Guerra medievale

Armi, armature, tattiche, formazioni, logistica e altro ancora...
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Veldriss
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Guerra medievale

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guerra medievale è la guerra nel Medioevo europeo. Sviluppi tecnologici, culturali e sociali resero inevitabile una vistosa trasformazione nel carattere della guerra come veniva praticata nell'antichità, cambiando le tattiche ed il ruolo della cavalleria ed artiglieria. Simili schemi bellici esistevano in altre parti del mondo.

In Cina attorno al XV secolo gli eserciti passarono da una struttura imperniata su masse di fanteria al modello di forze armate che avevano il proprio nerbo nella cavalleria, ad imitazione dei popoli nomadi della steppa. Il Medio Oriente ed il Nordafrica usavano metodi ed equipaggiamenti simili a quelli europei, e si verificò un considerevole scambio di tecniche e di tattiche fra le due culture.

Origini della guerra medievale

Forse la più importante novità tecnologica fu l'introduzione della staffa in ferro o leghe resistenti agli urti delle battaglie, che arrivò in Europa nell'VIII secolo, ma che era utilizzata anche anteriormente in Cina e Medio Oriente. La staffa, assieme all'allevamento dei cavalli consentì la nascita di una cavalleria più potente. I primi imperi, come quello romano, usavano combattenti montati principalmente come esploratori o ausiliari. La staffa portò invece in primo piano la cavalleria, mettendo in condizione i cavalieri di imbracciare una lancia con efficacia e svolgere azioni di appoggio laterali in profondità, impiegando armi da getto. In Europa, il cavaliere dotato di corazza pesante assunse un'importanza centrale. In Mongolia, gli arcieri a cavallo, armati "alla leggera", fecero altrettanto. In Cina e nel Medio Oriente, le forze principali rappresentavano una sorta di via di mezzo tra questi due estremi.

Molti considerano la battaglia di Adrianopoli, occorsa nel 378, come fine dell'Impero romano ed inizio del Medioevo. Questo scontro, ad ogni modo, dimostrò la superiorità della cavalleria sulle forze terrestri tradizionali, e ciò contribuì a marcare il carattere che la guerra medievale avrebbe mantenuto per parecchi secoli.

I nuovi eserciti ebbero al centro piccole unità di cavalieri, elitarie e costosissime; questo era al contempo effetto e causa dell'ordine sociale del tempo. Essere un cavaliere implicava grande abilità e prolungato addestramento, di conseguenza, al contrario di quanto avveniva negli antichi eserciti cittadini, il "mestiere delle armi" rappresentava una professione a tempo pieno. Per ulteriore conseguenza, si radicava una netta stratificazione della società tra nobiltà e gente comune. La nobiltà feudale acquisì notevole potere in una fase in cui lo Stato centralizzato dimostrava tutta la propria debolezza. Diveniva al contempo sempre più difficile riunire forze numerose e ben organizzate quali erano state le legioni romane. Piuttosto, il grosso degli armati era composto di contadini, arruolati forzatamente o di mercenari. In alcune regioni, come l'Inghilterra alto medievale e la Scandinavia o la Spagna pure nell'Alto medioevo, gli yeomen (termine inglese per designare il libero agricoltore che coltiva il proprio fondo) davano vita ad una fanteria relativamente ben equipaggiata.

Anche la fine - come il sorgere - del modo medievale di combattere fu determinato da cambiamenti tecnologici e sociali: una reviviscenza del potere dei governi centrali consentì l'affermazione di eserciti permanenti, o semi-permanenti, come ad esempio in Francia le compagnies d'ordonnance.

Strategia e tattica

Dispiegamento delle forze
È probabilmente un errore parlare di eserciti medievali "europei" nel periodo in esame, poiché l'Europa era assai differenziata culturalmente, la maggior parte delle regioni avendo caratteristiche peculiari e non assimilabili ad altre. Gli studiosi inglesi e statunitensi al proposito si sono decisamente concentrati sulle prassi belliche anglo-francesi, ma questa impostazione dottrinale ha evidentemente il vizio di confondere la parte con il tutto. Tanto premesso, esporremo comunque in sintesi i principali risultati di una tale elaborazione, che, malgrado il limite appena descritto, è in ogni caso di pieno rilievo.

Gli eserciti medievali anglo-francesi potevano essere divisi in tre sezioni, chiamati "battaglie" o "battaglioni" - l'avanguardia (o vaward), il centro (o 'battaglia principale') e la retroguardia. L'avanguardia era spesso composta di arcieri ed eventualmente altri tiratori muniti di armi a lunga gittata, come frombole, pietre e - meno frequentemente - catapulte leggere. Il centro constava di fanteria e cavalieri corazzati, mentre nella retroguardia operavano unità di cavalleria più agili.

L'ordine di marcia normale seguiva il senso dei rispettivi nomi: avanguardia, centro, retroguardia. Giunti sul teatro dello scontro, di regola le tre "battaglie" si disponevano sul terreno nello stesso ordine, da destra a sinistra. Tuttavia, quando gli eserciti crescevano di numero divenendo sempre meno "maneggevoli", capitava sovente che le varie sezioni si disponessero sul campo semplicemente com'erano arrivate.

Ogni sezione si schierava o in linea o per blocchi. Una formazione lineare presentava il vantaggio che tutti i soldati potessero prender parte alla battaglia almeno una volta (specialmente quelli che disponevano di armi a lunga gittata, quali gli archi lunghi inglesi od altri tipi di archi); una carica di cavalleria poteva facilmente disperdere una formazione in linea.
Per converso, una formazione a blocco era generalmente più robusta, ma comportava un rallentamento nell'impiego delle file più arretrate (o addirittura ne escludeva la partecipazione, come successe ai francesi alla battaglia di Azincourt del 1415). Le formazioni a blocco davano il vantaggio dell'"uomo di scorta" nel caso venissero colpiti i soldati di prima linea, ed erano spesso piuttosto dure da scompaginare, specie se l'esercito era ben addestrato.

La cavalleria poteva essere disposta in parecchi modi, secondo la situazione. Se un drappello di cavalieri era senz'altro efficace, una cavalleria a ranghi serrati, operante a "lancia in resta", rappresentava una forza devastante. La formazione più comune era quella in linea: i cavalieri si disponevano in una lunga schiera, di solito con la profondità di tre o quattro righe e poi caricando. Ad ogni modo, un reparto di fanteria ben addestrato poteva reggere un tale urto, così alcune unità impiegavano formazioni a cuneo. I cavalli venivano disposti in un grande triangolo, che al centro presentava la cavalleria più pesantemente corazzata. Quando il cuneo veniva a contatto con la linea dei fanti, il più delle volte riusciva ad aprire una falla, consentendo agli attaccanti un successivo assalto di fanteria sul medesimo punto, che poteva mettere in rotta le forze restanti.

Per contrastare il predominio della cavalleria sul campo di battaglia, l'espediente più diffuso era l'uso di picche, aste acuminate che talora superavano i sei metri di lunghezza. Quando la cavalleria caricava, i picchieri si disponevano in quadrato o in cerchio, il che impediva ai cavalli di penetrare troppo a fondo nelle linee dei fanti. Con la protezione - ai fianchi e sul retro - di un congruo schieramento di picche, gli eserciti potevano muovere su posizioni efficaci senza subire minacce.

Un altro metodo, tipico degli inglesi, consisteva nell'impiego massivo di arcieri. L'arco lungo inglese (il longbow), era un'arma veramente micidiale in mano ad esperto tiratore, e i britannici scoprirono che - quando erano tempestati da migliaia di arcieri che tiravano all'unisono - ben pochi eserciti avversari erano in grado di sferrare un assalto frontale sostenuto da cavalleria o fanteria leggera. Durante la Guerra dei cent'anni, diversi cavalieri francesi riferirono di aver visto «il giorno trasformarsi in notte a causa della nuvola di frecce che piovevano dal cielo». Un esempio cruciale della tremenda potenza del longbow fu la famosa battaglia di Crécy nel 1346, durante la quale gli arcieri inglesi distrussero i balestrieri mercenari genovesi e la nobile cavalleria di Filippo VI di Francia. Le cause della supremazia dell'arco sulla balestra furono allora dovute alla pioggia che bagnò le corde, all'assenza degli scudi (i pavesi) dietro i quali i balestrieri dovevano ripararsi per ricaricare, e il tempo necessario a ricaricare le balestre (massimo due colpi al minuto; si stima per contro che in media ogni arciere inglese scoccasse almeno 10-12 frecce al minuto).

Dopo parecchie salve contro le linee nemiche, la fanteria e la cavalleria inglesi assestavano il colpo di grazia.

