IL MEDIOEVO - CASTELLI, MERCANTI, POETI

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STORIA - La Polonia

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di Giulio Sodano

Dopo oltre un secolo di lotte feudali, la Polonia viene unificata da Ladislao. I Tedeschi con l’ordine teutonico hanno approfittato della decadenza polacca per impossessarsi di vaste aree del territorio polacco. Il figlio di Ladislao, Casimiro il Grande è l’ultimo dei Piasti a salire sul trono e svolge un’intensa opera di riforma dello Stato, rivolgendo le sue mire espansionistiche verso est. Dopo una breve parentesi angioina, la Polonia si unisce alla Lituania, formando il più vasto Stato dell’Europa dell’Est.

L’aggressione mongola e le sue conseguenze

La Polonia, come gli altri paesi dell’Europa orientale, nel XIII secolo subisce la brutale invasione dei Mongoli. Batu Khan (1205 ca. - 1255), nipote di Gengis (1167-1227), nel 1241 saccheggia la Galizia e mette a ferro e fuoco Cracovia. Il 9 aprile 1241 sul campo di battaglia di Legnica, in Slesia, stermina i principi polacchi guidati da Enrico II il Pio (?-1241).

Nonostante la scia di distruzioni lasciata dalle scorrerie mongole, il XIII secolo vede in Polonia un significativo avanzamento della vita civile. Alla miriade di principati in discordia, allo strapotere di latifondisti e della Chiesa carica di privilegi, al disordine delle invasioni tartare, sta subentrando un ordine più coerente, una legislazione più omogenea, una maggiore indipendenza. In primo luogo, la distruzione di popolazione a opera dei Tartari apre la strada a una massiccia emigrazione di popolazione tedesca, spesso attirata dagli stessi signori polacchi bisognosi di manodopera e di ripopolare le città. La presenza dell’elemento germanico ha effetti positivi per la Polonia, poiché i Tedeschi sono culturalmente avanzati ed economicamente operosi e sono forza animatrice delle città. Nel Trecento a Cracovia e a Leopoli si instaura il diritto comunale sulla base degli statuti di Magdeburgo. Presto, tuttavia, questa presenza tedesca è anche motivo di frizioni con le popolazioni slave, che vedono eccessivamente invadente questa presenza germanica.
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STORIA - L’Ungheria

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di Giulio Sodano

Le devastazioni tartare costano agli Ungheresi la metà della popolazione. Per ricoprire i vuoti si ricorre a immigrati. Nel 1222 Andrea II concede la Bolla d’oro a ratifica dei diritti costituzionali della nobiltà ungherese, che da questo momento gode di enormi privilegi. La dinastia degli Arpadi si estingue nel 1301 e l’Ungheria passa sotto il dominio degli Angioini di Napoli, con Carlo Roberto e Luigi I. Il regno con i sovrani angioini si integra pienamente nel sistema politico europeo.

Le devastazioni mongoliche e loro conseguenze

La politica internazionale dell’Ungheria nel XIII secolo evidenzia che il Paese si è rafforzato al punto di poter far a meno, rispetto al passato, dell’appoggio per la sua espansione dell’Impero bizantino. È ormai invece l’Impero bizantino, dopo la crociata latina, a dover ricorrere all’aiuto degli Ungheresi. È infatti indiscutibile il ruolo che i sovrani ungheresi svolgono nell’appoggiare i Paleologhi nella restaurazione dell’impero, fino alla riconquista di Costantinopoli del 1261.

Ma nel corso del Duecento anche l’Ungheria conosce la devastante invasione del Mongoli. Intorno al 1240 giunge l’orda di Batu Khan (1205 ca. - 1255), nipote di Gengis (1167-1227), che, dopo aver messo a ferro e fuoco la Russia, sconfigge i principi ungheresi guidati da Bela IV (1206?-1270) sul fiume Sajo. Il re stesso deve lasciare il Paese e rifugiarsi in Dalmazia. Le devastazioni tartare (1241-1242) decimano gli Ungheresi, dimezzando la popolazione. Proprio il crollo demografico incoraggia l’afflusso di nuove popolazioni, questa volta provenienti dall’Occidente. È questo uno dei fenomeni più rilevanti del Duecento ungherese. I monarchi magiari favoriscono, infatti, l’afflusso di immigrati per risollevare il Paese. Particolarmente importante per le terre ungheresi è, infatti, la corrente colonizzatrice che conduce artigiani e commercianti negli insediamenti cittadini già esistenti, nelle sedi fortificate e nei centri minori. I coloni di varie nazionalità importano nuovi mestieri e nuove tecniche produttive e commerciali. Sul bacino del Danubio si affacciano diverse etnie: Valloni, Italiani ma soprattutto Tedeschi, che conferiscono alle terre dell’Ungheria un carattere di particolare vicinanza all’Europa occidentale. Nel Paese si introducono anche nuove forme di governo cittadino, mutuate per lo più dalle città tedesche. Nel 1244, ad esempio, il re Bela IV concede alla città di Pest uno statuto d’autonomia per il quale la città si governa sulla base degli statuti di Magdeburgo.

