LE NAVI NEL XIII SEC.

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Veldriss
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LE NAVI NEL XIII SEC.

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LA GALEA

Per molti secoli dopo il IX, tutte le vicende marittime nel Mediterraneo, belliche o mercantili, ebbero a protagonista un particolare tipo di nave: la “galea”.
Converrà quindi conoscerne le caratteristiche particolari — creazione di costruttori italiani — che ne fecero la nave ideale per le esigenze del tempo, il fondamento di tutte le flotte fin quando la vela, dopo le scoperte oceaniche, si impose come unico mezzo di propulsione navale. D’altronde anche in seguito, pur calata di rango, la galea sopravvisse lungamente (nel mar Nero la marina russa la impiegò sino agli inizi dell’Ottocento). La galea dunque — caso unico nella storia — fu un tipo di nave che visse per quasi un millennio senza mai alterare le sue caratteristiche fondamentali, anche se l’evoluzione delle armi le impose qualche adattamento.
Galeos in greco significa pescespada: infatti la galea, molto agile e veloce, aveva uno sperone capace di ferire mortalmente una nave avversaria. La galea tipica — lunga sui 45 metri e larga intorno ai 6 — era molto bassa di bordo e di minimo pescaggio.
Lo scafo, quasi interamente scoperto, ospitava i vogatori, distribuiti su circa ventiquattro banchi per lato. In genere a ogni banco corrispondeva un lungo remo, azionato da due o tre vogatori; ma si ebbero galee con due e anche tre remi per banco, più corti e manovrati ciascuno da un vogatore. Se la navigazione era “pacifica” e il vento favorevole, la galea alzava una o due vele triangolari: altrimenti, e comunque in battaglia, procedeva a forza di remi.
Sullo scafo era sovrapposto un robusto telaio rettangolare che, sporgendo sui fianchi della galea, formava le “impavesate”, cioè due passerelle su cui erano fissati gli scalmi dei remi e su cui, all’abbordaggio, lottavano i combattenti. La poppa, lievemente rialzata, formava il ponte di comando e conteneva, sottostante, la cabina degli ufficiali. Sulla prua era piazzata l’arma balistica di maggiore efficacia. Dapprima fu un “mangano”, cioè un congegno a contrappeso, capace di scagliare grosse pietre; poi, con l’avvento delle armi da fuoco, il mangano fu sostituito da un cannone. In ambedue i casi l’arma era fissa allo scafo, perciò veniva puntata manovrando la nave con il timone. Questo però fu adottato solo dopo che Marco Polo lo vide in Cina e lo fece conoscere in Occidente: in precedenza lo scafo era manovrato con due remi a pala larga, fulcrati sulla poppa.
La galea tipica aveva un equipaggio di circa 300 uomini: due terzi erano vogatori, una cinquantina marinai e il resto uomini d’arme. Lo stato maggiore della nave era composto dal comandante, detto “sopracomito”, due o tre ufficiali o “nobili di poppa”, un aiutante maggiore o “padrone”, un medico o “cerusico” e il capitano degli armigeri. I sottufficiali comprendevano un nostromo o “comico”, due nocchieri, un pilota e un furiere o “scrivano”.
Il servizio sulle galee era molto duro per tutti, anche perché lo spazio era minimo. Gli uomini stavano sempre allo scoperto e vivevano letteralmente sul posto d’impiego, in condizioni igieniche oggi inconcepibili. La razione giornaliera media consisteva in due libbre di galletta, mezza libbra di carne secca o pesce salato, una pinta di vino e un’oncia d’olio.
Il servizio più massacrante era ovviamente quello dei vogatori. Nei primi secoli anche i vogatori erano uomini liberi, pagati e trattati come il resto dell’equipaggio.
Ma in seguito il loro reclutamento divenne sempre più difficile e nel Trecento, sull’esempio della marina catalana, si cominciò a mettere al remo i condannati al carcere (da qui venne i’uso di identificare il carcere con la galera, voce popolaresca di galea, e il condannato con il galeotto). Si ebbero quindi galee “di libertà” e “sforzate”, secondo il genere dei vogatori. Un secolo dopo, non bastando più nemmeno i condannati, sull’esempio dei turchi furono messi al remo anche i prigionieri e gli schiavi di guerra.
Soltanto Venezia seguitò per molto tempo ad impiegare vogatori liberi (arruolati per la gran parte fra gli slavi della Dalmazia, cioè gli schiavoni), convinta che la superiorità bellica spesso dimostrata dalle sue galee dipendesse in prevalenza dal fatto che i vogatori erano liberi. Ma poi, sulla metà del Cinquecento, anche Venezia dovette rassegnarsi a far vogare i prigionieri, però solo durante le operazioni belliche, per rimpiazzare i morti; e raggruppò i condannati al remo in un apposito reparto, il cui comandante ebbe il titolo di “governatore dei condannati”.
Dalla galea tipica originarono navi minori, usate per trasporti veloci di persone e di messaggi, e per servizi d’esplorazione. Fra le più note (tutte con un solo vogatore e un remo per banco), ricordiamo la “fusta”, la “galeotta” e la “saettia” dotate di 16-20 banchi per lato: la loro agilità ne fece le navi preferite da pirati e corsari. Poi il “brigantino” con 12-14 banchi; la “fregata” con 8-10 banchi; e la piccola “feluca”.
Invece la “galea bastarda” era più grande di quella tipica, perché ospitava anche il comandante delle forze navali e il suo stato maggiore.
Sostanzialmente non c’erano differenze fra le galee da guerra e da trasporto: le une potevano sostituirsi alle altre con facilità, variando l’armamento. Tuttavia ebbero molta diffusione le “galee da mercato”, più grandi e tozze di quelle tipiche, con un minor numero di remi e prive o quasi di armi. Ma per i carichi più ingombranti c’erano le “navi tonde”, alte di bordo e molto capaci, che navigavano quasi esclusivamente a vela. Con il volgere dei tempi le navi tonde del Medioevo si differenziarono in vari tipi che, in sintesi cronologica, furono: le acazie, le cocche, le caravelle, le caracche, i galeoni, i vascelli e i grandi velieri sopravvissuti fino al nostro secolo.
La tattica di combattimento delle galee consisteva nello scagliarsi contro la nave nemica alla massima velocità (cioè a voga “arrancata”), tentando di speronarla. Ma quasi sempre la contromanovra avversaria portava le galee ad abbordarsi, fracassando e aggrovigliando i remi, come mostrano tanti quadri dell’epoca: gli equipaggi allora cercavano di conquistare la nave nemica combattendo corpo a corpo.
Suprema ambizione di una galea era quella di abbordare la nave del comandante in capo nemico, anche perché certamente se ne poteva trarre più ricco bottino.
Questo veniva suddiviso fra tutti i membri dell’equipaggio, in proporzione al grado, per arrotondare le magre paghe mensili. Da una “Tarifeta” veneziana del 1664, risulta che — al lordo delle trattenute erariali — il comandante in capo dell’armata riceveva 250 ducati al mese: il sopracomito di galea, 90; gli altri ufficiali, 10; i sottufficiali 7,50 e giù giù fino ai vogatori, che ne guadagnavano 1,25 (un ducato equivaleva a circa 25 euro attuali).
Accenneremo infine che per molti secoli (nella marina veneziana, sempre) le formazioni navali erano comandate da un “capitano generale”, non da un “ammiraglio”. Questo secondo termine indicava ciò che oggi è il nostromo e solo in epoche successive salì a designare il massimo grado navale. L’etimologia di ammiraglio è molto suggestiva: proviene dall’arabo al amir rahl, che significa signore del mare.

