Vespri siciliani

Campagne militari, guerre e battaglie
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Veldriss
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« se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!". »
(Dante, Divina Commedia, canto VIII del Paradiso)


I Vespri siciliani sono un evento storico avvenuto nella Sicilia del XIII secolo.

Quadro storico
Dopo la morte di Corrado, la sconfitta di Manfredi a Benevento e la decapitazione a Napoli il 29 ottobre 1268 dell'ultimo e pericoloso pretendente svevo Corradino, il Regno di Sicilia era stato definitivamente assoggettato al sovrano francese Carlo I d'Angiò. Papa Clemente IV, che nel 1263 aveva già incoronato Carlo re di Sicilia, e sperava così di poter estendere la propria influenza all'Italia meridionale senza dover subire i veti precedentemente imposti dagli svevi, dovrà rendersi ben presto conto che gli angioini, disattesi i patti convenuti, prenderanno subito a perseguire una politica aggressivamente espansionistica: conquistato il meridione d'Italia, le mire di Carlo volgevano infatti già ad Oriente ed a quel che restava dell'impero bizantino.
In Sicilia la situazione si era fatta particolarmente critica per una generalizzata riduzione delle libertà baronali ed una opprimente politica fiscale. L'isola, da sempre fedelissima roccaforte sveva, che dopo la morte di Corradino aveva resistito ancora per alcuni anni era ora il bersaglio della rappresaglia angioina[2]. Gli Angiò si mostrarono insensibili a qualunque richiesta di ammorbidimento ed applicarono un esoso fiscalismo praticando usurpazioni, soprusi e violenze. Tanto che Dante, che nel 1282 aveva solo 17 anni, nell'VIII canto del Paradiso indicherà come Mala Segnoria il regno angioino di Sicilia. I nobili siciliani e in particolare il diplomatico Giovanni da Procida riponevano le proprie speranze in Michele VIII Palaeologo, imperatore bizantino già in contrasto con Carlo I d'Angiò, in Papa Niccolò III, che si era dimostrato disponibile ad una mediazione, ed in Pietro III d'Aragona. Il re d'Aragona, in particolare, era guardato con favore perché sua moglie Costanza, in quanto figlia di Manfredi e nipote di Federico II, risultava l'unica pretendente legittima della casa di Svevia; tuttavia egli era impegnato nella riconquista di quella parte della penisola iberica ancora in mano agli arabi. Alla fine del 1280, in concomitanza della morte di papa Niccolò III e della guerra che impegnava il Paleologo contro una coalizione di cui facevano parte veneziani ed angioini, i baroni siciliani ruppero gli indugi organizzando una sollevazione popolare che desse un segno tangibile della loro determinazione convincendo l'unico interlocutore rimasto, Pietro d'Aragona, ad accorrere finalmente in loro aiuto. In quel mentre avveniva l'elezione del papa di origini francesi Martino IV su cui i siciliani riposero le loro ultime speranze, ma questi, eletto proprio grazie al sostegno degli Angiò, si mostrò fin dall'inizio insensibile alla loro causa.
Nell'instabile panorama politico della fine del XIII secolo, la rivolta siciliana, intrecciando l'opposizione al potere temporale dei papi al contenimento dell'inarrestabile ascesa dei loro vassalli angioini, innescherà nel Mediterraneo un vero e proprio conflitto internazionale: da una parte Carlo I d'Angiò, sostenuto da Filippo III di Francia e dai guelfi fiorentini, oltreché dal papato; dall'altra Pietro III d'Aragona, appoggiato da Rodolfo d'Asburgo, da Edoardo I d'Inghilterra, dalla fazione ghibellina genovese, dal Conte Guido da Montefeltro e da Pietro I di Castiglia, oltreché più tiepidamente dalle Repubbliche marinare di Venezia e di Pisa.