Il debole governo degli ultimi Arpadi e la formazione del potere dei magnati

Nel corso del XIII secolo si è cominciata a organizzare la società secondo un ordine feudale, con il trasferimento ai privati di grandi risorse, in passato appartenenti alla corona. Nel 1222 Andrea II (1176 ca. - 1235, re dal 1205) concede la Bolla d’oro a ratifica dei diritti costituzionali della piccola e grande nobiltà ungherese. Numerosi sono i privilegi e le immunità del ceto nobiliare magiaro e dell’alto clero, tra cui quello dell’esenzione dalle imposte. La Bolla segna il passaggio da quella che è stata una forte monarchia patriarcale a un dominio nobiliare indisciplinato. Negli anni del sovrano bambino Ladislao IV (1262-1290, re dal 1272) si raggiunge nel Paese la completa anarchia. A fine secolo i proprietari terrieri hanno preso le redini del governo, mentre i magnati maggiori esercitano le cariche pubbliche come poteri privati.

Al momento dell’estinzione della famiglia, diversi pretendenti al trono possono basare i loro diritti in base alla linea femminile di discendenza degli Arpadi. Carlo Roberto, nipote di Carlo II di Napoli (1252-1309, re dal 1285) e Maria d’Ungheria (1257-1323), può vantare maggiori diritti. Gli si oppongono, tuttavia, i sostenitori di Venceslao di Boemia (1271-1305, re dal 1278), genero dell’ultimo re degli Arpadi.
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STORIA - La penisola balcanica

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di Fabrizio Mastromartino

Il sacco di Bisanzio sconvolge la frammentata articolazione della penisola balcanica. Il vuoto di potere è ben presto colmato dall’ascesa delle dinastie bulgara e serba, che assumono un’incontrastata egemonia nella regione. La supremazia faticosamente conquistata dalla Grande Serbia di Stefano Dus˘an si dimostra subito effimera. L’indipendenza dell’intera penisola è poi compromessa negli ultimi decenni del XIV secolo dall’inarrestabile avanzata delle armate ottomane.

La costruzione della Grande Serbia

L’estensione dei confini del regno verso la Macedonia e l’Albania rinsaldano il potere serbo nella regione, la cui capitale dal 1282 diviene Skopje. Stefano Uros˘ II (1253-1321) allarga ulteriormente i territori del regno, annettendo parte della Bosnia e l’intera costa adriatica albanese nei decenni a cavallo tra il Trecento e il Quattrocento.
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STORIA - I principati russi

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di Giulio Sodano

L’invasione dei Mongoli separa i Russi dall’Europa. Per due secoli parte della Russia diventa provincia di un impero asiatico, mentre l’altra è sottoposta a continue scorrerie e tributi. Nel XIV secolo la zona nord-orientale inizia a dare segni di ripresa. La rivalità tra Tver’ e Mosca vede l’affermazione della seconda, anche grazie alle sue alleanze strategiche con i Mongoli. Nel 1364 i principi di Mosca si fregiano del titolo ereditario di Gran Principe di Vladimir e cominciano a perseguire il progetto dell’unificazione di tutti i Russi.

L’invasione mongola

Per circa due secoli i Mongoli separano la Russia dall’Europa, gettandola nella miseria e nell’arretratezza, distruggendo le sue strutture politiche. Il XIII secolo per gli Slavi orientali rappresenta una catastrofe, un secolo oscuro. Con la popolazione cittadina spariscono infatti le attività manifatturiere ad alto valore tecnologico come l’oreficeria, l’argenteria e la tessitura di pregio. Tra il Volga e il Don si insedia, invece, una popolazione asiatica che costituisce la base moderna dell’odierna popolazione tartara. I Tartari fondano uno stato fiorente, l’Orda d’oro, che per secoli vive di incursioni. Solo il centro della Russia occidentale, da Novgorod a Galic, resta fuori dal dominio tartaro e prosegue il suo sviluppo, con scambi con l’Occidente. Ma anche i principati di questa Russia indipendente pagano spesso pesanti tributi e subiscono scorrerie. I principati orientali della Russia diventano invece direttamente vassalli dell’Orda d’oro. Come gli altri territori dell’impero mongolo, vengono governati con durezza. La Russia è ridotta a essere una provincia occidentale di un impero asiatico e solo i contatti ecclesiastici con Costantinopoli e gli scambi commerciali con il Baltico la uniscono all’Europa. I principi sono convocati a intervalli regolari all’accampamento del Khan e vengono obbligati a camminare tra due fila di fuoco, a fermarsi sotto il giogo e costretti a prostrarsi. I tributi vengono pagati ai governatori mongoli presenti sul territorio. I Mongoli pretendono il dieci percento di tutti i beni, uomini e cose.

