ORDINI RELIGIOSI - SANTI, TEOLOGI, STUDIOSI

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Veldriss
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Amadio degli Amidei

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Amadio degli Amidei (Firenze, ... – Firenze, 18 aprile 1266) fu uno dei Sette Santi Fondatori dell'Ordine dei Servi di Maria.

Biografia
Membro di una nobile e ricca famiglia fiorentina, strinse una forte amicizia con gli altri sei santi. Insieme a loro si ritirò in una casetta appena fuori da Firenze. Tuttavia, molti andavano da lui per chiedergli suggerimenti sulle cose da fare, su come farsi perdonare e per risolvere altri dubbi di questo genere. Tutto ciò impediva ai Sette di concentrarsi e di pregare. Allora decisero di ritirarsi sul Monte Senario e Amadio si dedicò al servizio della Madonna. I sette strinsero un patto in cui dichiararono che se tutti non fossero riusciti a salire in Paradiso, allora nessuno dei sette avrebbe potuto accedervi.
Questo, pur conoscendosi i sette e conoscendo la propria forza di volontà, era un fatto quasi incredibile. Per quel tempo, in cui c'era un rispetto per la vita ultraterrena, cioè per l'eternità, che era enorme, mettere in gioco una cosa così importante, era praticamente unico. Amadio, come gli altri santi, si dedicò all'aiuto dei bisognosi, seguendo la volontà di Dio. Abbandonò tutte le sue ricchezze ed i suoi possedimenti per potersi sentire più vicino a Dio, senza essere distolto dai beni terreni. Il 18 aprile del 1266 morì e, secondo una leggenda, gli altri padri videro una luce salire al cielo, in segno di questo suo immenso amore per Dio.

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http://it.wikipedia.org/wiki/Amadio_degli_Amidei
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GRANDI SANTI: CHIARA D'ASSISI

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"Articolo estrapolato dalla rivista MEDIOEVO - marzo 2012"

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Meister Eckhart

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« Tutto sarebbe donato a chi rinunciasse a sé stesso assolutamente, anche per un solo istante. »
(Meister Eckhart)

Eckhart von Hochheim O.P., meglio conosciuto come Meister Eckhart (in italiano: Maestro Eckhart; Tambach-Dietharz o Hochheim, 1260 – Colonia o Avignone, 1327/1328), è stato un teologo e religioso tedesco. È stato uno dei più importanti teologi, filosofi e mistici renani del Medioevo cristiano, e ha segnato profondamente la storia del pensiero tedesco.

La vita e le opere
Non esiste né un'immagine autentica di Eckhart né un manoscritto originale. Anche l'attribuzione delle sue prediche e dei trattati in tedesco è talora controversa. I testi in latino - che sono pervenuti soltanto in parte - lasciano intravedere la sua mano. Malgrado queste numerose lacune si riescono a ricostruire alcuni passi della sua vita e della sua dottrina:
Eckhart nasce, circa nel 1260, figlio del cavaliere Eckhardus, dictus de Hocheim;
precocemente, forse già nel 1275, Eckhart entrò a Erfurt nell'ordine dei domenicani;
dal 1277 al 1289 Eckhart acquisisce una formazione di base in artium, naturalium (filosofia naturale), solemne (teologia) e generale (studium generale), che si conclude con la sua ordinazione presbiterale. Questi studi furono effettuati presso i conventi che disponevano dei relativi insegnanti. Tali luoghi di insegnamento erano stabiliti dai capitoli provinciali dell'ordine. Gli atti dell'epoca della provincia teutonica non sono pervenuti se non qualche fragmento. Dunque è possibile che Eckhart abbia passato uno o più anni a Colonia, dove potrebbe avere conosciuto Alberto Magno;
circa nel 1290 Eckhart riesce a iscriversi all'Università di Parigi, dove nel biennio 1293/1294 fu lettore delle sentenze di Pietro Lombardo;
nel 1294 Eckhart diventa priore del convento domenicano di Erfurt e vicario dell'ordine per la Turingia.
nel 1302 è di nuovo insegnante a Parigi, ora come magister[1]. Nelle sue „Quaestiones parisienses“ si ravviserebbe, secondo alcuni interpreti, il passaggio teologico da un'ontologia della sostanza a una filosofia dello Spirito.
1303-1310 Eckhart assume la guida della neocostituita provincia sassone dell'ordine, la cui sede viene da lui fissata, quale provinciale, presso il convento domenicano di Erfurt. A quest'epoca risalgono fra l'altro due prediche per il capitolo generale dell'ordine a Tolosa e a Piacenza e le lectiones sul Siracide, opere nelle quali è ulteriormente sviluppata la filosofia dello Spirito abbozzata nelle quaestiones.
1311-1313 Eckhart segue un secondo magisterium a Parigi. All'epoca soltanto Tommaso d'Aquino poteva vantare un tale curriculum. A quest'epoca risalgono i testi più importanti in latino; in specie le interpretazioni dei libri veterotestamentari del Genesi, Esodo, Sapienza nonché del Vangelo di San Giovanni e più tardi un voluminoso di prediche sempre in lingua latina.
1314 Eckhart diventa vicario generale del monastero domenicano di Strasburgo. Datano di questo periodo la maggior parte dei suoi scritti più conosciuti le „Deutschen Predigten“, ossia le prediche in tedesco.
1322 Eckhart assume la guida dello Studium generale di Colonia, dove egli stesso si era formato
1325 alcuni confratelli denunciano Eckhart presso l'arcivescovo di Colonia Heinrich II von Virneburg per affermazioni eretiche.
1326 la lista di 49 imputazioni a carico di Eckhart viene ridotta a 28. Per evitare il peggio nel 1327 Eckhart ritrattò le proprie tesi.
1328 Eckhart muore. Non si sa se durante un viaggio verso la corte di papa Giovanni XXII ad Avignone o già durante il ritorno verso Colonia.
23 marzo 1329 delle 28 tesi incriminate 17 sono ritenute eretiche dalla bolla papale In agro dominico. Delle altre 11 è criticata la lettera, in quanto avrebbe dato adito a fraintendimenti.

La dottrina
La dottrina teologica di Eckhart si rifà alla speculazione apofatica.

Il concetto di Dio
Dio sopra-è ed è nulla poiché essendo totale è indefinibile. Proprio per questo Eckhart nella nota predica "Beati pauperes in Spiritu" invoglia i fedeli a pregare di liberarsi da Dio poiché Esso lo si concepisce come inizio delle creature e non come L' In-Principio.Infatti essendo Egli tutto, noi siamo entità reali delle possibilità che tale infinito non può che avere cosicché, profondamente, in Lui e con Lui e per Lui, non vi è altro che Esso. Il renano usa allora il termine Divinitas per riferirsi a questo nulla, al sovra-essere di san Dionigi Areopagita, a ciò che precede l'essere e ,quindi , Dio come limitato nella sua funzione di creatore.

La nascita di Dio nel profondo dell'anima
Un tema importante delle prediche tedesche di Eckhart è l'insegnamento sulla nascita di Dio nel profondo dell'anima. Il rapporto tra Dio e Anima esiste, si prendano le interpretazioni di B. Mojsisch in senso univoco: si constata non solo la somiglianza, ma piuttosto l'identità, per questo infatti l'essenza dell'anima viene colta a colpo d'occhio.
Per rendere chiaro il concetto di questa relazione, nella predica 82 Eckhart usa la metafora del fuoco: quando il fuoco è generato all'interno del legno gli trasmette la propria natura e la propria essenza, e il legno, da sé, diviene sempre e sempre più simile al fuoco.
La nascita di Dio non si comprende nel pensiero come un allontanamento misterioso, piuttosto si basa sulla visione che l'intelletto sopra razionale realizza la propria natura una volta che scopre che la propria realtà e quella divina sono il medesimo nell'In-Principio. Dagli insegnamenti aristotelici sull'anima, come sono recepiti in Tommaso d'Aquino, l'anima è legata al corpo e ai sensi; gli uomini possono quindi essere riproduzioni imperfette di Dio, poiché non vi è una identità tra Dio e la ragione. Nella tradizione scolastica di Anselmo di Canterbury (che segue Tommaso) solo una forza fuori dal comune, donata dal Dio caritatevole, è capace di porre riparo alla imperfezione umana ed essa è la Grazia divina.
Echkart affermando che Dio si riproduce completamente nell'intelletto, poiché Dio genera il proprio Figlio negli uomini in un atto creativo continuo e ininterrotto, invoglia l'uomo al cammino interiore affinché affinando il corpo e l'anima riesca successivamente a distaccarsene.
Il risultato della nascita di Dio nell'anima è la "pace". Con questo termine Eckhart intende un radicale distacco ed una perenne contemplazione. Un uomo del genere non è più un'individualità ma è quel che deve essere nel sovra-essere. L'uomo pacificato è il Figlio di Dio, il Cristo, seguendo gli insegnamenti di san Giovanni e san Paolo.
L'uomo che vuole penetrare nell'intimità divina e raggiungere la pace non deve restare passivo, piuttosto deve essere attivo e guadagnarsi tale realizzazione co-operando con la grazia divina. Allora come Dio, sarà pura attività nella propria intimità, che altro non è che l'intimità di Dio. Egli è Dio per natura, ogni uomo può essere Dio per grazia.