La rivolta del lunedì di Pasqua
Tutto ebbe inizio mentre si era in attesa della funzione del Vespro del 30 marzo 1282, Lunedì di Pasqua, sul sagrato della Chiesa dello Spirito Santo, a Palermo. A generare l'episodio fu - secondo la ricostruzione storica - la reazione al gesto di un soldato dell'esercito francese, tale Drouet, che si era rivolto in maniera irriguardosa ad una giovane nobildonna accompagnata dal consorte, mettendole le mani addosso con il pretesto di doverla perquisire. A difesa di sua moglie, lo sposo riuscì a sottrarre la spada al soldato francese e a ucciderlo. Tale gesto costituì la scintilla che dette inizio alla rivolta. Nel corso della serata e della notte che ne seguì i palermitani - al grido di "Mora, mora!" - si abbandonarono ad una vera e propria "caccia ai francesi" che dilagò in breve tempo in tutta l'isola, trasformandosi in una carneficina. I pochi francesi che sopravvissero al massacro vi riuscirono rifugiandosi nelle loro navi, attraccate lungo la costa.
Si racconta che i siciliani, per individuare i francesi che si camuffavano fra i popolani, facessero ricorso ad uno shibboleth, mostrando loro dei ceci («cìciri», nella lingua siciliana[8]) e chiedendo di pronunziarne il nome; quelli che venivano traditi dalla loro pronuncia francese (sciscirì), venivano immediatamente uccisi.

Gli organizzatori
Secondo la tradizione, la rivoluzione del Vespro fu organizzata in gran segreto dai principali esponenti della nobiltà siciliana. Quattro furono i principali organizzatori:
Giovanni da Procida, della famosa Scuola medica salernitana, medico di Federico II;
Alaimo di Lentini, Signore di Lentini;
Gualtiero di Caltagirone, Barone, Signore di Caltagirone;
Palmiero Abate, Signore di Trapani e Conte di Butera.
Secondo I Raguagli Historici del Vespro Siciliano di Filadelfo Mugnos, nell'organizzazione della rivolta questa fu la ripartizione:
Ad Alaimo di Lentini fu assegnato il Val Demone con la città di Messina. A sua volta questi affidò:
Milazzo e le terre vicine a Natale Anzalone e Bartolomeo Collura; Castroreale a Bartolomeo Graffeo; il territorio da Patti a Cefalù a Tommaso Crisafi e Cefaldo Camuglia; il territorio da Taormina a Catania a Pandolfo Falcone; San Filippo a Girolamo Papaleo; Nicosia a Pietro Saglinpepe e Lorenzo Baglione; Troina a Iacopino Arduino.
A Palmiero Abate fu assegnato il Val di Mazara e a sua volta questi affidò:
Trapani ed Erice ai fratelli; Marsala e le terre vicine a Berardo Ferro; Termini a Giovanni Campo; Enna, Calascibetta e altre terre ad Arrigo Barresi; Salemi, Polizzi e Corleone a Guido Filangeri; Licata a Rosso Rossi e Berardo Passaneto; Agrigento a Giovanni Calvelli; Naro a Niccolò Lentini e Lucio Putti.
A Gualtiero di Caltagirone fu assegnato il Val di Noto, il quale si riservò di organizzare la rivolta in prima persona a Caltagirone, Piazza e Aidone. Affidò invece:
Mineo e alcune terre vicine al figlio Perotto; Catania a Pietro Cutelli e Cau Tedeschi; Lentini a Giovanni Balsamo e Lanfranco Lentini; Siracusa a Perrello Modica e Pietro Manuele; Modica, Ragusa e altri luoghi a Manfredi Mosca; Vizzini ad Arnaldo Callari e Luigi Passaneto; Noto a Luigi Landolina e Giorgio Cappello.