La Chiesa russa al tempo dei Mongoli

La Chiesa ortodossa è l’unica istituzione che resiste all’urto dei Mongoli e nel corso del XIII e del XIV secolo costituisce la sola forza in grado di cementare e mantenere in vita l’unità dei Russi. In particolare è il monachesimo che impedisce alla Russia di trasformarsi in una società asiatica. Proprio grazie a questa funzione che svolge per due secoli, la Chiesa ortodossa ha una forte capacità di penetrazione nell’ambito della società russa, che diventa profondamente clericalizzata. Con la distruzione di Kiev del 1240, il metropolita fugge al Nord. Nel 1299 Massimo (metropolita di Kiev, Vladimir e di tutta la Rus’ dal 1283 al 1305) elegge Vladimir come propria residenza. Con lo scoppio delle rivalità tra Tver’ e Mosca, la Chiesa ortodossa si schiera con la seconda. I principi di Mosca, a partire da Ivan I Kalita, sono infatti molto generosi verso il clero e ricevono in cambio l’appoggio dalle gerarchie ecclesiastiche, che irradiano sul loro potere politico anche il carisma religioso.
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STORIA - Il khanato dell’Orda d’oro

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di Marie Francine Favereau

L’Orda d’oro è uno Stato nato dall’Impero mongolo che diviene indipendente nella seconda metà del XIII secolo. A quest’epoca l’Orda d’oro raggiunge la sua espansione massima, coprendo la Bulgaria danubiana, la Crimea, il Caucaso, i principati russi, la valle del Volga, la Siberia meridionale e le steppe dell’ovest del Kazakistan. Il cuore dello Stato si trova nella valle del Volga, che rimane la terra di predilezione della dinastia dominante dei khan fino alla conquista russa, verso il 1550.

Una formazione statale originale, turco-mongola e musulmana

I khan, che si considerano come l’avanguardia europea dell’impero, impongono rapidamente le proprie mire politiche. Intorno al 1250 scelgono l’islam, facendo dell’Orda d’oro il primo Stato musulmano dell’Impero mongolo. L’organizzazione amministrativa si basa su una cancelleria di lingua turca, riprendendo così pratiche molto antiche (specialmente uigur) e acquisendo una posizione originale di fronte a tutti gli altri poteri del mondo musulmano, che mostrano una predilezione per il persiano e l’arabo. Lo Stato così formato conosce una longevità considerevole (quasi tre secoli: dal 1250 fino al 1550 circa).

Kipchak o Tataro? Khanato o sultanato? I nomi dell’Orda d’oro

Presentare l’Orda d’oro come uno Stato monolitico nel tempo e nello spazio sarebbe vano dato che, nonostante una storiografia prolissa, squarci interi della sua storia restano ancora sconosciuti. Tra le cause maggiori di queste lacune ci sono la scomparsa quasi totale degli archivi dei khan e le vicissitudini che colpiscono queste regioni. La storia dell’Orda d’oro, ricostituita dalle fonti straniere, ne porta i segni: gli ingranaggi del sistema statale non sono ancora stati pienamente chiariti e così pure i legami che strutturano una società eterogenea, cosmopolita e multi-confessionale (nomadi e sedentari, come musulmani, cristiani, ebrei, sciamanici o animistici, si frequentano). L’approssimazione della terminologia, applicata ai popoli o allo Stato, evidenzia le lacune della storiografia. Si può citare come esempio il termine “tataro”, usato per designare gli abitanti dell’Orda d’oro: la parola viene dal nome di una confederazione nomade, potente nel XII secolo, che vive vicino al lago Bajkal e nel nord della Mongolia. Dopo la conquista, la stessa parola è usata nelle fonti per designare, in modo generale, l’élite al potere nell’Impero mongolo; e non ha più dunque nessun valore etnonimico. Quanto al nome “tartaro”, caduto in disuso, sarebbe ispirato dalla sonorità della parola “tataro”, evocatrice del termine greco “tartaros” (la zona più profonda dell’inferno e, per estensione, l’inferno stesso); esso coincide perfettamente con l’immagine terribile dei guerrieri nomadi di Gengis Khan, questi demoni usciti dal nulla.