La mistica
Le prediche di Eckhart sono rivolte alla cura delle anime, principalmente dei frati e delle suore del proprio ordine. Si possono leggere come guide pratiche per raggiungere Dio nel profondo del cuore. Questi alcuni passaggi importanti:
Abbandonare ogni pensiero, ogni idea, ogni conoscenza - «Vuoi conoscere Dio nel modo divino, così che la tua conoscenza diventerà pura ignoranza e oblio di te stesso e di tutte le creature?» e «Non è portando al sicuro i sensi che si può realizzare ciò».
La perfetta assenza di una meta e la rinuncia di ogni volontà - «dunque vi dico in assoluta verità: finché avrete dei desideri, Dio li soddisferà, avrete desiderio di eternità e di Dio fino a che non sarete perfettamente poveri. Poiché è più povero solo chi non vuole nulla e non desidera nulla.»
La ragione e l'intelligenza non sono strumenti per arrivare all'esperienza divina - « potrebbe Dio aver necessità di una luce per vedere che è sé stesso? Oltre la ragione, che cerca, c'è un'altra ragione, che non cerca oltre »
La rinuncia del pensiero dualista - « l'occhio, nel quale io vedo Dio, è lo stesso occhio, da cui Dio mi vede; il mio occhio e l'occhio di Dio, sono un solo occhio e una sola conoscenza »
allontanare il tempo dalla vita quotidiana - « alla maniera di ciò che non ho generato, non potrò mai morire, quello in cui sono vicino a ciò che genero, quello per me è mortale; per questo è necessario che si guasti col tempo »
Approfondimento dell'attenzione - « ciò per gli uomini saggi è una questione di conoscenza mentre per i semplici è una questione di fede »
La conseguenza dell'abbandono della conoscenza, volontà, tempo, l'io, ecc. è una profonda calma. « chi ha realizzato Dio sente il gusto di tutte le cose in Dio »[3]
Meister Eckhart mette l'accento, inoltre, sul fatto che l'apprendimento di questa condizione dello spirito può essere raggiunta solitamente dopo lunghi anni di esercizio e la paragona all'apprendimento della lettura e della scrittura. Sebbene per quei tempi (come ai nostri) la preghiera contemplativa era fortemente diffusa nella popolazione, la radicalità delle sue affermazioni lo portarono al conflitto con la Curia Romana. Ai tempi moderni le sue indicazioni potrebbero essere ancora difficili da seguire, visto che l'attitudine verso "il tempo" e la razionalità dominano fortemente le condizioni di vita.
Nella teologia negativa di Eckhart, Dio è «al di là di ogni conoscenza» (Quint Predigt 42). Eckhart contesta quindi che l'Uno abbia le qualità mondane come "bontà" o "saggezza". Mehr noch, auch „Sein“ sei von ihm nicht aussagbar: «Io dico anche: Dio è un Essere? - non è vero; è (molto più) un essere che trascende l'essere e una nullità che trascende l'essere »
Se Aristotele poneva il pensiero divino di sè al di sopra dell'essere, ignorando una realtà ancora più alta, Eckhart pone in risalto il pensiero della tarda grecità (Plotino e Proclo) per l'intuizione di un principio oltre il pensiero, che si può raggiungere in un'unità mistica attraverso la filosofia. La ricerca dell'Uno è cosa diversa e più alta della ricerca della verità o del bene, che sono ancora ricerca dell'Essere.
Il pensiero e l'essere divino è la causa degli enti; in quanto è universale e indeterminato, «non è un ente e tende al non-ente». Crea ed è il fine degli enti, per cui è prima e più importante dell'essere
per la metafisica, bene e male sono qualità degli enti, mentre vero e falso sono nell'anima che contiene immagini di questi, nate con la mediazione dei sensi, la memoria, la volontà o il giudizio. Poiché non è un ente, e diversamente da questi, l'anima non è determinata a conoscere sé stessa, può puntare al pensiero divino, ma nasce orientata verso gli enti, che le impediscono di pensare ed essere nel pensiero divino, e poi di giungere ad unità con l'Uno, oltre il pensiero.
Secondo Eckhart, Dio è sine modi, impredicabile come l'Uno di Plotino.
L'Io si tiene lontano da questa identità finché utilizza la mediazione della memoria, del giudizio, della volontà e dei 5 sensi, e finché forma il suo contenuto con immagini di enti determinati, che sono finiti e periscono nel tempo. La finitezza nella qualità e nella quantità, nell'occupare uno spazio e un tempo, e il manifestarsi con la mediazione di qualche attributo della coscienza, sono modi dell'ente e non propri del manifestarsi divino, che è immediato, posto non in relazione alle sue qualità appare come l'anima che lo ospita, e con l'infinità di tutti i suoi attributi.
Con questi motivi metafisici, è spiegata la mistica del ritorno all'Uno. Nel momento del ritorno all'Uno, si realizza una teologia negativa che riguarda anche la vita spirituale, le leggi e riti della religione: la perfezione morale e l'imitatio Cristi sono per «l'essere ciò che Dio è», come Lui, non in unità con Esso. La persona rinuncia a tutto ciò che è opera dell'individualità: non sente desiderio o timore; rinuncia ad avere, agire, conoscere; rinuncia all'esercizio della memoria, dei sensi, del giudizio etico o estetico. Il percorso esclude i viaggi, l'impegno politico, l'arte, le scienze e le opere.
Interpreti differenti rilevano che da una tale teologia negativa vi sono conseguenze positive nel discorso religioso.

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Bonaventura da Bagnoregio

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San Bonaventura da Bagnoregio (o Bagnorea) al secolo Giovanni Fidanza (Bagnoregio, 1217/1221 circa – Lione, 15 luglio 1274) è stato un religioso, filosofo e teologo italiano. Soprannominato Doctor Seraphicus, insegnò alla Sorbona di Parigi e fu amico di san Tommaso d'Aquino.
Vescovo e cardinale, dopo la morte venne canonizzato da Papa Sisto IV nel 1482 e proclamato Dottore della Chiesa da Papa Sisto V nel 1588. È considerato uno tra i più importanti biografi di san Francesco d'Assisi. Infatti alla sua biografia — la Legenda Maior — si ispirò Giotto da Bondone per il ciclo delle storie sul Santo nella basilica di Assisi.
Per diciassette anni — dal 1257 — fu ministro generale dell'Ordine francescano, del quale è ritenuto uno dei padri: quasi un secondo fondatore. Sotto la sua guida furono pubblicate le Costituzioni narbonesi, su cui si basarono tutte le successive costituzioni dell'Ordine.
La visione filosofica di Bonaventura partiva dal presupposto che ogni conoscenza derivi dai sensi: l'anima conosce Dio e se stessa senza l'aiuto dei sensi esterni. Risolse il problema del rapporto tra ragione e fede in chiave platonico-agostiniana.
È venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che celebra la sua memoria obbligatoria il 15 luglio (vedi Bonaventura). Era figlio di Giovanni Fidanza, medico, e di Maria di Ritello; portò inizialmente il nome del padre, Giovanni, che cambiò in Bonaventura al momento del suo ingresso nella famiglia francescana. Entrò nell'Ordine francescano nel convento di San Francesco vecchio, situato a metà strada tra Bagnoregio e Civita.