Da "STORIA DELLE REPUBBLICHE MARINARE" di Marc'Antonio Bragadin

Galea:
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COSI' ERA FATTA UNA GALEA

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"Articolo estrapolato dalla rivista FOCUS STORIA - agosto-settembre 2006"

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Galea

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Galea o galera è il nome di un'ampia tipologia di navi da guerra e da commercio, usata nel Mar Mediterraneo per oltre tremila anni, spinta completamente dalla forza dei remi e talvolta dal vento, grazie anche alla presenza di alberi e vele: il suo declino cominciò a partire dal XVII secolo, quando venne progressivamente soppiantata dai velieri, estinguendosi definitivamente alla fine del XVIII secolo.

Caratteristiche
Il nome "galera", diffusosi solo nel XII secolo, deriva dal greco γαλέoς (galeos), cioè "squalo", perché la forma assunta in quest'epoca dalla principale esponente di questo tipo di navi, la galea sottile, richiamava tale pesce: essa infatti era lunga e sottile, con un rostro fissato a prua, che serviva a speronare ed agganciare le navi avversarie per l'arrembaggio. La propulsione a remi la rendeva veloce e manovrabile in ogni condizione; le vele quadre o latine permettevano di sfruttare il vento.
La forma lunga e stretta delle galee, ideale soprattutto in battaglia, la rendeva però poco stabile, e le tempeste e il mare grosso la potevano facilmente affondare: perciò il loro utilizzo era limitato alla stagione estiva, al massimo autunnale. Era obbligata a seguire una navigazione di cabotaggio, ossia vicino alle coste, in quanto la sua stiva poco capiente imponeva diverse tappe per il rifornimento soprattutto di acqua, che i rematori, per il continuo sforzo fisico, consumavano molto. Per queste ragioni la galea era inadatta alla navigazione oceanica.
Le più famose battaglie combattute da queste navi furono quella di Salamina, nel 480 a.C., e quella di Lepanto, nel 1571. A entrambe queste battaglie presero parte diverse centinaia di galee.
I combattimenti tra galee si risolvevano di solito in abbordaggi, nei quali gli equipaggi si affrontavano corpo a corpo e, a partire dal XVI secolo, a colpi di archibugio; in genere si univano alla lotta anche i rematori.

