Regno di Sicilia

Storia, Araldica, confini, alleati e nemici, gesta ed imprese...
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Elena Ducas

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Elena Ducas, o Elena degli Angeli o Elena Angelo Comneno di Epiro (1242 – Nocera Inferiore, 14 marzo 1271), fu moglie di Manfredi re di Sicilia.

Biografia
Figlia del despota d'Epiro Michele II e di Teodora Petralife, era sorella di Niceforo I Ducas (che succedette al padre come re dell'Epiro) e sorellastra (tramite padre) di Giovanni I Ducas, principe di Tessaglia. Il nonno paterno era Michele I d'Epiro, figlio illegittimo del sebastocratore Giovanni Ducas, che era il figlio maggiore di Costantino, il settimo figlio del imperatore bizantino Alessio I di Bisanzio e di Irene Ducas.
Il 2 giugno 1259 a diciassette anni Elena sposava, nel castello di Trani, Manfredi di Sicilia, rimasto vedovo di Beatrice di Savoia, in virtù di una serie di accordi diplomatici del padre Michele II.
Il suo matrimonio era destinato a mantenere la pace tra Epiro e la Sicilia, poiché sia Michele II che Manfredi avevano preoccupazioni più impellenti altrove. Nella sua dote erano inclusi tutti i diritti della città di Durazzo (già conquistato nel 1256) con i suoi dintorni, l'isola di Corfù, Valona, Berati e altre città dell'Albania. Con Manfedi non si trattò solo di un'unione dinastica ma di un'alleanza tra i due regni: infatti Manfredi invio tremila fanti in aiuto del suocero contro l'Imperatore di Nicea, per la conquista di Costantinopoli.
Sconfitto ed ucciso Manfredi dagli Angioini durante la Battaglia di Benevento, Elena venne imprigionata. Lasciò il castello di Lucera per trasferirsi prima a Trani e poi a Lagopesole, per incontrare Carlo I d'Angiò. Dopo l'incontro, il Re di Napoli, tra luglio ed agosto 1266, ne dispose l'isolamento nel castello del Parco di Nuceria Christianorum, oggi Nocera Inferiore, dove morì in carcere.

Matrimonio e figli
A Manfredi Elena diede cinque figli:
Beatrice di Sicilia, (1260 – 1307);
Federico di Sicilia, (1261 – 1312);
Enrico di Sicilia, (1262 – 1318);
Enzo di Sicilia, (1265 – 1301);
Flordelis di Sicilia, (1266 – 1297).

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http://it.wikipedia.org/wiki/Elena_Ducas
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Guglielmo Stendardo (maresciallo)

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Guglielmo Stendardo, in lingua francese Guillaume Étendard, (Berre-l'Étang, 1217 circa – Napoli, 1271), è stato un ammiraglio e condottiero francese naturalizzato italiano.

Biografia
Di nobile famiglia francese, originario della Provenza, di cui fu siniscalco, scese in Italia con Carlo I d'Angiò. Da questi, in seguito alla campagna d'Italia, che lo portò ad essere re di Sicilia nel 1265, fu nominato maresciallo di Lombardia e di Sicilia e, nel 1267, grandammiraglio di Sicilia.
Nel 1268, mentre Carlo I d'Angiò si trovava a Lucera, fu mandato ad arginare una parte dell'esercito di Corradino di Svevia che era sbarcato in Sicilia al comando di Corrado Capece. Il condottiero francese ebbe la meglio, segnalandosi per le atrocità commesse, in particolare ad Augusta e a Centuripe, dove la popolazione fu massacrata: allo stesso Capece, prima di essere impiccato ed esposto sulla spiaggia di Catania, furono cavati gli occhi. Non è un caso che, per la crudeltà mostrata in Sicilia, fu detto uomo di sangue. Nell'agosto dello stesso anno, al comando di uno dei tre squadroni angioini, partecipò alla battaglia di Tagliacozzo, che sancì la definitiva caduta degli Hohenstaufen.
È stato sepolto nella Basilica di San Lorenzo Maggiore di Napoli.

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http://it.wikipedia.org/wiki/Guglielmo_ ... resciallo)
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Carlo Martello d'Angiò

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Carlo Martello d'Angiò, noto anche come Carlo I Martello (Napoli, 8 settembre 1271 – Napoli, 12 agosto 1295), era il figlio primogenito di Carlo II di Napoli e di Maria Arpad d'Ungheria. Fu Principe di Salerno dal 1289 e Re titolare d'Ungheria dal 1290 fino alla sua morte.

Giovinezza
Nel giugno del 1270 fu celebrato a Napoli il matrimonio tra l'erede al trono di Napoli Carlo II detto lo Zoppo, duca di Calabria, figlio primogenito di Carlo d'Angiò e la tredicenne Maria Arpad d'Ungheria (1257 ca. – 25 marzo 1323), figlia del re d'Ungheria, Stefano V ed Elisabetta di Cumania. Dall'unione nacquero quattordici figli. Il primogenito fu Carlo Martello. Tra i suoi fratelli vi furono San Ludovico di Tolosa, il re di Napoli Roberto d'Angiò e Filippo I di Taranto.
Carlo trascorse la prima infanzia insieme alla madre nel castello del Parco di Nocera (nel quale passò lunghi periodi della sua vita).
Tra il 1290 e il 1291 Il padre gli concesse, il feudo e le fortezze di Nocera dei Cristiani.