Biografia
La data in cui Giovanni Fidanza venne alla luce non è certa. Viene collocata tra il 1217 e il 1221. Nacque a Civita di Bagnoregio, nei pressi di Viterbo. Nel 1235 si recò a Parigi a studiare forse nella facoltà delle Arti e successivamente, nel 1243, nella facoltà di teologia. Probabilmente in quello stesso anno entrò tra i Frati Minori (Minoriti). I suoi studi di teologia terminarono nel 1253, quando divenne magister (cioè "maestro") di teologia e ottiene la licentia docendi (la "licenza d'insegnare").
Nel 1250 il papa aveva autorizzato il cancelliere dell'Università a conferire tale licenza a religiosi degli ordini mendicanti, sebbene ciò contrastasse con il diritto di cooptare i nuovi maestri rivendicato dalla corporazione universitaria. E proprio nel 1253 scoppiò uno sciopero al quale tuttavia i membri degli ordini mendicanti non si associarono. La corporazione universitaria richiese loro un giuramento di obbedienza agli statuti, ma essi rifiutarono e pertanto vennero esclusi dall'insegnamento.
Questa esclusione colpì anche Bonaventura, che fu maestro reggente fra il 1253 e il 1257.
Nel 1254 i maestri secolari denunciarono a papa Innocenzo IV il libro del francescano Gerardo di Borgo San Donnino, Introduzione al Vangelo eterno. In questo testo fra' Gerardo, rifacendosi al pensiero di Gioacchino da Fiore, annunciava l'avvento di una «nuova età dello Spirito Santo» e di una «Chiesa cattolica puramente spirituale fondata sulla povertà», profezia che si doveva realizzare attorno al 1260. In conseguenza di questo il Papa — poco prima di morire — annullò i privilegi concessi agli ordini mendicanti. Il nuovo pontefice papa Alessandro IV condannò il libro di Gerardo con una bolla nel 1255, prendendo tuttavia posizione a favore degli ordini mendicanti e senza più porre limiti al numero delle cattedre che essi potevano ricoprire. I secolari rifiutarono queste decisioni, venendo così scomunicati, anche per il boicottaggio da loro operato ai danni dei corsi tenuti dai frati degli ordini mendicanti. Tutto questo nonostante che i primi avessero l'appoggio del clero e dei vescovi, mentre il re di Francia Luigi IX si trovava a sostenere le posizioni dei mendicanti.

Ministro generale e teologo
Nel 1257 Bonaventura venne riconosciuto magister. Nello stesso anno fu eletto Ministro generale dell'Ordine francescano, rinunciando così alla cattedra. A partire da questa data, preso dagli impegni del nuovo servizio, accantonò gli studi e compì vari viaggi per l'Europa.
Il suo obiettivo principale fu quello di conservare l'unità dei Frati Minori, prendendo posizione sia contro la corrente spirituale (influenzata dalle idee di Gioacchino da Fiore e incline ad accentuare la povertà del francescanesimo primitivo), sia contro le tendenze mondane insorte in seno all'Ordine. Favorevole a coinvolgere l'Ordine francescano nel ministero pastorale e nella struttura organizzativa della Chiesa, nel Capitolo generale di Narbona del 1260 contribuì a definire le regole che dovevano guidare la vita dei suoi membri: le Costituzioni, dette appunto Narbonensi. A lui, in questo Capitolo, venne affidato l'incarico di redigere una nuova biografia di san Francesco d'Assisi che, intitolata Legenda Maior, diventerà la biografia ufficiale nell'Ordine. Infatti il Capitolo generale successivo, del 1263, approvò l'operà composta dal Ministro generale; mentre il Capitolo del 1266, riunito a Parigi, giunse a decretare la distruzione di tutte le biografie precedenti alla Legenda Maior, probabilmente per proporre all'Ordine una immagine univoca del proprio fondatore, in un momento in cui le diverse interpretazioni fomentavano contrapposizioni e conducevano verso la divisione.

Ultimi anni
Negli ultimi anni della sua vita Bonaventura intervenne nelle lotte contro l'aristotelismo e nella rinata polemica fra maestri secolari e mendicanti. A Parigi, tra il 1267 e il 1269, tenne una serie di conferenze sulla necessità di subordinare e finalizzare la filosofia alla teologia. Nel 1270 lasciò Parigi per farvi però ritorno nel 1273, quando tenne altre conferenze nelle quali attaccava quelli che erano a suo parere gli errori dell'aristotelismo. Peraltro, negli anni tra il 1269 ed il 1271, fu spesso a Viterbo ove si svolgeva il famoso, lunghissimo conclave, per tenere numerosi sermoni volti ad accelerare ed indirizzare la scelta dei cardinali; alla fine fu eletto papa Gregorio X, cioè quel Tedaldo Visconti di cui Bonaventura era amico da molti anni.
Fu proprio papa Gregorio X a crearlo cardinale vescovo con titolo di Albano nel concistoro del 3 giugno 1273; l'anno successivo partecipò al Concilio di Lione (in cui favorì un riavvicinamento fra la Chiesa latina e quella greca), nel corso del quale morì, forse a causa di un avvelenamento, stando almeno a quanto affermò in seguito il suo segretario, Pellegrino da Bologna.[senza fonte]
Pierre de Tarentasie, futuro papa Innocenzo V, ne celebrò le esequie e Bonaventura venne inumato nella chiesa francescana di Lione. Nel 1434 la salma venne traslata in una nuova chiesa, dedicata a San Francesco d'Assisi; la tomba venne aperta e la sua testa venne trovata in perfetto stato di conservazione: questo fatto ne facilitò la canonizzazione, che avvenne ad opera del papa francescano Sisto IV il 14 aprile 1482, e la nomina a dottore della Chiesa, compiuta il 14 maggio 1588 da un altro francescano, papa Sisto V.

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Scolastica (filosofia)

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Scolastica è il termine con il quale comunemente si definisce la filosofia cristiana medioevale, in cui si sviluppò quella scuola di pensiero detta anche scolasticismo.

Origini e suddivisione in periodi
Dal greco scholastikos (che significa letteralmente "educato in una scuola", "istruito"), la filosofia scolastica cercava di conciliare la fede cristiana con un sistema di pensiero razionale, specialmente quello della filosofia greca. Il "periodo scolastico" si riferisce soprattutto al medio e basso Medioevo in Occidente, quando il Cristianesimo conosce una rinascita intellettuale ed è sfidato dal pensiero razionale dell'Islam.
Cronologicamente, esso copre il periodo che va dall'VIII secolo al Rinascimento. Si suddivide in:
Epoca pre-scolastica (dall'VIII secolo al IX secolo) con la fondazione della scola Palatina diretta prima da Alcuino di York e in seguito da Giovanni Scoto Eriugena;
Alta Scolastica (dall'X secolo al XII secolo) la cui figura di spicco fu Anselmo d'Aosta, a cui seguirono altri come Pietro Abelardo;
Bassa Scolastica, ossia il periodo d'oro coincidente con il XIII secolo, grazie alla diffusione del pensiero di Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, a cui si contrappone specularmente quello di Bonaventura;
Tarda Scolastica, collocabile dopo Duns Scoto, il cui principale esponente fu Guglielmo di Ockham.
La scolastica ebbe origine dall'istituzione delle scholae, ossia di un sistema scolastico-educativo diffuso in tutta Europa, e che garantiva una sostanziale uniformità di insegnamento. Esso fu il primo, e forse unico, sistema scolastico organizzato su vasta scala della storia dell’Occidente. Era stato Carlo Magno a volerlo, il quale, dando avvio alla "rinascita carolingia", aveva fondato ad Aquisgrana la Schola palatina, per favorire l'istruzione delle genti e la diffusione del sapere allo scopo di dare unità e compattezza al Sacro Romano Impero. A tal fine si era servito dei monaci benedettini, i quali avevano salvaguardato la cultura dei classici tramite la ricopiatura dei testi antichi, non solo di quelli religiosi ma anche scientifici e letterari: le loro abbazie divennero così i centri del nuovo sapere medievale.
Gli insegnamenti erano divisi in due rami:
l'arte del trivio (ovvero il complesso delle materie letterarie);
l'arte del quadrivio (il complesso delle materie scientifiche).
Preposto all'insegnamento di queste arti cosiddette "liberali" era anticamente lo Scholasticus, a cui in seguito si affiancò un Magister artium, di grado superiore, esperto in teologia. Le lezioni si svolgevano dapprima nei monasteri, poi progressivamente nelle scuole annesse alle cattedrali, e infine nelle università.

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Tommaso d'Aquino

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Tommaso d'Aquino (Roccasecca, 1225 – Abbazia di Fossanova, 7 marzo 1274) è stato un religioso, teologo, filosofo e accademico italiano. Frate domenicano esponente della Scolastica, era definito Doctor Angelicus dai suoi contemporanei. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica che dal 1567 lo considera anche dottore della Chiesa.