Storia
La galea è l'evoluzione naturale delle antiche navi greche, come quelle descritte nell'Iliade e nell'Odissea. Esse avevano già una forma del tutto analoga, ma erano di dimensioni ridotte.
La costruzione di navi più grandi fu resa possibile, nell'epoca classica, dall'innovazione dei remi disposti su più file (ordini) per ciascuna fiancata: il miglior compromesso tra grandezza e manovrabilità fu raggiunto con la trireme, cioè la galea a tre ordini di remi, che andò a sostituire la pentecontera. Nella Battaglia di Salamina (480 a.C.) la flotta ateniese era già costituita quasi per intero da triremi. Più rare, ma sempre presenti, erano navi a maggiori ordini di remi, adottate in particolare dai Romani.
La forma di queste navi rimase praticamente immutata sino agli inizi del Medioevo, quando l'Impero bizantino sviluppò i dromoni, forma intermedia tra le agili triremi e le navi maggiori.
Solo nel XIII secolo, in Occidente, con l'incredibile sviluppo delle Repubbliche Marinare italiane, apparirono la galea sottile da guerra e la galera grossa, un vascello ibrido ideato non solo per associare i vantaggi della nave a remi, ma anche quelli della nave da guerra e di quella mercantile.
L'Arsenale di Venezia, dove fin dal XII secolo venivano costruite le galee della Repubblica veneziana, si può considerare il più grande complesso produttivo del Medioevo, e la prima vera grande fabbrica moderna: in esso lavoravano migliaia di uomini, addetti alle diverse attività, e le galee venivano costruite "in serie", anticipando i metodi della moderna catena di montaggio. La capacità produttiva dell'Arsenale era impressionante per l'epoca: nel mese di maggio 1571, nell'imminenza della battaglia di Lepanto, furono varate ben venticinque navi pronte a prendere il mare, quasi una al giorno!
Nel XV secolo le galee cominciarono ad imbarcare a bordo dei cannoni: generalmente un cannone di corsia centrale più alcuni pezzi di calibro inferiore sulla rembada. La potenza di questi cannoni, specie di quelli laterali, era però limitata perché le sollecitazioni derivanti dallo sparo scuotevano e danneggiavano la nave. Inoltre verso la fine del Medioevo si inventò il sistema di remo a scaloccio, in cui 4-5 rematori facevano forza sul medesimo remo. I rematori potevano essere uomini liberi stipendiati o (in caso di guerra) reclutati per sorteggio, schiavi e prigionieri condannati per un certo numero di anni al remo; dal termine galea deriva infatti il termine italiano galera.
Nella battaglia di Lepanto i veneziani sperimentarono con ottimi risultati le galeazze, galee molto più grandi e stabili che potevano imbarcare batterie di cannoni di grosso calibro e sparare in tutte le direzioni; tali navi, tuttavia, erano impossibili da manovrare a remi, tanto che dovettero essere trainate da due galee ciascuna.
La galea venne quindi rapidamente soppiantata dal galeone a vela, molto più grande e potente: oltre ad avere una maggiore potenza di fuoco, esso poteva affrontare le rotte oceaniche, che con l'incremento dei traffici con l'America diventavano sempre più importanti. I primi ad adottarlo furono i paesi della costa atlantica, soprattutto l'Inghilterra. Nel Mediterraneo, invece, ancora nel XVII secolo la galea rimaneva la nave da guerra più usata.
E così i popoli del Mediterraneo in materia di navigazione rimasero indietro, rispetto a quelli nordici. Questo nuovo tipo di nave derivato dalla galea era il leggendario galeone. Questa innovazione inventata dagli spagnoli e adottata in pieno dalle flotte olandesi e inglesi, venne per molto tempo accantonata dalle flotte mediterranee attaccate alla tradizionale galea. Queste ultime evidenziavano i vantaggi della galea senza riconoscerne i difetti, convinti che la tattica di guerra navale si riducesse solo all'attacco frontale attraverso lo speronamento e l'abbordaggio. Fu questo l'errore commesso dai costruttori dell'arsenale veneziano, che incapaci di transitare dalla tradizionale galea al galeone e di conseguenza alla nuova tattica di guerra navale, misero in seria difficoltà la repubblica di Venezia.
Resta da sottolineare comunque la volontà politica della Serenissima di dotarsi di galeoni da mercato che all'occorrenza sarebbero stati usati per le guerre. Un esempio è stato il finanziamento che a varie riprese a cavallo tra XV e XVII secolo fu accordato agli armatori che commissionarono questo tipo di nave. Tuttavia non vi fu da parte dei mercanti/armatori una risposta concreta. Infatti il galeone non si poteva dire la nave più versatile per i commerci nelle acque mediterranee, caratterizzate da porti che le costringevano a non entrare per il loro pescaggio e quindi a trasbordare le merci su altri navigli, aumentando i tempi e i costi dei trasporti.
Inoltre le retribuzioni dei marinai sui galeoni era "alla parte" ovvero il loro stipendio era legato alla buona riuscita del trasporto, ma ne legava la retribuzione all'entità del carico. Su altre imbarcazioni la paga era "al soldo" ovvero fissa e preferibile per i mercanti, che comunque stipulavano polizze assicurative spesso superiori a quelle del reale valore della spedizione.
Si può quindi dire che l'abbandono del modello di trasporto su galeone nel Mediterraneo (con l'eccezione di alcune rotte) sia prevalentemente di natura economica.
Il declino della galea invece seguì il declino della Serenissima a partire dalla battaglia di Lepanto. Infatti, dopo questo scontro epico, in Europa ed anche a Venezia, arrivò la peste che, facendo strage della popolazione, tolse la forza propulsiva indispensabile per questo tipo di nave che abbisognava di molti più uomini rispetto ai vascelli.
Lo studio e lo sviluppo dei vascelli a Venezia iniziò nel XVIII secolo con un impulso deciso solo verso la metà del secolo. Furono dapprima comprate navi inglesi (probabilmente la prima fu "Giove Tonante") e in seguito furono messi in cantiere e varati vascelli anche di notevole stazza, da 70-80 cannoni.