Erede al trono d'Ungheria
Destinato al trono ungherese per diritto ereditario, non divenne mai sovrano a tutti gli effetti. Sua madre Maria era figlia di Stefano V e sorella di Ladislao IV, ultimo discendente senza eredi del ramo principale della dinastia degli Arpadi, il che investiva Carlo Martello del pieno diritto di successione.
Re Ladislao morì il 10 luglio 1290 e Carlo Martello, diciannovenne, fu formalmente eletto Re d'Ungheria, incoronato ad Aix due anni dopo. Ma ad occupare di fatto il trono magiaro, grazie anche al sostegno di alcuni nobili, fu Andrea III, discendente di un altro ramo della dinastia degli Arpadi, di cui fu ultimo sovrano. A Carlo Martello non restò che il puro titolo formale, destinato comunque a tramandarsi a suo figlio Caroberto, e non tentò mai di recarsi direttamente in Ungheria a pretendere il rispetto dei propri diritti ereditari.
Carlo Martello d'Angiò adottò quale suo stemma uno scudo di Francia (azzurro con gigli dorati) con una brisura, all'interno della quale sono raffigurati dei martelli da fabbro neri: il tutto allusivo al suo nome. Tale stemma è noto come scudo di San Gimignano che appare anche in una biccherna senese raffigurante Guido del Monte Santa Maria podestà a Siena nel 1321 e nel 1331.

Matrimonio e figli
L'11 gennaio 1281 a Vienna sposò Clemenza d'Asburgo, figlia dell'imperatore Rodolfo I e di Gertrude di Hohenberg. Dall'unione nacquero tre figli:
Carlo Roberto (1288-1342), Re d'Ungheria;
Beatrice (1290 - Grenoble, 1354), il 25 maggio 1296 sposò Giovanni II de la Tour-du-Pin, delfino del Viennois;
Clemenza (febbraio 1293 – Parigi, 12 ottobre 1328), Regina di Francia, il 13 agosto 1315 sposò a Parigi il Re Luigi X di Francia.

L'incontro con Dante Alighieri e il ricordo nella Divina Commedia
Nel 1294 Carlo Martello si recò a Firenze, dove incontrò i suoi genitori che rientravano dalla Francia. In questa occasione, per accoglierlo con tutti gli onori del caso, la città toscana inviò una delegazione della quale pare facesse parte anche Dante Alighieri. In ogni caso appare quasi certo che il Sommo Poeta e il giovane principe angioino abbiano avuto modo di conoscersi di persona ed apprezzarsi vicendevolmente, anche per il fatto di condividere gli stessi gusti letterari.
Dante dedica a Carlo Martello un lungo brano della Divina Commedia (Paradiso VIII 31-148 e Paradiso IX 1-12) che racconta l'intenso incontro che il poeta immagina di avere con l’anima del principe nel terzo cielo (Cielo di Venere) del Paradiso:

Dante Alighieri, Divina Commedia – Paradiso VIII 31-148
Dante Alighieri, Divina Commedia – Paradiso IX 1-12

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http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Mart ... Angi%C3%B2
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Violante d'Aragona e Sicilia

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Violante Perez d'Aragona nota anche come Iolanda di Aragona. Violant in catalano e in aragonese, Violante in spagnolo, in asturiano, in basco, in portoghese e in galiziano (Aragona, 1273 – Termini Imerese, 19 agosto 1302) , principessa d'Aragona, duchessa consorte di Calabria (1297-1302), fu la consorte dell'erede al trono del regno di Napoli.

Origine
Figlia quintogenita del re d'Aragona, di Valencia e conte di Barcellona e altre contee catalane, Pietro III il Grande e di Costanza di Sicilia, figlia del re di Sicilia Manfredi (figlio illegittimo dell'imperatore Federico II di Svevia) e di Beatrice di Savoia (1223 – 1259). Era sorella dei re d'Aragona, Alfonso III, Giacomo II, del re di Sicilia, Federico III e della regina del Portogallo, Santa Elisabetta.

Biografia
Il cronista, Bartolommeo di Neocastro, nella sua historia Sicula, nomina Violante assieme ai cinque fratelli (Alfonsus, Elisabeth regina Portugalli…Rex Iacobus, Dominus Fridericus, domina Violanta et dominus Petrus) come figlia di Pietro III (Petro regi Aragonum) e della moglie.
Secondo la Cronaca piniatense, suo fratello, il re d'Aragona, Giacomo II concordò il matrimonio di Violante con l'erede al trono di Sicilia, e futuro re di Napoli, Roberto d'Angiò.
Infatti il 23 marzo del 1297, a Roma, in ottemperanza al trattato di Anagni, Violante sposò il duca di Calabria, Roberto d'Angiò, figlio quartogenito (terzo maschio) del re di Napoli, Carlo II d'Angiò detto lo Zoppo e di Maria d'Ungheria (1257 ca. – 25 marzo 1323), figlia del re d'Ungheria, Stefano V ed Elisabetta di Cumania. Roberto era il nipote del re d'Ungheria, Ladislao IV.
Violante morì, nell'agosto del 1302, poco prima della pace di Caltabellotta, avvenuta il 31 agosto, che mise fine alla prima fase della guerra del Vespro, nella località di Termini, quando era al seguito del marito che comandava le truppe angioine che avevano invaso la Sicilia. Violante morì senza essere divenuta regina, in quanto il marito non aveva ancora ereditato il regno di Napoli e gli altri titoli che gli spettavano.
Dato che la Sicilia rimaneva aragonese la salma di Violante fu trasportata in Provenza, terra degli angioini e fu inumata a Marsiglia, nella chiesa dei frati minori.