Anche l’Orda d’oro è stata chiamata in modi diversi: la Grande Orda, il khanato del Kipchak, il khanato Tatar, l’ulus di Djoci, il regno o il paese del Nord ecc. Denominazioni numerose da non considerare anodine, perché rimandano alla realtà trasmessa dai contemporanei. Nelle fonti islamiche il nome più diffuso è “il khanato del Kipchak”, in riferimento alla pianura del Kipchak che si estende dal Volga alla zona tra il Caspio e il Mar Nero, dove vivono i Kipchak (conosciuti ugualmente come Cumani o Polovce), tribù turche parzialmente cristianizzate. Queste popolazioni si alleano con i Russi contro i Mongoli, ma subiscono una sconfitta importante sulla Kalka nel maggio 1223, dopo la quale non si risolleveranno più. Contrariamente ai Russi, che pagano tributi per avere una certa indipendenza, i Kipchak non riescono a conservare nessuna autonomia e sono progressivamente integrati nell’Orda d’oro, in parte come guerrieri nelle armate del khan e in parte come schiavi venduti nei mercati della Crimea o dell’Egitto. Il successo dell’espressione “khanato del Kipchak” mostra quanto sia rilevante l’identità turca dell’Orda d’oro nello spirito dei musulmani dell’epoca. La componente mongola, anche se è innegabilmente presente al più alto livello dello Stato, rimane minoritaria, mentre la componente turca “kipchak”, prima dominata, si impone come riferimento. Quanto al nome “Orda d’oro” (zolotaia Orda), che prevale tra gli storici attuali, sembra emergere tardivamente (dal XVI secolo) attraverso le cronache russe. Questa espressione è usata anche nei testi epici turchi e nella storiografia del Tatarstan contemporaneo. Ne esistono varianti, usate convenzionalmente per rilevare momenti importanti della cronologia: “Orda Bianca” (Ak Orda) e “Orda Blu” (Kök Orda) distinguono le ali orientale e occidentale dello Stato (seconda metà XIII sec. - prima metà XIV sec.); “Orda d’oro” designa lo Stato all’apice della sua potenza, riunito sotto l’egida del khan Toktamish (fine XIV sec. - prima metà XV sec.); “Grande Orda” corrisponde al periodo di decadenza dello Stato (seconda metà XV sec. - prima metà XVI sec.). In realtà, tutte queste denominazioni possono essere usate senza distinzione per designare la stessa entità statale. Hanno le loro radici nella parola mongola “ordu” che dà, in latino e russo, il termine “orda”. “Ordu” è la tenda del capo nomade e, per estensione, l’accampamento nomade o la corte del khan. L’aggiunta del qualificativo “d’oro”, che significa “reale” nella cultura delle steppe, riflette l’immagine della tenda sontuosa e del trono riccamente ornato del khan. Quindi l’espressione “Orda d’oro” designa il luogo “in movimento” dove si trova il centro del potere nomade.

Il khan, sempre in movimento, incarna il cuore dello Stato. La sua corte è dipinta dai viaggiatori come una gran città mobile e i siti urbani come i riflessi dell’accampamento reale (da cui viene il nome di Saray, che significa in persiano “palazzo-accampamento reale”). Negli atti ufficiali i khan chiamano il loro regno il Grande Ulus, il Trono e, più spesso, l’Orda o la Grande Orda. Inoltre, si può affermare che l’Orda d’oro, definita “khanato” nelle fonti straniere, è ugualmente un “sultanato”. Difatti, come ogni sovrano del mondo musulmano, il khan si proclama “sultano”.
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STORIA - L’Impero bizantino e la dinastia paleologa.

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L’Impero bizantino e la dinastia paleologa. Declino e guerre civili

di Tommaso Braccini

La riconquista di Costantinopoli nel 1261 segna la rinascita dell’Impero bizantino, che, tuttavia, si trova fin da subito ad affrontare gravi problemi economici e, per tutto il XIV secolo, una situazione di ricorrente instabilità interna, provocata da dissidi dinastici e religiosi, con lo scatenarsi della controversia esicastica. Di questa situazione approfittano i Turchi ottomani, in grande espansione.

Michele VIII e la minaccia angioina

Michele VIII Paleologo (1224-1282, imperatore dal 1258), che nel 1261 riconquista Costantinopoli realizzando l’aspirazione dell’Impero bizantino in esilio, stanziato a Nicea da più di 50 anni, scopre ben presto i costi del proprio trionfo. Da un lato, la riconquista dell’antica capitale, spogliata di tutto durante la dominazione latina e bisognosa di un vastissimo programma di restauri e ricostruzioni, e la volontà di ripristinare i fasti dell’antica corte imperiale fanno immediatamente aumentare la pressione fiscale, soprattutto a detrimento delle floride province asiatiche (il vero motore dell’espansione nicena), e provocano una svalutazione monetaria. Dall’altro, il reinsediato imperatore deve fronteggiare una minaccia particolarmente insidiosa nella persona di Carlo d’Angiò (1226-1285), che nel 1266 ha sostituito Manfredi (1231-1266) come re di Napoli e di Sicilia, e che, mirando in ultimo alla conquista di Costantinopoli, in breve tempo è divenuto un punto di riferimento per tutti i nemici del Paleologo. Michele VIII, più che con operazioni militari, riesce ad avere la meglio sul proprio rivale attraverso un uso sottile della diplomazia. In primo luogo, cerca di delegittimare l’azione del proprio nemico intavolando trattative con il papato per riunificare le Chiese cattolica e ortodossa, fino a giungere alla proclamazione di unione in occasione del concilio di Lione nel 1274, anche se questo comporta una fortissima opposizione interna. In secondo luogo, nel 1282 Michele VIII riesce a suscitare, con abbondante profusione di denaro, la rivolta dei Vespri siciliani, destabilizzando così definitivamente le posizioni di Carlo d’Angiò, che da quel momento non rappresenta più un problema per Costantinopoli.