La prima fase del Vespro
All'alba dell'indomani, la città di Palermo si proclamò indipendente. La rivolta si estese subito a tutta la Sicilia.
Dopo Palermo fu la volta di Corleone, Taormina, Messina, Siracusa, Augusta, Catania, Caltagirone e, via via, tutte le altre città. Successivamente, gli insorti richiesero il sostegno del Papa Martino IV, affinché appoggiasse l'indipendenza dell'isola e la patrocinasse; tuttavia, il pontefice era stato eletto al soglio papale grazie all'appoggio dei suoi connazionali francesi e pertanto non accolse le richieste degli isolani, bensì appoggiò l'azione repressiva degli angioini.
Carlo I d'Angiò tentò invano di sedare la rivolta con la promessa di numerose riforme; alla fine decise di intervenire militarmente.

Antudo e la bandiera
Famoso simbolo di quella lotta divenne il termine «Antudo!», una parola d’ordine usata dagli esponenti della rivolta. Il 3 aprile 1282 veniva adottata la bandiera giallo-rossa, con al centro la Trinacria e che diverrà il vessillo di Sicilia. La bandiera venne formata dal rosso di Corleone e dal giallo di Palermo a seguito di un atto di confederazione stipulato da 29 rappresentanti delle due città. Antudo fu scritto anche nel vessillo.
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La Guerra del Vespro
Secondo un cronista siciliano, Carlo I inviò in Sicilia una flotta con 24.000 cavalieri e 90.000 fanti. In realtà, tali numeri erano per l'epoca effettivamente esagerati: più accreditata è la stima del Villani, che parla di un totale di 5.000 uomini, di cui 500 provenienti da Firenze.[6] A fine maggio 1282, l'esercito sbarcò tra Catona e Gallico (a nord di Reggio) iniziando l'assedio di Messina e bloccando di fatto l'intervento di Reggio a sostegno della città siciliana. La città dello Stretto era allora comandata da Alaimo di Lentini che, nominato Capitano del Popolo, organizzò la resistenza nella città. Il primo assalto navale fu il 2 giugno, respinto dai siciliani; indi sbarcò sulle coste di Messina il 25 luglio 1282, ben sapendo che non avrebbe mai potuto avanzare all'interno della Sicilia se non dopo aver espugnato la città sullo stretto. Il 6 e l'8 agosto si ebbe un assalto guelfo italo-francese alle spalle della città, dai colli, respinto dai siciliani. Alla guerra parteciparono tutti i centri dell'isola, tranne Sperlinga (EN), che divenne l'unico caposaldo angioino e dove i soldati si asserragliarono per circa un anno. Nel castello della cittadina infatti, si può ancora leggere di questa fedeltà: Quod Siculis placuit, sola Sperlinga negavit ("Ciò che piacque ai Siciliani, solo Sperlinga lo negò").
L'assedio di Messina durò fino a tutto il mese di settembre, ma la città non fu espugnata. Al periodo storico sono legate due leggende: il Vascelluzzo e Dina e Clarenza.

