Cimabue
Inviato: 27 gennaio 2013, 10:52
« Credette Cimabue nella pittura
tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido,
si che la fama di colui è scura »
(Dante Alighieri, Purgatorio XI, 94-96)
Cimabue, pseudonimo di Cenni di Pepo (Firenze, 1240 circa – Pisa, 1302), è stato un pittore italiano.
Si hanno notizie di lui dal 1272. Dante lo citò come il maggiore della generazione antecedente a quella di Giotto, parallelamente al poeta Guido Guinizelli e al miniatore Oderisi da Gubbio. Secondo il Ghiberti e il Libro di Antonio Billi fu al contempo maestro e scopritore di Giotto. Il Vasari lo indicò come il primo pittore che si discostò dalla "scabrosa goffa e ordinaria [...] maniera greca", ritrovando il principio del disegno verosimile "alla latina".
Studi recenti hanno dimostrato come in realtà il rinnovamento operato da Cimabue non fosse poi assolutamente isolato nel contesto europeo, poiché la stessa pittura bizantina mostrava dei segni di evoluzione verso una maggiore resa dei volumi ed un migliore dialogo con l'osservatore. Per esempio negli affreschi del monastero di Sopoćani, datati 1265, si notano figure ormai senza contorno dove le sfumature finissime evidenziano la rotondità volumetrica. D'altronde lo stesso Vasari, cui tanto si deve nell'attribuzione a Cimabue dell'avvio della rinascenza della pittura italiana, afferma che egli ebbe "maestri greci".
A Cimabue spetta però un passo fondamentale nella transizione da figure ieratiche e idealizzate (di tradizione bizantina) verso veri soggetti, dotati di umanità ed emozioni, che saranno alla base della pittura italiana e occidentale.
Cenni biografici
Le notizie certe, ossia suffragate da documenti, sulla vita di Cimabue sono molto esigue: presente a Roma nel 1272; incaricato di realizzare un cartone per il mosaico del catino absidale del Duomo di Pisa il 1 novembre 1301; morto a Pisa nel 1302. Da queste pochissime informazioni i critici e gli storici dell'arte hanno ricostruito, non senza controversie e incertezze, il catalogo delle opere[1].
La data di nascita approssimativa si basa sulla menzione di Vasari e su un calcolo dell'età che doveva avere nel 1272, quando a Roma venne citato come testimone in un atto pubblico di notevole importanza, quindi verosimilmente sui trent'anni. In tale documento viene anche ricordato il luogo di nascita dell'artista, "Florentia", un'indicazione confermata anche nel documento pisano. Dalla menzione di Giovanni Villani nasce l'ipotesi che l'artista si chiamasse "Giovanni" e Cimabue di cognome, un'ipotesi priva di riscontri nei documenti superstiti, tanto da apparire come un equivoco, che venne ripreso poi anche dall'Anonimo Magliabechiano[1].
Ai primi anni settanta sono databili il Crocifisso di San Domenico ad Arezzo e l'attività ai mosaici del battistero di Firenze: influssi di Nicola Pisano nelle scene musive, fanno pensare a un possibile soggiorno a Pisa[1].
Il documento di Roma, datato 8 giugno 1272 registra la testimonianza del pittore sul patronato che il cardinale Ottobono Fieschi assunse su incarico di papa Gregorio X di un monastero di monache di San Damiano che per l'occasione, fu ridedicato a Sant'Agostino e alla sua Regola. A Roma dovette conoscere l'arte classica e la scuola locale. In quell'occasione dovette ricevere l'incarico di decorare la nuova basilica papale di Assisi, opera che ebbe inizio nella basilica inferiore (ne rimane solo la Maestà). Verso il 1280 dovette prendere il via la pittura anche della basilica superiore[1].
Gli anni ottanta dovettero essere il momento di massima popolarità dell'artista, dopo l'impresa assisiate, ricevendo commissioni per grandi pale come la Maestà di Santa Trinita o il Crocifisso di Santa Croce. Già dagli anni novanta il suo astro dovette iniziare ad essere oscurato da quello dell'allievo Giotto, come registrò la celebre menzione dantesca.