Impiego delle forze
Il livello di esperienza e di abilità tattica degli eserciti medievali variava ampiamente. Per le battaglie maggiori, la programmazione tipicamente si svolgeva in un consiglio di guerra fra i comandanti, che poteva risolversi tanto nell'esposizione di un piano di battaglia organico, quanto in un chiassoso dibattito tra i diversi capi, a seconda di quanta autorevolezza possedeva il generale in capo.

Le comunicazioni campali prima dell'avvento dei mezzi tecnologici moderni erano ardue. Prima che fossero disponibili telefoni e radio, i messaggi erano trasmessi tramite segnali musicali, comandi a voce, messaggeri, o segnali visivi (stendardi, orifiamma, striscioni, bandiere e così via).

La fanteria, tiratori compresi, di regola veniva impiegata tipicamente in apertura della battaglia, per scompaginare le formazioni dei fanti avversari, mentre la cavalleria aveva il compito di opporsi alla propria controparte. Quando uno dei contendenti avesse conquistato la superiorità nella cavalleria (o l'avesse posseduta fin dal principio), avrebbe tentato di sfruttare la perdita di coesione nella fanteria avversaria, conseguente alla mischia, per assalirla con l'intento di metterla in rotta. Non era una faccenda semplice, ma anzi richiedeva un'attenta scelta di tempo, giacché una fanteria ordinatamente disposta spesso poteva avere la meglio sugli attaccanti montati. Puri scontri tra fanterie spesso si protraevano per molto tempo.

I cannoni ebbero il loro battesimo del fuoco nel Basso Medioevo. Tuttavia, la loro cadenza di tiro assai modesta (spesso un solo colpo per un'intera battaglia), per giunta accompagnata dall'imprecisione, ne fece soprattutto un'arma psicologica, più che una valida arma anti-uomo.

Successivamente, una volta che si diffusero i cannoni "a mano", la cadenza di tiro venne solo leggermente migliorata, ma i cannoni divennero molto più facili da puntare, in gran parte a causa delle dimensioni più ridotte, e del fatto che rimanevano più vicini a chi li manovrava. Gli operatori potevano facilmente essere protetti, perché i cannoni erano più leggeri e potevano essere spostati con rapidità di gran lunga superiore. Ad ogni modo, un'artiglieria campale degna di questo nome e realmente efficace non apparve, e tanto meno si diffuse, prima dell'esordio dell'età moderna.

Ritirata
Una ritirata precipitosa poteva causare un numero di caduti ampiamente superiore a quello derivante da un ripiegamento ordinato.
Quando la parte soccombente iniziava a ritirarsi, la celere cavalleria che faceva parte della retroguardia del vincitore si lanciava sul nemico in fuga, mentre la fanteria proseguiva nel proprio attacco. Nella maggior parte delle battaglie medievali poteva accadere che le perdite maggiori si avessero in fase di ritirata piuttosto che durante il combattimento vero e proprio, poiché i cavalieri riuscivano presto e facilmente ad eliminare fanti ed arcieri non più protetti dalla cortina dei picchieri.

Fortificazioni
Il disfacimento degli stati centralizzati determinò il sorgere di vari gruppi dediti alla scorreria su larga scala quale fonte di sostentamento. In ciò si distinsero particolarmente i vichinghi (ma non furono da meno arabi, mongoli e magiari).

Poiché si trattava normalmente di gruppi piccoli, che avevano l'esigenza di spostarsi velocemente, costruire fortificazioni si rivelò una scelta idonea a garantire rifugio e protezione alle persone, così come il benessere materiale della regione che provvedeva in tal senso.

Vi fu un'evoluzione di questi manufatti nel corso del Medioevo, fino a consacrare quale struttura paradigmatica del genere il castello, parola che nell'immaginazione di molti rappresenta un istintivo sinonimo di Medioevo.

Il castello, sede permanente delle élite locali, fungeva da luogo di rifugio per le popolazioni della zona, e dal suo interno si potevano inviare truppe a contrastare le scorrerie, o a frustrare gli sforzi, condotti da più numerosi eserciti, di rifornirsi depredando la regione. Ciò era reso possibile da quella superiorità locale - sui "cercatori di provviste" - che (in assenza del castello) non si sarebbe potuta vantare sull'intera schiera ostile.

Le fortificazioni offrivano molteplici vantaggi: davano riparo nei confronti di eserciti troppo grossi per essere affrontati in campo aperto; annullavano il ruolo della cavalleria pesante. Costruire macchine d'assedio, poi, richiedeva molto tempo, e di rado poteva portare qualche frutto in assenza di un'idonea attività preparatoria; molti assedi potevano perciò aver bisogno di mesi, se non di anni, prima di indebolire o demoralizzare i difensori, e solide fortificazioni, munite di adeguate provviste, potevano perciò decidere di un conflitto come arma puramente difensiva.

Tecniche dell'assedio medievale
Nell'epoca in esame gli assedianti utilizzavano un ampio ventaglio di macchine d'assedio: scale a pioli, arieti, torri d'assedio e vari tipi di catapulta, quali il mangano, l'onagro, la balista ed il trabucco. Fra queste tecniche andavano annoverate anche le pratiche di scavo.

I progressi nella conduzione degli assedi incoraggiarono lo sviluppo di una serie di contromisure. In particolare, le fortificazioni medievali divennero sempre più solide - ad esempio, ai tempi delle Crociate, comparve il castello concentrico - e sempre più insidiose per gli attaccanti - come testimonia il crescente uso di trabocchetti, botole, e dispositivi per il getto di pece fusa, acqua bollente (non olio, come viene erroneamente creduto: era un bene troppo prezioso), piombo fuso o sabbia arroventata. feritoie, porte segrete per le sortite, e profondi canali colmi d'acqua erano ugualmente essenziali per resistere agli assedi a quei tempi. I progettisti dei castelli prestavano particolare attenzione alla difesa delle entrate, proteggendo le porte con ponti levatoi, grate scorrevoli e barbacani. Pelli di animali umide erano spesso stese sopra le porte per contrastare gli incendi. Fossati ed altre difese idrauliche, sia naturali, sia modificate ad arte, erano altrettanto importanti.

Nel Medioevo europeo virtualmente ogni grande città aveva le sue mura - Ragusa (Dubrovnik) in Dalmazia ne è un suggestivo e ben conservato esempio - e le città più importanti avevano cittadelle, forti o castelli. Si facevano grandi sforzi per garantire un'adeguata scorta d'acqua in caso d'assedio. Talora venivano scavate lunghe gallerie sotterranee per portare acqua alla città. In città medievali quali Tábor in Boemia, venivano impiegati complessi sistemi di tali gallerie sia per l'immagazzinamento, sia per le comunicazioni. Contro tali difese, a volte gli assedianti facevano ricorso alla maestria nell'escavazione di squadre di zappatori ben addestrati.

Fino all'introduzione della polvere da sparo (e alla conseguente maggior velocità che veniva impressa ai proiettili dalle nuove armi), il rapporto di forze - anche sul piano meramente logistico - pendeva nettamente a favore degli assediati. Dopo detta invenzione, i tradizionali metodi di difesa si rivelarono sempre meno efficaci nei confronti di un assediante risoluto.

Organizzazione

Cavalieri
Un cavaliere medievale, di norma, era un soldato "montato" e munito di armatura, spesso legato alla nobiltà se non addirittura alla casa reale, sebbene (specie nel nord-est europeo) i cavalieri potessero essere uomini di estrazione sociale alquanto umile, e perfino "non liberi". Il costo delle armature, dei cavalli e delle armi era ingente. Ciò, assieme ad altre cause, contribuì a trasformare il cavaliere (almeno nell'Europa occidentale), in una classe sociale distinta dagli altri guerrieri. Durante le Crociate, sacri ordini di cavalieri combatterono in Terra santa.

Cavalleria pesante
La cavalleria pesante, armata con spade e lance, giocava una parte di spicco nelle battaglie medievali. Reparti di tale tipo venivano spesso impiegati per caricare le formazioni nemiche.