La vita a bordo
Al tempo della battaglia di Lepanto, l'equipaggio della galea sottile era costituito da un comandante, detto sopracomito, dal comito, dagli ufficiali militari e di manovra, dal cambusiere, dal barbiere-medico, dalla ciurma di marinai e galeotti (più di 200), e dai soldati imbarcati a bordo, per un totale che poteva arrivare a 400-500 uomini; la nave era lunga in media sui 40 metri. L'ammiraglia di don Giovanni d'Austria era lunga 60 metri; una sua riproduzione in grandezza naturale si può ammirare nel Museo navale di Barcellona.
Gli ufficiali cristiani ne contavano uno (il sopracomito), in genere di nobile famiglia ma con scarsa esperienza di mare, spesso tuttavia buon soldato, nominato per le sue origini aristocratiche (per esempio i sopracomiti veneziani erano tutti senatori o parenti di senatori), mentre il comito era (soprattutto in Italia) un marinaio, spesso di origini borghesi o promosso tra i marinai, che raggiungeva quel titolo secondo procedure meritocratiche (soprattutto a Genova e Venezia) o di raccomandazione-clientela. Gli ufficiali musulmani invece erano quasi tutti nominati dopo una selezione meritocratica, che premiava abilità marinaresca, fortuna in battaglia e coraggio. Quelli barbareschi erano selezionati dagli armatori corsari tra i sottufficiali più abili, ivi inclusi gli ex schiavi cristiani convertiti all'Islam, di cui non pochi divennero ammiragli.
Tra i turchi si notava comunque (e sarebbero aumentati nel XVII secolo) una certa preferenza per i favoriti del sultano e tra i giannizzeri, uomini di mare forse meno esperti dei barbareschi, ma in genere molto istruiti e capaci di svolgere anche compiti che richiedevano diplomazia e doti politiche. Molti corsari barbareschi o turchi venivano "promossi" nella marina regolare turca, specie se avevano partecipato a scontri regolari dimostrando di non essere interessati solo al bottino.
Il senso dell'onore di cristiani e di musulmani era l'unica garanzia che le galere e i loro equipaggi fossero ben trattati, visto che solo il governo veneziano faceva dei controlli regolari in tal senso, e anche quelli di questo governo erano limitati e difettosi.
I rematori, detti galeotti, erano di tre categorie:
gli schiavi e i forzati (o sforzati), prigionieri di guerra, rei e condannati alla pena del remo (a Lepanto furono liberati ben dodicimila cristiani che erano schiavi sulle navi turche, ed altre migliaia di criminali comuni sforzati su quelle cristiane);
gli zontaroli, prigionieri e liberi cittadini coscritti in caso di guerra, ma pagati a soldo;
i buonavoglia, volontari imbarcati a stipendio.
Nella Repubblica di Venezia, a differenza che nelle altre marine, dove la componente forzata era predominante, le galee erano quasi tutte composte di buonavoglia e di zontaroli, mentre i forzati imbarcavano su una ben specifica categoria di navi, le galee sforzate, che costituivano una squadra navale indipendente sotto l'autorità di un comandante detto Governator de' Condannati. Le galere turco-ottomana, fino alla campagna di Lepanto, erano per lo più armate con zontaroli, reclutai per sorteggio sia tra le comunità musulmane che tra quelle cristiane dell'Egeo, l'elevata mortalità per peste e tifo petecchiale del 1570-1571 costrinse i turchi a sostituire gli zontaroli (che all'occorrenza, soprattutto se musulmani, partecipavano al combattimento) con schiavi catturati in Grecia e nei territori controllati da Venezia sul basso Adriatico, da quel momento la percentuale di schiavi tese d aumentare nelle flotte ottomane, anche perché fu sempre più difficile reclutare i buonavoglia ("azap" ovvero volontari in turco), poco attratti da un mestiere che si faceva via via più pericoloso in una flotta non più invincibile. Le galere ponentine (spagnole, francesi, sabaude, genovesi, toscane, pontificie e maltesi) erano armate a netta maggioranza da forzati (criminali comuni) e schiavi musulmani. Allo stesso modo quelle dei corsari barbareschi erano armate al 70 o al 80% da schiavi cristiani, riservando il 20/30% a volontari buonavoglia nordafricani. Gli schiavi e i forzati erano inutili durante un abbordaggio ma, anche perché in genere proprietà del capitano, trattati meglio dei vogatori veneziani "zontaroli" o "buonavoglia", ben nutriti, molto ben allenati (specie quelli genovesi e barbareschi) e meglio addestrati visto che erano professionisti di lungo corso e non volontari reclutati per una breve campagna estiva.
La vita a bordo era molto dura: i rematori erano divisi a squadre che si alternavano con turni di 4 ore. Il galeotto e lo schiavo rimanevano sempre incatenati al banco di voga, mentre il buonavoglia poteva essere liberato in caso di battaglia. Mangiavano una volta al giorno, solitamente all'imbrunire per non vedere cosa avevano nella scodella: il rancio del marinaio era costituito da galletta, impasto di acqua e farina condita con acqua marina o da aceto per coprire il gusto di marcio (da qui il nome rancio, ossia rancido, acido). Dormivano sui banchi legati. Le squadre di galee erano comandate da patroni e capitani.