Tommaso rappresenta uno dei principali pilastri teologici e filosofici della Chiesa cattolica: egli è anche il punto di raccordo fra la cristianità e la filosofia classica, che ha i suoi fondamenti e maestri in Socrate, Platone e Aristotele, e poi passati attraverso il periodo ellenistico, specialmente in autori come Plotino. Fu allievo di sant'Alberto Magno, che lo difese quando i compagni lo chiamavano "il bue muto" dicendo: «Ah! Voi lo chiamate il bue muto! Io vi dico, quando questo bue muggirà, i suoi muggiti si udranno da un'estremità all'altra della terra!».

Biografia

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Il primo ritorno in Italia (1259-1268)
Tra il 1259 e il 1268 fu nuovamente in Italia, impegnato nell'insegnamento e negli scritti teologici: fu prima assegnato a Orvieto, come lettore, vale a dire responsabile per la formazione continua della comunità. Qui ebbe il tempo per completare la stesura della Summa contra Gentiles (iniziata nel 1258) e della Expositio super Iob ad litteram (1263-1265).

Inoltre qui Tommaso, che non conosceva direttamente il greco in maniera sufficiente a leggere i testi di Aristotele in originale, si poté avvalere dell'opera di traduzione di un confratello, Guglielmo di Moerbeke, eccellente grecista. Guglielmo rifece o rivide le traduzioni delle opere di Aristotele e pure dei principali commentatori greci (Temistio, Ammonio, Proclo). Alcune fonti riportano addirittura che Guglielmo avrebbe tradotto Aristotele dietro richiesta (ad istantiam) di Tommaso stesso. Il contributo di Guglielmo, anche lui in Italia come Tommaso dopo il 1260, fornì a Tommaso un prezioso apporto che gli permise di redigere le prime parti dei Commenti alle opere di Aristotele, spesso validi ancora oggi per la comprensione e discussione del testo aristotelica.

Tra il 1265 e il 1268 soggiornò a Roma come maestro reggente. Nel febbraio 1265 il neoeletto papa Clemente IV lo convocò a Roma come teologo pontificio. Nello stesso anno gli fu ordinato dal Capitolo domenicano di Anagni di insegnare allo studium conventuale del convento romano della Basilica di Santa Sabina, fondato alcuni anni prima, nel 1222. Lo studium di Santa Sabina diviene un esperimento per i domenicani, il primo studium provinciale dell'Ordine, una scuola intermedia tra lo studium conventuale e lo studium generale. Prima di allora la Provincia romana non offriva una formazione specializzata di alcun tipo, solo semplici scuole conventuali, con i loro corsi di base di teologia per i frati residenti. Il nuovo studium provinciale di Santa Sabina divenne la scuola più avanzata per la provincia. Durante il suo soggiorno romano, Tommaso cominciò a scrivere la Summa Theologiae e compilò numerosi altri scritti su varie questioni economiche, canoniche e morali. Durante questo periodo, ebbe l'opportunità di lavorare con la corte papale (che non era residente a Roma).

Il secondo periodo di insegnamento a Parigi (1268-1272)
Nel secondo periodo di insegnamento a Parigi (1268-1272), la sua occupazione principale fu l'insegnamento della Sacra Pagina e proprio a questo periodo risalgono alcune delle sue opere più celebri, come i commenti alla Scrittura e le Questioni Disputate. Anche se i commenti al Nuovo Testamento restano il cuore della sua attività, egli si segnala anche per la varietà della sua produzione, come ad esempio la scrittura di diversi brevi scritti (come ad esempio il De Mixtione elementorum, il De motu cordis, il De operationibus occultis naturae...) e per la partecipazione alle problematiche del suo tempo: che si tratti di secolari o dell'averroismo vediamo Tommaso impegnato su tutti i fronti.

A questa multiforme attività bisogna aggiungere un ultimo tratto: Tommaso è anche il commentatore di Aristotele. Tra queste opere ricordiamo: l'Expositio libri Peri ermenias, l'Expositio libri Posteriorum, la Sententia libri Ethicorum, la Tabula libri Ethicorum, i Commenti alla Fisica e alla Metafisica. Vi sono poi anche delle opere incompiute, come la Sententia libri Politicorum, il De Caelo et Mundo, il De Generatione et corruptione, il Super Meteora.

Gli ultimi anni e la morte
Fu quindi richiamato in Italia a Firenze per il Capitolo generale dell'Ordine dei Domenicani, secondo dopo quello del 1251. Nella primavera del 1272 Tommaso lasciò definitivamente Parigi e poco dopo la Pentecoste di quello stesso anno (12 giugno 1272) il capitolo della provincia domenicana di Roma gli affidò il compito di organizzare uno Studium generale di teologia, lasciandolo libero di scegliere il luogo, le persone e il numero degli studenti. Ma la scelta di Napoli era già stata designata da un precedente capitolo provinciale ed è anche verosimile che Carlo I d'Angiò abbia fatto pressione perché venisse scelta la sua capitale come sede e che a capo di questo nuovo centro di teologia venisse insediato un maestro di fama. Tommaso D'Aquino abitò per oltre un anno San Domenico Maggiore nell'ultimo periodo della sua vita, lasciandovi scritti e reliquie.

Gli fu offerto l'arcivescovado di Napoli, che non volle mai accettare, continuando a vivere in povertà, dedito allo studio e alla preghiera.

Durante gli ultimi anni del periodo napoletano, continuò a procurarsi testi filosofici che leggeva e commentava con cura, disputandone i contenuti con i suoi confratelli e studenti. Si dedicò anche alle opere scientifiche di Aristotele relative ai fenomeni atmosferici e ai terremoti, cercando di procurarsi testi sulla costruzione degli acquedotti e la possibilità di applicazione della geometria alle costruzioni, commentando le traduzioni di testi greci e arabi in latino.

La famiglia d'Aquino era in rapporti con Federico II di Svevia che aveva istituzionalizzato la Scuola Medica Salernitana, primo centro di fruizione culturale degli scritti medici e filosofici di Avicenna e Averroè, noti al Dottore Angelico.

Stabilendosi presso la sorella Teodora al Castello dei Sanseverino, tenne una serie di lezioni straordinarie nella celebre Scuola Medica che aveva sollecitato l'onore ed il decoro della parola dell'Aquinate. A memoria del suo soggiorno, nella Chiesa di San Domenico si conservano la reliquia del suo braccio e le spoglie delle sorelle.

Il 29 settembre 1273 egli partecipò al capitolo della sua provincia a Roma in qualità di definitore. Ma alcune settimane più tardi, mentre celebrava la Messa nella cappella di San Nicola, Tommaso ebbe una sorprendente visione tanto che dopo la messa non scrisse, non dettò più nulla e anzi si sbarazzò persino degli strumenti per scrivere. A Reginaldo da Piperno, che non comprendeva ciò che accadeva, Tommaso rispose dicendo: «Non posso più. Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto con quanto ho visto».

Alla fine di gennaio del 1274 Tommaso e il socius si misero in viaggio per partecipare al Concilio che Gregorio X aveva convocato per il 1º maggio 1274 a Lione.
Dopo qualche giorno di viaggio arrivarono al castello di Maenza, dove abitava sua nipote Francesca. È qui che si ammalò e perse del tutto l'appetito. Dopo qualche giorno, sentendosi un po' meglio, tentò di riprendere il cammino verso Roma, ma dovette fermarsi all'abbazia di Fossanova per riprendere le forze. Tommaso rimase a Fossanova per qualche tempo e tra il 4 e il 5 marzo, dopo essersi confessato da Reginaldo, ricevette l'eucaristia e pronunciò, com'era consuetudine, la professione di fede eucaristica. Il giorno successivo ricevette l'unzione dei malati, rispondendo alle preghiere del rito. Morì di lì a tre giorni, mercoledì 7 marzo 1274, alle prime ore del mattino dopo aver ricevuto l'Eucaristia.

Le spoglie di Tommaso d'Aquino sono conservate nella chiesa domenicana detta Les Jacobins a Tolosa. La reliquia della mano destra, invece, si trova a Salerno, nella chiesa di San Domenico; il suo cranio si trova invece nella concattedrale di Priverno, mentre la costola del cuore nella Basilica concattedrale di Aquino.

