LEGGENDE: IL PRETE GIANNI

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LEGGENDE: IL PRETE GIANNI

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"Articolo estrapolato dalla rivista MEDIOEVO - gennaio 2012"

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Il mito del Prete Gianni

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Verso la fine del XII secolo viene alla ribalta un misterioso personaggio, re e sacerdote di una lontana regione orientale, che in una lettera rivolta ai potenti di quel tempo descrive il proprio regno e le proprie origini. Il suo regno, meravigliosamente descritto, si estendeva attraverso le tre Indie e il deserto di Babilonia fino alla torre di Babele. Questa lettera che Prete Gianni scrisse, o si presume abbia scritto, sta all'origine di un mito che per molti secoli ossessionò viaggiatori, storici, cronisti, narratori - come ad esempio il Mandeville -, e la sua fama divenne così grande che quasi tutti, parlando dì luoghi inesplorati o inaccessibili, credevano che quello fosse il suo territorio. La storia di questa lettera è, indubbiamente, una storia di travisamenti e di falsificazioni, e molto probabilmente l'estensore è un chierico al corrente della letteratura relativa all'Oriente e lettore della Bibbia, il quale era anche a conoscenza dell'esistenza in Asia di popolazioni cristiane, come pure delle leggende che già all'inizio del XII secolo circolavano in Occidente su un potente re indiano chiamato, appunto, Presbyter Johannes. Vera o falsa che fosse la sua esistenza. Prete Gianni diventa comunque subito un personaggio mitico, legato a molte altre leggende che si propagheranno durante il Medioevo.
“Nei tenitori delle tre Indie, viveva un potente re di nome Quasidio, il quale una notte, mentre dormiva, fece uno strano sogno. Infatti, sentì una voce che gli ingiungeva di edificare un palazzo per il figlio che stava per nascere, il quale sarebbe stato re di tutti i re della terra. A questo palazzo, per volere di Dio, sarebbe stata attribuita una virtù: in quel luogo nessuno avrebbe mai sofferto la fame né alcuna malattia, nessuno che fosse al suo interno poteva morire il giorno in cui vi era entrato, e se qualcuno fosse stato sul punto di morire di fame e fosse entrato nel palazzo, se ne sarebbe andato sazio come se avesse mangiato una infinità di portate e sano come se in vita sua non fosse mai stato ammalato. Sempre nel sogno si parlava di una fonte gustosa e odorosa, che sarebbe sgorgata all'interno del palazzo. Essa sarebbe nata in un angolo e, scorrendo per tutto il palazzo, sarebbe giunta all'angolo opposto dove sarebbe scomparsa sotto terra. Coloro che l'avessero bevuta avrebbero trovato il suo sapore simile a quello che avrebbero desiderato mangiare o bere. Bevuta a digiuno tre volte al giorno, per tre anni, tre mesi, tre settimane, tre giorni e tre ore, quest'acqua avrebbe permesso di vivere trecento anni, tre mesi, tre settimane, tre giorni e tre ore, sempre nel pieno della gioventù, senza invecchiare. Trascorso questo periodo di tempo, chi avesse bevuto l'acqua, avrebbe radunato i consanguinei e gli amici ed avrebbe detto: «Amici miei, parenti miei, ecco che sto per morire. Vi chiedo di chiudere il sepolcro sopra di me e di pregare per me». Dette queste parole, subito sarebbe entrato nel sepolcro e si sarebbe steso per dormire affinché si compisse la profezia, la quale dice: «Giunta ormai la sua ora renderà l'anima al Creatore». il mattino seguente, Quasidio, atterrito da questa visione, si alzò e mentre rifletteva su ciò che aveva visto, molto turbato, udì una voce che veniva dall'alto, ma né lui né coloro che gli erano accanto poterono scorgervi qualcuno: «Quasidio, fa ciò che ti è stato ordinato e non indugiare oltre, poiché tutto sarà come ti è stato predetto». In seguito a questo secondo avvertimento, il re si tranquillizzò del tutto e cominciò a disporre ogni cosa per edificate questo palazzo. Il materiale impiegato per la sua costruzione era di notevole pregio; infatti furono usate solo pietre preziose e oro puro fuso, che venne usato al posto della pietra grezza. La volta del palazzo fu fatta costruire con zaffiri luminosissimi e topazi furono inseriti qua e là, di modo che tutta la volta avesse l'aspetto di un cielo molto sereno punteggiato di stelle. Per il pavimento furono usate tavole di cristallo e tutto il palazzo non era diviso in camere o stanze, ma semplicemente diviso da colonne di oro purissimo modellate a forma di pinnacoli e disposte al suo interno lungo le pareti. Su ognuna di queste colonne c'era un carbonchio della grandezza di un' anfora e il palazzo ne era illuminato allo stesso modo che se fosse stato illuminato dal sole. Nel palazzo c'era una porta di cristallo purissimo incorniciata di oro massiccio, la quale, al passaggio del re, si apriva senza essere toccata, mentre, quando entravano le altre persone, c'erano delle persone preposte alla sua apertura e alla sua chiusura. Quando la costruzione del palazzo fu portata a termine, il re entrava lì dentro ogni giorno, per bere alla fonte. Quando poi si recava da qualche altra parte, faceva portare al suo seguito un po' d'acqua di quella fonte e ogni giorno ne beveva tre volte a digiuno, così come era stato stabilito nella visione. Quando, secondo quanto detto nella visione, Quasidio ebbe un figlio, a questi fu imposto il nome di Gianni. Giunto in età adulta e preso il comando di quelle terre, Prete Gianni, come egli stesso amava definirsi, scrisse una lettera a tutti i potenti della terra per metterli a conoscenza del suo regno e delle meraviglie chi ivi si trovavano e per invitarli a rendergli visita. Prete Gianni, uomo cristiano e protettore e sostenitore dei cristiani poveri del suo regno, aveva settantadue re che gli pagavano i tributi, ed era considerato superiore a tutti i re della terra. Di queste settantadue province, solo poche erano di religione cristiana.