Fanteria
Il ruolo della fanteria è stato ignorato nel passato da scrittori che rivolgevano la propria attenzione soltanto alla figura dei cavalieri, ed alla connessa cavalleria pesante. La fanteria era reclutata ed addestrata in un'ampia varietà di modi nelle diverse regioni europee e nei vari periodi che assieme compongono il Medioevo (un arco di circa mille anni); ad ogni modo, i fanti hanno probabilmente sempre costituito il grosso di un esercito medievale da campagna. Era normale, nelle guerre che si protraevano a lungo, l'impiego di fanti mercenari. Per lo più gli eserciti annoveravano rilevanti aliquote di picchieri, arcieri ed altri soldati appiedati. Negli assedi, che forse erano la fase più comune della guerra medievale, le unità di fanteria trovavano impiego come componenti delle guarnigioni ed arcieri, oltre ad altre posizioni. Esistevano diversi tipi di fanteria, che variavano a seconda dei territori in cui venivano utilizzate. Ad esempio nel nord-ovest Europa gli schieramenti di fanteria utilizzavano armi da mischia come l'ascia ad una mano, il che li rendeva imbattibili contro la fanteria leggera, ma vulnerabili alla cavalleria

Il reclutamento o leva dei soldati
Nell'Alto Medioevo era dovere morale e cavalleresco di ciascun nobile rispondere al richiamo bellico fornendo "di tasca propria" uomini e mezzi, arcieri e fanteria, oltre, naturalmente, alla propria personale e valorosa partecipazione alla guerra. Un tale sistema decentrato era reso necessario dall'ordine sociale di quel tempo, ma produceva forze eterogenee per addestramento, equipaggiamento ed attitudine militare[4].

Al crescere del potere dei governi centralizzati, si verificò una reviviscenza degli eserciti di cittadini che avevamo conosciuto nel periodo classico, ed al contempo la coscrizione esercitata nella classe agraria si palesò quale strumento di centrale importanza nell'organizzazione bellica. L'Inghilterra era uno degli stati medievali più centralizzati, e gli eserciti che essa schierò nella Guerra dei Cent'anni erano per lo più composti di professionisti che percepivano una retribuzione. In teoria, ogni inglese doveva prestare servizio in armi per almeno quaranta giorni. Quaranta giorni non erano un periodo di tempo sufficiente per una campagna, specie se essa si svolgeva sul continente europeo. Pertanto venne introdotto nel XII secolo lo scutagim (che traeva il suo nome dal latino scutum, lo scudo dei fanti dell'antica Roma), istituto per cui molti inglesi pagavano per essere esentati dal servizio: anche in virtù di quel denaro nacque l'esercito professionale inglese.

« Il combattimento può essere analizzato come una specie di gioco di comunicazioni, in cui la maggior parte della violenza è fondamentalmente psicologica, finché una delle parti si disperde in una ritirata disorganizzata. Dopo che la struttura organizzativa di un esercito si è frantumata - cioè quando non può più agire come coalizione di imposizione dell'ordine che disciplina i propri uomini - l'esercito diventa vulnerabile di fronte al nemico ed è allora che subisce le perdite peggiori. »
(Randall Collins)
Nel corso del Medioevo le zone più agiate dell'Europa, specie l'Italia, iniziarono ad affidarsi soprattutto ai mercenari per le loro guerre. Si trattava di gruppi di soldati di mestiere, destinati a ricevere una paga prefissata (il soldo, da cui l'etimologia stessa di "soldato"). I mercenari di solito erano soldati efficaci fin tanto che durava il loro morale, ma - al contrario - pronti a sbandarsi e fuggire nel momento in cui pareva che la partita fosse perduta. Questo era un argomento per ritenerli senz'altro meno affidabili di un esercito permanente. I combattimenti che opponevano unicamente mercenari da entrambe le parti (fondandosi alla fine più sulla "simbolicità" delle manovre che sulla fisicità dello scontro) portavano di conseguenza a spargimenti di sangue relativamente ridotti.

I cavalieri erano indotti alla battaglia da obblighi sociali e feudali, come abbiamo già detto, ma anche dalle prospettive di profitto e di ascesa sociale. Infatti chi tra loro si comportava bene sul campo di battaglia aveva buone probabilità di aumentare i propri possedimenti e/o accrescere il proprio rango. Non andava neppure trascurato il potenziale vantaggio acquisibile dal saccheggio e dalla prassi di chiedere un riscatto per rilasciare i prigionieri nemici. Per i cavalieri la guerra medievale era, tutto sommato, un affare a basso rischio. Vi erano molte buone ragioni per cui i nobili evitavano di uccidersi reciprocamente: sovente erano imparentati, avevano precedentemente combattuto dalla stessa parte ed erano in ogni caso membri di una medesima élite culturale. A ciò si aggiunga che il riscatto da pagare o da incassare poteva essere una somma ingente. Perfino i plebei, che ovviamente non vantavano vincoli di affinità o cultura, difficilmente si sarebbero macchiati le mani con il sangue di un nobile, preferendo piuttosto lucrare sul riscatto, sulla spoliazione di un pregiato cavallo, dell'armatura e degli altri preziosi "accessori" dell'alto lignaggio.

Rifornimenti e logistica
Secondo un famoso modo di dire di Napoleone "un esercito marcia sul suo stomaco": ciò ha invero segnato tutte le campagne militari della storia. Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, gli strateghi europei medievali avevano ben poche nozioni di logistica. Mentre le piazzeforti, quali i castelli, erano attentamente rifornite, gli eserciti in campagna non sapevano o non volevano approvvigionarsi razionalmente ed in via preventiva.

Saccheggio e foraggiamento
Il metodo consueto di risolvere i problemi logistici medievali era foraggiarsi, ovvero "far fruttare la terra". Posto che le campagne medievali erano spesso coordinate al servizio di aree ben popolate d'insediamento umano, un esercito in viaggio requisiva con la forza tutte le risorse disponibili sui territori attraversati, dal cibo alle materie prime ed agli equipaggiamenti. Far fruttare la terra non è molto facile quando non vi è cibo pronto da mangiare, ragion per cui esisteva, almeno in teoria, una canonica "stagione di campagna", volta a condurre la guerra in un tempo prevedibile, quando cioè vi sarebbero stati sia cibo sul terreno sia condizioni meteorologiche relativamente buone. Questa stagione andava dalla primavera all'autunno, poiché per l'inizio della primavera tutti i prodotti agricoli sarebbero stati messi a dimora, lasciando in tal modo i maschi liberi per la guerra fino al tempo del raccolto, ad autunno avanzato.

Il saccheggio di per sé era spesso l'obiettivo di una campagna militare, sia per pagare i mercenari, sia per catturare risorse, ridurre la capacità bellica del nemico, oppure come calcolato affronto al governo avversario. Esempi del genere sono gli attacchi vichinghi attraverso l'Europa, o le chevauchées estremamente distruttive condotte dagli inglesi nella Francia settentrionale nel corso della Guerra dei Cent'anni (1337 - 1453).

Catena di rifornimento
Quando un esercito faceva propriamente la scelta, o vi era costretto, di portare con sé i rifornimenti, si istituiva una catena di rifornimento o coda logistica, da un territorio amico all'esercito stesso. La catena di rifornimento dipendeva dal controllo sulle strade (in Europa soprattutto le vecchie strade romane), o su vie d'acqua navigabili come fiumi, canali o mari.

Proprio il trasporto via acqua era la soluzione logistica preferita, il trasferimento massiccio di materiali via terra non essendo destinato a rivoluzioni sostanziali sino all'invenzione della ferrovia (1804) e del motore a combustione interna (1823).

Durante la Terza crociata (1189-1192), Riccardo I d'Inghilterra fu costretto a rifornire il suo esercito come se fosse stato in marcia attraverso un territorio deserto e sterile. Effettivamente, in quel frangente fece spostare costantemente le truppe lungo la costa, per ottenere rifornimento dalla propria flotta navale. Analogamente, le campagne romane nell'Europa centrale erano spesso imperniate sul controllo dei fiumi Reno e Danubio, sia come ostacoli naturali, sia come vie di comunicazione.

L'equivalente terrestre era costituito dalle carovane merci (salmerie), che spesso costituivano un aspetto problematico. Infatti, le salmerie costringevano gli eserciti a spostamenti più lenti, e relativamente meno protetti. Gli attacchi ai carriaggi avversari - pensiamo, ad esempio, alla già ricordata battaglia di Agincourt, immortalata dal dramma storico Enrico V di William Shakespeare - potevano paralizzarne definitivamente l'efficienza operativa. Poiché la carovana delle salmerie era sprovvista di scorta, attacchi del genere erano considerati sleali. Ciononostante, il convoglio logistico di un nemico allo sbando era spesso avidamente saccheggiato dai vincitori.

Carestia e malattie
L'insuccesso della logistica per un esercito medievale si traduceva sovente in carestia e malattie, con ovvi riflessi sul morale delle truppe. Frequentemente l'assediante pativa la fame mentre aspettava che l'assediato capitolasse per la stessa ragione; in tal caso era l'assediante che si sbandava e desisteva dall'assedio intrapreso. epidemie di vaiolo, colera, tifo e dissenteria si diffondevano comunemente negli eserciti medievali, specie se mal riforniti o in condizioni di ozio. Nel 1347 la peste bubbonica esplose nelle file l'esercito mongolo intento all'assedio delle mura di Caffa in Crimea, ed il morbo in seguito si diffuse in tutta Europa, tristemente ricordato come Morte nera.

