cavalli, l’oro, Giovanni Acuto e i condottieri nell’Italia del Trecento, Editori Laterza, 2009;