Nei suoi domini c'erano animali e uomini di ogni specie e razza: elefanti, dromedari, pantere, onagri, leoni bianchi e rossi, merli bianchi, cicale mute, grifoni, tigri, sciacalli, iene, sagittari, uomini selvatici, uomini cornuti, fauni, satiri e donne della stessa specie, pigmei, cinocefali, giganti, monocoli, ciclopi, un uccello chiamato fenice e tutti gli animali che vivono sotto la volta celeste. Tra le popolazioni che abitavano il suo regno, ve ne erano alcune che si cibavano solo di carne, sia di quella degli uomini sia di quella degli animali e dei feti, e che non temevano la morte. Quando qualcuno di loro moriva, i consanguinei e gli estranei lo divoravano con grande avidità, sostenendo che era cosa santa mangiare la carne umana. Tra queste genti c'erano anche Gog e Magog, che insieme alla loro progenie furono rinchiuse tra monti altissimi dal giovane Alessandro Magno, il re dei Macedoni. Queste popolazioni venivano impiegate contro i nemici, affinché li divorassero, dopodiché li riportavano nelle loro regioni altrimenti avrebbero divorato completamente tutti gli uomini e gli animali che avessero trovato sul loro cammino. Queste genti avrebbero dovuto uscire dai quattro angoli della terra prima della fine del mondo, ai tempi dell'Anticristo, accerchiando tutte le fortezze dei santi e la città di Roma. Tale è il loro numero che nessun popolo avrebbe potuto opporre loro resistenza. La descrizione di Prete Gianni continua con le meraviglie della sua terra, stillante miele e ricolma di latte. In alcune parti del suo regno non esistevano né veleno né serpenti; gli animali velenosi non potevano abitarvi né far del male ad alcuno. Cosa ancora più meravigliosa era il fiume Indo che scorreva attraverso tutto il suo regno, sgorgante direttamente dal Paradiso, i suoi affluenti si diramavano per l'intera provincia; nelle sue acque si trovavano pietre naturali, smeraldi, zaffiri, carbonchi, topazi, ametiste e molte altre pietre preziose. In questo fiume nasceva un'erba capace di tenere lontano gli spiriti maligni. In un'altra regione c'era un bosco, coperto ovunque di serpenti. Quando il pepe era maturo, gli abitanti che abitavano in quella zona, portavano con sé della paglia, stoppie e legna molto secca, con cui circondavano il bosco da ogni parte e appiccavano il fuoco all'interno e all'esterno del bosco, quando il vento soffiava con forza, in modo tale che nessun serpente potesse uscirne. In questo modo tutti i serpenti morivano nel fuoco, e dopo che il fuoco si era spento, gli abitanti impugnando dei forconi gettavano fuori dal bosco i serpenti arrostiti, facendone dei mucchi compatti. Liberatisi in questo modo dei serpenti, potevano infine raccogliere il pepe seccato, staccato dai ramoscelli bruciati, e cotto, n bosco suddetto si trovava ai piedi dell'Olimpo, monte dal quale sgorgava una fonte in cui si trovavano delle pietre dette midriosi, grazie alle quali i giovani recuperavano la vista. Nelle regioni verso mezzogiorno, c'era un'isola grande, nella quale, per tutto l'anno, due volte la settimana, Dio faceva cadere in quantità abbondante la manna che le popolazioni circostanti raccoglievano e mangiavano. Matti non coltivavano la terra né praticavano alcun tipo di economia, ma si nutrivano solo di quella. Queste popolazioni erano esenti dall'invidia, dall'odio e dalle guerre, non possedevano capi, ma solo l'inviato di Prete Gianni che andava a riscuotere i tributi, consistenti in cinquanta elefanti e altrettanti ippopotami, carichi di pietre preziose e di oro. Costoro che si nutrivano della manna celeste, vivevano circa cinquecento anni; giunti all'età di cento, bevevano un'acqua che sgorgava da una fonte e riacquistavano la loro giovinezza, questo fino al compimento dei cinquecento anni, dopodiché morivano. Essi non erano seppelliti, ma venivano trasportati sull'isola all'ombra degli alberi, dove la loro carne non imputridiva, ma restava fresca, colorita e incorrotta fino al tempo dell'Anticristo, giorno in cui la terra si sarebbe aperta e li avrebbe inghiottiti. Dopo averli