Figli
Violante a Roberto diede due figli:
Carlo (28 maggio 1298 – Napoli, 9 novembre 1328), duca di Calabria e erede del regno di Napoli e padre di Giovanna, che alla sua morte divenne l'erede del regno;
Luigi ( Catania 1301 – Napoli, 12 agosto 1310).

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http://it.wikipedia.org/wiki/Violante_d ... _e_Sicilia
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Federico III di Sicilia

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Federico d'Aragona, o Federico III di Sicilia (o di Trinacria) (Barcellona, 13 dicembre 1273 o 1274 – Paternò, 25 giugno 1337), fu reggente aragonese in Sicilia dal 1291 al 1295, Re di Sicilia - come Federico III - dal 1296 al 1302 e poi di Re di Trinacria dal 1302 alla sua morte.
Appare con il nome di Fridericus (rex) nei documenti in lingua latina, Frederic (el de Sicília) in quelli in catalano, Fidiricu in siciliano, Frederico in aragonese.

Origine
Figlio maschio terzogenito del re d'Aragona, di Valencia e conte di Barcellona e altre contee catalane, Pietro III il Grande e di Costanza di Sicilia, figlia del re di Sicilia Manfredi (figlio illegittimo dell'imperatore Federico II di Svevia) e di Bianca Lancia (1223 – 1259).