Vasari lo ricordò morto nell'anno 1300, informazione smentita dai documenti. Come già accennato infatti, il 1 e il 5 novembre 1301 era a Pisa, dove firmò per l'esecuzione di una grande Maestà con storie sacre per la chiesa dell'ospedale di Santa Chiara, da eseguire in collaborazione col lucchese Giovanni di Apparecchiato, detto "Nuchulus": opera perduta o forse mai eseguita per la morte dell'artista. Il 19 marzo 1302 infatti, appena quattro mesi dopo, un documento fiorentino parla degli "eredi" di Cimabue riguardo a una casa nel popolo di San Maurizio a Fiesole. Il 4 luglio di quell'anno al camerlengo di Pisa vengono consegnati alcuni oggetti (i guanti di ferro, una tovaglia e altro) appartenuti al pittore, che quindi doveva essere morto mentre attendeva a un lavoro per il Duomo di Pisa, ovvero i cartoni per il mosaico nella calotta absidale.
Opere principali
Probabilmente la sua formazione si svolse a Firenze, tra maestri di cultura bizantina. Già con la Crocifissione della chiesa di San Domenico di Arezzo, databile attorno al 1270, segnò un distacco dalla maniera bizantina.
In questa opera Cimabue si orientò verso le recenti rappresentazioni della Crocifissione con il Christus patiens dipinte verso il 1250 da Giunta Pisano, ma aggiornò l'iconografia arcuando ancora maggiormente il corpo del Cristo, che ormai debordava occupando tutta la fascia alla sinistra della croce. Sempre ai modelli di Giunta rimandano le due figure nei tabelloni ai lati dei braccio della croce (Maria e San Giovanni raffigurati a mezzo busto in posizione di compianto) e lo stile asciutto, quasi "calligrafico" della resa anatomica del corpo del Cristo.
La somiglianza con il modello giuntesco si spiega anche con un'esplicita richiesta dei domenicani aretini, essendo uno dei crocifissi di Giunta conservato nella chiesa principale dell'ordine, la basilica di San Domenico a Bologna.
Un'altra novità rispetto al modello fu l'uso delle striature d'oro nel panneggio che copre il corpo di Cristo o nelle vesti dei due dolenti, un motivo usato per la prima volta, pare, da Coppo di Marcovaldo e derivato dalle icone bizantine.
Il Crocifisso di Santa Croce
Poco dopo il viaggio a Roma del 1272, eseguì il Crocifisso per la chiesa fiorentina di Santa Croce, oggi semidistrutto a causa dell'alluvione di Firenze del 1966. Quest'opera si presenta dall'apparenza simile al Crocifisso aretino, ma a un'analisi attenta lo stile pittorico è molto cambiato, tanto da suggerire che sia stato eseguito un decennio dopo, intorno al 1280.
Alto tre metri e 90 è un crocifisso grandioso, con la posa del Cristo ancora più sinuosa, ma è soprattutto la resa pittorica delicatamente sfumata a rappresentare una rivoluzione, con un naturalismo commovente (forse ispirato anche alle opere di Nicola Pisano) e privo di quelle dure pennellate grafiche che si riscontrano nel crocifisso aretino. La luce adesso è calcolata e modella con il chiaroscuro un volume realistico: i chiari colori dell'addome, girato verso l'ipotetica fonte di luce, non sono gli stessi del costato e delle spalle, sapientemente rappresentati come illuminati con un angolo di luce diverso. Le ombre, appena accennate su pieghe profonde come quelle dei gomiti, sono più scure nei solchi tra la testa e la spalla, sul fianco, tra le gambe.
Un vero esempio di virtuosismo è poi la resa del morbido panneggio, delicatamente trasparente. Dopo secoli di aspri colori pastosi Cimabue fu quindi il primo a stendere morbide sfumature.