Tra gli altri ruoli imbarcati sulle galere bisogna citare gli "aguzzini" (incaricati di "stimolare" con fruste od altro la voga sulle galere ponentine), i "capi voga", i musici (che oltre ai normali ruoli propri dei musicisti militari avevano anche il compito di dare il ritmo alla voga), i segretari e i furieri (incaricati delle scorte di cibo, biscotto, acqua ecc.), i barbieri-chirurghi, i sacerdoti (assenti ovviamente sulle galere musulmane, poco amati anche su quelle veneziane, sempre presenti invece su quelle ponentine), i marinai (con tutte le loro varietà, dal mozzo al nostromo), il nocchiere (incaricato del timone), il pilota (ufficiale di rotta, particolarmente abili quelli turchi, che spesso al principio del Cinquecento erano anche cartografi e facevano rapida carriera, si pensi a Piri Reis), oltre ai giovani gentiluomini, paggi del comandante, che fungevano da allievi ufficiali, infine, ovviamente, soldati e cannonieri.
I cannonieri (o bombardieri) non erano numerosissimi, anche se più abbondanti sulle galere cristiane che su quelle musulmane (soprattutto i barbareschi facevano poco affidamento sulle loro artiglierie e molto sulla superiore velocità dei loro legni) tra di loro vi era di solito un capo munizioniere e un capo cannoniere, con i rispettivi aiuti. Solo le galere veneziane dimostrarono di essere in grado di sparare più bordate prima dello scontro corpo a corpo. Pantero Panteri (che fu ammiraglio della marina pontificia a cavallo tra Cinquecento e Seicento, ed era un giovane allievo ufficiale a Lepanto) consigliava di sparare una sola bordata quando già le prore si incrociavano, in modo da preparare l'abbordaggio nel fumo, al contrario la marina veneziana arrivò a sparare 5-6 colpi per ogni cannone prima dell'incontro con la squadra nemica a Lepanto, malgrado lo scontro si svolgesse con le due flotte che navigavano a tutta velocità l'una contro l'altra.
I soldati potevano essere di molti tipi.
Sia musulmani sia cristiani potevano contare di frequente su volontari (ghazi, ossia "incursori", per i turchi, venturieri per i cristiani) che si imbarcavano senza paga (anche se partecipavano alla divisione del bottino) attratti dalla crociata-jihad e dal gusto dell'avventura o dal senso dell'onore. L'Impero ottomano disponeva di truppe sceltissime di fanteria di marina, tratte dal corpo dei giannizzeri, il più disciplinato ed efficiente esercito di quell'epoca. I giannizzeri della marina combattevano divisi in squadre di 3 uomini, un archibugiere, un arciere e un arrembatore con mezza picca, dopo Lepanto, verificando la superiorità dell'archibugio, i turchi modificarono la loro organizzazione basandola su due archibugieri e un arciere-arrembatore, l'arco infatti aveva una velocità di tiro e una gittata superiore all'archibugio, ma risultava meno potente e soprattutto era fisicamente spossante ed era molto difficile addestrare un buon arciere, mentre un buon archibugiere arrivava ancora fisicamente riposato all'arrembaggio ed era quindi più duttile. Accanto ai Giannizzeri vi erano altri azap, mercenari o coscritti, meno ben armati (spesso senza armi da fuoco) ed in genere privi di armatura, mentre i barbareschi erano forniti di eccellenti moschettieri. La seconda migliore fanteria di marina era quella dei tercios del mare spagnola, composta da due appositi reggimenti (rinforzati dai tercios di Sicilia, Sardegna, Napoli e eccezionalmente Lombardia), che erano armati con archibugi e potenti moschetti, armature e spade, ma senza picche e alabarde. Anche i genovesi disponevano di un'eccellente fanteria leggera imbarcata, in genere reclutata in Corsica, ma a differenza di quella spagnola e di quella turca si trattava di truppe mercenarie, così come quelle reclutate in Istria e Dalmazia (soprattutto tra gli slavi schiavoni) da Venezia. Gli Schiavoni (e gli albanesi) erano considerati ottimi sia nell'abbordaggio, sia nell'aiuto dei marinai durante la navigazione. Le armature genovesi erano molto apprezzate, in quanto con una sola mossa, se si cadeva in acqua, potevano essere levate, mentre la peculiarità delle truppe veneziane erano i cecchini, dotati di numerosi grossi archibugi da posta, molto più lunghi, potenti e precisi dei normali moschetti, che però dovevano essere utilizzati da complicati tripodi.
Una galera usciva dal porto avendo a bordo fra i 100 e i 300 soldati o venturieri, mentre aveva fra i 30 e i 100 marinai, fra i 10 e i 30 cannonieri e fra i 190 e i 320 vogatori; questo basti a far capire quale era l'importanza delle quattro componenti.