Biografia
Secondo la Cronaca piniatense, Federico era il figlio terzogenito dei tre figli maschi ancora in vita (gli altri due erano Alfonso, il figlio primogenito e Giacomo, il figlio secondogenito; mentre l'ultimogenito, Pietro, era morto giovane) di Pietro e di Costanza. Confermato anche nella Historia Sicula (Alfonsus, Elisabeth regina Portugalli…Rex Iacobus, Dominus Fridericus, domina Violanta et dominus Petrus) di Bartolomeo di Neocastro e nella Cronaca (Anfós, Jacme, Frederic e Pere) di Ramon Muntaner.
Il 19 giugno 1291, suo fratello primogenito, il sovrano della corona d'Aragona, Alfonso III morì improvvisamente lasciando l'Aragona, Valencia, la Catalogna ed il governo di Maiorca al secondogenito, Giacomo il Giusto e disponendo che la Sicilia andasse al terzogenito Federico; ma Giacomo dopo essersi fatto incoronare a Saragozza nel mese di luglio, come successore di Pietro III e non di Alfonso III, ne trascurò il testamento e si tenne il regno di Sicilia, a scapito di Federico. L'infante Federico, nello stesso 1291, fu inviato, come luogotenente del fratello Giacomo II, in Sicilia, dove raggiunse la madre Costanza.
Giacomo II voleva porre fine alla situazione che vedeva l'Aragona in perenne lotta contro il papato la Francia e la situazione si sbloccò dopo l'elezione al papato, il 23 dicembre 1294, di Bonifacio VIII, che, elaborando la proposta del suo predecessore, papa Celestino V, ad Anagni, il 12 giugno del 1295 stipulò con Giacomo e con Carlo II d'Angiò il Trattato di Anagni. Con questo accordo, Giacomo acconsentì a cedere la Sicilia; in cambio avrebbe ottenuto i feudi di Sardegna e di Corsica, se li avesse saputi conquistare, e avrebbe sposato la figlia di Carlo II d'Angiò; mentre Federico, che perdeva il governatorato della Sicilia sarebbe stato compensato dal matrimonio con l'erede dell'impero d'oriente, Caterina Courtenay, figlia dell'imperatore titolare Filippo I di Courtenay e Beatrice d'Angiò, con l'impegno di Federico di aiutare il futuro suocero a riconquistare l'impero.
Il re di Francia, Filippo IV il Bello, pur approvando il trattato di Anagni, rifiutò di accettare quest'ultima clausola e, in quello stesso anno, il fidanzamento tra Federico e Caterina fu rotto.
Federico, amareggiato, oltre che dalla rottura del fidanzamento, anche dal fatto che Giacomo II non aveva ottemperato al testamento di Alfonso III, accettò le offerte dei Siciliani che, sentendosi traditi dal nuovo re Aragonese, dichiarato decaduto Giacomo, lo elessero al trono di Sicilia.
L'11 dicembre 1295, a Palermo, Federico fu proclamato Signore della Sicilia, e il Parlamento siciliano riunito al Castello Ursino di Catania, il 15 gennaio 1296, lo riconobbe Federico III Re di Sicilia. L'incoronazione ufficiale avvenne, il 25 marzo del 1296, nella Cattedrale di Palermo.
Federico riprese la guerra del Vespro e prendendo l'iniziativa nei confronti degli Angioini, non solo conservava la Sicilia ma aveva portato la guerra in Calabria e nel napoletano. Allora Bonifacio VIII, agli inizi del 1297, convocò a Roma sia Giacomo II che Carlo II d'Angiò e li spronò a riconquistare la Sicilia secondo il trattato di Anagni; dovettero abbandonare la Sicilia, per ordine di Giacomo, sia Giovanni da Procida che Ruggero di Lauria, che divenne ammiraglio della flotta alleata anti-siciliana ed alla fine anche la regina madre Costanza dovette abbandonare il figlio prediletto Federico e raggiungere Giacomo a Roma. Giacomo intervenne, a fianco degli Angioini, contro il fratello Federico ed i Siciliani e con la sua flotta aragonese affiancata da quella napoletana, a Capo d'Orlando, nel luglio del 1299, sconfisse Federico che si riuscì a salvare con solo 17 galee. Giacomo, l'anno dopo, visto che il fratello continuava a resistere, fece ritorno in Aragona. La guerra fu proseguita con successo da Roberto d'Angiò, nominato da Carlo II vicario generale in Sicilia, e suo fratello Filippo I di Taranto, con la conquista di alcuni importanti centri nella Sicilia orientale: nell'ottobre 1299 Catania, per la ribellione dei suoi nobili cittadini Virgilio Scordia e Napoleone Caputo, passava in mano angioina; Noto veniva consegnata a Roberto d'Angiò da Ugolino Callari, compare dello stesso Federico. Messina tuttavia resisteva all'assedio angioino e Federico riportava una notevole vittoria nella piana di Falconara (Trapani), facendo prigioniero Filippo di Taranto. Allora il papa, nel 1300, chiamò in aiuto i templari, gli ospitalieri ed i riluttanti Genovesi, ma ad eccezione di una nuova brillante vittoria della flotta di Lauria su quella siciliana, il 14 giugno del 1300, la situazione non progredì. Infine Bonifacio VIII si rivolse al re di Francia, Filippo IV il Bello, che inviò un esercito al comando del fratello, Carlo di Valois, che, arrivato in Sicilia, nel maggio del 1302, bruciando e depredando, l'attraversò sino a Sciacca, dove però arrivò distrutto dalla malaria e, per la paura di un deciso attacco da parte di Federico, accettò la pace che gli venne offerta.
Allora da Carlo di Valois, Carlo II d'Angiò e dal papa, fu proposto a Federico di sposare la figlia di Carlo II lo Zoppo e di Maria d'Ungheria e sorella del duca di Calabria Roberto, Eleonora; durante la trattativa fu offerto a Federico, in cambio della Sicilia, il regno di Albania, creato per lui oppure il regno di Cipro, dopo averlo tolto alla famiglia Lusignano. Federico rifiutò, ma, nell'agosto del 1302, fu trovato un compromesso che prevedeva che Federico III mantenesse il potere sulla Sicilia col titolo di Re di Trinacria (quello di Sicilia spettava solo al re di Napoli) fino alla sua morte, dopo la quale l'isola sarebbe dovuta passare nuovamente agli Angiò.
La guerra dei Vespri Siciliani terminò con la pace di Caltabellotta: il 31 agosto del 1302, probabilmente nel castello del Pizzo, si firmò il trattato di pace. Questo trattato, modificato dal papa il 12 maggio 1303, comunque confermò che Federico III mantenesse il potere sulla Sicilia, portatagli in dote dalla moglie Eleonora, col titolo di Re di Trinacria e dopo la sua morte l'isola sarebbe dovuta passare nuovamente agli Angiò.
Il matrimonio con Eleonora venne celebrato nel maggio 1303, a Messina, ma secondo i continuatori del Chronicon di Guillaume de Nangis, il matrimonio era già stato celebrato, nel 1302 (secondo Genealogy fu celebrato il 17 maggio 1302).
Comunque Eleonora era al suo secondo matrimonio, avendo sposato in prime nozze, nel 1299, Filippo di Toucy, futuro Principe titolare di Antiochia (dalla madre, Luisa di Antiochia) futuro Signore di Terza (dal padre, Nariot di Toucy). Il matrimonio era stato annullato dalla bolla di papa Bonifacio VIII, il 17 gennaio 1300, per la troppo giovane età della sposa.
Nel 1311, la Compagnia Catalana invitò Federico a dichiararsi sovrano del ducato di Atene, dopo che la compagnia aveva conquistato il territorio dopo aver sconfitto Gualtieri V di Brienne.
Federico nominò il figlio Manfredi, duca di Atene e, l'altro figlio, illegittimo, Alfonso Federico, capitano-generale del ducato.
Nel 1311, Federico III si alleò con Arrigo VII di Lussemburgo, che era calato in Italia per essere eletto Re dei Romani, a Milano, e imperatore del sacro romano impero, a Roma (1312).
In quel periodo, Federico intavolò con l'imperatore una trattativa per il fidanzamento di suo figlio, Pietro con la figlia ultimogenita di Arrigo, Beatrice; ma la trattativa, nel 1312, sfumò per la scelta di Arrigo di imparentarsi con gli Angiò e a Pietro preferì Carlo, figlio del re di Napoli, Roberto d'Angiò. Arrigo e Roberto stipularono un accordo di nozze, che poi non si fecero, probabilmente per la morte di Arrigo, a Buonconvento, il 24 agosto del 1313).
Nonostante le trattative con Roberto, Arrigo e Federico preparavano la guerra contro il regno di Napoli, che avrebbe dovuto essere attaccato da Arrigo via terra e da una potente flotta imperiale-siciliana, già armata nel 1313 e comandata da Federico, via mare; ma la prematura morte dell'imperatore fece fallire il piano.
Alla morte di Arrigo, Federico propose un'alleanza alla ghibellina Repubblica pisana in chiave antiangioina, che fu rifiutata in quanto Federico in cambio pretendeva il possesso della Sardegna (promessa dal papa in feudo da conquistare a suo fratello, il re d'Aragona, Giacomo II il Giusto).
La pace di Caltabellotta durò solo una dozzina di anni e dopo che nel 1313, la guerra tra Angioini e Aragonesi era ripresa, il parlamento siciliano, il 12 giugno 1314, disattendendo l'accordo siglato con la Pace di Caltabellotta, riconosceva il figlio di Federico, Pietro come erede al trono, e quindi, alla sua morte, successore di Federico, e, il 9 agosto, confermava Federico re di Sicilia e non più di Trinacria.
Seguirono due anni di guerra, in cui Roberto d'Angiò cercò di conquistare l'isola nel 1314, a cui seguì una tregua di due anni, sino al 1316.
Allo scadere della tregua, Roberto attaccò la Sicilia occidentale e si diresse su Palermo, su cui confluiva anche la flotta napoletana. Federico, vedendosi a mal partito, nel 1317, chiese una tregua che gli fu concessa a patto di restituire agli angioini tutte le posizioni che ancora deteneva sul continente (quasi tutte in Calabria); la nuova tregua sarebbe scaduta a Natale del 1320.
Finita la tregua, Federico, nel 1321, inviò una flotta con reparti di cavalleria di fronte a Genova, in aiuto ai ghibellini che combattevano contro la repubblica di Genova, ma Roberto d'Angiò, alleato di Genova, inviò 82 galee che costrinsero la flotta siciliana a ritirarsi e rientrare in Sicilia (passando da Ischia la saccheggiò). Nel settembre dello stesso anno, la flotta siciliana tornò a Genova e coordinando gli attacchi con le truppe dei ghibellini lombardi capitanati da Marco Visconti, riuscì a creare grandi difficoltà per i difensori, senza però riuscire a fare cadere la città. Col cattivo tempo, la flotta, molto danneggiata, dovette rientrare definitivamente in Sicilia.
Sempre nel 1321, Federico aveva fatto incoronare il figlio Pietro come co-regnante e suo successore[9], attirandosi le ire del papa Giovanni XXII, che scagliò l'interdetto sulla Sicilia (Giovanni XXII lo tolse solo nel 1334, poco prima di morire).
In viaggio da Palermo ad Enna, Federico si ammalò gravemente. Morì il 25 giugno del 1337, nel tragitto tra Paternò e Catania[3], poiché sperava di ricevere cure migliori nell'ospedale della Commenda di S. Giovanni Gerosolimitano nei pressi di Paternò (CT). Com'era tradizione di quei tempi[senza fonte], nell'ospedale vennero sepolte le viscere, mentre la salma, trasportata a Catania, fu esposta al Castello Ursino. Federico aveva dichiarato nel testamento di voler esser sepolto a san Francesco nella città di Barcellona, accanto al fratello Alfonso d'Aragona e alla madre Costanza. Tale allontanamento da Palermo sarebbe stato inaccettabile per i siciliani[senza fonte] e quindi modificò le sue volontà e dispose per una sepoltura nella cattedrale nel capoluogo. La salma venne quindi tumulata provvisoriamente nella Cattedrale di Catania, in attesa di traslazione a Palermo. A causa del perdurare della guerra del Vespro la salma rimase definitivamente a Catania[senza fonte].