La Maestà del Louvre
Cimabue anche nell'iconografia tradizionale della Madonna col bambino stabilì un nuovo canone con il quale si dovettero confrontare i pittori successivi, soprattutto Giotto.
Verso il 1280 eseguì la Madonna con il Bambino o Maestà del Louvre, proveniente dalla chiesa di San Francesco a Pisa. In questa opera è amplificata la maestosità, tramite un più ampio campo attorno alla Madonna (si pensi alla Madonna del Bordone di Coppo di Marcovaldo), e migliore è la resa naturalistica, pur senza concessioni al sentimentalismo (Madonna e bambino non si guardano e le loro mani non si toccano). Il trono è disegnato con un'assonometria intuitiva e quindi collocato precisamente nello spazio, anche se gli angeli sono disposti ritmicamente attorno alla divinità secondo precisi schemi di ritmo e simmetria, senza interesse ad una reale disposizione nello spazio, infatti levitano l'uno sopra l'altro (non l'uno dietro l'altro). Molto fine è il modo con cui i panneggi avvolgono il corpo delle figure, soprattutto della Madonna, che crea un realistico volume fisico. Non vi è usata l'agemina (le striature dorate).
Questa pala ebbe un'eco immediata, ripresa per esempio verso il 1285 dal senese Duccio di Buoninsegna, nella sua aristocratica Madonna Rucellai - opera per lungo tempo erroneamente attribuita allo stesso Cimabue -, già in Santa Maria Novella e oggi agli Uffizi.
Anni '80 del Duecento
In questo periodo vengono collocate una serie di opere in varie collocazioni, nelle quali inizia a farsi viva anche l'eco dell'influenza dell'allievo Giotto. La Flagellazione della Collezione Frick, i mosaici per il battistero fiorentino, molto rimaneggiati, la Maestà di Santa Maria dei Servi a Bologna e la Madonna della Pinacoteca di Castelfiorentino, forse in collaborazione con Giotto. Opera di bottega, leggermente posteriore, è forse la Maestà con i santi Francesco e Domenico della Collezione Contini Bonacossi a Firenze.
Le opere di Assisi
Sotto il papato di Niccolò IV (1288-1292), primo papa francescano, Cimabue lavorò ad Assisi. L'arrivo di Cimabue ad Assisi segnò l'ingresso nella prestigiosa commissione papale di artisti fiorentini e la scelta del maestro fu dettata quasi certamente dalla fama che aveva acquistato a Roma nel 1272, anche se non sono conosciute opere di Cimabue del periodo romano.
Nel transetto destro della basilica inferiore affrescò la Madonna col Bambino in trono, quattro angeli e san Francesco, dipinto palesemente decurtato dal lato sinistro dove si suppone fosse presente un Sant'Antonio di Padova a pendant del Poverello d'Assisi. L'affresco, infatti fu incorniciato alcuni decenni dopo dai maestri giotteschi che affrescarono il resto del transetto. L'opera è stata oggetto di pesanti ridipinture avvenute in epoca più tarda. Il San Francesco che vi compare è simile a quello ritratto in una tavola conservata nel Museo di Santa Maria degli Angeli.
L'autenticità di quest'ultima tavola (riconosciuta dal Longhi) è stata oggetto di accese controversie probabilmente anche a causa dalle sue peculiarità tecniche. In particolare essa è priva del consueto strato preparatorio in gesso, né ha camottatura. Procedimenti preparatori, specie il primo, pressoché immancabili nella pittura medievale su tavola. Sulla base di queste circostanze vi è chi ha ipotizzato possa addirittura trattarsi di un falso moderno. Da ultimo tuttavia ha conciliato l'autenticità della tavola con queste eccezioni tecniche Luciano Bellosi (2004), assumendo che il dipinto in questione sia stato originariamente creato per essere posto sul primo sepolcro di Francesco, destinazione che avrebbe reso incongrua la consueta preparazione della tavola.