Per gli abitanti di un luogo conteso era abbastanza normale patire la fame nei periodi prolungati di guerra, per tre ragioni:

gli eserciti alla ricerca di cibo consumavano tutte le scorte che trovavano
i percorsi terrestri seguiti dagli eserciti in movimento devastavano i terreni seminati, vanificando il successivo raccolto
i contadini, che costituiva la massa dell'esercito, ossia la fanteria, pativano le perdite maggiori nei combattimenti, e ciò comprometteva ulteriormente le rese della stagione agricola.

Guerra navale
Nel mar Mediterraneo la guerra navale continuò ad assomigliare a quella praticata nell'età precedente: flotte di galee spinte da rematori schiavi tentavano di speronarsi reciprocamente, o di abbordarsi per consentire ai "marine" del tempo di combattere sui ponti. Questo stile di combattimento continuerà fino al principio dell'età moderna, come si può facilmente riscontrare nel caso della battaglia di Lepanto. Tra gli ammiragli più celebri del periodo in esame, ricorderemo Andrea Doria, Khair ed-Din e Don Giovanni d'Austria. Le flotte più forti furono quella della Repubblica di Venezia, dell'Impero Turco, e, fino alla fine del Trecento, quella genovese, da cui ebbe origine tra l'altro la flotta francese, e che per diversi periodi mantenne la superiorità sulla flotta veneziana. Inoltre di grande rilevanza fu la flotta pisana, prima della disfatta della Meloria e il declino definitivo della Repubblica marinara.

Le galee erano invece troppo fragili e difficili da manovrare nel mare del Nord e nell'Oceano Atlantico, benché se ne sia registrato qualche sporadico uso. Per quei mari furono sviluppate navi più larghe, principalmente propulse a vela, sebbene le drakkar, lunghe navi con una bassa linea di galleggiamento di tipo vichingo, con rilevante apporto dei rematori, siano rimaste in uso fino al XV secolo. Lo speronamento era poco pratico con queste navi a vela, ma il principale scopo di tali navigli restava il trasporto dei soldati per l'abbordaggio (ad esempio alla battaglia di Svolder e alla battaglia di Sluis).

Le navi da guerra di questo periodo ricordavano, sul piano costruttivo, le fortezze terrestri. Le pesanti sovrastrutture che le caratterizzavano le rendevano anche piuttosto instabili, ma poiché in uno scontro diretto erano generalmente superiori alle già ricordate navi "a basso bordo", il modello della nave-fortezza fu destinato a prevalere a partire dal XV secolo.

Nel Medioevo si dimostrò difficile montare i cannoni a bordo di una nave da guerra, anche se alcuni furono collocati sui ponti di prua o di poppa. Vennero impiegati piccoli cannoni da manovrarsi a mano e adatti all'uso anti-uomo. I cannoni veri e propri, montati sui ponti in epoca successiva, compromettevano al momento la stabilità del vascello. Si tenga anche presente che i cannoni del tempo peccavano di bassa frequenza di tiro e di imprecisione.

Ma tutto questo era destinato a cambiare alla fine del Medioevo. Il sabordo fu inventato alla fine del XVI secolo da un carpentiere navale di Brest, un certo Descharges. L'inserimento di un'apertura (di norma rettangolare) nel fianco della nave, con un coperchio incernierato in alto (basculante), permise la creazione di un ponte per le bocche da fuoco, sottostante al ponte principale. Il peso dei cannoni distribuito su ponti più bassi aumentò notevolmente la stabilità della nave, ed una fila di cannoni così disposti era pertanto in grado di produrre la bordata, in cui l'ampiezza del fronte di tiro suppliva alla relativa imprecisione. Come esempio, si prenda la Mary Rose, nave ammiraglia della flotta di Enrico VIII d'Inghilterra: aveva trenta cannoni per fianco, ed ognuno era in grado di sparare palle da almeno 4,5 kg. Gli spagnoli accolsero e svilupparono il concetto creando il galeone.

L'equilibrio sovvertito: la fanteria prende il sopravvento sulla cavalleria
Nel Medioevo il guerriero montato ebbe a lungo il predominio. Il cavaliere - tipicamente munito di pesante armatura, ben motivato ed in sella a cavalli allevati specificamente per la guerra - rappresentava una forza soverchiante, non certo un avversario alla portata del contadino arruolato a forza, o dell'"uomo libero" (l'agricoltore era spesso servo della gleba) armato alla leggera.

Tatticamente vi erano solo due strade che consentissero alla fanteria di sconfiggere la cavalleria in una battaglia diretta: la potenza di fuoco e la massa. Come abbiamo già detto, la potenza di fuoco poteva essere ottenuta con il lancio di proiettili, laddove la massa consisteva di falangi di uomini ristretti in ranghi serrati.

Entrambe le soluzioni erano tecniche ben note dai tempi antichi. I romani usavano anche truppe addette alle armi da lancio, ma il nerbo consisteva nelle legioni, che tentavano di respingere le cariche a cavallo formando dei quadrati vuoti, il cui perimetro era irto di giavellotti (pilum). Gli strateghi asiatici puntavano maggiormente sulla potenza di fuoco, schierando reggimenti di arcieri per scongiurare la minaccia che proveniva dalla cavalleria avversaria. Alessandro Magno combinò i due metodi contro i cavalieri asiatici, schermando il nerbo centrale di fanti con frombolieri, arcieri e lanciatori di giavellotti, prima di scatenare la sua cavalleria pesante alla ricerca degli attaccanti. E pertanto furono proprio le fanterie europee a sovvertire, da ultimo, l'equilibrio delle forze sul campo, a sfavore della cavalleria. Vi sono parecchi esempi in proposito, di cui i più rilevanti furono i picchieri svizzeri e gli arcieri (tiratori di longbow) inglesi.

Maestri della massa: i picchieri svizzeri
L'uso di lunghe picche e di schieramenti molto compatti di fanteria non era raro nel Medioevo. Ad esempio, i fanti fiamminghi alla battaglia di Courtrai (Belgio) affrontarono vittoriosamente gli orgogliosi cavalieri francesi intorno al 1302, e gli irriducibili scozzesi tennero testa ai loro invasori inglesi alla battaglia di Stirling, 1297. Parimenti, nello sbarco di Damietta (Egitto) nel corso della Settima crociata (1249), cavalieri francesi momentaneamente appiedati formarono un'impenetrabile falange di lance e scudi per respingere la cavalleria egiziana e riuscirono a proteggere i successivi sbarchi, prima di tornare in sella alle proprie cavalcature approdate all'asciutto. Identica tattica viene descritta nelle fonti norrene quanto meno a partire dal XII secolo. Tuttavia, il merito di aver istituzionalizzato la tattica della picca nel Basso Medioevo viene spesso attribuito agli svizzeri.

Morale e motivazione
Gli svizzeri formavano milizie nell'ambito di un medesimo cantone[5] o di una stessa città, e queste compagini erano in grado di alimentare un spirito di corpo che si perpetuava nelle compagnie di ventura. Questo, di per sé, non rappresentava una novità.

Mobilità
Risulta da documenti storici che gli svizzeri, marciatori coriacei, riuscissero talora a tenere il passo della cavalleria, sia pure sul terreno circoscritto delle regioni alpine. Una tale mobilità è sorprendente, anche se non priva di analogie con le prestazioni di altri fanti, ma gli svizzeri si distinguevano particolarmente per questa attitudine. Vi sono resoconti di operazioni romane contro i Germani che descrivono fanti nemici trotterellare a fianco della cavalleria, a volte riposandosi le mani sui cavalli usati come sostegno. L'esercito inglese di Enrico V, durante la campagna di Agincourt tentò (peraltro senza successo) di eludere le forze francesi, marciando da 60 a 90 chilometri al giorno seguendo un percorso tortuoso allo scopo di sottrarsi alla stretta dei francesi. Secoli più tardi, i celebri impi, guerrieri zulu in Africa meridionale, segnarono un risultato epocale, raggiungendo - si dice - una sensazionale cadenza di marcia di 75 chilometri giornalieri.

Armi ed equipaggiamenti
Gli svizzeri per lo più vestivano la stessa corazza ed usavano le stesse armi di qualunque altra forza di fanteria pesante del tempo. Tuttavia la loro esperienza permetteva loro di servirsi di tali mezzi con grande efficacia.