Il profilo del Re di Sicilia
Il carattere ed il comportamento di Federico fu molto influenzato dalla discendenza normanno-sveva: come Ruggero fu fondatore di uno stato, fu un abile condottiero ed un buon legislatore e come il bisnonno Federico II fu carismatico, aggressivo, filo-imperiale e perennemente scomunicato (in particolare interdetto dal papa Giovanni XXII dal 1321 al 1334).
Nel 1296, in occasione dell'elezione promulgò le «Constitutiones regales», i «Capitula alia» e le «Ordinationes generalis» ed altri testi che fornirono una base di garanzie costituzionali innovative per il medioevo, comprendente i doveri dei reggenti e l'obbligo di convocare almeno annualmente il parlamento siciliano. Nel 1324, il parlamento riunito ad Enna emanò, fra le altre, cupe norme che prevedevano la segregazione degli Ebrei.
I caratteri della Sicilia che noi tutti oggi conosciamo derivano in gran parte, da questo secondo “piccolo” regno di Sicilia, fondato nel 1296 da Federico[senza fonte] e che poi, passando attraverso varie reggenze, verrà soppresso nel 1816 da Ferdinando I di Borbone.
Durante il suo regno si accentuò certamente il regime feudale: il parlamento aveva tre rami (ecclesiastico, demaniale e militare), si radicò il latifondismo e l'economia entrò in crisi.
Ma egli va comunque ricordato per le sue riforme civili ed amministrative che interessarono la Sicilia che davano maggiore potere al Parlamento (detti i Capitoli) e la suddivisione amministrativa dell'isola in quattro "Valli" (Val di Noto, Val Demone e Val di Mazara, Val di Girgenti).