L'intervento aragonese e la reazione pontificia
Nel frattempo i nobili siciliani avevano offerto la corona di Sicilia a Pietro III d'Aragona,[6] marito di Costanza, figlia del defunto Re Manfredi di Svevia. L'aver fatto cadere su Pietro III la scelta quale nuovo Re di Sicilia significava per gli isolani la volontà di ritornare, in certo qual modo, alla dinastia sveva, incarnata da Costanza. La flotta di re Pietro, comandata da Ruggero di Lauria sbarcò il 30 agosto 1282 a Trapani accolto da Palmiero Abate. L’insurrezione divenne così un vero conflitto politico fra Siciliani ed Aragonesi da un lato e gli Angioini, il Papato, il Regno di Francia e le varie fazioni guelfe dall'altra.
Appena insediatosi Pietro nominò Alaimo di Lentini Gran Giustiziere, Giovanni da Procida Gran Cancelliere e Ruggero di Lauria Grande Ammiraglio. Inoltre assegnò incarichi di primo piano ai suoi fidati Berengario Pietrallada, Corrado Lancia e Blasco I Alagona.
Il 26 settembre 1282 Re Carlo, sconfitto, fece ritorno a Napoli, lasciando la Sicilia nelle mani di Pietro III. Ebbe inizio così un lungo periodo di guerre tra gli angioini e gli aragonesi per il possesso dell'isola.
Nel novembre 1282 il Papa Martino IV, schierato apertamente con Carlo I d'Angiò, lanciò la scomunica su Pietro ed i siciliani.
Gli Aragonesi presero l'impegno di tenere distinti i Regni di Sicilia e di Aragona: il Re nominava un luogotenente che in sua assenza avrebbe regnato in Sicilia. Così quando Pietro fu richiamato in Spagna lasciò la luogotenenza ad Alfonso III d'Aragona e dopo questo verrà investito dell'incarico Giacomo II d'Aragona. Gli aragonesi però frustrarono quasi subito le aspirazioni dei siciliani, quando Pietro, finita l'occupazione dell'isola, sbarcò a Reggio Calabria e puntò a risalire la Calabria in direzione di Napoli. I malumori dei baroni siciliani sfociarono in ostilità aperta e a farne le spese furono alcuni dei capi dei Vespri, come Gualtiero di Caltagirone, che il 22 maggio del 1283 venne condannato al patibolo da Giacomo, figlio di Pietro e luogotenente di Sicilia. La condanna fu eseguita nel "piano di S. Giuliano" a Caltagirone.
Davanti a Malta, l'8 giugno 1283 si affrontarono per la prima volta la flotta catalano-siciliana di Ruggero di Lauria e quella angioina nella cosiddetta Battaglia navale di Malta. L'ammiraglio Ruggero inflisse un duro colpo agli angioini, che furono costretti alla fuga.
Il Papa Martino IV reiterò la scomunica a Pietro nel gennaio, e quindi nel febbraio 1283. Il 2 giugno 1284, da Orvieto, indisse una vera e propria crociata contro il sovrano aragonese, avendo convinto Filippo III di Francia, dopo lunga trattativa, a prenderne il comando[9]. La crociata contro gli Aragonesi si concluderà tuttavia con un disastro, in cui lo stesso Filippo III troverà la morte a Perpignan, il 5 ottobre 1285.
Il 5 giugno 1284, e poi nel 1287, nelle due Battaglie navali di Castellammare, combattute nel Golfo di Napoli, la flotta aragonese con al comando l'ammiraglio Ruggero di Lauria vinse nuovamente quella angioina, comandata da Carlo lo Zoppo, che in occasione del primo scontro venne catturato e tenuto in prigionia nel castello di Cefalù rischiando la pena capitale. Giacomo, infatti, premeva per la condanna a morte, mentre il padre Pietro, tramite Alaimo di Lentini, spinse per cercare un trattato di pace; tale situazione costò la fiducia ad Alaimo. Quest'ultimo avrebbe pagato di persona con la deposizione da Giustiziere e l'esilio sino al 1287 quando Alaimo fu giustiziato per mazzeratura durante il viaggio in nave di rientro in Sicilia.
Il Papa Onorio IV, successore di Martino IV, pur mostrandosi più diplomatico del predecessore, non accettò la sollevazione del Vespro e l'11 aprile 1286 confermò la scomunica per il Re Giacomo di Sicilia e i vescovi che avevano preso parte alla sua incoronazione a Palermo il 2 febbraio 1286; tuttavia, né il Re né i vescovi se ne preoccuparono. Il re inviò addirittura una flotta ostile sulla costa romana e distrusse col fuoco la città di Astura.
Nel 1288 Roberto d'Angiò venne catturato e tenuto in ostaggio dal Re Giacomo per costringere gli angioini a firmare un armistizio nel 1295.
Nel 1291 Alfonso III d'Aragona firmò a Tarascona un trattato con Papa Niccolò IV e Carlo II d'Angiò che prevedeva l'espulsione del fratello Giacomo dalla Sicilia, ma l'accordo non ebbe alcun effetto nella guerra.

