ECONOMIA E COMMERCIO

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Veldriss
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Banchi di cambiavalute

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I banchi di cambiavalute sono la prima entità bancaria della storia. Erano diffusi a partire dal 1150 circa e rappresentavano stazioni dove i mercanti dell'epoca cambiavano il denaro a seconda della moneta locale. All'inizio la loro diffusione fu prevalente nelle zone fieristiche europee; in Italia soprattutto in Toscana tra Firenze e Pistoia e successivamente in Lombardia.

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http://it.wikipedia.org/wiki/Banchi_di_cambiavalute
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Rotazione triennale delle colture

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La rotazione triennale delle colture è una tecnica agricola diffusasi in varie zone d'Europa a partire dalla fine dell'Alto Medioevo, in sostituzione all'avvicendamento biennale. L'introduzione di tale pratica viene comunemente indicata nei paesi nord-occidentali intorno al X secolo. In Italia il merito di averle introdotte nel XII secolo viene attribuito alle grange cistercensi.

Antecedenti storici
Fin dall’alba della coltivazione i primi agricoltori verificarono che, continuando a coltivare cereali sullo stesso terreno, il suo “potere” di alimentare i raccolti diminuiva e i raccolti si contraevano. Ne dedussero la necessità di abbandonare un campo dopo una serie di raccolti, per sottoporre a coltivazione un suolo vergine, o, dove la prateria si fosse ristabilita, dopo alcuni anni di coltura, e avesse rigenerato il primitivo “potere” della terra: quel potere che sarebbe stato chiamato “fertilità”. Era questo il sistema della coltura “vagante”, o, per l’agronomia francese, il sistema “celtico”.
Con il progredire della civiltà in età protostorica, sulle sponde del Mediterraneo si stabilì il sistema della rotazione “biennale”: un anno di coltivazione, uno di riposo. Nel sistema mediterraneo il riposo è, si deve sottolineare, “riposo coltivato”: per accumulare acqua il terreno viene, infatti, lavorato, dalla tarda primavera all’epoca della semina, tre o quattro volte[1]. Nelle terre dell’Europa centrale, in cui la necessità di accumulare acqua è meno pressante che sulle rive del Mediterraneo, si stabilì, all’alba dell’età storica degli stessi paesi, la rotazione “triennale”.

La rotazione triennale
Di solito nell'alto Medioevo si coltivava con i cereali metà del campo e non si seminava l'altra metà. Nel basso Medioevo, invece, i contadini ridussero la superficie lasciata a riposo dalla metà a un terzo, coltivando nelle due parti rimanenti, prodotti diversi: in una grano (semina autunnale) e nell'altra avena e legumi (semina primaverile). Facendo ruotare ogni anno le colture sul terreno (seminando cioè grano dove il terreno era a riposo, legumi e avena dove l'anno prima c'era il grano e lasciando incolta una parte), i contadini riportavano in tre anni il terreno alla situazione di partenza: da ciò il nome di "rotazione triennale". Un ulteriore vantaggio era dato dal fatto che, alternando coltivazioni a semina autunnale con quelli a semina primaverile, si realizzava una migliore distribuzione dei momenti di lavoro e di quelli di disponibilità dei prodotti.
In questo modo la popolazione dell'epoca poté aumentare la produzione agricola (perché la superficie coltivata era più ampia) e poté migliorare la qualità della propria nutrizione: i legumi (piselli, ceci, lenticchie e fave - ricchi di proteine) andarono infatti a compensare la povertà di carne nella dieta della gente. Per contro, sostituire la rotazione biennale con quella triennale comportava una diminuzione dell'area riservata a grano, appunto dalla metà a un terzo. Contemporanee innovazioni tecniche, come la nuova bardatura a collare degli animali impiegati nell'aratura e l'aratro pesante, compensarono con un aumento della resa agricola la perdita in superficie seminata.
In molte zone d'Europa le proprietà fondiarie che non appartenevano al signore feudale o alle organizzazioni ecclesiastiche, erano frantumate fra i piccoli contadini. Per realizzare ugualmente la rotazione agraria, c'era la consuetudine che le proprietà finitime e spesso intercluse venivano assoggettate alla stessa cultura o allo stesso periodo di riposo (maggese). In tal caso, quindi, doveva sussistere una organizzazione comune, in genere su rigide basi consuetudinarie, per poter realizzare le rotazioni. Si deve sottolineare che la rotazione triennale si impose, per la sua razionalità, a popoli interi, che ne fecero un sistema non solo agrario, ma economico e giuridico. I campi di ogni villaggio erano divisi in tre grandi appezzamenti, su ognuno dei quali ogni famiglia possedeva lunghe strisce, da un capo all’altro, più o meno larghe secondo la ricchezza della famiglia. Anche i campi del signore erano strisce, più larghe, nei tre campi. Ogni anno un campo era lavorato, su uno cresceva il frumento, su uno orzo, avena o legumi. Dopo la messe l’intero campo costituiva pascolo comune della mandria del villaggio, in cui ogni famiglia aveva diritto di includere un numero preciso di animali, partecipando all’elezione del mandriano.