Fu forse proprio per l'alta qualità pittorica dei dipinti della Basilica inferiore che Cimabue fu chiamato a realizzare le pitture nell'abside e nel transetto della basilica superiore di San Francesco, negli stessi anni in cui forse maestranze romane cominciavano ad affrescare la parte superiore della navata.
È difficile avere un'idea degli affreschi assisiati di Cimabue e della sua bottega, perché oggi sono i più danneggiati della basilica Superiore, avendo subìto un processo di ossidazione della biacca (bianco di piombo) che ha reso i toni chiari scuri (per cui sembra di essere di fronte a un negativo fotografico).
Il complesso ciclo pittorico comprende: La scena più interessante è quella della Crocifissione nel transetto sinistro, dove le numerose figure in basso con i loro gesti straziati fanno convergere le linee di forza verso il crocifisso, attorno al quale si dispiega un seguito di angeli. La drammaticità quasi patetica della rappresentazione viene considerato il punto di arrivo della riflessione francescana sul tema della Croce in senso drammatico.
La Maestà di Santa Trinità
Nella chiesa di Santa Trinita a Firenze era conservata un'altra Maestà di Cimabue, ora conservata agli Uffizi, della quale non si conosce la data, ma che viene attribuita a un momento più tardo, tra il 1290 e il 1300. La principale novità di questa pala è il maggior senso tridimensionale del trono di Maria, che crea un vero e proprio palcoscenico al di sotto del quale si apre un loggiato che per un effetto illusionistico appare al centro come un'esedra: qui trovano posto i busti di Geremia, Abramo, Davide e Isaia che sembrano affacciarsi in uno spazio realisticamente definito. Più tendenti alla disposizione in profondità sono anche le figure degli angeli ai lati del trono.
Le espressioni sono anche più dolci, come nel mosaico del Duomo di Pisa, per cui si pensa che sia verosimile collocare l'opera in un periodo in cui Giotto era già attivo e le sue novità influenzavano anche il maestro.
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http://it.wikipedia.org/wiki/Cimabue
tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido,
si che la fama di colui è scura »
(Dante Alighieri, Purgatorio XI, 94-96)
Cimabue, pseudonimo di Cenni di Pepo (Firenze, 1240 circa – Pisa, 1302), è stato un pittore italiano.
Si hanno notizie di lui dal 1272. Dante lo citò come il maggiore della generazione antecedente a quella di Giotto, parallelamente al poeta Guido Guinizelli e al miniatore Oderisi da Gubbio. Secondo il Ghiberti e il Libro di Antonio Billi fu al contempo maestro e scopritore di Giotto. Il Vasari lo indicò come il primo pittore che si discostò dalla "scabrosa goffa e ordinaria [...] maniera greca", ritrovando il principio del disegno verosimile "alla latina".
Studi recenti hanno dimostrato come in realtà il rinnovamento operato da Cimabue non fosse poi assolutamente isolato nel contesto europeo, poiché la stessa pittura bizantina mostrava dei segni di evoluzione verso una maggiore resa dei volumi ed un migliore dialogo con l'osservatore. Per esempio negli affreschi del monastero di Sopoćani, datati 1265, si notano figure ormai senza contorno dove le sfumature finissime evidenziano la rotondità volumetrica. D'altronde lo stesso Vasari, cui tanto si deve nell'attribuzione a Cimabue dell'avvio della rinascenza della pittura italiana, afferma che egli ebbe "maestri greci".
A Cimabue spetta però un passo fondamentale nella transizione da figure ieratiche e idealizzate (di tradizione bizantina) verso veri soggetti, dotati di umanità ed emozioni, che saranno alla base della pittura italiana e occidentale.
Cenni biografici
Le notizie certe, ossia suffragate da documenti, sulla vita di Cimabue sono molto esigue: presente a Roma nel 1272; incaricato di realizzare un cartone per il mosaico del catino absidale del Duomo di Pisa il 1 novembre 1301; morto a Pisa nel 1302. Da queste pochissime informazioni i critici e gli storici dell'arte hanno ricostruito, non senza controversie e incertezze, il catalogo delle opere[1].