Al di là di queste manovre diplomatiche e di alcuni innegabili successi, il regno del primo dei Paleologhi è afflitto però da una serie di problemi strutturali. La questione principale che Michele e i suoi successori devono affrontare è legata alla soffocante pressione economica e commerciale esercitata dall’Occidente, in particolare da Genova e Venezia. L’apparato statale risulta poi logorato dalla sempre maggiore espansione della pratica della pronoia. Si tratta, sostanzialmente, della cessione, da parte dello Stato, delle rendite fiscali di un determinato luogo a un funzionario di vario tipo, spesso semplicemente un militare, che era così autorizzato a riscuotere il proprio stipendio direttamente dai contribuenti senza passare per la mediazione del Tesoro. La pratica era diffusa già in età comnena, ma diviene ereditaria solo a partire dall’epoca paleologa, e ciò fa sì che si possa parlare di “feudalesimo bizantino”.

Andronico II e Andronico III: declino e guerra civile

Il successore di Michele, Andronico II (1259 ca. - 1332, imperatore dal 1282), eredita dal padre uno Stato che dietro una facciata di apparente successo nasconde crepe sempre più profonde e insanabili. Si vanno guastando il tessuto sociale (con l’emergere di pochi latifondisti, che per giunta beneficiano di sempre più diffuse immunità fiscali ereditarie) e quello economico; per cercare di far quadrare in qualche modo il bilancio, Andronico procede a drastici tagli dell’organico militare. È sul fronte asiatico che la politica di disarmo ha i risultati più disastrosi. Per tentare di arginare il flusso costante di bande turche che saccheggiano l’Anatolia e cominciano a insediarvisi, si deve far ricorso a una rinomata compagnia di mercenari catalani, che tuttavia in breve si rivela incontrollabile e, dopo aver devastato la Tracia, giunge a impossessarsi di Atene nel 1311, tenendola in proprio possesso per oltre 70 anni.
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STORIA - L’Impero ottomano

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di Fabrizio Mastromartino

La posizione di frontiera, tra Oriente e Occidente, del principato ottomano favorisce l’espansione della potenza turca in Anatolia e nell’Europa orientale. Ben presto, per effetto delle sue conquiste territoriali, il piccolo principato forma un impero, dotato di una strutturata organizzazione amministrativa e di un potente esercito, il cui prestigio suscita enorme impressione in tutto il mondo cristiano.

Le origini dell’impero

Il crollo di Bisanzio, seguito al saccheggio di Costantinopoli a opera dei crociati cristiani nel 1204, favorisce già dai primi decenni del secolo l’affermazione della potenza turca in Asia Minore. La frammentazione dell’autorità bizantina rende possibile la costituzione del regno selgiuchide di Rum nell’Anatolia occidentale e lo stabile insediamento di popolazioni di etnia turca e turcomanna, spinte in Asia Minore dalle conquiste mongole nelle regioni persiane e siriane. Queste popolazioni, organizzate in strutture tribali, orientate al nomadismo e connotate da una forte impronta guerriera, sottraggono ampie aree territoriali a Bisanzio, così contribuendo alla rapida ascesa del regno Selgiuchide.

Quando, a seguito delle ripetute incursioni mongole negli anni Quaranta del secolo, Rum viene progressivamente ridotto a un protettorato dell’illkhan, le popolazioni turche dell’Anatolia si organizzano in un sistema di confraternite religiose (noto come akhis), ispirate alla comune fede nell’islam e a particolari devozioni mistiche e ascetiche. Le confraternite sopperiscono all’assenza dei governi municipali seguita alla disgregazione del potere selgiuchide e all’indifferenza dell’autorità imperiale mongola, assumendo direttamente funzioni sociali, amministrative e di controllo del territorio.

Da questa esperienza, a partire dalla seconda metà del secolo, nascono ben presto piccoli principati, la cui struttura è saldamente fondata sulla potenza militare delle confraternite. A una di queste, la confraternita ghazi, appartengono anche i fondatori del principato ottomano, che prende il proprio nome dal secondo sovrano del regno, Osman (1259-1326), succeduto nel 1281 al padre Ertoghrul (1231-1280), al quale i Selgiuchidi sin dal 1260 avevano affidato il governo della regione di Suyut perché la difendesse dai Bizantini e ne estendesse il territorio.
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STORIA - Le campagne

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di Catia Di Girolamo

Il mondo medievale, malgrado la vivacità delle realtà urbane, è ancora eminentemente rurale. I tempi del suo mutamento sono molto lenti, soprattutto se si guarda alle tecniche e alle rese colturali; tra XIII e XIV secolo, tuttavia, nell’organizzazione produttiva, nella struttura della proprietà e nelle condizioni dei lavoratori rurali si profilano trasformazioni gravide di conseguenze lungo tutta l’età moderna. Solo in parte, per queste trasformazioni, la crisi del Trecento rappresenta un vero momento di svolta.