Manovra e formazioni
In numerose battaglie antecedenti all'affermarsi degli svizzeri, era piuttosto comune che i picchieri si radunassero ed attendessero l'attacco della cavalleria nemica. L'utilità di una tale scelta variava molto con le circostanze. Se poteva infatti risultare vantaggiosa quando la falange occupava una posizione forte, favorita dalle caratteristiche del terreno, tuttavia presentava la contropartita di concedere maggiore iniziativa agli attaccanti. Per esempio, nella battaglia di Falkirk (1298), i picchieri scozzesi, che pure avevano riportato parecchie vittorie iniziali, fronteggiarono energicamente la cavalleria nemica ma furono colti in una posizione statica; subirono la disfatta, ironicamente, proprio per opera di quello che sarà il secondo pilastro della nascente egemonia del fante: l'arco lungo (o longbow, secondo la denominazione britannica). Gli svizzeri migliorarono la tattica dei picchieri aggiungendo formazioni flessibili e manovre aggressive.

Una tipica formazione di picchieri svizzeri era disposta su tre sezioni di colonne. Gli svizzeri erano particolarmente flessibili: ciascuna sezione poteva operare in autonomia, o al contrario combinarsi con le altre per darsi reciproco sostegno. Potevano formare un quadrato vuoto per svolgere una difesa verso ogni direzione esterna. Potevano avanzare formando una sorta di "scaletta", o produrre un assalto disponendosi a triangolo, creando un effetto cuneo. Potevano costruire attacchi dalle ali dello schieramento - con una colonna che "fissava"[6] l'avversario al centro, mentre un'altra aliquota di svizzeri batteva i fianchi della schiera nemica disponendosi "a scaletta". Potevano radunarsi in profondità in una posizione naturalmente forte, come una collina. Quel che più risultava sconcertante per i nemici era il fatto che gli svizzeri attaccavano e manovravano aggressivamente. Non se ne stavano ad aspettare i cavalieri che attaccassero, ma prendevano loro stessi l'iniziativa, obbligando il nemico a rispondere alle loro mosse. Era una formula che li avrebbe condotti a numerosi successi sul campo.

Efficacia degli svizzeri
Essi ottennero una serie di strepitose vittorie in tutta Europa, di cui ricorderemo le battaglie di Morgarten, Laupen, Sempach, Granson, Morat o Novara. In alcuni scontri la falange svizzera comprendeva anche un certo numero di balestrieri, fornendo alla formazione un potere di arresto per mezzo di proiettili[7]. Il grado di efficacia degli svizzeri, negli anni tra il 1450 ed il 1550, era talmente alto che i più importanti principi europei erano indotti ad assoldare i picchieri svizzeri o a copiarne tattica ed armi (un buon esempio è fornito in proposito dai lanzichenecchi tedeschi).

Maestri della potenza di fuoco: gli arcieri inglesi
L'arco lungo inglese portò un'efficienza operativa nuova nei campi di battaglia europei, sino ad allora ampiamente priva di precedenti per le armi da getto tradizionali. Ma era innovativo anche il tipo di arco usato. Laddove gli asiatici si avvalevano di archi compositi (multi-pezzo e multi-materiale), gli inglesi facevano affidamento sul longbow, consistente di un unico pezzo, che proiettava un'acuminata "testata", assolutamente rispettabile quanto a gittata e forza d'urto, idonea a penetrare simultaneamente la piastra dell'armatura ed anche la sottostante maglia di ferro.

Tiratori di longbow ed altri tiratori
Nelle isole britanniche, gli archi erano noti dai tempi remoti, ma fu tra i gallesi tribali che l'efficienza nel relativo uso e costruzione divenne altamente sviluppata. Grazie agli archi di cui disponevano, i gallesi imposero un elevato tributo di sangue agli inglesi che invadevano la loro terra. Anche se adattato dagli inglesi, il longbow restò in ogni caso un'arma difficile da padroneggiare, ed anzi richiedeva anni di uso ed esercizio per ottenere risultati soddisfacenti. Perfino la costruzione di tale arco voleva tempi lunghi: talvolta erano necessari fino a quattro anni di stagionatura delle "doghe" prima della lavorazione vera e propria. Un tiratore di longbow bene addestrato poteva scagliare più di venti frecce al minuto[8], una cadenza di tiro superiore a quella delle altre armi da lancio del tempo[9]. Ciò che più si poteva paragonare al longbow era la molto più costosa balestra, spesso impiegata da milizie cittadine e mercenari. La balestra non aveva la gittata del longbow [senza fonte], ma in compenso aveva un enorme potere di penetrazione, e - a differenza del longbow - non richiedeva anni di impegnativo addestramento: da ciò scaturiva la fama di arma "plebea" che affliggeva la balestra, giudicata "non cavalleresca". In effetti, furono emanate svariate leggi in tutta Europa intese a bandire quest'arma "disonorevole e non cavalleresca": superfluo dire che furono ampiamente ignorate.
Ad ogni modo, il longbow - se maneggiato da tiratori esperti - poteva surclassare la balestra, tuttavia tale superiorità non sarebbe durata a lungo, dal momento che nello stesso periodo in cui il longbow raggiungeva il suo apice, in termini militari, in Europa nascevano e si sarebbero sviluppate in poco tempo un nuovo tipo di armi destinate a surclassare sia l'arco, sia la balestra: le armi da fuoco.

Il longbow sul campo di battaglia
Questi tiratori furono impiegati per influire in modo micidiale nel teatro europeo, nel momento in cui un assortimento di re e capi si scontrava con i suoi avversari sui campi di battaglia francesi. Le più famose di tali battaglie furono la Crécy e la già rammentata Agincourt. A Crécy, benché tre volte numericamente inferiori al nemico, gli arcieri inglesi scavarono una posizione difensiva sulla vetta di una collina e respinsero ripetute ondate di avversari con la sola "potenza di fuoco", scaricando nugoli di frecce sulle file dei cavalieri. Nemmeno i 6000 balestrieri genovesi riuscirono a sloggiarli da quella collina, dando così la dimostrazione (seppur involontaria) della superiorità del longbow. Vale tuttavia ricordare che, in quella particolare occasione, i genovesi soffrirono per alcuni errori e decisioni sbagliate assunti dalla fazione francese: infatti i comandanti francesi mandarono subito i balestrieri ad attaccare le linee avversarie, anche se erano sfiniti dalla lunga marcia sia di quel giorno che dei giorni precedenti per spostarsi dalla costa meridionale della Francia fino a Crecy - Froissart ci narra di sei leghe al giorno. Tutto ciò fu sottolineato dal comandante genovese, Ottone Doria, ma i nobili francesi non vollero affatto prendere in considerazione il suo parere. Un altro problema fu dovuto al fatto che, data la frettolosità nel muovere battaglia, non vennero distribuiti ai balestrieri i grandi scudi pavesi, rimasti nelle retrovie e che, normalmente, assicuravano una buona difesa contro i dardi nemici durante il ricaricamento della balestra stessa; dunque i soldati avanzarono stanchi, quasi privi di difese e attaccarono un nemico che, invece, aveva avuto dalla sua tutto il tempo di scegliersi con cura il terreno di battaglia e di fortificarlo in modo adeguato. Infine, quando il primo attacco non ebbe successo ed i balestrieri si stavano ritirando, probabilmente per riorganizzarsi, furono gli stessi "alleati" francesi ad attaccarli alle spalle perché sbarravano loro il cammino, provocando la morte persino dei comandanti genovesi[10]. In effetti, come si può desumere anche dalle battaglie successive, più che la superiorità dell'arco sulla balestra si trattò della superiorità della tattica inglese su quella francese, quest'ultima infatti contava quasi totalmente sull'attacco e la carica frontale sul nemico, anche quando questi era trincerato in salde e sopraelevate posizioni. Forse, ma qui si entra nell'ambito congetturale della storia, se i genovesi avessero avuto gli archi e gli inglesi le balestre il risultato della battaglia sarebbe cambiato di poco, vista la solida posizione tenuta dagli inglesi che vinsero i francesi non solo in forza del longbow e alle difese ben predisposte ma anche grazie ai loro picchieri.

Ad Agincourt, quasi un secolo dopo, i francesi che non avevano ancora preso coscienza della potenza dei professionisti britannici dell'arco, con ardore degno delle galliche tradizioni tentarono di travolgerli con potenti cariche di cavalleria. Considerata la netta superiorità numerica di cui godevano[11], non fu velleitario da parte loro nutrire la fiducia di una facile vittoria. Invero, dopo aver marciato per tutta la Francia nel tentativo di raggiungere Calais in sicurezza, gli inglesi erano realmente sudici, stanchi ed affamati, ma il terreno della Somme si era già rivelato fatale per più di un attaccante. Migliaia di cavalieri francesi tentarono di caricare, nel fango che arrivava al ginocchio, sfidando affrontando migliaia di frecce che trapassavano pure le armature[senza fonte], straziavano le carni, mutilavano i cavalli. Gli inglesi avevano piazzato dei pali aguzzi di fronte alla formazione degli arcieri per ostacolare la carica degli equini. Neppure smontati (come avvenne successivamente) i francesi riuscirono a farsi largo tra le schiere dei morti, nella tempesta di frecce. Inutile dire che la vittoria fu totale, e decimò un'intera generazione di nobiltà francese portando al tramonto il feudalesimo.