inghiottiti, la terra si sarebbe richiusa e la loro carne sarebbe ridiventata terra e di lì sarebbero risorti per presentarsi davanti al Signore il giorno del Giudizio. Verso settentrione, dove finiva il mondo, si estendeva un luogo in cui c'era la cosiddetta caverna dei draghi. In questa profondissima e immensa caverna si trovavano migliaia di draghi che gli abitanti delle province sorvegliavano con grande cautela per evitare che qualche incantatore dell'India riuscisse a rubarne qualcuno. Infatti i principi indiani erano soliti portare dei draghi nei festini nuziali e negli altri banchetti, e non consideravano completo un banchetto nel quale non vi fossero dei draghi. I guardiani di questi draghi con incantesimi e stregonerie domavano, addomesticavano, ammaestravano e rendevano del tutto mansueti quei draghi e assegnavano un nome proprio a ciascuno di loro e applicavano loro morso e sella, cavalcandoli quando e ovunque volessero. Queste popolazioni devolvevano a Prete Gianni, come tributo, cento di questi uomini e cento di questi draghi, di modo che questi stavano in mezzo agli uomini come se fossero pecore e giocavano con loro movendo la testa e la coda come fanno i cani. Questi uomini erano i suoi messaggeri; infatti, venivano mandati in volo per l'aria con quei draghi in tutte le regioni del mondo, per sapere tutto ciò che di nuovo accadeva in ogni parte di esso. Una delle cose più stupende esistente nei domini di Prete Gianni era un mare di sabbia senz'acqua. La sabbia si moveva e si gonfiava in onde come qualsiasi altro mare quando è agitato. Quel mare non poteva essere attraversato né in barca né in nessun altro modo, per cui loro stessi non sapevano come fosse la regione di fronte alla loro. Sebbene l'acqua mancasse del tutto, vicino alla riva che giungeva presso la loro regione, si trovavano diverse specie di pesci dal sapore gustoso e assai saporito. A tre giorni di distanza da quel luogo era situato un monte dal quale scendeva un fiume di pietre, anch'esso senz'acqua, che scorreva attraverso i loro domini fino al mare di sabbia. Questo fiume scorreva per tre giorni alla settimana portando con sé pietre d'ogni genere e trascinando tronchi di legno fino al mare di sabbia; quando il fiume si congiungeva al mare, le pietre e i tronchi scomparivano alla vista e non si vedevano più. Mentre il fiume scorreva nessuno poteva attraversarlo, ma negli altri quattro giorni la traversata era possibile. In una pianura esisteva una pietra dalle meravigliose virtù; essa possedeva il potere di uno straordinario medicamento: curava tutti i cristiani e coloro che intendevano abbracciare questa religione, da qualunque infermità fossero afflitti. Questa pietra era cava come una conchiglia e conteneva l'acqua che era sempre alta circa quattro dita; era sorvegliata da due persone anziane. Quando qualcuno era ammalato e si avvicinava, per prima cosa gli veniva chiesto se era cristiano o se volesse diventarlo; dopo aver risposto, costui si liberava dei vestiti ed entrava nella conchiglia, e se aveva affermato il vero, l'acqua iniziava a salire fino a ricoprirlo completamente. Quindi, a poco a poco l'acqua decresceva e tornava al suo solito livello; coloro che erano entrati nell'acqua ne riemergevano guariti dalla lebbra o da qualsiasi altra malattia. In un'altra provincia abbondavano dei vermi chiamati salamandre, che vivevano solo nel fuoco e si circondavano di una sorta di pellicola, come gli altri vermi che procuravano la seta. Questa pellicola veniva lavorata con cura dalle donne del palazzo ove viveva Prete Gianni e ne ricavavano vesti e panni per le loro necessità. Questi abiti si lavavano solo in un fuoco che ardesse violentemente. D regno di Prete Gianni abbondava d'oro, argento e pietre preziose, ed era disposto ad accogliere qualsiasi ospite che venisse da fuori e tutti i pellegrini, hi questo regno non vi era nessuno che fosse povero, né esistevano ladri e predoni. Tutto era in comune e non esisteva divisione di proprietà, essendo i suoi sudditi ricolmi di ogni ricchezza. Avevano a