Successive evoluzioni
Il sistema creava vincoli tanto rigidi che quando l’evoluzione della tecnologia agronomica suggerì di ampliare le rotazioni a cinque, sei, sette anni, nei villaggi in cui vigeva la rotazione triennale il mutamento doveva superare ostacoli quasi insormontabili. È proprio nell’analisi delle difficoltà del superamento dell’antico sistema agrario e giuridico che il maggiore agronomo tedesco dell’alba dell’Ottocento, Albrecht Thaer, scrive una delle proprie opere fondamentali, aprendo la strada al superamento del sistema e al trionfo, in Germania, delle rotazioni moderne.

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Privativa

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La privativa è una disposizione che dà dei privilegi a determinati produttori o artefici in cambio della loro opera.
Le leggi privative erano particolarmente frequenti durante il medioevo in paesi come l'Italia, ma esistono privative tuttora, soprattutto nel campo del diritto industriale (associate spesso ai monopoli).
Con le privative, assimilabili a diritti di esclusiva, si riconoscevano ad alcune classi di artefici particolari privilegi (stato di monopolio o oligopolio, talvolta associate a esenzioni, sovvenzioni, ecc.), affinché essi non esportassero le loro conoscenze tecniche in altri luoghi, permettendo alla città o alla regione in questione di ottenere una supremazia tecnica e commerciale in alcuni settori di eccellenza. In alcune città le privative erano rivolte solo a esperti provenienti da fuori, affinché essi instaurassero botteghe e officine per praticare il loro mestiere
Nel medioevo le categorie più esposte a privative erano quelle dei lavori tessili di pregio, del vetro, dell'oreficeria, talvolta di discipline artistiche. Il rovescio della medaglia era che spesso erano previste pesantissime sanzioni per chi lasciava la città anche se spesso, per le produzioni d'eccellenza, c'era sempre qualche altro luogo pronto ad accogliere a braccia aperte questa manodopera altamente specializzata e redditizia.
Attraverso una storia delle privative si evince che spesso queste sono introdotte quando una tecnica è stata adottata in una città o quando essa ha raggiunto un livello di eccellenza tale da venire tutelata. Per esempio verso la metà del Trecento un gruppo di artefici dell'industria serica fuggì da Lucca, a causa di persecuzioni nelle lotte politiche, rifugiandosi a Firenze dove impiantarono la prestigiosa lavorazione e ricevettero privative per il loro operato.
Lo scambio di artefici coperti da privative era un privilegio che solo in rarissimi casi veniva concesso tra grandi città e per scopi di prestigio: per esempio tra Firenze e Venezia nel XIV secolo vi fu uno scambio di addetti gli uni esperti dell'arte tessile, gli altri di quella del vetro.
In epoca moderna invece la privativa diviene sinonimo di diritto al monopolio (spesso attraverso lo sfruttamento di una proprietà intellettuale quale ad esempio un marchio o un brevetto). In passato privativa era anche sinonimo di tabaccheria.

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http://it.wikipedia.org/wiki/Privativa
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Muhtasib

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Il muḥtasib (arabo: محتسب‎) era un supervisore dei bazar e dei commerci nei paesi islamici medievali. Il suo lavoro consisteva nell'assicurare che gli affari nella pubblica piazza fossero condotti nel rispetto delle leggi, della Shari'a.
Nel regno del sultano mamelucco Barqūq, ad esempio, i compiti del muḥtasib del Cairo includevano la regolazione dei pesi, della moneta, dei prezzi, della morale pubblica, e la pulizia della pubblica piazza, così come la sorveglianza di scuole, istruzione, insegnanti, e il controllo dei bagni pubblici, della sicurezza pubblica, e della circolazione dei veicoli.[1]
In al-Andalus il muḥtasib veniva chiamato spesso Ṣāḥib al-sūq (Signore del mercato) e da questa espressione araba derivò quella del volgare castigliano Zabazoque.