La corte di Federico: laboratorio di dibattiti religiosi e rifugio di dissidenti
Federico III fu intimo amico del valenzano Arnaldo da Villanova, accolse alla sua corte i francescani spirituali perseguitati e i fraticelli. Il mistico Raimondo Lullo ripose in lui molte speranze per un rinnovamento del cristianesimo. Egli stesso interessato alla mistica, Federico fece della sua corte un focolare di dibattiti filosofici e religiosi, nel quale interloquivano filosofi aristotelici, pensatori ebrei, alchimisti, astrologi, e anche praticanti di magia. Anche se si scontrò spesso con le autorità ecclesiastiche, Federico non era mosso da uno spirito anticristiano, quanto piuttosto dall'ansia di acquisire conoscenze sempre nuove e dalla convinzione che il mondo, ormai vecchio, si stava rinnovando.

Il Parlamento Siciliano
Il Parlamento siciliano, composto da feudatari, sindaci delle città, dai conti e dai baroni, era presieduto e convocato dal re.
La funzione principale era la difesa dell'integrità della Sicilia, come valore massimo anche nei confronti dell'assolutismo del re, nell'interesse di tutti i siciliani. Il re, infatti, non poteva stringere accordi di qualunque natura (politica, militare o economica) né dichiarare guerre senza aver prima consultato ed ottenuto l'approvazione del Parlamento che, per costituzione, doveva essere convocato almeno una volta l'anno nel giorno di Tutti i Santi. Il Parlamento costituzionalmente aveva il compito di eleggere il re e di svolgere anche la funzione di organo garante del corretto svolgimento della giustizia ordinaria esercitata da giustizieri, giudici, notai e dagli altri ufficiali del regno.

... ...

Discendenza
Dall'unione con Eleonora d'Angiò nacquero nove figli:
Pietro (1304-1342), erede e re di Trinacria;
Ruggero (1305-?), morto giovane;
Costanza (1305-dopo il 19 giugno 1344 a Cipro), fu prima fidanzata, nel 1306, a Roberto di Francia (1297-1307), figlio del re di Francia, Filippo IV il Bello; poi, il 16 ottobre 1317, sposò Enrico II di Cipro (1270-1324), nella chiesa di Santa Sofia in Nicosia, in seguito, in seconde nozze, il 29 dicembre 1331, sposò Leone V d'Armenia (1310-1341), ed infine, nel 1343, sposò Giovanni di Lusignano (1329/1330-1375);
Manfredi (1306-1317), duca di Atene;
Isabella (1310-1349), sposata dal 1328 con il duca Stefano II di Baviera
Guglielmo (n.1312-1338), principe di Taranto, duca di Atene e di Neopatria;
Giovanni d'Aragona (1317-1348), duca di Atene e di Neopatria, reggente di Sicilia (1338-1348);
Caterina (1320-1342), badessa nel convento di Santa Chiara a Messina;
Margherita (1331-1377), sposata nel 1348 con Rodolfo II del Palatinato.
Inoltre gli vengono attribuiti almeno altri cinque figli naturali nati da una relazione con Sibilla Sormella:
Alfonso Federico di Sicilia, ( ca. 1294- tra 1334 e il 1339), signore di Salona, conte di Gozo e di Malta, fu reggente del ducato di Atene e di Neopatria;
Orlando (o Rolando) di Sicilia ( ca. 1296- in battaglia a Caltanissetta, aprile/maggio del1361), barone di Avola:
Elisabetta (o Isabella) di Sicilia ( ca. 1297-1341), sposò il conte di Empuries, Ponzio VI e poi in seconde nozze, Raimondo di Perralta, conte di Caltabellotta;
Eleonora di Sicilia (ca. 1298), fu fidanzata con Ruggero il figlio dell'ammiraglio, Ruggero di Lauria, poi sposò il conte di Modica, Giovanni di Chiaramonte;
Sancho di Sicilia (ca. 1300- ca. 1334), barone di Militello, sposò la signora di Cammarata, Macalda Palizzi, che gli diede un figlio:
Federico (?-1334), barone di Militello, che a sua volta ebbe un figlio:
Vinciguerra, barone di Militello, che a sua volta ebbe un figlio:
Federico, barone di Militello.

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Roberto d'Angiò

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Roberto d'Angiò, detto il Saggio (Santa Maria Capua Vetere, 1277 – Napoli, 16 gennaio 1343), figlio di Carlo II d'Angiò, fu re di Napoli (con il nome di Roberto I di Napoli dal 1309 al 1343), re titolare di Gerusalemme, duca di Calabria (1296 - 1309) e Conte di Provenza e Forcalquier (1309 - 1343). Terziario Francescano.

Biografia

Origine
Nato presso Sant' Erasmo in Capitolio, antichissimo borgo ad oggi ricompreso nel Comune di Santa Maria Capua Vetere, è il figlio quartogenito (terzo maschio) del principe di Salerno e futuro conte d'Angiò e del Maine, conte di Provenza e Forcalquier, re di Napoli e re titolare di Sicilia, principe di Taranto, re d'Albania, principe d'Acaia e re titolare di Gerusalemme, Carlo II d'Angiò detto lo Zoppo e di Maria d'Ungheria (1257 ca. – 25 marzo 1323), figlia del re d'Ungheria, Stefano V ed Elisabetta di Cumania. Fu il nipote del re d'Ungheria, Ladislao IV.