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Corrado di Sassonia

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Corrado di Sassonia (Braunschweig, ... – Bologna, 1279) è stato un teologo francescano tedesco del XIII secolo.
Corrado di Sassonia nacque nei primi anni del secolo XIII a Braunschweig da una famiglia nobile.
Entrato nell'ordine francescano, divenne teologo, predicatore e autore di opere ascetiche. Nel 1247 venne eletto Ministro provinciale della Sassonia e fu rieletto ancora nel 1262.
Scrisse, probabilmente fra il 1264 e il 1270, la sua opera più importante, Speculum seu salutatio beatae Mariae Virginis ("specchio o salutazione della beata Vergine Maria"). Questo trattato sulla Vergine ebbe un'ampia diffusione nel Medioevo, favorita dall'errata attribuzione a Bonaventura da Bagnoregio.
Morì a Bologna nel 1279.
Di lui, oltre al citato "Speculum" restano altre opere teologiche:
Super quattuor Sententias ("Sulle quattro sentenze")
Super Orationem Dominicam ("Sulla preghiera del Signore")
Sermones de tempore ("Prediche sul tempo")
Sermones pro Quadragesima (Prediche per la Quaresima)
Sermones de Sanctis ("Prediche sui santi")
De Salutatione Angelica ("Sul saluto dell'Angelo a Maria")


http://it.wikipedia.org/wiki/Corrado_di_Sassonia
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Étienne Tempier

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Étienne Tempier (noto anche come Stéphane d'Orléans), (Orléans, ... – Parigi, 3 settembre 1279) è stato un teologo e vescovo francese Chancellor dell'École cathédrale de Paris e vescovo di Parigi dal 1268 al 1279. Egli è ricordato per la condanna di 13 proposizioni filosofiche o teologiche d'inspirazione aristotelica o averroista, che possono essere raggruppate in quattro temi: eternità del mondo, negazione della provvidenza universale di Dio, unicità dell'anima intellettuale per tutti gli uomini (monopsichismo) e determinismo.

Biografia
Nato ad Orléans in data non conosciuta, Tempier studiò a Parigi dove divenne insegnante di teologia e canonico a Notre Dame. Per un periodo di circa cinque anni (1263 – ca. 1268), Tempier Chancellor del capitolo di Notre Dame di Parigi, succedendo ad Erich von Veire. In quel tempo, il Chancellor del capitolo era anche rettore dell'Università di Parigi.
Fu vescovo di Parigi dal 7 ottobre 1268 fino alla sua morte. Temper fu un docente della facoltà di teologia.

Condanne
In 1270 Tempier, incoraggiato da Enrico di Gand (m. 1293), emanò una formale condanna delle tredici dottrine enunciate dagli "aristotelici radicali". Tra queste, l'unità dell'intelletto, la necessità causale e l'eternità del mondo. L'indagine sugli errori prevalenti presso l'università parigina venne richiesta dal portoghese Juliani divenuto poi Papa Giovanni XXI.[1] Ex professore di teologia all'Università di Parigi, scrisse a Tempier 28 gennaio 1277.[2] Il papa disse a Tempier che aveva sentito notizie di opinioni eretiche nella zona di Parigi e gli chiese di essere informato della situazione. A questo punto Tempier stava già indagando sulle opinioni eretiche diffuse presso l'Università di Parigi.[3]
Il 7 marzo 1277, Tempier ampliò il numero di dottrine condannate a 219. La quarantanovesima della lista era l'asserzione che "Dio è incapace di muoversi nell'universo, perché ciò implica l'esistenza di un vuoto".[4]
Egli fu assistito da una commissione di teologi dell'Università. Enrico di Gand faceva parte della Commissione episcopale di Tempier (assessores episcopi) di sedici maestri, che scrisse il proclama di 219 proposizioni emanato da Tempier il 7 marzo 1277. Le condanne nei confronti dell'aristotelismo a Parigi coinvolse Egidio Romano, Sigieri di Brabante, la Facoltà di Lettere e certe dottrine di Tommaso d'Aquino.[5] Non è chiaro quali fossero le intenzioni di Tempier nell'emissione di questa condanna.
Tuttavia, gli studiosi scrissero che "La condanna parigina del 1277 è il simbolo di una crisi intellettuale presso l'Università. È indicativo di cambiamenti fondamentali nel pensiero speculativo e nella percezione culturale che si erano verificati nel tardo XIII secolo, che preannunciavano gli aspetti del pensiero moderno.[6]
Tempier rovesciò anche il pensiero di Aristotele su di un punto: Dio avrebbe potuto creare più di un mondo (data la sua onnipotenza), ma sappiamo dalla rivelazione che ne fece uno solo.
Le sollecitazioni di Tempier sulla onnipotenza di Dio aprirono ogni tipo di possibilità per la comprensione del cosmo. Nel suo tentativo di difendere le capacità e i diritti esclusivi del Creatore, le proposizioni di Tempier portarono ad un nuovo approccio per comprendere il funzionamento dei corpi celesti e terrestri. Respingendo il fatto che i corpi celesti erano animati, incorruttibili ed eterni. Confutando che il loro movimento è il risultato di qualcosa di paragonabile ai desideri degli animali e negando che le stelle avessero alcuna influenza sugli individui, mostrò che i cristiani erano pronti a confutare la visione del mondo di Aristotele insieme ad alcuni assunti di base della cultura greca.
I divieti di Tempier non limitarono la libera discussione delle dottrine tomiste ed ebbero scarsi risultati nel limitare la loro influenza presso l'Università di Parigi. Il suo decreto venne attivamente contrastato e infine rovesciato nel 1325.

http://it.wikipedia.org/wiki/%C3%89tienne_Tempier
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Alberto Magno

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Alberto Magno di Bollstädt, O.P., detto Doctor Universalis, conosciuto anche come Alberto il Grande o Alberto di Colonia (Lauingen, 1206 – Colonia, 15 novembre 1280), fu un religioso domenicano tedesco. È considerato il più grande filosofo e teologo tedesco del medioevo sia per la sua grande erudizione che per il suo impegno a livello logico-filosofico nel conciliare fede e ragione, applicando la filosofia aristotelica al pensiero cristiano. Egli ha consentito all'Occidente, come Severino Boezio e Giacomo da Venezia, di penetrare nei testi di Aristotele. Fu, inoltre, il maestro di Tommaso d'Aquino. La Chiesa cattolica lo venera come santo protettore degli scienziati e Dottore della Chiesa.