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http://it.wikipedia.org/wiki/Muhtasib
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Muda

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Muda è il termine con il quale venivano designate nel Medioevo le carovane navali periodicamente organizzate dalle Repubbliche Marinare italiane.
In particolar modo a Venezia le mude erano organizzate dallo Stato e si distinguevano dalle imprese mercantili completamente private per il fatto di essere guidate da comandanti della Repubblica e di rappresentarne ufficialmente gli interessi nei mercati levantini. Le mude prendevano il nome dalle principali regioni nelle quali operavano (Muda di Siria, Muda d'Egitto, etc.) e il termine stesso (muda, cioè muta) traeva spunto dalla loro periodicità (gli arrivi e le partenze avvenivano in determinati periodi dell'anno), simile a quella degli uccelli migratori. Tali viaggi, nati nel XIII secolo, furono via via regolarizzati nel corso del Trecento, divenendo di voga nel Quattrocento per terminare nella prima metà del Cinquecento.

Le Mude a Venezia
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Fiere della Champagne

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Le fiere della Champagne è il nome collettivo con cui si indicano un gruppo di fiere che si tennero a partire dal XII secolo nella contea della Champagne, in Francia. Si svolgevano una volta all'anno nei centri di Lagny e Bar-sur-Aube, e due volte all'anno a Provins e Troyes. Oltre a queste principali, ne esistevano anche di secondarie.
Il calendario era fissato in maniera tale che, per gran parte dell'anno, almeno una fiera fosse aperta, garantendo la continuità delle transazioni.
Il successo di tali manifestazioni commerciali era dovuto principalmente alla sicurezza che i conti di Champagne garantivano ai mercanti e alla loro posizione geografica. Situate a metà strada tra il Mediterraneo e il Mar Baltico, divennero infatti il cardine del commercio europeo per circa due secoli. I mercanti italiani e provenzali scambiavano i prodotti mediterranei e orientali (tessuti, spezie) con quelli del nord (pellicce, resina), convogliati dai mercati fiamminghi e tedeschi. La necessità fece diventare le fiere uno dei luoghi in cui si riaffermò l'uso del denaro. Le monete a base argentea di Provins e di Troyes furono tra le prime ad essere accettate internazionalmente, assieme a quelle emesse dall'abbazia di San Martino di Tours, i cosiddetti "tornesi".
In seguito, le fiere si affermarono anche come luogo di cambio tra le diverse valute.
A partire dal 1300, l'apertura di nuove vie commerciali tra le Fiandre e il Nord Italia, le regioni più fiorenti dell'Europa di allora, determinarono la decadenza delle fiere della Champagne.

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http://it.wikipedia.org/wiki/Fiere_della_Champagne
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Estimi medievali

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Gli estimi medievali o censimenti a fini fiscali sono delle rilevazioni che venivano fatte nel passato, nel medioevo e nell'età moderna, per ripartire il carico fiscale sui contribuenti. Con tale nome sono generalmente indicati anche i documenti relativi.

Generalità
Nel medioevo il prelievo fiscale non era di norma determinato dalla capacità contributiva della popolazione soggetta al tributo, bensì vigeva il procedimento opposto: partendo da un obiettivo di prelievo già determinato, si ripartiva il carico sui soggetti passivi. Questo vale per esempio, per estimi utilizzati nel nord Italia nel XV secolo, ma imposizioni similmente costituite dovevano già essere in uso nelle città comunali a partire dal XIII secolo.
Le tipologie di prelievi erano di diverso genere e colpivano di volta in volta sia basi contributive diverse (le teste, ossia le persone o ancora i beni immobili o mobili) che diverse categorie di contribuenti (cittadini o residenti nel contado). Per esempio la cosiddetta tassa sul sale consisteva nel prelevare obbligatoriamente, da parte dell’autorità locale, una certa quantità di sale – elemento indispensabile per la conservazione di cibi e anche per l’alimentazione umana e animale – ad un costo predeterminato, in base al numero dei componenti il nucleo familiare e anche degli animali posseduti. Era inoltre possibile che la quantità da levare (tale era in alcune zone il termine tecnico) fosse calcolata anche in base ai beni in proprietà. Non esisteva quindi, in passato, la distinzione odierna tra imposizione diretta e indiretta.