Modello di una galea sottile maltese battente le insegne dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta.
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Cocca

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La cocca fu una tipologia di nave medievale, di forma rotonda, che poteva raggiungere una stazza di 1000 tonnellate. Essa può essere considerata la più importante delle navi a vela che seguirono il periodo della navi a propulsione mista - remi e vele.
La cocca possedeva un ponte scoperto, sotto il quale un unico vano costituiva la stiva. Successivamente, si aggiunse un ponte coperto più piccolo a prua e uno maggiore a poppa. Possedeva un solo albero con una sola vela, quadra e di grandi dimensioni.
Essa nasce nei mari del nord, probabilmente intorno al XII secolo, per far fronte alla necessità di adeguare l'incremento dei commerci via mare con navi sempre più capaci e sempre più in grado di ben veleggiare sia in condizioni di mare calmo che di mare agitato.
Si sviluppa quindi un nuovo tipo di nave chiamata cocca anseatica.
Le cocche anseatiche presentavano un disegno che abbandonava la prua ricurva delle precedenti navi e mostravano una prua dritta, formante un angolo di circa 60 gradi, fissata da una lunga chiglia dritta con un dritto di poppa anch'esso dritto, formante un angolo di 75 gradi.
L'attrezzatura velica presentava vela quadra con bracci e boline in modo che la vela potesse essere orientata per procurare il movimento in avanti della nave con vento al traverso. La nave presentava i castelli di prua e di poppa, utilissimi in caso di scontro armato, non infrequente in tempi in cui la pirateria era l'altra faccia della medaglia dell'attività mercantile. La vela quadra era dotata di matafioni di terzarolo lungo il bordo inferiore in modo che il bordame venisse assicurato con i matafioni.

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La galea brigantino

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Originariamente il nome brigantino era dato ad una piccola e sottile nave, detta anche procaccino, appartenente alla famiglia delle galee, a 12-14 banchi a singolo rematore e due alberi (trinchetto e di maestra), dotati l'uno di vela latina e l'altro di vela aurica o di vela latina. Il nome derivava dal fatto che tale imbarcazione si presentava come particolarmente adatta alla guerra di corsa.

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Galea sottile

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La galea sottile era la tipica galea da guerra utilizzata nel Mediterraneo dal IX al XVIII secolo. In tempo di pace poteva assolvere anche funzioni mercantili, particolarmente per il trasporto di merci preziose e poco voluminose, date le limitate disponibilità di spazi di stiva.