Federico III d'Aragona
Alfonso morì nel 1291 e Giacomo, suo successore salì quindi sul trono di Aragona lasciando la luogotenenza in Sicilia al fratello Federico che subito si mostrò molto attento alle istanze dei siciliani. Il Trattato di Tarascona rimase inapplicato e Papa Nicola IV colse l'occasione per lanciare una crociata contro il regno d'Aragona comandata da Carlo di Valois. Nello stesso momento erano in difficoltà anche gli angioini così Giacomo II di Aragona e con Carlo II d'Angiò cercarono con il Trattato di Anagni firmato il 12 giugno del 1295 una via d'uscita dal conflitto del Vespro. Il trattato avrebbe previsto la ritirata degli aragonesi dall'isola e la riconsegna agli Angiò. Così i siciliani si sentirono abbandonati ed in questo contesto il Parlamento siciliano, riunito al Castello Ursino di Catania, elesse a Re di Sicilia Federico disconoscendo Giacomo. Il piano di alleanze fu stravolto: da questo momento i Siciliani continuarono la lotta sotto la reggenza di Federico, contro sia gli Angioini che gli Aragonesi di Spagna del Re Giacomo.
La reggenza di Federico acuì però il malcontento di alcuni grossi feudatari fra i quali l'ammiraglio Ruggero di Lauria che si asserragliò prima nel castello di Aci e successivamente entro le mura di Castiglione di Sicilia, suo feudo impegnando gli aragonesi in un logorante assedio (1297).
L'ammiraglio Ruggero passò quindi dalla parte angioina-aragonese di Spagna e vinse Federico il 4 luglio del 1299 nella Battaglia di Capo d'Orlando.
Il 31 dicembre del 1299 durante la «Battaglia di Falconara», tentativo dei francesi di riconquistare la Sicilia e che venne combattuta fra Mazara del Vallo e Marsala, il generale aragonese Martino Perez de Roisviene vincitore fece prigioniero Filippo I d'Angiò figlio di Carlo II. Il 4 luglio del 1300 nella «Battaglia navale di Ponza» Ruggero di Lauria batteva nuovamente gli aragonesi facendo prigioniero Federico III e Palmiero Abate. Il re riuscì poi a fuggire, mentre Palmiero morì di stenti in prigionia pochi mesi dopo.
Con la fine di Palmiero, scompariva l'ultimo dei promotori del Vespro, dopo Gualtiero e Alaimo che vennero giustiziati e Giovanni da Procida, l'unico, quest'ultimo a morire di morte naturale.

Le fazioni «latine» e «catalane»
Alla conclusione del XIII secolo il regno di Trinacria iniziava ad essere logorato da fazioni che facevano capo alle principali famiglie nobiliari:
alla «fazione latina», legata al partito svevo-ghibellino appartenevano principalmente i Ventimiglia, i Chiaramonte, i Palizzi, i Lanza, gli Uberti;
alla «fazione catalana», legata agli aragonesi appartenevano gli Alagona questi specialmente alla corte di Sicilia ed i Moncada maggiormente vicini alla corte di Barcellona, e Matteo Sclafani i Rosso ed inoltre si possono menzionare i Lentini anche se spesso vennero accostati alla casata angioina (nel corso dei successivi anni '30 del 1300 si aggiungeranno a questa fazione i Peralta).
La guerra civile proseguirà ben oltre il Vespro, in questo periodo e con alcuni trattati si tentò invano di ricomporre la pace fra le fazioni. Il maggior trattato è del 4 ottobre 1362 che venne firmato tra le fazioni latina e catalana.