Biografia
Alberto, figlio minore del Conte di Bollstädt, nacque a Lauingen (Svevia) ma l'anno di nascita non è esattamente conosciuto: alcuni sostengono nel 1205, altri nel 1206; molti storici inoltre indicano il 1193. Nulla di certo è poi noto circa la sua istruzione iniziale, se sia stata ricevuta in casa o in una scuola del circondario. Da giovane fu mandato a proseguire i suoi studi presso l'Università di Padova, città scelta sia perché vi risiedeva un suo zio, sia perché Padova era famosa per la sua cultura delle arti liberali, per le quali il giovane svevo aveva una speciale predilezione. Anche la data di questo viaggio a Padova non può essere determinata con precisione. Nell'anno 1223, dopo aver ascoltato i sermoni del beato Giordano di Sassonia, secondo maestro generale dell'Ordine dei predicatori, decise di entrare nel medesimo Ordine religioso.
Gli storici non riportano se gli studi di Alberto continuarono a Padova, Bologna, Parigi, o Colonia. Comunque, dopo averli completati, insegnò teologia a Hildesheim, Friburgo, Ratisbona, Strasburgo e Colonia. Si trovava nel convento di Colonia, intento nello studio del Liber Sententiarum di Pietro Lombardo, quando, nel 1245, gli fu ordinato di recarsi a Parigi. Qui si laureò all'università, che più di ogni altra veniva celebrata come scuola di teologia. Durante il viaggio da Colonia e Parigi ebbe tra i suoi ascoltatori Tommaso d'Aquino, un giovane silenzioso e riflessivo, del quale riconobbe il genio ed a cui predisse la futura grandezza. Il nuovo discepolo accompagnò il suo maestro a Parigi e nel 1248 tornò con lui al nuovo Studium Generale di Colonia, del quale Alberto era stato nominato Rettore, mentre Tommaso divenne secondo professore e Magister Studentium.
Al Capitolo Generale dei Domenicani tenutosi a Valenciennes nel 1250, insieme a Tommaso d'Aquino ed a Pietro di Tarantasia (futuro papa Innocenzo V), elaborò le norme per la direzione degli studi e per la determinazione del sistema di meriti all'interno dell'ordine. Quindi, nel 1254, fu eletto provinciale per la Germania, incarico difficile, che ricoprì con efficienza e responsabilità. Nel 1256 si recò a Roma per difendere gli ordini mendicanti dagli attacchi di Guglielmo di Saint-Amour, il cui libro, De novissimis temporum periculis, fu condannato da papa Alessandro IV il 5 ottobre 1256. Durante la sua permanenza nell'Urbe, Alberto ricoprì l'ufficio di maestro del Sacro Palazzo (istituito ai tempi di Domenico di Guzmán) e colse l'occasione per commentare il Vangelo secondo Giovanni. Nel 1257, però, per dedicarsi allo studio ed all'insegnamento, rassegnò le dimissioni dall'ufficio di provinciale.
Nell'anno 1260 fu consacrato vescovo di Ratisbona. Umberto di Romans, maestro generale dei Domenicani, temendo di perdere i servigi di Alberto, tuttavia, cercò di impedirne la nomina, ma fallì. Alberto, infatti, governò la diocesi fino al 1262 quando, dopo che furono accettate le sue dimissioni, riprese volontariamente l'ufficio di professore presso lo Studium di Colonia. Nel 1270 inviò una memoria a Tommaso, che si trovava a Parigi, per aiutarlo nella disputa con Sigieri da Brabante e gli averroisti. Questo fu il suo secondo trattato contro il filosofo arabo (il primo fu scritto nel 1256 con il titolo De Unitate intellectus Contra Averroem). Nel 1274 fu invitato da papa Gregorio X a partecipare ai lavori del secondo Concilio di Lione, alle cui conclusioni prese parte attiva. L'annuncio della morte di Tommaso a Fossanova, durante il viaggio che aveva intrapreso per partecipare ai lavori del Concilio, fu un duro colpo per Alberto, che lo commentò dichiarando che "La luce della Chiesa" si era estinta.
Il suo antico spirito e vigore tornarono a galla nel 1277, quando fu annunciato che l'arcivescovo di Parigi Étienne Tempier ed altri volevano condannare gli scritti di Tommaso perché li consideravano poco ortodossi. Per tale motivo si mise in viaggio alla volta di Parigi, deciso a difendere la memoria del suo discepolo. Qualche tempo dopo, nel 1278 (anno in cui scrisse il suo testamento) ebbe dei vuoti di memoria; la sua forte mente a poco a poco si offuscò e si narra che abbia trascorso la fase terminale della sua esistenza nel più totale isolamento, amareggiato per un notevole cedimento della memoria manifestatosi nel corso di un incontro pubblico.[senza fonte] Il suo corpo fiaccato da una vita austera di privazioni e di lavoro cedette sotto il peso degli anni e morì nel 1280. Fu sepolto nella chiesa parrocchiale di sant'Andrea a Colonia.

... ...

Opere
Sono state pubblicate due edizioni dell'Opera Omnia di Alberto, la prima a Lione nel 1651 a cura di Padre Pietro Jammy, O.P., l'altra a Parigi (Louis Vivès) nel 1890-99, sotto la direzione dell'Abate Auguste Borgnet dell'Arcidiocesi di Reims. La cronologia delle opere fu stilata da Paul von Loë nella sua Analecta Bollandiada (De Vita et scriptis B. Alb. Mag., XIX, XX e XXI). La sequenza logica, invece, fu estrapolata da Padre Mandonnet, O.P., nel Dictionnaire de théologie catholique. L'elenco che segue indica gli argomenti dei vari trattati, i numeri si riferiscono ai volumi dell'edizione Borgnet.

Logica:
sette trattati.

Scienze fisiche:
Physicorum;
De Coelo et Mundo ("Il cielo e il mondo");
De Generatione et Corruptione ("La generazione e la corruzione");
Meteororum;
De Mineralibus ("I minerali");
De Natura locorum;
De passionibus aeris.

Biologia:
De vegetabilibus et plantis ("I vegetali e le piante");
De animalibus ("Gli animali");
De motibus animalium ("I moti degli animali");
De nutrimento et nutribili ("Il nutrimento e il nutribile");
De aetate ("L'età");
De morte et vita ("La morte e la vita");
De spiritu et respiratione ("Lo spirito e la respirazione").

Psicologia:
De Anima ("L'anima");
De sensu et sensato ("Il senso e il sensato");
De Memoria, et reminiscentia;
De somno et vigilia;
De natura et origine animae;
De intellectu et intelligibili ("L'intelletto e l'intellegibile");
De unitate intellectus contra Averroistas ("L'unità dell'intelletto contro gli Averroisti").

Philosophia pauperum ("Filosofia dei poveri"):

Morale e Politica:
Ethicorum;
Politicorum.

Metafisica:
Metaphysicorum ("Metafisica");
De causis et processu universitatis.

Teologia:
Commentario su Dionigi l'Areopagita;
Commentario alle Sentenze di Pietro Lombardo;
Summa Theologiae;
Summa de creaturis;
De sacramento Eucharistiae ("Il sacramento dell'Eucaristia");
Super evangelium missus est.

Esegesi:
Commentari sui Salmi e sui Profeti;
Commentari sui Vangeli;
Sull'Apocalisse.

Sermoni:
De quindecim problematibus ("Su quindici problemi"), edito dal Mandonnet nel suo Siger de Brabant (Friburgo, 1899).

L'autenticità delle opere seguenti non è stata accertata:
De apprehensione;
Speculum astronomiae ("Specchio di astronomia");
De alchimia;
Scriptum super arborem Aristotelis;
Paradisus animae;
Liber de Adhaerendo Deo ("Il dover accostarsi a Dio");
De Laudibus Beatae Virginis;
Biblia Mariana;
Compendium theologicae veritatis ("Compendio della verità teologica");
De causis et proprietatibus elementorum ("Le cause e le proprietà degli elementi");
De erroribus philosophorum ("Gli errori dei filosofi");
De fato ("Il fato");
De lapidibus ("Le pietre");
De praedicabilibus ("Le cose lodevoli");
De praedicamentis ("Le categorie");
In categorias Aristotelis ("Nelle categorie di Aristotele");
Super geometriam Euclidis ("Sulla geometria di Euclide").

Influenza di Alberto sui contemporanei e sui posteri
L'influenza esercitata da Alberto sugli studiosi dei suoi tempi e su quelli degli anni seguenti fu, naturalmente, molto grande. La sua fama è dovuta in parte al fatto che fu il precursore, la guida ed il maestro di Tommaso d'Aquino, ma sicuramente è stato grande anche di per sé. È interessante notare come questo frate medioevale in mezzo ai suoi molti doveri di religioso, come provinciale del suo ordine, come vescovo e legato pontificio, come predicatore di una crociata, pur effettuando molti faticosi viaggi tra Colonia, Parigi e Roma e frequenti escursioni in varie parti della Germania, abbia potuto essere in grado di comporre una vera enciclopedia, contenente trattati scientifici su quasi ogni argomento dello scibile umano, mostrando una conoscenza della natura e della teologia che sorprese i suoi contemporanei, e ancora suscita l'ammirazione dei dotti dei nostri tempi. Fu, realmente, un Doctor Universalis. Di lui, i critici moderni hanno scritto: «Sia che lo consideriamo un teologo o un filosofo, Alberto è stato sicuramente, uno dei più straordinari uomini della sua età; si potrebbe dire, uno dei più meravigliosi uomini di genio che sono apparsi in passato» (Jourdain, Recherches Critiques).