Organizzazione produttiva, rese e commercializzazione

Nello stesso periodo, proseguono crescita e stabilizzazione delle rese agricole (il rapporto fra raccolto e semente passa da due o tre a uno fino a quattro e, nelle aree migliori, anche cinque o sei a uno), anche grazie a qualche miglioramento nell’attrezzatura contadina, che tuttavia rimane molto costosa e quindi non ampiamente diffusa. L’interesse per una pratica non solo empirica dell’agricoltura sembra accrescersi: fra XIII e XIV secolo si diffondono trattati di agronomia; anche in questo caso, tuttavia, è probabile che essi rappresentino solo un aspetto del rinnovato interesse per i classici latini, più che l’attestazione di pratiche colturali realmente diffuse.

Prodotti principali dell’agricoltura restano i cereali; molto rare sono le colture specializzate; gli orti si allestiscono soprattutto presso e dentro i centri abitati; alcune aree, particolarmente favorite per il clima e la facilità degli approvvigionamenti, possono dedicare più spazio a vigneti e oliveti (per esempio in Liguria o in Francia). Più vario, per ragioni climatiche e per le antiche commistioni con il mondo arabo, è il panorama colturale delle aree mediterranee, ove ai sempre dominanti cereali si accompagnano agrumi, fichi, palme, susine e altri frutti, destinati al consumo, alla pasticceria e all’industria dei profumi.

L’approssimarsi della crisi

La proprietà contadina, ripetutamente assottigliata dalle divisioni successorie, diventa insufficiente al fabbisogno familiare; i prezzi dei cereali, in ascesa dalla fine del XII secolo, sono quasi triplicati alla fine del XIII; i salari restano piuttosto stabili; i contadini ricorrono sempre più frequentemente a prestiti in denaro per fronteggiare i rincari di terra, sementi, animali, attrezzi, nonché le crescenti richieste del fisco; molti perdono, in tal modo, le proprie terre, e si trasformano in braccianti, al servizio talvolta di contadini che riescono ad arricchirsi sfruttando le trasformazioni in corso, più spesso di proprietari fondiari che inglobano le terre dei contadini rovinati nei propri possedimenti, o di nuovi proprietari di origine borghese. Ridotti dalla condizione di affittuari a quella di braccianti sono spesso anche i contadini non più protetti dalla lunga durata dei contratti d’affitto: nelle campagne europee, tra la metà del Duecento e l’inizio del Trecento inizia il ripiegamento che sfocerà nella crisi di metà secolo.
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STORIA - Le manifatture

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di Diego Davide

L’economia europea del basso Medioevo si caratterizza per un’accentuata specializzazione delle aree produttive e una loro forte interdipendenza. Il commercio si giova della crescita generale e aumenta il volume degli scambi; tra le merci privilegiate troviamo beni alimentari e tessuti. Intorno al panno lana, che fa la fortuna di Fiandre, Italia centro-settentrionale e Inghilterra, si gioca la partita più redditizia. I mercanti all’ingrosso di lana, nelle rispettive città, si uniscono in associazioni che, oltre al potere economico, riescono a ottenere anche quello politico, arrivando a dirigere la politica urbana e da questa posizione di forza a imporre dure condizioni di lavoro alla manodopera artigiana.

La circolazione delle merci in Europa

commercio internazionale medievale: la prima riguarda una specializzazione regionale delle produzioni, per cui ci sono aree quali la Borgogna, l’Aquitania, l’Italia meridionale, prevalentemente agricole e altre, come Fiandre, Italia settentrionale e Inghilterra che preferiscono incrementare l’attività manifatturiera. La seconda caratteristica attiene all’interdipendenza economica che discende da questa “divisione internazionale del lavoro”, per cui ciascuna area ha bisogno dei prodotti delle altre. Ad esempio, la Guascogna, che è tutta dedita alla produzione di vino, deve importare buona parte degli alimenti; le Fiandre e il Brabante, dove la popolazione industriale è più grande di quanto la locale produzione agricola può sostenere, si alimentano con il grano che, prodotto in abbondanza nella Francia settentrionale, viene qui trasportato lungo la Schelda e la Somme.

Lasciando da parte le materie prime per concentrarci sulle manifatture, possiamo affermare che al centro degli scambi internazionali ci sono principalmente prodotti alimentari e tessuti. Tra i primi, uno degli articoli privilegiati è il vino: quanto questo traffico sia prospero lo dimostra il fatto che il barile viene assunto quale unità di misura per la stazza delle navi. La sua produzione si va a mano a mano restringendo ad alcune regioni altamente specializzate. I vini prodotti in Guascogna hanno come destinazione principale l’Inghilterra.