La Pace di Caltabellotta
La pace di Caltabellotta fu il primo accordo ufficiale di pace firmato il 31 agosto 1302 nel castello della cittadina siciliana fra Carlo di Valois, come capitano generale di Carlo II d'Angiò, e Federico III d'Aragona; tale trattato concluse quella che viene indicata come la prima fase dei Vespri.
L'accordo limitava il regno di Carlo II al meridione peninsulare d'Italia ed il titolo di Re di Sicilia, mentre stabiliva che Federico continuasse a regnare in Sicilia, con il titolo di Re di Trinacria. Inoltre, prevedeva che Federico sposasse Eleonora, sorella del duca di Calabria Roberto d'Angiò e figlia di Carlo I. Infine, la pace prometteva che, alla morte di Federico il regno sarebbe tornato agli angioini.
Grazie a questo accordo si avviò anche una ricongiunzione fra la corte aragonese e diversi signori ribelli come Ruggero di Lauria.

Pietro II e la ripresa della guerra
L'accordo di Caltabellotta serviva a Federico per riorganizzare il proprio regno fortemente indebolito dai duri anni di guerra e ciò riusci al monarca sino a quando cercando di eludere il trattato di pace di Caltabellotta assegnò la corona di Re al figlio Pietro, evitando così di far ereditare la corona agli angioini come previsto dagli accordi. Pietro regnò così a partire dal 1321, ben quindici anni prima della morte di Federico (1336), e ciò provocò la inevitabile reazione angioina e la ripresa della guerra.

La pace di Catania
Alla morte di Pietro (1342) succedeva il figlio Ludovico sotto tutela di Giovanni d'Aragona, perché di soli cinque anni. Fu probabilmente grazie alla diplomazia di Giovanni che si raggiunse un accordo con gli Angioini siglato nel Castello Ursino di Catania l'8 novembre 1347 e che andava a chiudere quella che viene definita la seconda fase dei Vespri.

Il trattato Avignonese
Tuttavia Giovanni contagiato dalla epidemia di peste perì ed il giustiziere Blasco II Alagona mal visto dal Parlamento siciliano non riuscì a far ratificare l'accordo. Così la guerra proseguì, con il debole regno di Sicilia nelle mani di Federico IV d'Aragona incalzato dall'esterno dagli angioini, che erano riusciti a riconquistare buona parte dell'isola e dall'interno dall'anarchia causata da vari e potenti signori ribelli. Nel 1349 Eleonora, figlia di Pietro II andava in sposa a Pietro IV d'Aragona in base ad un importante accordo che prevedeva la rinuncia della Spagna alle pretese sulla Sicilia. Una ulteriore ed importante svolta si ebbe nel 1356 quando il governatore di Messina, Niccolò Cesareo, in seguito a dissidi con Artale I Alagona, richiese rinforzi a Ludovico d'Angiò, che inviò il maresciallo Acciaiuoli. Le truppe, assistite dal mare da ben cinque galee angioine saccheggiarono il territorio di Aci, assediando il castello. Proseguirono quindi in direzione di Catania cingendola d'assedio. Artale uscì con la flotta ed affrontò le galere angioine, affondandone due, requisendone una terza, e mettendo in fuga le truppe nemiche. La battaglia navale, che si svolse fra la borgata marinara catanese di Ognina ed il Castello di Aci, fu detta «Lo scacco di Ognina» e segnò una svolta definitiva a favore degli aragonesi nella guerra del Vespro.
Dallo Scacco di Ognina gli angioini non si sarebbero più ripresi tuttavia la guerra fra Sicilia e Napoli si trascinò sino al 20 agosto 1372 quando si concluse dopo ben novanta anni con il Trattato di Avignone firmato da Giovanna d'Angiò e Federico IV d'Aragona e con l'assenso di Papa Gregorio XI.