Caratteristiche
Le caratteristiche della galea sottile di seguito riportate fanno particolare riferimento alle galee armate dalla Repubblica di Venezia tra il XIII e il XVIII secolo, ma sono di fatto estendibili, con minime modifiche, a tutte le marinerie mediterranee delle stesse epoche.
Si trattava di navi ad unico ponte, lunghe circa 45 m e larghe 5 m. Recavano due file di circa 25 banchi a due rematori con due alberi a vela latina, detti maestra e trinchetto. Talvolta poteva aggiungersi un terzo albero a poppa, detto mezzanello. Le vele prendevano il nome di mezzana, terzarolo e artimòn.
L'intera vita di bordo si svolgeva all'aperto, sul ponte, ad esclusione della tenda di comando innalzata a poppa.
Gli equipaggi si dividevano tra marinai, addetti alle attività nautiche e alle vele, e galeotti, addetti ai remi, a loro volta distinguibili tra buonavoglia, cioè liberi cittadini volontariamente arruolati, zontaroli, coscritti in tempo di guerra per incrementare gli equipaggi, e sforzati, cioè prigionieri di guerra e criminali condannati al remo. A questi si aggiungevano i reparti militari imbarcati.
Quando non impegnati nelle flotte da guerra o non adibiti ad usi mercantili, questi legni venivano normalmente disarmati e posti su scalo, preferendogli le più piccole ed economiche galeotte e fuste per le attività delle squadre militari permanenti.
Le artiglierie, introdotte a partire dal Quattrocento, andarono a sostituire, assieme agli archibugi, i tradizionali strumenti di offesa delle galee sottili: balestre e catapulte.
Le artiglierie erano poste a prua e a poppa, rivolte lungo la direzione di rotta, per colpire in caccia o in fuga.
Il pezzo d'artiglieria principale, posizionato a prua in asse con la chiglia, era chiamato cannone di corsia. Ai lati erano pezzi minori, detti petrieri (generalmente in numero di otto) e falconi (di norma in numero di quattro). Anche la poppa era armata in modo simile, con circa quattro petrieri e un falcone, detto paretolo.
La voga era inizialmente condotta, nei primi secoli, con il metodo alla sensile, cioè con tre rematori per banco, ciascuno dotato di un singolo remo di differente lunghezza: tale metodo consentiva di raggiungere elevate velocità, ma richiedeva un'elevata abilità da parte dei galeotti per ottenere il necessario coordinamento. Con il progressivo ridursi della qualità degli equipaggi, dovuto al minore apporto di rematori volontari (buonavoglia), e il conseguente aumento del numero di sforzati, attorno alla metà del XVI secolo passò al più semplice metodo a scaloccio, con cinque rematori per banco, tutti agenti su un unico remo comune.

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Galea bastarda

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La galea bastarda, o semplicemente bastarda, e la più piccola bastardella, era un tipo di galea dalle dimensioni maggiori e dalle forme di poppa più piene rispetto alla comune galea sottile. Questo consentiva sbalzi di poppa più pronunciati e pesanti, utili a segnalare l'uso tipico di tali navi come galee capitane, cioè navi ammiraglie nelle flotte sia militari che mercantili.
Il nome derivara dal fatto che tale tipo di nave risultava essere un incrocio tra la galea sottile e la galea grossa.

Caratteristiche
Si trattava di navi ad unico ponte, sviluppata nel Cinquecento, recante due file di banchi a due rematori e due alberi a vela latina. Le artiglierie, erano poste, come per tutte le galee, a prua, rivolte nella direzione di rotta.
L'intera vita di bordo si svolgeva all'aperto, sul ponte, ad esclusione della tenda di comando innalzata a poppa.
Sempre a coronamento della poppa erano poste grandi lanterne, il cui numero indicava l'importanza dell'ammiraglio di cui la nave era capitana.

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Galea grossa

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La galea grossa o galea grossa da merchado era la tipica galea mercantile utilizzata nel Mediterraneo nel Medioevo, grazie ai grandi spazi di stiva.

Storia
Il veneziano Demetrio Nadal è ricordato per aver progettato il prototipo della galera grossa nel 1294; tale progetto viene presto modificato seguendo le impostazioni costruttive delle galere delle Fiandre, più voluminose e più adatte allo sviluppo che aveva avuto l'artiglieria da fuoco.

Caratteristiche
La galea grossa, sviluppata a partire dal Duecento, presentava dimensioni molto maggiori rispetto alla galea sottile da guerra, con la presenza di due alte incastellature a prua e a poppa e di un trinceramento posto a mezzanave per farvi da riparo ai soldati, su modello del dromone bizantino. Erano dotate di due, ma più spesso tre, alberi a vela, oltre che dei tradizionali remi, utilizzati nella navigazione controvento, in caso di bonaccia o durante i combattimenti. Il sistema di voga, data la particolare pesantezza della nave, rispetto agli altri tipi di galea, era quello a scaloccio, con cinque vogatori per banco agenti su un unico remo.
I maggiori volumi di stiva rendevano queste galee ideali per le attività mercantili, consentendo tuttavia, grazie alla maggiore manovrabilità e sicurezza offerta dai remi, una maggior capacità difensiva rispetto alle navi tonde a vela.
Le galee grosse erano quindi utilizzate principalmente per il trasporto di mercanzie di un certo valore e furono utilizzate dalle repubbliche marinare italiane quale principale elemento delle mude, cioè delle carovane marittime utilizzate nei commerci, spesso a protezione del nucleo di navi tonde e talvolta con l'aggiunta di un'ulteriore scorta di galee sottili.
In caso di guerra le galee grosse potevano essere schierate anche nelle flotte da guerra con una funzione di fortezze galleggianti nel mezzo dello schieramento di galee sottili. Proprio da questa particolare funzione, con il declinare del sistema delle mude, seguito alla crisi dei commerci mediterranei innescata agli inizi del XVI secolo dalla scoperta portoghese delle rotte circumafricane, che rese di fatto obsolete le galee grosse mercantili, venne sviluppato sulla base di questo tipo di navi il modello della galeazza da guerra.