Difficile da impiegare nella manovra di attacco, caratterizzata da energica spinta dinamica, il longbow dava il meglio di sé nella battaglia difensiva. Contro avversari a cavallo, o contro altre unità di fanteria, le file di questi arcieri venivano dispiegate su linee sottili, protette e schermate da fosse (come avvenne alla battaglia di Bannockburn - 1314), steccati o altre opere campali assimilabili a trincee. Sovente il terreno veniva scelto accuratamente, in modo che gli arcieri ne fossero avvantaggiati e potessero costringere i nemici in un collo di bottiglia (al modo di Agincourt), oppure ad arrampicarsi "sotto tiro" su un'aspra salita (al modo di Crécy). A volte invece gli arcieri venivano schierati in una piatta formazione a "W", che permetteva loro d'intrappolare e colpire d'infilataFortificazione alla moderna#I Sangallo e il fronte bastionato all'italiana i nemici.

La riaffermata supremazia della fanteria
Considerate assieme, la massa delle picche e la potenza di fuoco degli archi posero fine al dominio della cavalleria sulla scena europea, e determinarono un nuovo equilibrio di forze, che ora favoriva il - prima negletto - soldato appiedato. La guerra con la polvere da sparo avrebbe enfatizzato viepiù questo principio. La cavalleria pesante restò comunque uno strumento di rilievo nei campi di battaglia europei, una realtà che sarebbe tramontata solo alla fine del XIX secolo, quando il progresso oplologico avrebbe trasformato il cavaliere in un bersaglio troppo facile.

I mongoli
I nomadi mongoli rappresentarono una delle forze più temute tra quelle che mai avessero calcato i campi di battaglia. Operando per mezzo di potenti ondate di cavalleria, consistenti di "manovriera" cavalleria leggera ed arcieri a cavallo, accompagnate da unità tattiche minori, che complessivamente andavano a coprire l'estensione di decine di chilometri, i feroci cavalieri raggiungevano un'efficacia traumatizzante, mettendo assieme mobilità e potenza di fuoco ad un grado che non verrà eguagliato sino all'era della polvere da sparo. Per circa due secoli, a partire dall'esordio di Gengis Khan intorno al 1200, questo popolo sbaragliò alcuni tra i più potenti, saldi, evoluti imperi del mondo, estendendo - al culmine del suo successo - la propria influenza su un dodicesimo circa di tutte le terre emerse[24], ovvero dall'Asia all'Europa occidentale.

Anatomia dell'armata mongola
L'armata mongola, da semplice esercito di nomadi, si era evoluto fino a diventare un'armata enorme: all'apice della sua potenza disponeva forse di un milione di uomini. I suoi soldati erano addestrati ad attaccare in squadre di 10, 100, 1000 o anche 10 000 uomini. Questi uomini erano addestratissimi, organizzatissimi e spietatissimi (vedi i paragrafi successivi), e questo spiega in parte le loro vittorie.

Armi ed equipaggiamento
I mongoli schieravano tre armi generali: archi, scimitarre, lance. La più importante di queste era il temuto arco mongolo. Al pari di altri archi asiatici, quello mongolo era un arco composito, consistente di colla, corno, tèndine, legno o bambù. Gli archi erano per lo più fatti in casa, ed erano assai eterogenei. Ad ogni modo, l'arco era davvero l'arma centrale per i mongoli, ed aveva una portata di oltre 200 metri. Le frecce erano di vari "calibri", a seconda dello scopo tattico: si andava da "testate" in grado di perforare pesanti corazze, ad un assortimento di frecce in grado di percorrere distanze maggiori, o per impiego speciale, come quelle incendiarie.

Morale, motivazione e cavalcature
I mongoli erano guerrieri straordinariamente duri, avvezzi a privazioni ed avversità, ed animati da ferrea determinazione. Formavano un binomio inscindibile e micidiale con i loro cavalli: i "pony" delle steppe, esseri duri quanto i loro conduttori umani. Avevano alle spalle le aspre steppe natie, e fin dall'infanzia avevano trascorso ore ed ore in sella. I pony non fornivano solo un mezzo di trasporto per la guerra, ma erano essenziali per l'economia della steppa, procurando doti matrimoniali, latte, sangue, carne, pelo e pellame per abbigliamento e tende, e molto materiale necessario (come abbiamo elencato poc'anzi) per costruire archi compositi e relative frecce. Durante gli spostamenti, il guerriero mongolo si avvaleva di un manipolo di cavalli, montandoli a rotazione in modo da aumentare la velocità media di marcia. Messo alle strette, egli "salassava" qualche cavallo scelto per l'occorrenza, e placava la fame con il sangue estratto. Di regola, il mongolo era piuttosto cinico con i suoi cavalli: sarebbe stato pronto a disfarsene o a macellarli senza tanti sentimentalismi, se le circostanze lo avessero richiesto.

Organizzazione e comando dell'esercito
I guerrieri mongoli erano rigidamente organizzati in unità tattiche di dieci uomini, a loro volta costituenti il "mattone" fondamentale di unità più grandi, corrispondenti più o meno ad un moderno reggimento, che assieme a diversi altri raggruppamenti culminavano nella formazione organica campale (il famoso tumen mongolo) che annoverava diecimila cavalieri. Ad ogni modo, queste unità venivano spesso accorpate, o - al contrario - suddivise, a seconda delle necessità contingenti. Il coordinamento delle operazioni era garantito da una rete di comandanti di vario rango, e dalle comunicazioni per mezzo di corni, segnali di fumo, bandiere ed altri strumenti (in sostanziale analogia, come abbiamo visto, con le coeve forze armate europee).

Logistica
Il sistema logistico dei mongoli si distingueva per mobilità e praticità. La maggior parte delle colonne o tumen erano autosufficienti nel breve periodo. Gli eserciti mongoli sfruttavano intensivamente i territori attraversati. L'equipaggiamento più pesante, assieme al grosso del materiale, era probabilmente trasportato da convogli di rifornimento, sebbene in realtà possediamo scarse informazioni sulla logistica degli assedi mongoli. Parte della loro artiglieria leggera forse veniva trasportata assieme ai mobili eserciti a cavallo. Pare che le grandi mute di cavalli di scorta ponessero problemi in caso di prolungate permanenze al di fuori della steppa - un esercito mongolo fuori dalla steppa doveva essere costantemente in movimento.

Tattica dello sciame/accerchiamento e potenza di fuoco di massa sul campo di battaglia
La tattica mongola era contrassegnata da velocità, sorpresa e masse in movimento. Si avvicinavano in colonne ampiamente separate l'una dall'altra, sia per agevolare la logistica, sia per guadagnare spazio di manovra. Dopo aver isolato il proprio bersaglio, i tumen si schieravano in ampie fila, convergendo sul nemico da varie direzioni. Stabilito il contatto, i mongoli "giocavano come il gatto con il topo", ripiegando mentre massacravano il nemico con potenti bordate di frecce, o simulando una carica per poi scartare repentinamente al contempo scaricando un'altra pestilenziale pioggia di proiettili. Se gli avversari abboccavano a questi tranelli, erano spacciati e sarebbero stati liquidati rapidamente. La continua pioggia di frecce, i nugoli convergenti di cambi di direzione e affondi di "assaggio", messi in atto dai mongoli nel loro accerchiamento, erano normalmente sufficienti per "frollare" il nemico. Di regola, ad un certo punto i loro antagonisti si sbandavano, e proprio allora iniziava il massacro vero e proprio. Come abbiamo già detto, chi si ritira è più indifeso, ed i mongoli non lasciavano scampo ad alcuno.

Tattica flessibile: trabocchetti ed imboscate
I mongoli non ragionavano in modo rigido, e neppure si riconoscevano nello spirito cavalleresco che in Europa era considerato una virtù. Praticavano un gran numero di suddivisioni tattiche, a seconda delle circostanze contingenti, e fingevano di ritirarsi per trarre in inganno i malcapitati inseguitori, eseguivano imboscate, e in continuazione pungolavano ed assalivano di sorpresa il nemico.