Industria tessile: il panno di lana

Vari sono i prodotti tessili dell’Europa medievale, cotone, lino, canapa, seta sono tutte fibre parimenti utilizzate per confezionare tessuti. Il cotone è prodotto a Malta, in Grecia, a Cipro, in Spagna, in Sicilia, Puglia e Calabria. Il migliore, quello siriano, è acquistato in grossi quantitativi da Veneziani e Genovesi e alimenta l’industria italiana dei fustagni, panni spessi e resistenti che per il loro costo contenuto sono adatti a un vasto consumo. Fustagni italiani si diffondono prima a Costantinopoli e nel Mediterraneo e, a partire dal Trecento, anche nell’Europa centrale, nelle Fiandre e in Inghilterra. Stoffe di lino sono prodotte principalmente in Francia settentrionale, in Svizzera e in Germania meridionale; la tela per le vele, invece, in Bretagna e nel Baltico. Fiorente è l’industria serica italiana che da Lucca, suo centro principale, si espande a Bologna, Firenze, Genova, Venezia.

Una posizione di assoluta preminenza è quella occupata dai panni di lana, la cui importanza sta tanto nel consumo che ne fanno tutte le classi sociali, quanto nel loro essere la principale merce di esportazione nel Levante e in Africa. Sebbene largamente lavorati in Europa, sono le Fiandre, l’Italia e l’Inghilterra le regioni che avviano una produzione su vasta scala. Nelle Fiandre del secolo XI una eccedenza di popolazione non più in grado di sostentarsi con il lavoro dei campi fornisce la manodopera al settore tessile, i cui panni vengono scambiati con viveri e materie prime.

A partire dalla seconda metà del XIII secolo le Fiandre vivono un momento politico particolare: alle difficoltà connesse con una riduzione delle importazioni di lana dall’Inghilterra si aggiunge un difficile rapporto con il sovrano francese e la rivolta dei lavoratori salariati contro la classe mercantile dominante. Con il deteriorarsi della situazione, numerosi fabbricanti di panno emigrano nelle città italiane che, bisognose di manodopera specializzata, li attraggono garantendo loro l’esenzione dai dazi sia sulle importazioni di materie prime sia sulle esportazioni di prodotto finito.

Tale situazione, che non manca di riverberarsi sugli affari dell’Hansa fiamminga, consente all’abile classe mercantile italiana di sostituirsi a questa nel ruolo di acquirente di punta delle lane inglesi, cosicché grazie alle migliori lane d’Europa, alla larga disponibilità di tinture orientali e mediterranee, alle conoscenze tecniche importate, e al capitale dei suoi mercanti, la manifattura tessile italiana della prima metà del XIV secolo, va a occupare una posizione di vertice in Europa.

Le condizioni del lavoro

La rivolta che ha luogo nelle Fiandre nel 1280, estendendosi in pochi giorni alle città di Bruges, Ypres, Douai, Tournai, segna l’inizio della decadenza di quest’area produttrice, messa in ginocchio dalla penuria di lana e dai difficili rapporti con il sovrano francese.
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STORIA - Miniere e metallurgia

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di Diego Davide

Durante tutto il Medioevo i metalli sono un bene prezioso, anche perché le tecniche di estrazione, ancora molto simili a quelle di epoca romana, rendono la produzione insufficiente a coprire la domanda. A questa congenita scarsità si dà una parziale risposta nel XII e XIII secolo allorquando si assiste a una più intensa ripresa dell’attività mineraria, a causa anche di condizioni generali favorevoli e di fortunose scoperte di filoni minerari in zone facilmente accessibili. Dai signori feudali ai servi, la società del tempo è tutta coinvolta nella rinnovata industria, che tuttavia risulta ancora troppo condizionata dai limiti tecnici che, insieme al cambiamento delle condizioni economico-politiche, producono nel XIV secolo una momentanea battuta di arresto.

Lo sviluppo minerario e metallurgico nell’Europa dei secoli XII-XIV

Con la scoperta di filoni argentiferi nella zona di Freiberg in Sassonia, intorno al 1170, si apre il primo grande periodo della storia mineraria dell’Occidente; da questo momento fino a tutto il secolo XIV si registra in Europa un sostenuto sfruttamento del sottosuolo, un’ondata di prospezioni che porta alla scoperta di nuove miniere di argento, di oro, ma anche di rame, ferro, stagno, piombo. L’incremento dei metalli pregiati favorisce la crescita della ricchezza accrescendo l’offerta di moneta, quella dei metalli vili contribuisce all’aumento dei materiali destinati a scopi industriali. Sassonia, Boemia, Slesia, Ungheria, ma anche la Foresta Nera e le Alpi orientali riforniscono di argento, di piccole quantità di oro, nonché di rame – quest’ultimo presente in quantità considerevoli in Svezia – pressoché tutta l’Europa. Minerali argentiferi sono portati alla luce anche nel Devon e in Cornovaglia, sebbene l’Inghilterra occupi un ruolo di primo piano soprattutto nella produzione ed esportazione di stagno e piombo. Se nell’estrazione di oro e argento si registra una netta supremazia dei Tedeschi, quella di ferro è fiorente in tutta Europa, in particolare in Stiria, Carinzia, nelle province basche di Biscaglia e Guipuzcoa e, in minor misura, in Ungheria e Westfalia.