La data di nascita approssimativa si basa sulla menzione di Vasari e su un calcolo dell'età che doveva avere nel 1272, quando a Roma venne citato come testimone in un atto pubblico di notevole importanza, quindi verosimilmente sui trent'anni. In tale documento viene anche ricordato il luogo di nascita dell'artista, "Florentia", un'indicazione confermata anche nel documento pisano. Dalla menzione di Giovanni Villani nasce l'ipotesi che l'artista si chiamasse "Giovanni" e Cimabue di cognome, un'ipotesi priva di riscontri nei documenti superstiti, tanto da apparire come un equivoco, che venne ripreso poi anche dall'Anonimo Magliabechiano[1].
Ai primi anni settanta sono databili il Crocifisso di San Domenico ad Arezzo e l'attività ai mosaici del battistero di Firenze: influssi di Nicola Pisano nelle scene musive, fanno pensare a un possibile soggiorno a Pisa[1].
Il documento di Roma, datato 8 giugno 1272 registra la testimonianza del pittore sul patronato che il cardinale Ottobono Fieschi assunse su incarico di papa Gregorio X di un monastero di monache di San Damiano che per l'occasione, fu ridedicato a Sant'Agostino e alla sua Regola. A Roma dovette conoscere l'arte classica e la scuola locale. In quell'occasione dovette ricevere l'incarico di decorare la nuova basilica papale di Assisi, opera che ebbe inizio nella basilica inferiore (ne rimane solo la Maestà). Verso il 1280 dovette prendere il via la pittura anche della basilica superiore[1].
Gli anni ottanta dovettero essere il momento di massima popolarità dell'artista, dopo l'impresa assisiate, ricevendo commissioni per grandi pale come la Maestà di Santa Trinita o il Crocifisso di Santa Croce. Già dagli anni novanta il suo astro dovette iniziare ad essere oscurato da quello dell'allievo Giotto, come registrò la celebre menzione dantesca.
Vasari lo ricordò morto nell'anno 1300, informazione smentita dai documenti. Come già accennato infatti, il 1 e il 5 novembre 1301 era a Pisa, dove firmò per l'esecuzione di una grande Maestà con storie sacre per la chiesa dell'ospedale di Santa Chiara, da eseguire in collaborazione col lucchese Giovanni di Apparecchiato, detto "Nuchulus": opera perduta o forse mai eseguita per la morte dell'artista. Il 19 marzo 1302 infatti, appena quattro mesi dopo, un documento fiorentino parla degli "eredi" di Cimabue riguardo a una casa nel popolo di San Maurizio a Fiesole. Il 4 luglio di quell'anno al camerlengo di Pisa vengono consegnati alcuni oggetti (i guanti di ferro, una tovaglia e altro) appartenuti al pittore, che quindi doveva essere morto mentre attendeva a un lavoro per il Duomo di Pisa, ovvero i cartoni per il mosaico nella calotta absidale.
Opere principali
Probabilmente la sua formazione si svolse a Firenze, tra maestri di cultura bizantina. Già con la Crocifissione della chiesa di San Domenico di Arezzo, databile attorno al 1270, segnò un distacco dalla maniera bizantina.
In questa opera Cimabue si orientò verso le recenti rappresentazioni della Crocifissione con il Christus patiens dipinte verso il 1250 da Giunta Pisano, ma aggiornò l'iconografia arcuando ancora maggiormente il corpo del Cristo, che ormai debordava occupando tutta la fascia alla sinistra della croce. Sempre ai modelli di Giunta rimandano le due figure nei tabelloni ai lati dei braccio della croce (Maria e San Giovanni raffigurati a mezzo busto in posizione di compianto) e lo stile asciutto, quasi "calligrafico" della resa anatomica del corpo del Cristo.