Alberto e le scienze sperimentali
Non sorprende che Alberto si fosse basato sulle fonti di informazioni che esistevano ai suoi tempi, in particolare sugli scritti scientifici di Aristotele. Tuttavia egli diceva: «L'obiettivo delle scienze naturali non è semplicemente accettare le dichiarazioni [narrata] degli altri, ma investigare le cause che sono all'opera in natura» (De Mineralibus Libro II, tr. ii, i). Nel suo trattato sulle piante affermò il principio: Experimentum solum certificat in talibus (L'esperimento è l'unica guida sicura in tali indagini). (De Vegetalibus, VI, tr. ii, i). Profondamente versato come era in teologia, egli dichiarava: «Nello studiare la natura non abbiamo a indagare come Dio Creatore può usare le sue creature per compiere miracoli e così manifestare la sua potenza: abbiamo piuttosto a indagare come la Natura con le sue cause immanenti possa esistere» (De Coelo et Mundo, I, tr. iv, x).
Anche se sulle scienze naturali preferiva Aristotele a Agostino d'Ippona, egli non esitava a criticare il filosofo greco. «Chiunque creda che Aristotele fosse un dio, deve anche credere che non commise alcun errore. Ma se si crede che Aristotele sia stato un uomo, allora è stato certamente passibile di errori, così come lo siamo noi.» (Physic. lib. VIII, tr. 1, xiv). In realtà Alberto dedicò un lungo capitolo a ciò che egli definiva "gli errori di Aristotele" (Sum. Theol. P. II, tr. i, quaest. iv). In una parola, il suo apprezzamento per Aristotele era critico. Egli merita credito non solo per aver portato l'insegnamento scientifico del filosofo greco all'attenzione degli studiosi medievali, ma anche per aver indicato il metodo e lo spirito in cui tale insegnamento doveva essere recepito.
Come il suo contemporaneo, Ruggero Bacone (1214-1294), Alberto fu un infaticabile studioso della natura ed applicò la stessa energia allo studio delle scienze sperimentali, con tale zelo che fu accusato di trascurare le scienze sacre (Enrico di Ghent, De scriptoribus ecclesiastici, II, x). In realtà, circolarono molte leggende che gli attribuivano poteri magici. Dr. Sighart (Albertus Magnus) ha esaminato queste leggende, e si è sforzato di recuperare la verità da storie false o esagerate. Altri biografi si sono accontentati del fatto che la versatezza di Alberto nelle scienze fisiche poteva essere stato il fondamento su cui si basavano tali storie. La verità, naturalmente, si trova tra i due estremi. Alberto coltivò assiduamente le scienze naturali; era un'autorità nella fisica, in geografia, in astronomia, mineralogia, chimica (alchimia), zoologia e fisiologia. In tutti questi soggetti la sua erudizione era vasta e molte delle sue osservazioni sono tuttora valide.
Meyer scriveva (Gesch. der Botanik): «Nessun botanico che sia vissuto prima di Alberto può essere paragonato a lui, tranne Teofrasto, che non conosceva; e dopo di lui nessuno ha dipinto la natura in tali vividi colori, o l'ha studiata così approfonditamente, fino all'arrivo di Conrad von Gesner, e Andrea Cesalpino. Tutti gli onori, dunque, vanno tributati all'uomo che ha fatto tali stupefacenti progressi nella scienza della natura, da non trovare nessuno, non che lo sopravanzi, ma che lo eguagli nei tre secoli successivi.»
L'elenco delle sue opere pubblicate è sufficiente a scagionarlo dall'accusa di trascurare la teologia e le Sacre Scritture. D'altro canto, egli espresse il suo disprezzo per tutto ciò che sapeva di incantesimo o di arte magica. Egli non ammise mai la possibilità di creare l'oro con l'alchimia o attraverso l'uso della pietra filosofale; ciò è evidente dalle sue parole:

(LA)
« Non est probatum hoc quod educitur de plumbum esse aurum, eo quod sola ars non potest dare formam substantialem »
(IT)
« L'arte da sola non può produrre una forma sostanziale »
(Alberto Magno, De Mineral. Lib. II, dist. 3)


Ruggero Bacone e Alberto dimostrarono al mondo che la Chiesa non è contraria allo studio della natura: la scienza e la fede possono andare di pari passo; la loro vita ed i loro scritti sottolineano l'importanza della sperimentazione e dell'indagine. Bacone fu infaticabile e coraggioso nelle indagini, anche se, a volte, la sua critica fu troppo forte. Ma di Alberto disse: Studiosissimus erat, et vidit infinita, et habuit expensum, et ideo multa potuit colligere in pelago auctorum infinito (Opera, ed. Brewer, 327). Alberto rispettava l'autorità e le tradizioni, era prudente nel proporre i risultati delle sue indagini e, di conseguenza: «...contribuì molto più di Bacone al progresso della scienza nel XIII secolo» (Turner, Hist. of Phil.). Il suo metodo di trattamento delle scienze fu storico e critico al tempo stesso. Raccolse in una grande enciclopedia tutto ciò che era noto ai suoi tempi e poi espresse le sue opinioni, principalmente sotto forma di commentari sulle opere di Aristotele. Talvolta, tuttavia, era titubante e non espresse il suo pensiero, probabilmente perché temeva che le sue teorie, che per quel periodo erano piuttosto "avanzate", avrebbero potuto provocare disappunto e commenti non favorevoli. «Dicta peripateticorum, prout melius potui exposui: nec aliquis in eo potest deprehendere quid ego ipse sentiam in philosophia naturali (De Animalibus, circa finem)».
Nell'opera di Augusta Theodosia Drane, Scuole Cristiane e studiosi[1] vi sono alcune interessanti osservazioni su «...alcuni pareri scientifici di Alberto che mostrano quanto egli dovette alle sue sagaci osservazioni dei fenomeni naturali, e in che misura era in anticipo rispetto alla sua epoca [...] Parlando delle isole britanniche, alludeva alla comune idea che esisteva nell'oceano occidentale un'altra isola -- Tile, o Thule --, inabitabile a causa del suo clima, ma che - affermava - forse non era ancora stata visitata dall'uomo». Alberto elaborò anche una dimostrazione della sfericità della terra; qualcuno ha anche sottolineato come le sue idee sull'argomento condussero, in seguito, alla scoperta dell'America.

Alberto e la filosofia scolastica
Più importante dello sviluppo delle scienze fisiche fu la sua influenza sullo studio della filosofia e della teologia. Egli, più di chiunque dei grandi scolastici che precedettero Tommaso, diede alla filosofia ed alla teologia cristiana la forma e il metodo che, sostanzialmente, si sono conservati fino ai giorni nostri. Nel marcare il sentiero che fu seguito da altri, Alberto condivise la gloria di essere stato un pioniere con Alessandro di Hales († 1245), la cui Summa Theologiae fu il primo scritto, dopo tutte le opere di Aristotele, a diventare famoso a Parigi. La loro applicazione della metodologia e dei principi aristotelici per lo studio della dottrina rivelata funsero da base per il sistema scolastico, che postulava l'unione di ragione e fede. Dopo Averroè, Alberto fu il principale commentatore delle opere di Aristotele, i cui scritti studiò con la massima assiduità, ed i cui principi adottò per sistematizzare la teologia, che intendeva come esposizione scientifica e difesa della dottrina cristiana.
La scelta di Aristotele come maestro provocò forti opposizioni. I commentari ebraici ed arabi sulle opere del filosofo avevano originato tali e tanti errori nell'XI, XII e XIII secolo, che per alcuni anni (1210-1225) lo studio della metafisica e della fisica aristotelica furono vietati. Alberto, tuttavia, sapeva che Averroè, Pietro Abelardo, Amalrico di Bennes e altri avevano tratto false dottrine dagli scritti del filosofo; sapeva, inoltre, che sarebbe stato impossibile arginare la marea di entusiasmo a favore degli studi filosofici e così decise di purificare le opere di Aristotele da razionalismo, averroismo, panteismo ed altri errori e quindi mettere la filosofia pagana al servizio della causa della verità rivelata. In questo seguì l'insegnamento agostiniano (II De Doct. Christ., xl), che sosteneva che le verità trovate negli scritti dei filosofi pagani dovevano essere adottate dai difensori della fede, mentre le loro opinioni erronee dovevano essere abbandonate o spiegate in un senso cristiano. Tutte le scienze inferiori (naturali) avrebbero dovuto essere al servizio (ancillae) della teologia, che è la scienza superiore.
Contro il razionalismo di Abelardo e dei suoi seguaci, Alberto sottolineò la distinzione tra verità naturalmente conoscibile e misteri (la Trinità e l'Incarnazione), che non possono essere conosciuti senza la rivelazione. Scrisse due trattati contro l'averroismo, che distruggeva l'immortalità e le responsabilità individuali, insegnando che vi è una sola anima razionale per tutti gli uomini. Il panteismo, invece, fu confutato insieme all'averroismo quando la dottrina sugli Universali, il sistema noto come realismo moderato, fu accettata dai filosofi scolastici.
Sebbene seguace di Aristotele, Alberto non trascurò Platone. Scias quod non perficitur homo in philosophia, nisi scientia duarum philosophiarum, Aristotelis e Platonis. Per questo erravano quando dicevano che era solo la scimmia (simius) di Aristotele.
Nella conoscenza delle cose divine la fede precede la comprensione della Divina verità, l'autorità precede la ragione; ma nelle materie che possono essere naturalmente conosciute, un filosofo non dovrebbe assumere una posizione che non sia pronto a difendere con la ragione. La logica, secondo Alberto, era una preparazione all'insegnamento della filosofia come la ragione era il mezzo per passare attraverso ciò che è noto alla conoscenza dell'ignoto: Docens qualiter et per quae devenitur per notum ad ignoti notitiam.
La filosofia era sia contemplativa che pratica. La filosofia contemplativa abbraccia la fisica, la matematica, e la metafisica; la filosofia pratica (morale) è monastica (per l'individuo), domestica (per la famiglia), o politica (per lo stato e la società). Escludendo la fisica, gli autori moderni conservano ancora la vecchia divisione della filosofia scolastica in logica, metafisica (generale e speciale) ed etica.