Da questi luoghi, dove lo sviluppo delle attività minerarie e metallurgiche è favorito, oltre che dalla ricchezza del sottosuolo, anche dalla presenza di numerosi corsi d’acqua e da abbondanti riserve di legname da ardere (essenziali rispettivamente per muovere le macchine e alimentare il processo di fusione), il ferro parte sulla soma di cavalli da carico, carri, chiatte fluviali e navi, per giungere innanzitutto in Italia, in Francia settentrionale, nei Paesi Bassi, dove pure i minerali ferrosi non mancano, ma le importazioni sono necessarie a integrare le disponibilità locali. Il ferro è fondamentale, infatti, nella costruzione non solo di armi e armature, ma anche in quella di attrezzi agricoli, nelle costruzioni navali, e nell’edilizia ornamentale.

Tra i prodotti di origine minerale grande importanza riveste inoltre il sale che è fondamentale nei processi di conservazione di carne e pesce. Proprio sullo sviluppo delle saline nel IX secolo si costruisce l’ascesa economica di Venezia. Saline e miniere di sale sono adeguatamente distribuite in Europa; in particolare, si devono ricordare i giacimenti delle Alpi orientali, quelli inglesi del Worcestershire, di Lüneburg nella bassa Sassonia e le saline francesi della baia di Bourgneuf a sud ovest di Nantes.

Le tecnologie

Le attività estrattive del XII e XIII secolo si basano su tecniche rudimentali, addirittura meno complesse di quelle già sperimentate in epoca romana. Modesta è la profondità raggiunta dalle miniere; negli scavi argentiferi l’inadeguatezza dei sistemi di drenaggio costringe ad abbandonare il pozzo non appena l’acqua, che in molti casi è portata in superficie a braccia con l’ausilio di secchi di pelle, interferisce con l’attività di scavo. Proprio in Boemia, Sassonia e Baviera, dove prima che altrove l’attività estrattiva è cominciata, tra il XIII e il XIV secolo vengono effettuati i primi esperimenti di drenaggio con lunghi condotti o con macchine idrauliche azionate da cavalli. Risalgono allo stesso periodo le prime innovazioni nelle tecniche di lavorazione dei metalli, anch’esse fino a questo momento poco progredite.

Leggi e consuetudini: le comunità minerarie

Nel corso del XIII secolo l’attività estrattiva si fa più sostenuta e i signori territoriali che da soli non riescono ad avere un concreto controllo di tutte le miniere cominciano a investire i vassalli dei propri diritti. Se le miniere da sfruttare sono situate su un terreno privato il proprietario è obbligato a consentire ai minatori l’accesso ai giacimenti, l’utilizzo delle acque e di una parte del legname, ricevendo in cambio un compenso e a volte anche il risarcimento dei danni. Nel caso in cui si scoprono miniere di valore, per incentivarne lo sfruttamento, i principi e i signori devono offrire vantaggi equivalenti a quelli garantiti a chi si insedia nelle città. Ecco perché come l’inurbamento è un modo per sottrarsi alla condizione servile, lo stesso vale per coloro che intraprendono il mestiere di minatori.

Là dove l’estrazione e la lavorazione dei minerali richiedono l’impiego di parecchie dozzine di individui, questi formano comunità minerarie separate da quelle locali di agricoltori e pastori. Moltiplicatesi rapidamente tra la fine del XII e il XIII secolo, specialmente in Europa centrale, esse godono di un notevole grado di autonomia amministrativa, di privilegi di foro, esenzione dalle tasse, libertà di macello, di fabbricazione del pane e della birra, prerogative che sono condensate in codici scritti promulgati dai signori. Condizioni geologiche, sociali e lavorative simili in Europa fanno sì che vi sia tra questi regolamenti una certa omologazione; è opportuno menzionare quello di Trento che, promulgato nel 1185, è il più antico conosciuto e quello di Iglau, promulgato in Boemia nel 1249, che è alla base di tutte le successive leggi minerarie boeme del XIII e XIV secolo. A Freiberg, dove la comunità mineraria insediatasi al tempo della scoperta dei filoni argentiferi avvia anche la formazione della città, si registra un contemporaneo sviluppo di legge municipale e mineraria.
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