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Le Navi Medievali

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La Nave Lunga
La nave lunga era azionata sia dal vento sia dai remi, ed era maneggevole sia nelle manovre portuali che nelle battaglie. Lo sviluppo dell’artiglieria ha segnato il suo declino, mentre la nave tonda, attrezzata con batterie di cannoni divenne strumento di guerra e di conquista più efficace e sicuro.
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La Nave Tonda
La nave tonda era mossa esclusivamente dal vento, aveva due timoni fatti con due grossi remi, situati uno per lato. I timoni erano azionati da due timonieri i quali dovevano agire in sintonia perciò erano costretti a manovrare lentamente. Le vele latine triangolari assicuravano grande manovrabilità perché potevano ruotare attorno all’albero sfruttano anche il vento che soffiava in direzione obliqua alla rotta.
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La Galea
Le galee avevano due ordini di remi oppure tre. Ogni remo era azionato da alcuni rematori i quali dovevano essere disposti in modo tale che i più alti e robusti fossero seduti verso l’interno. I remi erano usati solo nelle manovre in battaglia e il ritmo della vogata era scandito con mazze e tamburi.
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La Caracca
Le caracche erano navi da carico a tre alberi costruite dai genovesi con una velatura molto diversificata che utilizzavano sia la vela quadrata sia la vela latina. Gli alberi potevano raggiungere i 45 metri di altezza. I castelli si alzavano fino a 6 metri sul livello del mare. Questo consentiva una buona posizione di difesa contro i pirati. Queste navi da carico potevano raggiungere una stazza di mille tonnellate. Molto robuste e molto sicure potevano resistere sia agli attacchi dei nemici sia alle tempeste. Inoltre, potevano affrontare anche in inverno le rotte oceaniche. Queste navi genovesi tra il 1277 e il 1278 inaugurarono nuove rotte tra l’Italia, le Fiandre e l’Inghilterra. Queste rotte varcavano lo stretto di Gibilterra e passavano per Lisbona.
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Tratto da: http://web.tiscalinet.it/scina/le_navi_medievali.htm
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Navi tonde medievali

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Attraversare Le Acque
Navi tonde medievali

Con la definizione generica di “navi tonde”, spesso ricordate nelle fonti col semplice nome di navis, si identificano le navi da trasporto a vela utilizzate in età medievale. Erano caratterizzate da forme tondeggianti e da uno scafo panciuto e profondo, tale da consentire una grande capacità di carico, come testimoniano le fonti iconografiche. Al pari delle navi antiche, presentavano due timoni laterali ma, a differenza di quelle, non erano dotate di vele quadre. Le navi medievali infatti armavano una o due vele latine, di forma triangolare, che costituiscono la tipologia più diffusa per quasi tutta l’epoca medievale (e che sono perdurate sui navigli minori fino al secolo scorso). Rispetto alla vela quadra, la vela latina consente di stringere meglio il vento, ma la sua manovra richiede un maggior numero di uomini. Quanto alle dimensioni, le notizie precedenti il Trecento sono piuttosto scarse. Nel complesso, doveva trattarsi di navi di lunghezza compresa tra i 20 e i 30 metri, con una capacità di carico variabile tra le 150 e le 400 tonnellate.
A partire dal Duecento cominciarono a essere costruite navi sempre più grandi, lunghe fino a 40 metri e capaci di trasportare carichi superiori alle 500 tonnellate. Per questo secolo conosciamo le dimensioni della Roccaforte, una nave veneziana considerata grande, ma non grandissima: più di 38 metri di lunghezza, oltre 14 di larghezza, un’altezza di oltre 9 metri a centro scafo e di quasi 14 metri in corrispondenza dei due alti castelli di prua e di poppa. Sulla base di queste misure si calcola che avesse una capacità di carico di circa 600 tonnellate. Nella prima metà del Trecento una nuova tipologia di nave mercantile sostituì progressivamente la navis armata con vele latine e timoni laterali. Si tratta della cocca, affermatasi a Venezia verso la metà del secolo. Questa nave di origine nordica si distingueva rispetto alla navis mediterranea per le minori dimensioni, per l’uso di un timone unico centrale e per l’impiego di un armo a vela quadra (per lo più con un solo albero), caratteristiche che ne aumentavano la sicurezza in navigazione e ne riducevano al contempo i costi di esercizio. L’equipaggio necessario alla sua condotta era infatti ridotto della metà, con evidenti vantaggi sul piano economico e gestionale.

Tratto da: http://www.leoriginidivenezia.it/temati ... dove=acqua
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