Procedure
Le procedure erano certamente diverse a seconda delle epoche e delle zone, ma può essere identificato uno schema comune. Al fine di attribuire le quote impositive sulla popolazione assoggettata l’autorità della zona (per esempio il comune o il ducato) inviava appositi commissari estimatori che avevano il compito di valutare i beni. Ogni tante lire (nel senso di un’unità monetaria) di beni, si era assoggettati ad un certo prelievo. Nel caso di beni immobili, per fare un esempio, ad ogni ettaro di terra da lavoro poteva corrispondere un’imposta di 3 lire all’anno; ad ogni ettaro di vigna una di 6 lire ecc. Del prelievo periodico, una volta definito il carico per ogni nucleo familiare soggetto al tributo, si occupavano apposite cariche locali minori, individuate dalla stessa popolazione mediante elezioni.

Valore documentario e storico
La documentazione è di assoluto rilievo per lo storico in quanto fornisce dati, opportunamente elaborati e interpretati, sia di tipo demografico (il numero di persone per nucleo familiare, la composizione di questi; la popolazione complessiva e – a seconda della ricchezza della rilevazione – l’età dei componenti) che onomastico (nomi delle persone ed usi nell'attribuirli). Ancora ne derivano utili informazioni di ordine economico (eventuali mestieri, dati sulle colture e quindi sull’alimentazione, sul tipo di contratti agrari in essere in zona) o politico (territori soggetti all’imposta e territori esenti a seconda di influenze signorili o ecclesiastiche). Infatti in genere venivano rilevati i beni attribuiti ad un capofamiglia, referente ai fini fiscali per l’intero nucleo, ma erano registrati anche i membri delle famiglie (almeno quelli compresi entro una certa fascia di età: per le tasse del sale in genere tra i 14 ed i 70 anni) appunto con le età. Ne derivavano diversi libri con le informazioni di dettaglio ed infine un libro generale, con indicate le somme da prelevare e i nomi dei capifamiglia assoggettati. Un caso di particolare completezza e complessità è quello costituito dal catasto fiorentino applicato a Firenze nel 1427. Spesso, tuttavia, questa documentazione è giunta fino a noi incompleta: dato il carattere poco equo di siffatta imposizione, i libri d’estimo venivano distrutti dal popolo in occasione di rivolte o cambi di governo.

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Compagnia commerciale medievale

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Le compagnie commerciali del Medioevo erano associazioni di mercanti, armatori, proprietari di attività produttive (campagne, miniere o manifatture) e banchieri che esercitavano il commercio di merci proprie o di altra provenienza.

Evoluzione storica
In origine, le compagnie commerciali furono fondate sul capitale economico ed umano di alcune famiglie. A Firenze alcuni esempi illustri furono le Compagnie dei Bardi e dei Peruzzi. Anche durante il periodo di massimo sviluppo, generalmente, le compagnie facevano capo ad una ricca famiglia ma accettavano l'ingresso di soci ad essa estranei[1].
Nei casi migliori, disponevano di una fitta rete di agenzie e di filiali in Europa e nel vicino Oriente. Il massimo sviluppo di questa forma di associazione lo si ebbe tra il XIII ed il XIV secolo, mentre, in seguito alla crisi economica del Trecento, molte compagnie conobbero il fallimento.

Struttura delle compagnie
Ogni compagnia era formata da una casa madre e da numerose filiali, teoricamente indipendenti, ma tenute a lavorare in maniera coordinata e a venire in aiuto l'una dell'altra in caso di necessità. Al servizio della compagnia c'erano flotte, carovane ed agenzie e, per rendere più pratico e sicuro il viaggio dei corrieri e dei commercianti, al posto dei contanti si usavano lettere di cambio. Queste organizzazioni possono anche essere paragonate alle moderne multinazionali, poiché anch'esse erano fornite di enormi capitali, possedevano filiali in ben tre continenti (Europa, Asia e Africa), tendevano a differenziare i propri interessi in tutti i campi e disponevano di un grande potere politico (i loro proprietari dominavano la scena politica delle proprie città ed avevano rapporti con i sovrani europei).

La rivoluzione commerciale del Medioevo
Queste strutture economiche trovarono il proprio stimolo nel grande sviluppo delle tecniche contabili, commerciali e finanziarie che avvenne nel Medioevo. Già le Tavole amalfitane prevedevano la regolamentazione della spartizione degli utili tra i soci di un'impresa, ma furono i mercanti ed i banchieri pisani, veneziani, genovesi e fiorentini a far nascere il moderno concetto di compagnia, ovvero un'organizzazione in cui i profitti vengono distribuiti tra gli investitori proporzionalmente ai capitali investiti.
Un'altra importante innovazione medievale fu la già citata lettera di cambio, antenata degli assegni e prima forma di cambiale. poi fu introdotta la partita doppia, che permetteva un più pratico calcolo contabile, e nacquero i titoli del debito pubblico, contrattati nelle borse e lontani precursori delle banconote. I calcoli, infine, vennero sensibilmente semplificati dall'introduzione delle cifre arabe, avvenuta ad opera di Leonardo Fibonacci.