loro disposizione delle pietre il cui potere era tale da incidere sugli eventi atmosferici, ma fra queste alcune erano davvero eccezionali. Una aveva il potere di trasformare l'acqua in latte, un'altra l'acqua in vino. Un'altra ancora se veniva gettata nell'acqua dove non c'erano pesci, questi, non appena vi era immersa, in qualunque parte si trovassero, si dirigevano rapidamente verso quel luogo e non potevano allontanarsi fino a quando la pietra non veniva tolta. Presso di loro c'erano dei pesci dal cui sangue si produceva la porpora. Un'altra pietra era consacrata, così che se un cacciatore, inoltrandosi nella foresta, la trascinava dietro di sé legata con viscere di drago, tutti gli animali della foresta si sentivano come attratti da una forza irresistibile e lo seguivano. Quando la pietra veniva tolta di lì, liberata dalle viscere del drago e nascosta in una grotta, le bestie si disperdevano di nuovo. Quando le truppe di Prete Gianni muovevano guerra contro i loro nemici, al posto dei vessilli facevano avanzare tredici croci grandi e molto alte, lavorate in oro e pietre preziose, ciascuna issata su un carro; ognuna di esse era seguita da centomila cavalieri e da centomila fanti armati. A loro disposizione avevano molti mezzi di difesa, popoli foltissimi e dalle forme più varie, tra cui le foltissime Amazzoni. Ogni anno Prete Gianni con tutta la sua corte rendeva visita con un grande esercito al corpo del Profeta Daniele, nella deserta Babilonia, e tutti erano armati a causa dei serpenti velenosi e di altri serpenti che erano chiamati «spaventosi». Tra di loro non esistevano mentitori e se qualcuno cominciava a mentire, moriva all'istante, cioè era ritenuto morto dagli altri e non avrebbe ricevuto più onori. Tutti perseguivano la verità e si amavano l'un l'altro, senza che vi fosse adulterio e alcun altro vizio. La loro corte mangiava una volta al giorno e ogni giorno alla loro mensa si nutrivano circa trentamila uomini, oltre agli ospiti occasionali. Tutti ricevevano ogni giorno i doni necessari, tanto in cavalli quanto in altre regalie. Ogni mese alla loro mensa servivano sette re, ognuno secondo il suo grado, settantadue duchi e trecentosessantacinque conti, oltre a coloro ai quali erano affidate altre incombenze. Alla loro mensa mangiavano ogni giorno dodici arcivescovi e venti vescovi, oltre al patriarca di San Tommaso, al protopapate di Samarcanda e all'arciprotopapate di Susa. Ognuno di loro tornava ogni mese nella sua sede, secondo un turno prestabilito. Gli altri restavano sempre alla corte di Prete Gianni, e gli abati, ciascuno per ogni giorno dell'anno, servivano nella sua cappella, e ogni mese se ne tornavano poi nella loro, mentre altrettanti tornavano presso questa corte per prestare quello stesso servizio. Nella corte vi erano molti ministeriali i quali erano insigniti di un nome e di una funzione più alti, per quanto riguarda la dignità ecclesiastica, e superiore a qualsiasi officio divino, fl loro scalco era, infatti, primate e re, il coppiere arcivescovo e re, il ciambellano vescovo e re, il maniscalco re e archimandrita e il capocuoco re e abate. Per questo motivo Prete Gianni non aveva voluto accettare di essere designato con questi nomi o di essere insignito con gli stessi ordini dei quali la corte era piena, e perciò per umiltà aveva scelto di essere denominato con un nome meno nobile e con un grado inferiore: quello di prete. La lettera di Prete Gianni così concludeva: «Ora non possiamo parlarti quanto dovremmo della nostra gloria e della nostra potenza. Ma quando verrai presso di noi dirai che in verità siamo signori dei signori di tutta quanta la terra. Per il momento sappi solo che i nostri domini si estendono da un lato, in larghezza, per circa quattro mesi di viaggio, mentre in verità nessuno può sapere sin dove si spingano in lunghezza. Se tu potessi contare le stelle del ciclo e la sabbia del mare, allora potresti misurare i nostri domini e la nostra potenza».

da http://www.europamedievale.eu
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