Guerra d'assedio mongola
Essendo principalmente guerrieri a cavallo, per superare le fortificazioni nemiche i mongoli facevano ampio ricorso ad "ingegneri d'assedio" catturati o assoldati. I convogli di salmerie portavano nella scia dei tumen una gran quantità di macchine d'assedio, che venivano schierate contro le città nemiche, ma si impiegava anche legname od altro materiale rinvenuto sul posto per mettere in campo ulteriori mezzi da assedio. I mongoli non erano inclini a sdolcinatezze, ma al contrario usavano ogni mezzo per raggiungere il loro scopo, dallo scavo di gallerie all'aiuto proveniente da traditori. La città che veniva sopraffatta con l'assedio subiva massacri e saccheggi senza pietà. Se la città capitolava senza opporre tanta resistenza, riusciva a risparmiarsi il peggio, però doveva comunque abbandonare ai conquistatori i propri tesori, materiali ed umani. Il periodo d'oro dei mongoli vide miriadi di carovane che trascinavano bottino verso la "patria" mongola: le steppe.

Terrore mongolo
La crudeltà dei mongoli pare aver lasciato un segno indelebile, perfino per gli standard - non esattamente teneri - del Duecento. Applicavano una vera politica del terrore. Era per loro piuttosto normale radunare i superstiti di una città o di una zona, per costringere le vittime ad andare contro la loro stessa gente. Cronache del tempo raccontano di montagne di ossa, o di ampie zone incendiate e ridotte a cumuli di macerie, totalmente private di ogni forma di vita. Non c'è dubbio che tutto ciò rientrasse in un vasto piano di guerra psicologica, che peraltro produceva i suoi risultati, posto che talora gli aggrediti cedevano ai mongoli senza neppure tentare una difesa.

I mongoli in Occidente
Nel 1241, espugnata gran parte della Russia, i mongoli iniziarono l'invasione dell'Europa con una vasta avanzata "a tridente", sulle orme dei fuggitivi Cumani, che avevano stretto una malferma alleanza con Bela IV re d'Ungheria. Dapprima invasero la Polonia, poi la Transilvania, e infine l'Ungheria, la cui campagna culminò nella batosta inflitta agli invasi con la battaglia di Mohi. Pare che i mongoli perseguissero con tenacia lo scopo di scompaginare l'alleanza ungaro-cumana. I mongoli compirono incursioni attraverso i confini di Austria e Boemia nell'estate in cui morì il Gran Khan, ed i principi mongoli tornarono in patria per eleggere il suo successore. L'Orda d'Oro si sarebbe scontrata spesso con ungheresi, lituani e polacchi nel XIII secolo, con due grandi infiltrazioni, rispettivamente verso il 1260 e verso il 1280. Nel 1284 gli ungheresi riuscirono a respingere l'ultimo grande attacco mongolo al loro territorio, ed analoga impresa fu compiuta dai polacchi nel 1287. L'instabilità dell'Orda d'Oro è stata la probabile causa della pacificazione del fronte occidentale dell'Orda. Ungheresi e polacchi reagirono alla mobile minaccia mongola con un'imponente attività di costruzione di fortificazioni, con la riforma dell'esercito (implicante una migliorata cavalleria pesante), e rifiutando la battaglia finché non acquisivano un controllo del campo di battaglia tale da neutralizzare la superiorità locale dei mongoli. I lituani facevano affidamento sull'intensa forestazione del loro territorio, e con la cavalleria compivano incursioni nella Russia, dominata, al tempo, dai mongoli.

I turchi
I commerci tra Cina, Medio Oriente ed Europa lungo la Via della seta si prolungarono in tutto il Medioevo. Le popolazioni turche furono esposte alla tecnologia a partire dai tempi dell'Impero romano, ed al benessere finanziario conseguente al fatto di trovarsi a metà strada sulle rotte commerciali. Già gli antichi selgiuchidi erano noti per i loro arcieri a cavallo. Questi feroci nomadi conducevano incursioni frequenti negli imperi confinanti (come quello bizantino) ed ottennero numerose vittorie giovandosi della mobilità per battere i pesanti catafratti di Bisanzio. Memorabile fu la vittoria di Manzicerta, in cui i turchi approfittarono magistralmente di una diatriba che divideva i generali bizantini. Colpivano i catafratti con frecce, ne avevano la meglio con manovre più accorte, poi la loro cavalleria leggera - armata di scimitarre - chiudeva la partita contro la meno mobile fanteria di Bisanzio.

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Tattica militare

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La tattica militare è una delle cinque branche che compongono l'arte militare: strategia militare, arte operativa, Tattica militare, logistica militare, organica militare (quest'ultima detta anche logistica del personale). Essa tratta dei metodi di impiego delle forze nel combattimento riferiti al livello tattico, che giunge fino al Corpo d'armata.

La parola tattica deriva dal greco e significa "ordinamento sul campo di battaglia". Il termine è associato in particolar modo all'ambito militare, ma è possibile usare e trovare il termine anche in ambiti completamente diversi. Tra questi quello: economico, commerciale, e sportivo oltreché in una grande varietà di altri campi come la negoziazione.

Cenni storici
I concetti fondamentali della tattica, ancorché cambiati nel tempo per vari motivi, tendono a riproporsi periodicamente: così si sono riproposte nel tempo tanto le tattiche dello scontro frontale (pieni contro pieni) quanto quelle dell'aggiramento e dell'avvolgimento (pieni contro vuoti). Queste ultime, riproposte alla fine del XIX secolo nel corso della guerra russo-giapponese e nel XX secolo dall'esercito tedesco nella prima guerra mondiale, hanno poi subito dei perfezionamenti tali da essere oggi alla base delle dottrine praticamente di tutti le forze armate del mondo.

Caratteristiche
La tattica è destinata a cambiare nel tempo, sia per l'apporto dell'esperienza fatta dalle proprie ed altrui Forze armate in guerra, sia per l'evoluzione della tecnologia degli armamenti, sia infine per l'evoluzione del diritto bellico, che impone nuovi limiti all'adozione di determinati metodi di guerra. La tattica si esprime tramite due diverse e fondamentali fonti: la dottrina e gli ordini d'operazione.

La dottrina, studiata fin dal tempo di pace, fornisce gli orientamenti per l'impiego delle forze nei casi medi. È contenuta in circolari e pubblicazioni delle serie dottrinali, il cui aggiornamento consegue o ad una mutata visione strategica ovvero a profondi cambiamenti nell'organizzazione delle Forze armate.
Gli ordini d'operazione sono i documenti attraverso i quali i Comandanti emanano alle unità dipendenti gli ordini iniziali per l'esecuzione di una manovra tattica. Essi non sono immutabili nel tempo, ma vengono costantemente corretti nel corso della manovra stessa per tener conto degli eventi e delle informazioni.

La manovra tattica si esprime in termini di risorse (forze, fuoco ed ostacolo), spazio e tempo; essa tende a sfruttare nel miglior modo il terreno, le vulnerabilità dell'avversario e le peculiari capacità delle proprie forze. Tende in primo luogo a distruggere le forze opposte ed in secondo luogo a garantire il possesso di un'area vitale.

I due princìpi fondamentali della tattica
Massa: poiché i difensori si attestano normalmente in posizioni tatticamente privilegiate (alture, trincee, bunker...), chi attacca deve aver cura di disporre di un'adeguata massa di manovra. Di regola, è sconsigliato attaccare se non si goda di un rapporto di forze favorevole dell'ordine di (almeno) 3 contro 1. A volte l'offensiva è obbligatoria, bisogna colpire velocemente anche se non si dispongono delle risorse sufficienti.
Sorpresa: l'attaccante sarà tanto più favorito quanto più riuscirà a cogliere impreparato chi si difende, eseguendo l'azione nel modo più rapido e risolutivo possibile.

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Assedio

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L'assedio è una situazione bellica in cui un esercito circonda e controlla gli accessi ad una località, di solito fortificata, allo scopo di costringere i difensori alla resa o di conquistarla con la forza.

Chi mette in atto un assedio si pone lo scopo di isolare chi lo subisce in modo che questi non possa più avere comunicazioni con l'esterno e che non sia in grado di ricevere rifornimenti di cibo o di mezzi. Ciò avviene, solitamente, circondando l'obiettivo col proprio esercito.

Le prime notizie di assedi arrivano da fonti antichissime. Scavi archeologici in Medio Oriente hanno confermato che anche le città più antiche erano dotate di cinte murarie.

L'arte dell'assedio viene detta poliorcetica.

Assedio in età medievale
Nel Medioevo, l'assedio costituisce una forma di guerra molto diffusa. Dopo una prima fase caratterizzata dalla prevalenza di assedi statici, vengono col tempo recuperati i trattati antichi e riprende la costruzione delle macchine d'assedio. Nel Medioevo si assiste ad un perfezionamento delle tecniche ossidionali; si può notare il miglioramento delle macchine utilizzate dagli antichi e l'invenzione di nuove, sempre più potenti ed efficaci, macchine in grado di lanciare grandi massi e di provocare grandi danni alle fortificazioni nemiche.