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http://it.wikipedia.org/wiki/Compagnia_ ... _medievale

P.S. I Bardi e i Peruzzi furono una famiglia fiorentina di banchieri e mercanti che creò una ricchissima compagnia commerciale nel Basso Medioevo (poi fallite nel 1345 quando Re Edoardo III d'Inghilterra si rifiutò di restituire loro i debiti contratti per la Guerra dei Cento anni).
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LA MONETA MEDIEVALE

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Da http://www.monetaecivilta.it/storia/medievale.html

Secc XII e XIII
In Italia meridionale il re normanno Ruggero II si trovò nella necessità di mettere ordine nelle questioni monetarie del suo regno che si trovava nel punto di confluenza di tre diversi sistemi monetari (tarì arabo, follaro bizantino e denaro carolingio). Avviò, dunque, una riforma (nel 1140), introducendo il ducale in argento, in rappresentanza del miliarense bizantino, pari a 1/12 del solido, in lega molto bassa, 500/1000.

Pochi anni più tardi, Federico I, togliendo a Milano lo ius monetae, affidò ad una nuova zecca la coniazione di un denario, l’imperiale, di buon fino, che doveva essere convertibile con le più importanti valute del regno, ripristinando, così una omogeneità monetaria nei territori dominati, collegando il regno locale con il regno svevo di Sicilia e, quindi, il mondo tedesco.

Negli anni ’60-’70 la scoperta di nuovi giacimenti in Boemia, nelle Alpi orientali ed in Toscana dettero nuovo impulso all’attività delle zecche, come Verona che emise il denaro crociato, un denaro di mistura così chiamato per la croce, presente sia la D/ che al R/ (1185-1250c.).

Ma fu Venezia a trovare l’innovazione più rivoluzionaria per sostituire nel commercio internazionale sia i miliarensi bizantini che i dirhem arabi: fu il ducato di argento o grosso matapan, del peso di oltre gr. 2, emesso tra il 1194 e il 1201 dal doge Enrico Dandolo, moneta di stile e tipologia vicini alle emissioni romane di oriente , con figure frontali sedute o stanti.

Tale moneta ebbe enorme fortuna per la sua funzione di raccordo tra nominali diversi, soprattutto dopo la conquista di Costantinopoli con la IV crociata, quando i Veneziani, avendo guadagnato il primato nei traffici con l’Oriente, ne facilitarono la diffusione, dal mare del Nord fino all’India (come era stato per il denario romano e poi il solido bizantino).

Il ducato andò anche ad integrare le emissioni di Milano, Genova, Pisa Verona, Bologna e della Toscana, favorendo così la creazione di una solida area economica.

Da allora si creò la distinzione nella definizione della nuova moneta grossa e la moneta picciola, i vecchi denari carolingi.

Lo stesso non accadde nell’Europa del Nord, in cui nacquero, invece, aree monetarie ben differenziate in rapporto al diverso potere di acquisto della moneta, che si andava sempre più assottigliando ed allargando, fino ad essere prodotta con una tecnica a sbalzo per produrre i ben noti bratteati, sottili monete con una faccia in rilievo e l’altra in incavo, ben diversi dagli incusi di Magna Grecia, prodotti, come è noto, con due conii indipendenti, uno a rilievo e l’altro in incavolink a tecniche monetali.

La crisi dell’Impero bizantino e la creazione dell’Impero latino d’Oriente favorirono la nascita di nuovi fondaci che determinarono non solo l’incremento dei traffici veneziani, ma anche l’afflusso di maggior quantitativo di oro in Occidente, opportunità che colse Federico II, volendo affiancare al tarì un multiplo: le zecche di Messina e Brindisi coniarono, dunque, l’augustale, di gr. 5,31 con un fino aureo di 854/1000, del valore di 6 tarì.