La somiglianza con il modello giuntesco si spiega anche con un'esplicita richiesta dei domenicani aretini, essendo uno dei crocifissi di Giunta conservato nella chiesa principale dell'ordine, la basilica di San Domenico a Bologna.
Un'altra novità rispetto al modello fu l'uso delle striature d'oro nel panneggio che copre il corpo di Cristo o nelle vesti dei due dolenti, un motivo usato per la prima volta, pare, da Coppo di Marcovaldo e derivato dalle icone bizantine.
Il Crocifisso di Santa Croce
Poco dopo il viaggio a Roma del 1272, eseguì il Crocifisso per la chiesa fiorentina di Santa Croce, oggi semidistrutto a causa dell'alluvione di Firenze del 1966. Quest'opera si presenta dall'apparenza simile al Crocifisso aretino, ma a un'analisi attenta lo stile pittorico è molto cambiato, tanto da suggerire che sia stato eseguito un decennio dopo, intorno al 1280.
Alto tre metri e 90 è un crocifisso grandioso, con la posa del Cristo ancora più sinuosa, ma è soprattutto la resa pittorica delicatamente sfumata a rappresentare una rivoluzione, con un naturalismo commovente (forse ispirato anche alle opere di Nicola Pisano) e privo di quelle dure pennellate grafiche che si riscontrano nel crocifisso aretino. La luce adesso è calcolata e modella con il chiaroscuro un volume realistico: i chiari colori dell'addome, girato verso l'ipotetica fonte di luce, non sono gli stessi del costato e delle spalle, sapientemente rappresentati come illuminati con un angolo di luce diverso. Le ombre, appena accennate su pieghe profonde come quelle dei gomiti, sono più scure nei solchi tra la testa e la spalla, sul fianco, tra le gambe.
Un vero esempio di virtuosismo è poi la resa del morbido panneggio, delicatamente trasparente. Dopo secoli di aspri colori pastosi Cimabue fu quindi il primo a stendere morbide sfumature.
La Maestà del Louvre
Cimabue anche nell'iconografia tradizionale della Madonna col bambino stabilì un nuovo canone con il quale si dovettero confrontare i pittori successivi, soprattutto Giotto.
Verso il 1280 eseguì la Madonna con il Bambino o Maestà del Louvre, proveniente dalla chiesa di San Francesco a Pisa. In questa opera è amplificata la maestosità, tramite un più ampio campo attorno alla Madonna (si pensi alla Madonna del Bordone di Coppo di Marcovaldo), e migliore è la resa naturalistica, pur senza concessioni al sentimentalismo (Madonna e bambino non si guardano e le loro mani non si toccano). Il trono è disegnato con un'assonometria intuitiva e quindi collocato precisamente nello spazio, anche se gli angeli sono disposti ritmicamente attorno alla divinità secondo precisi schemi di ritmo e simmetria, senza interesse ad una reale disposizione nello spazio, infatti levitano l'uno sopra l'altro (non l'uno dietro l'altro). Molto fine è il modo con cui i panneggi avvolgono il corpo delle figure, soprattutto della Madonna, che crea un realistico volume fisico. Non vi è usata l'agemina (le striature dorate).
Questa pala ebbe un'eco immediata, ripresa per esempio verso il 1285 dal senese Duccio di Buoninsegna, nella sua aristocratica Madonna Rucellai - opera per lungo tempo erroneamente attribuita allo stesso Cimabue -, già in Santa Maria Novella e oggi agli Uffizi.
Anni '80 del Duecento
In questo periodo vengono collocate una serie di opere in varie collocazioni, nelle quali inizia a farsi viva anche l'eco dell'influenza dell'allievo Giotto. La Flagellazione della Collezione Frick, i mosaici per il battistero fiorentino, molto rimaneggiati, la Maestà di Santa Maria dei Servi a Bologna e la Madonna della Pinacoteca di Castelfiorentino, forse in collaborazione con Giotto. Opera di bottega, leggermente posteriore, è forse la Maestà con i santi Francesco e Domenico della Collezione Contini Bonacossi a Firenze.