La guerra del Vespro
All'età di undici anni, nel corso della guerra del Vespro fu ostaggio, assieme ai fratelli Luigi e Raimondo Berengario, del re Alfonso III d'Aragona, tra il 1288 e il 1295.
Dopo la morte del fratello Carlo Martello (1295), Roberto divenne erede al trono di Sicilia. In seguito al Trattato di Anagni ed in cambio della rinuncia di Giacomo II d'Aragona alla Sicilia, il 23 marzo del 1297, a Roma, ne sposò la sorella Jolanda (o Violante), figlia del re di Aragona Pietro III di Aragona e della regina Costanza di Sicilia, figlia del re di Sicilia Manfredi (quindi nipote dell'imperatore Federico II di Svevia) e di Beatrice di Savoia (?-1258). Inoltre Violante era sorella dei re d'Aragona, Alfonso III d'Aragona, Giacomo II d'Aragona, del re di Sicilia, Federico III di Sicilia e della regina del Portogallo, Santa Elisabetta. Non ci fu però tregua fra le due casate e i baroni siciliani lo avevano rifiutato, ed avevano eletto re il fratello di Giacomo, Federico III d'Aragona.
La guerra riprese con violenza e dopo che una flotta aragonese-napoletana aveva riportato la vittoria sui siciliani nel 1299, lo scontro si era spostato in Sicilia, dove i figli di Carlo II lo Zoppo, Roberto col fratello, Filippo I di Taranto, avevano conquistato Catania e cinto d'assedio Messina; Federico però aveva riportato una notevole vittoria, nella piana di Falconara (Trapani), aveva resistito a Messina, facendo prigioniero Filippo, e resisteva in Calabria.
Dopo che il papa Bonifacio VIII, nel 1300, aveva chiamato in aiuto i templari, gli ospitalieri ed i riluttanti Genovesi, la situazione non progredì, fatta eccezione per una nuova brillante vittoria della flotta di Ruggero di Lauria su quella siciliana, il 14 giugno.
Infine Bonifacio VIII si rivolse al re di Francia, Filippo IV il Bello, che inviò un esercito al comando del fratello, Carlo di Valois, che, arrivato in Sicilia, nel maggio del 1302, bruciando e depredando, l'attraversò sino a Sciacca, dove però arrivò distrutto dalla malaria e per la paura di un deciso attacco da parte di Federico, che gli offrì la pace. La guerra dei Vespri Siciliani terminò con la pace di Caltabellotta, del 30 agosto, che portò alla definitiva separazione della Sicilia dal Regno di Napoli e gli Angioini persero definitivamente l'isola.

Guerre contro i ghibellini e gli imperatori
Dopo la morte di papa Benedetto XI, Roberto fu eletto capitano della lega Toscana, che avrebbe dovuto pacificare i guelfi della Toscana, in lotta tra loro (guerra tra Bianchi e Neri). Roberto giunse in Toscana, nella primavera del 1305, con cavalieri scelti aragonesi e catalani e la fanteria capitanata da Diego de Rat e, il 20 maggio, Pistoia, governata dai Bianchi fu circondata da fiorentini e lucchesi. Ma Roberto che si apprestava ad assaltare la città per conquistarla dovette ritirarsi per l'opposizione del nuovo Papa Clemente V.
Alla morte del padre, nel 1309, divenne re di Napoli consacrato incoronato, a Lione, da Clemente V e da allora fu personaggio importantissimo della vita politica italiana.
Per agevolare la riconciliazione tra guelfi e ghibellini, Clemente V appoggiò il vecchio piano di ricostituire il regno di Arles, mettendo in contatto i capi delle due fazioni, Roberto il Saggio e il nuovo imperatore, Arrigo VII. Il piano prevedeva che il regno di Arles fosse ceduto dall'imperatore a uno dei due figli di Roberto, il quale avrebbe sposato una delle due figlie di Arrigo. Il piano però fallì, oltre che per l'opposizione di vari feudatari provenzali e borgognoni, anche per la fiera opposizione del re di Francia, Filippo il Bello, che, mal sopportando l'instaurazione di un regno dei cugini angioini nel sud-est della Francia, fece molte pressioni sulla corte papale di Avignone, cosicché Clemente V ritirò l'appoggio al progetto, che, senza la sua approvazione, fu tacitamente lasciato cadere.
Comunque, vicario del papa in Romagna, dal 1310, Roberto fu alla testa dei guelfi, che si opponevano ad Arrigo VII (1311-1313), che nel 1312 occupò Roma.
Arrigo VII, lasciata Roma per sottomettere la Toscana, convocò una dieta a Pisa, a cui Roberto non si presentò e fu dichiarato ribelle, meritevole della morte dall'imperatore, che si accordò con Federico III per conquistare il regno di Napoli. Ma mentre si dirigeva verso Roma, per poi invadere il regno di Napoli, a Buonconvento, fu colto da forti febbri malariche che lo portarono alla morte improvvisamente, il 24 agosto 1313.
Dopo la morte di Enrico i suoi sostenitori, i Guelfi, lo definirono «buon Roberto re di un italico regno».
La guerra, interrotta dalla morte di Enrico, proseguì contro i ghibellini Matteo Visconti e Cangrande della Scala. Già in possesso di vasti possedimenti in Piemonte, Roberto estese ulteriormente la propria influenza nella penisola: nel 1317 fu nominato dal papa senatore di Roma, nel 1318, divenne signore di Genova e, nel 1319, di Brescia. In Toscana però i Guelfi da lui guidati subirono due gravi disfatte: a Montecatini, il 29 agosto 1315 e a Altopascio, il 23 settembre 1325, mentre i Bolognesi furono sconfitti a Zappolino, il 25 novembre dello stesso anno quando suo figlio Carlo, Duca di Calabria fu proclamato signore di Firenze e per tre anni guidò i guelfi nelle lotte contro i ghibellini.
Nel 1328 si oppose a Ludovico il Bavaro e nel 1330 si unì alla lega contro Giovanni I di Boemia, che fu costretto a lasciare l'Italia settentrionale.
L'egemonia sull'Italia del sovrano angioino fu logorata tuttavia dagli sforzi per impedire l'ascesa al trono di Sicilia a Pietro II, figlio di Federico III d'Aragona.
Francescano come la moglie Sancha d'Aragona, contribuì in modo determinante al riconoscimento da parte mussulmana del diritto della Custodia di Terra Santa di officiare al Santo Sepolcro e risiedere al Santo Cenacolo.