Chiamato così per evidente riferimento alle monete del primo imperatore romano, fu moneta di prestigio, ma non sufficientemente apprezzata in Sicilia, dove si preferiva la vecchia moneta bizantina e non ebbe buona accoglienza e grande diffusione, come, invece le monete d’oro di tradizione carolingia, del peso di gr. 3,53 a 24 carati, emesse a Genova, il genovino e Firenze, il fiorino nel 1252, seguite da Venezia con il suo ducato, nel 1284, in difesa ed appoggio del suo matapan e via via dalle altre zecche italiane, fino a Roma.

GENOVINO
FIORINO
Queste spesso mutuano il loro nome da quello della zecca di emissione o dal tipo che le contraddistingue.

Grazie alla facilità del sistema di conto per il suo rapporto di cambio semplice con le altre monete (genovino 10 soldi, fiorino 20) tale nuova moneta d’oro contribuì all’unificazione monetaria sulla base del mercato, anche senza riferimento al contesto politico.

Questo generale assenso favorì lo sviluppo del credito e delle lettere di cambio, che evitavano rischiosi viaggi con valuta pregiata, potendo beneficiare di accrediti nei luoghi collegati, con conseguente notevole espansione commerciale e crescita delle operazioni finanziarie su vasta scala.

Secoli XIII-XIV
Seguì più di secolo di grande floridezza per le società italiane che aprirono filiali per tutta Europa, Londra, Parigi, Corinto, Napoli, tali da far trasformare i mercanti in banchieri, con tanto di attestati di idoneità.

Nascono così le Signorie di grandi casate nobiliari riciclate o di famiglie che avevano saputo far buon uso delle proprie attività commerciali e che investono grandi capitali in imprese pubbliche, sia di carattere culturale che religioso, certo con qualche tornaconto, non solo di carattere morale (si pensi all’attuale investimento degli utili, a scopi essenzialmente fiscali). Naturalmente, tutto questo coinvolgimento favorì anche la rinascita di una vecchia figura professionale, quella del cambiavalute (l’antico trapezita).

GROSSO TORNESELa diffusione dei grossi d‘argento favorì le diversificazioni, quali il saluto (annunciazione) napoletano, con il suo corrispondente aureo D81/82, detti anche di gigliato o carlino. Ad Ancona compare l’agontano, con San Ciriaco stante. Il corrispondente francese fu il grosso tornese, così detto dalla lira di Tours emessa da Luigi IX nel 1266.

Quando il matapan veneziano, la più importante moneta d’Europa, entrò in sofferenza per problemi di approvvigionamento dell’argento e la concorrenza dei re di Serbia, in sua difesa Venezia decise con provvedimento legislativo nel 1284 di far battere una moneta d’oro, il già citato ducato, destinata a grandi successi, in grado di sostituirsi al fiorino e di essere richiesta sul mercato fino alla fine del secolo successivo diapo 37. La guerra scatenata da Padova per contrastarlo non ebbe alcun esito, se non la propria definitiva sconfitta.

Ma questa grande potenza economica degli Stati italiani non era sostenuta da un adeguato potere politico: il loro frazionamento e il loro continuo stato di belligeranza fu, anzi, il maggior fattore di debolezza. Per converso, fu grande la solidarietà tra la nuova classe di imprenditori/mercanti/banchieri che si scambiavano informazioni e notizie, talvolta redigendo anche interessanti trattati. Preziosa per noi la Pratica della Mercaturadi Francesco Pegolotti D X diapo 52 o, poi, Giovanni di Antonio da Uzzano, senza le quali non conosceremmo molti aspetti della monetazione medievale. Tutto questo stimolò anche le prime riflessioni teoriche sugli scambi, l’usura e il credito da parte di studiosi e teologi, personalità quali San Tommaso d’Aquino.
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Carta Mercatoria

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La Carta Mercatoria, che significa "la carta dei mercanti", era una carta del 1303 concessa da Edoardo I ai commercianti stranieri in Inghilterra. Ha garantito loro la libertà di commerciare, la protezione ai sensi della legge e l'esenzione dai pedaggi su ponti, strade e città. Inoltre, non ha garantito alcun aumento delle aliquote del dazio pagate.

La carta fu revocata da Edoardo II, a causa delle lamentele dei meccanici inglesi. In pratica, tuttavia, i commercianti stranieri hanno mantenuto la maggior parte dei loro diritti.

Nel 1334, in cambio dell'assistenza finanziaria, Edoardo III sostituì la concessione generale dei diritti ai commercianti stranieri con una carta particolare concessa alla Lega anseatica.


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https://en.wikipedia.org/wiki/Carta_Mercatoria
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