Conseguenze storiche dei Vespri
I Vespri rappresentano una fondamentale tappa della storia siciliana: il lungo legame tra Sicilia e Aragona, che poi diverrà inclusione dell'isola nel regno unificato di fine XV secolo, nasce in questo contesto. Tale legame realizzò l'inserimento della Sicilia nel teatro mediterraneo, in cui la Corona d'Aragona rappresentava l'avversario degli Angioini e del Papa. L'isola divenne inoltre fulcro di interessi commerciali, contesi tra le potenze marittime di quel tempo (Barcellona, Genova, Firenze, Pisa, Venezia). Infine, moltissime famiglie nobili si trasferirono in Sicilia dalla penisola iberica, integrandosi con la nobiltà siciliana e finendo per costituire una componente importante della nobiltà isolana nei secoli successivi.
Un altro elemento degno di considerazione è la natura particolare del regno così nato. I ceti siciliani dominanti, attraverso il governo provvisorio, avendo richiesto a Pietro di assumere la corona, si rapportarono agli Aragonesi sempre come interlocutori piuttosto che come sudditi, nel segno di una monarchia "pattista", che avrebbe dovuto tutelare e conservare le tradizioni del Regno e quindi anche la sua origine. Sotto questo aspetto, la monarchia sorta nel 1282 differisce profondamente da quella costituita sull'isola dei Normanni e dagli Svevi.

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Alaimo di Lentini

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Alaimo di Lentini (1245 – 2 giugno 1287) è stato un nobile italiano, fu Signore di Lentini e Messina, Gran Giustiziere, Capitano del Popolo e uno dei principali organizzatori del Vespro siciliano.

Biografia
Alaimo di Lentini, di parte guelfa fu esiliato durante il regno di Manfredi di Sicilia. Dalla fine dello svevo con la sconfitta nella Battaglia di Benevento (1266) poté ritornare in Sicilia grazie a Carlo I d'Angiò. Gli angioini appena insediatisi nominarono Alaimo Gran Giustiziere del Regno e Segreto di Sicilia concedendo inoltre una serie di privilegi. Sempre per volere regio, gli fu data in sposa Macalda Scaletta[1], dopo un primo matrimonio con un'altra donna, anch'ella di nome Macalda.
Tuttavia nel 1275 cambiarono gli equilibri e il Re Carlo gli tolse tutti gli incarichi e i privilegi. Caduto in disgrazia nel 1282 fu uno dei maggiori signori che fomentarono la rivolta anti-angioina del Vespro insieme a Gualtiero di Caltagirone, Palmiero Abate, Enrico Ventimiglia e Giovanni da Procida. Nell'agosto del 1282 si insediò a Messina, dove venne eletto come «Capitano del popolo della Repubblica». La città dello Stretto era allora assediata da truppe miste di guelfi-fiorentini e angioini-francesi. A Messina proprio il 6 agosto bloccò e respinse l'assedio al porto con una guarnigione di soli 100 soldati[2]. Fu nominato da Pietro III d'Aragona Gran Giustiziere a vita, con diploma del 21 ottobre 1282.
Nel corso delle tensioni successive fra i signori siciliani e gli aragonesi cercò di trovare una posizione di mediazione. Fu Alaimo che con la propria diplomazia convinse Gualtiero di Caltagirone, asserragliatosi a Butera, a deporre pacificamente le armi a fine 1282. Fu sempre lui a convincere Gualtiero, asserragliatosi nuovamente a Butera nel corso dell'aprile 1283, ad arrendersi una seconda volta, stavolta però arrestandolo e condannandolo alla pena capitale. Probabilmente Alaimo cadde in disgrazia quando concesse la grazia a Carlo lo Zoppo, figlio di Carlo I d' Angiò, che era stato catturato nella Seconda battaglia di Castellammare (1284). Giacomo II d'Aragona, adirato dalla mancata esecuzione dell'angioino, avrebbe punito Alaimo per tradimento, destituendolo dalle cariche pubbliche. Il 19 novembre 1284 fu convocato a Barcellona dove venne trattenuto sino al 2 giugno del 1287, quando, con la scusa di un permesso per ritornare in Sicilia, venne giustiziato in viaggio sulla nave per annegamento (mazzeratura), insieme al nipote Adenolfo da Mineo.

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