Le opere di Assisi
Sotto il papato di Niccolò IV (1288-1292), primo papa francescano, Cimabue lavorò ad Assisi. L'arrivo di Cimabue ad Assisi segnò l'ingresso nella prestigiosa commissione papale di artisti fiorentini e la scelta del maestro fu dettata quasi certamente dalla fama che aveva acquistato a Roma nel 1272, anche se non sono conosciute opere di Cimabue del periodo romano.
Nel transetto destro della basilica inferiore affrescò la Madonna col Bambino in trono, quattro angeli e san Francesco, dipinto palesemente decurtato dal lato sinistro dove si suppone fosse presente un Sant'Antonio di Padova a pendant del Poverello d'Assisi. L'affresco, infatti fu incorniciato alcuni decenni dopo dai maestri giotteschi che affrescarono il resto del transetto. L'opera è stata oggetto di pesanti ridipinture avvenute in epoca più tarda. Il San Francesco che vi compare è simile a quello ritratto in una tavola conservata nel Museo di Santa Maria degli Angeli.
L'autenticità di quest'ultima tavola (riconosciuta dal Longhi) è stata oggetto di accese controversie probabilmente anche a causa dalle sue peculiarità tecniche. In particolare essa è priva del consueto strato preparatorio in gesso, né ha camottatura. Procedimenti preparatori, specie il primo, pressoché immancabili nella pittura medievale su tavola. Sulla base di queste circostanze vi è chi ha ipotizzato possa addirittura trattarsi di un falso moderno. Da ultimo tuttavia ha conciliato l'autenticità della tavola con queste eccezioni tecniche Luciano Bellosi (2004), assumendo che il dipinto in questione sia stato originariamente creato per essere posto sul primo sepolcro di Francesco, destinazione che avrebbe reso incongrua la consueta preparazione della tavola.
Fu forse proprio per l'alta qualità pittorica dei dipinti della Basilica inferiore che Cimabue fu chiamato a realizzare le pitture nell'abside e nel transetto della basilica superiore di San Francesco, negli stessi anni in cui forse maestranze romane cominciavano ad affrescare la parte superiore della navata.
È difficile avere un'idea degli affreschi assisiati di Cimabue e della sua bottega, perché oggi sono i più danneggiati della basilica Superiore, avendo subìto un processo di ossidazione della biacca (bianco di piombo) che ha reso i toni chiari scuri (per cui sembra di essere di fronte a un negativo fotografico).
Il complesso ciclo pittorico comprende: La scena più interessante è quella della Crocifissione nel transetto sinistro, dove le numerose figure in basso con i loro gesti straziati fanno convergere le linee di forza verso il crocifisso, attorno al quale si dispiega un seguito di angeli. La drammaticità quasi patetica della rappresentazione viene considerato il punto di arrivo della riflessione francescana sul tema della Croce in senso drammatico.
La Maestà di Santa Trinità
Nella chiesa di Santa Trinita a Firenze era conservata un'altra Maestà di Cimabue, ora conservata agli Uffizi, della quale non si conosce la data, ma che viene attribuita a un momento più tardo, tra il 1290 e il 1300. La principale novità di questa pala è il maggior senso tridimensionale del trono di Maria, che crea un vero e proprio palcoscenico al di sotto del quale si apre un loggiato che per un effetto illusionistico appare al centro come un'esedra: qui trovano posto i busti di Geremia, Abramo, Davide e Isaia che sembrano affacciarsi in uno spazio realisticamente definito. Più tendenti alla disposizione in profondità sono anche le figure degli angeli ai lati del trono.
Le espressioni sono anche più dolci, come nel mosaico del Duomo di Pisa, per cui si pensa che sia verosimile collocare l'opera in un periodo in cui Giotto era già attivo e le sue novità influenzavano anche il maestro.
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http://it.wikipedia.org/wiki/Cimabue