La teologia di Alberto
In teologia Alberto occupa un posto tra Pietro Lombardo, il magister sententiarum, e Tommaso d'Aquino. Nell'ordine sistematico, nella precisione e nella chiarezza superò il primo, ma fu inferiore al proprio illustre discepolo. La sua Summa Theologiae, segnò un passo in avanti rispetto alla consuetudine del suo tempo sia sull'osservazione scientifica, sia nell'eliminazione delle questioni inutili, sia nella limitazione delle argomentazioni e obiezioni; rimanevano, tuttavia, molti degli impedimenta che Tommaso considerava sufficientemente importanti da richiedere un nuovo manuale di teologia ad uso dei novizi (ad eruditionem incipientium), come il "Dottore Angelico" commentava nel prologo della sua Summa. La mente del Doctor Universalis era così pregna della conoscenza di molte cose che non poteva sempre adeguare le sue esposizioni della verità alle capacità dei novizi nella scienza della teologia. Quindi, addestrò e diresse un alunno che diede al mondo una concisa, chiara e perfettamente scientifica esposizione e difesa della dottrina cristiana. Fu proprio grazie agli indirizzi di Alberto che Tommaso scrisse la sua Summa Teologica.

Alberto e la musica
Nel campo della musica Alberto Magno è conosciuto per il suo prezioso trattato sulla musica del suo tempo; molte delle sue osservazioni sono contenute nel suo commentario alla Poetica di Aristotele. Tra le altre cose, egli definisce ridicola l'idea della musica universale: egli afferma che è impossibile che il movimento degli astri generi un suono. Egli scrisse molto sulle proporzioni nella musica, e sui tre differenti livelli soggettivi con cui la musica liturgica può influire sull'animo umano: purificazione, illuminazione che porta alla contemplazione, e conoscenza della perfezione tramite contemplazione. Di particolare interesse per gli studiosi della musica del XX secolo il fatto che egli consideri il silenzio parte integrante della musica.

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Umiliati

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Quello degli Umiliati fu un ordine religioso che fiorì in Lombardia e nel centro-nord Italia nel XII - XVI secolo.
Fu uno dei molti movimenti spirituali sorti in contrasto ai costumi rilassati e alla ricchezza diffusa spesso ostentata dal clero, propugnando un ritorno verso una vita più austera, frugale. Inizialmente condannati come eretici, furono reintegrati con bolla di Innocenzo III. L'ordine venne poi soppresso nel 1571.

Storia
Sorti come movimento laicale, al cui interno erano già differenziate alcune caratteristiche specifiche, gli umiliati vengono indirizzati da Innocenzo III verso tre diverse forme di vita:
il primo ordine, più ristretto, era quello appartenente all'ordo canonicus, composto da chierici viventi presso una chiesa e dediti alla cura pastorale. Venne approvato con lettera del 16 giugno[1].
il secondo ordine, costituito da laici non coniugati che osservavano le norme e le forme della vita in comune, venne riconosciuto invece il 12 giugno, con formula et regula vitae. È questo il ramo più originale perché il pontefice concede lo stato giuridico di religiosi ai non coniugati senza farli veri e propri monaci.
il terzo ordine, istituito con bolla del 7 giugno 1201, fu una libera associazione di laici o penitenti senza regola né professione religiosa[2]. Tale riforma rompeva con gli schemi tradizionali, facendo accogliere all'interno della Chiesa l'elemento laicale.
Dopo l'approvazione innocenziana gli umiliati conobbero un'espansione fortissima, e le domus aumentarono dappertutto. Le persone che ne hanno fatto parte provenivano da ogni ceto urbano e rurale.
Tra gli esponenti più illustri dell'ordine si ricordano Luca Manzoli di Firenze[3], che fu vescovo di Fiesole e venne creato cardinale sotto papa Gregorio XII, e beato Giacomo Pasquali di Siena, che arrivò fino ai più alti gradi dell'ordine e venne nominato cardinale da papa Giovanni XXII[4] e morì poco prima che la notizia giungesse da Avignone[5]. Il Beato Giovanni Oldrati da Meda fu uno dei primi ad abbracciare l'Ordine. Essi si occupavano principalmente della lavorazione della lana, fondarono fiorenti manifatture tessili, accumulando ingenti guadagni, con i quali finanziavano attività bancarie: ad esempio nel 1248, a garanzia di un prestito concesso al capitolo del duomo di Monza, il convento monzese di Sant'Agata ricevette in pegno la Corona Ferrea e altri beni del tesoro del Duomo. La corona fu riscattata soltanto nel 1319.
Gli Umiliati tentarono di stabilire un nuovo stile di vita per tutti proponendo modelli di vita quotidiana molto più restrittivi nelle città del nord Italia dove si diffusero; infatti promossero e diedero il via a una serie di leggi che avevano lo scopo di proibire diverse spese di lusso e voluttuarie, in particolare per l'abbigliamento, le 'leggi suntuarie', che vennero adottate in tutte le città-stato italiane a partire dal 1300.
La loro più importante casa fu l'Abbazia di Viboldone, alla immediata periferia di Milano[6], ma la loro presenza si estendeva a tutto il nord Italia, in particolare nel lodigiano[7] e nel bresciano[8]. Anche Castel Goffredo, nel mantovano, ebbe la sua casa di Umiliati[9].
Il processo di clericalizzazione iniziato da Innocenzo IV diede il via alla progressiva assimilazione dei primi due ordini, determinando una sempre più forte autonomia dei terziari, i quali alle origini erano stati i principali diffusori del movimento stesso.
Verso la metà del XIII secolo il moltiplicarsi di nuove famiglie religiose di orientamento mendicante indirizzò il papato verso le posizioni restrittive del concilio Lionese II. Vennero sanciti i diritti acquisiti da francescani e domenicani, mentre agli altri ordini furono imposte severe limitazioni concernenti la cura animarum. Per gli umiliati il divieto comportava l'abbandono della predicazione, uno degli aspetti che era stato un caposaldo delle origini.
Nel XVI secolo, con la Controriforma, i movimenti di questo tipo, che potevano facilmente scivolare su posizioni eretiche o di opposizione di principio alla Chiesa, vennero scoraggiati. Gli Umiliati in particolare erano sospettati di calvinismo: essi entrarono quindi in contrasto sempre più acceso con l'arcivescovo di Milano, san Carlo Borromeo, fino a che un membro dell'ordine, Gerolamo Donato detto il Farina, tentò addirittura di assassinarlo con un colpo di archibugio alle spalle. Il colpo mancò il bersaglio (data la fama di santità che già circondava il Borromeo, il fatto fu considerato un segno miracoloso della protezione divina nei suoi confronti), ma l'attentato provocò una dura repressione e l'ordine fu soppresso il 7 febbraio 1571 con una bolla di papa Pio V. Girolamo Donato detto Farina, il Prevosto Girolamo di Cristoforo, il Prevosto Lorenzo da Caravaggio rei confessi sotto tortura vennero condannati a morte.
Le comunità degli umiliati, anche quelli sottoposti al voto di castità, ebbero il carattere di comunità miste,[10] cioè nello stesso edificio c'era sia la comunità maschile, sia quella femminile.
Questo carattere, nel medioevo abbastanza diffuso, venne poi osteggiato per asseriti abusi: Le comunità umiliate femminili, furono, per lo più sottoposte alla regola benedettina, e spesso divennero il nucleo da cui si svilupparono, soprattutto nel XV secolo, veri e propri monasteri di clausura. Esse furono soppresse solo nel XVIII e nel XIX secolo.

http://it.wikipedia.org/wiki/Umiliati
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