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Gualtiero di Caltagirone

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Gualtiero (in alcuni caso citato come Gualtiero da Caltagirone), potente barone di origini francesi, era Signore di Butera, Gulfi e Boalgino. Egli era inoltre cognato del generale angioino Bertrando Buccardo detto Artus e sposo di Ioletta figlia di Giovanni di Lentini, vice ammiraglio di Carlo d'Angiò. Pur essendo quindi in buona parte filo-angioino intervenne nel Vespro caldeggiando in un primo momento la soluzione aragonese. Tuttavia Gualtiero era assertore di una soluzione "siciliana" alla crisi, ovvero una reale indipendenza dell'isola pur se sotto l'egida della Chiesa. Parteggiò quindi per gli aragonesi finché Pietro III conquistata la Sicilia non iniziò a mirare al resto del Regno di Sicilia quando si pose in contraddizione anche con questo. Tale scelta incise probabilmente anche sulla sua condanna a morte. Gualtiero sollevò il proprio esercito contro gli aragonesi una prima volta nel corso del 1282, asserragliandosi a Butera (CL) ma venne persuaso a deporre le armi dalla diplomazia del capitano Alaimo di Lentini uomo di fiducia di Giacomo II d'Aragona luogotenente sull'isola della corte di Pietro. Dopo l’incoronazione il re Pietro III, con un diploma del 2 settembre 1282, annunciò la prosecuzione della riscossione delle tasse e dei contributi per continuare la guerra oltre lo stretto di Messina. Molti Signori, ravvisando una similitudine con quanto avevano fatto gli angioini pochi anni prima, si mostrano subito avversi, Gualtiero addirittura si ribellò apertamente nell'aprile del 1283, asserragliandosi nuovamente nel suo castello di Butera con sessanta cavalieri. Alaimo di Lentini intervenne di nuovo, catturando Gualtiero e condannandolo a morte (1283). Gualtiero venne giustiziato per decapitazione il 22 maggio 1283 nel Piano di San Giuliano (oggi piazza Umberto I) a Caltagirone, insieme a Manfredi de Montibus e Francesco de Todis. La confusione sociale di quel periodo portò ad una cruda resa dei conti e diversi baroni che si erano mostrati poco inclini ai nuovi conquistatori aragonesi furono condannati al patibolo, come Manfredi de Montibus, Francesco de Todis, Giovanni Bongiovanni e Tano Tusco nella sola Sicilia orientale. Alla successiva esecuzione per decapitazione assistette tutta la corte aragonese con in testa il futuro re Giacomo II d'Aragona e le più alte autorità civili e militari del regno fra cui il vicario Guglielmo di Calcerando, il Giustiziere Natale Ansaione, il Gran Giustiziere del Regno Alaimo di Lentini, il Gran Cancelliere del Regno Giovanni da Procida[5]. Fra le località siciliane che vengono coinvolte nella ribellione filo-angioina, a seguito del Vespro Siciliano, vi è il Castello di Sperlinga dove i soldati angioini si rinchiusero aspettando un aiuto da parte di Carlo d'Angiò e resistettero all'assedio per quasi 13 mesi. Gli aragonesi ritenevano che la guarnigione avesse contatti con Gualtiero.
La azione di Gualtiero volta alla indipendenza siciliana lo fanno spesso ricordare come martire ed eroe patriottico.
Nel 1983 ricorrendo l'anniversario del VII secolo dalla decapitazione nella piazza San Francesco di Caltagirone venne collocata una statua equestre di Gualtiero opera di Giacomo Baragli. Il suo corpo è oggi sepolto all'interno di una colonna nella chiesa di Santa Maria del Monte a Caltagirone.

http://it.wikipedia.org/wiki/Gualtiero_di_Caltagirone
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