Lo sviluppo delle armi e delle tecniche d'assedio è accompagnato da un analogo incremento delle fortificazioni e un miglioramento generale della loro resistenza ed efficacia difensiva. Ciò può essere dovuto anche al fatto che, dopo la caduta dell'Impero Romano, la difesa delle terre si sposta dai limes agli estremi confini dell'Impero, all'interno di ogni singolo territorio. Ne consegue il cosiddetto fenomeno dell'incastellamento, cioè il moltiplicarsi dei castelli e il concentrarsi su di essi degli sforzi difensivi ed offensivi.

Blocco statico: vincere per fame e per sete
In origine, le opere d'assedio consistevano essenzialmente nell'interrompere il rapporto tra pòlis e chòra, in modo da privare la città dei rifornimenti. Ciò avveniva mediante la presenza dell'esercito assediante di fronte alle mura avversarie. Le città erano circondate da muri di controvallazione e l'assedio consisteva essenzialmente in una lunga attesa del cedimento dell'equilibrio politico o dell'esaurimento delle scorte alimentari e idriche cittadine.

Anche nei primi secoli del Medioevo, per una scarsa conoscenza delle tecniche d'assedio o per insufficienza di uomini e mezzi, gli assedi consistevano in un semplice accerchiamento della posizione che si voleva conquistare, attuando un blocco statico delle entrate e delle uscite della posizione assediata. Ciò con il chiaro obiettivo di ridurre l'avversario alla resa per fame o per sete. Nel Medioevo, però, l'installazione di sistemi di controvallazione era piuttosto rara, perché i costi di tali sistemi erano molto elevati.

Ma anche quando le tecniche poliorcetiche si fanno più sviluppate, le vittorie per fame e per sete non sono affatto rare. Egidio Romano, intorno al 1280, scrive nella propria opera De regimine principum che i modi per prendere una fortezza sono tre. Colonna li elenca in ordine di importanza: sete, fame, battaglia.

Allo scopo di conquistare una fortezza o una posizione per fame, solitamente si iniziavano le operazioni militari in estate, prima che i prodotti del nuovo raccolto fossero stati aggiunti alle scorte degli assedianti. Nello stesso periodo, inoltre, era più facile esaurire le scorte idriche e le piogge sono meno frequenti.

Una città assediata, isolata dal proprio contado e da tutte le sue fonti di sostentamento, correva il rischio di esaurire in poco tempo tutte le proprie risorse alimentari. In queste condizioni, non era possibile provvedere a sfamare anche tutti coloro che non erano combattenti o che non svolgevano un ruolo attivo nella resistenza all'assedio. Non rimaneva altra scelta che espellere le cosiddette "bocche inutili" dalla città.

La vittoria con la forza
In epoca classica certamente non mancarono gli assalti alle mura e i tentativi di vincere un assedio con l'uso della forza, ma l'invasione di un territorio giungendo alla conquista di una città era concepita in maniera diversa e autonoma rispetto all'assedio tradizionale. Un cambiamento si ebbe nel 415-414 a.C. durante l'assedio di Siracusa quando un assedio organizzato in maniera tradizionale si tramutò in un assalto frontale.

Nell'immaginario collettivo, l'assedio inteso come aggressione alle mura avversarie, viene visto come l'azione bellica per eccellenza dell'età medioevale. In realtà la maggior parte delle azioni militari in quell'epoca sono costituite da atti di razzia, distruzione e saccheggio. Ma se escludiamo queste, si può constatare come nel Medioevo gli assedi siano effettivamente numericamente superiori alle battaglie combattute in campo aperto.

Prendere una fortezza o una città con la forza, secondo l'ordinamento giuridico medioevale, era differente dal conquistarla per resa degli assediati. Questa maniera di pensare è espressa in modo esemplare dall'ultimatum lanciato da Guido da Albereto nel maggio del 1283, trascritto nelle cronache di Salimbene da Parma: «Consegnatevi a noi e potrete andare incolumi, se invece non accettate e sarete presi con la forza sarete tutti impiccati senza misericordia.»

L'utilizzo delle artiglierie consentiva di non dover affrontare con un assalto diretto le mura avversarie. Era possibile tentare di aprire una breccia nelle fortificazioni attraverso le quali era possibile penetrare con i propri soldati. In diverse epoche, per incentivare i combattenti che si lanciavano all'assalto di una postazione assediata, i comandanti degli eserciti erano soliti offrire dei premi a chi per primo fosse riuscito ad entrare nella fortezza nemica. Era, inoltre, riconosciuta ai più valorosi una parte maggiore del bottino accumulato durante il saccheggio che spesso seguiva la conquista con la forza di una città.

La scalata delle mura
La scalata delle mura per mezzo di scale era, di solito, effettuata in azioni di sorpresa, specialmente di notte. Ma l'attacco per scalata comprendeva anche coraggiosi e spettacolari assalti compiuti in presenza del nemico. Questo genere d'attacco era largamente utilizzato negli assedi durante la prima crociata.

Tentare di scalare le mura appoggiandovi delle scale, sostenuti dal tiro di arcieri, balestrieri o frombolieri, era un modo di conquistare una fortezza tatticamente semplice e diretto, ma fortemente rischioso e di rara riuscita.

La scalata delle mura aveva maggiori probabilità di riuscita se effettuata di sorpresa e di notte: Roberto il Guiscardo riuscì ad entrare nelle città di Palermo nel 1071 e di Roma nel 1084 appoggiando le scale in parti poco sorvegliate delle mura e aprendo le porte dall'interno.

Il fuoco
Il fuoco era largamente utilizzato in molte azioni belliche, sia per il suo potere distruttivo che per quello intimidatorio. Non si hanno notizie particolareggiate sul suo utilizzo, ma è lecito pensare che si utilizzasse per sollecitare i punti più deboli delle fortificazioni o delle abitazioni.

Oltre il "fuoco semplice" ottenuto dalla combustione di legna era possibile utilizzare il temibile "fuoco greco" che non poteva essere spento se non con l'aceto. Non si conosce molto della composizione di tale fuoco (chi all'epoca conosceva questa informazione la teneva gelosamente segreta), tranne la sua origine bizantina.

Il fuoco, tuttavia, una volta appiccato, era pericoloso anche per chi lo aveva provocato. Non era raro che il fuoco che si era appiccato ostacolasse l'avanzata.

L'utilizzo del fuoco in azioni belliche non era considerato un atto poco cavalleresco nonostante i suoi terrificanti e distruttivi effetti.

I tunnel
Quando le condizioni del terreno lo consentivano, era possibile tentare di minare le mura dalle fondamenta per farle crollare ed avere libero accesso alla città o alla fortificazione assediata. Si scavava un tunnel nella terra, partendo da un punto nascosto agli occhi del nemico, e scavando più in profondità di un eventuale fossato. Il tunnel era sostenuto da paletti di legno e quando arrivava al disotto delle mura, si appiccava il fuoco ai paletti in modo da provocare il crollo delle mura. Il ricorso a tunnel scavati sotto le mura era diffuso anche nella metà del XV secolo. Il loro crollo veniva provocato con la polvere da sparo.

La galleria poteva anche proseguire oltre la cerchia, in modo da sbucare direttamente nella città o nel castello assediato in simultaneità con la caduta delle mura.

Relativamente diffuso, nel corso degli assedi in età moderna, era lo scavo di trincee che consentivano di avvicinarsi alle fortificazioni avversarie, al riparo dal tiro difensivo.

Il tradimento
Per superare una situazione di inferiorità militare, l'assediante poteva cercare di corrompere qualcuno all'interno della fortezza nemica, in modo da riuscire ad entrarvi con l'inganno e il tradimento. I traditori, se scoperti e catturati, erano sottoposti a pene di particolare ferocia allo scopo di scoraggiarne l'esempio.

L'uso delle macchine da guerra
L'origine delle grandi macchine costruite a scopi ossidionali risale al IV secolo a.C., quando, anche grazie al celebre trattato di Enea Tattico, inizia la produzione di macchine che colpiscono direttamente le mura nemiche o appoggiano l'azione della fanteria.

I cronisti che descrivevano gli assedi, soffermavano la loro attenzione principalmente sull'aspetto spettacolare e impressionante dell'utilizzo delle macchine da guerra durante un assedio. Per questa ragione, ben poco si conosce dei progetti operativi che venivano utilizzati in assedi con queste macchine.

La costruzione di questi imponenti e complicati macchinari, il loro trasporto e la loro custodia per evitare che il nemico li distruggesse in una eventuale sortita, richiedeva una organizzazione complessa e dei costi elevati. Questo spiega la relativa rarità delle macchine d'assedio nell'antichità e nel Medioevo. Gli artigiani che le realizzavano attribuivano loro dei nomi propri come si fa con le navi.

Teoria e pratica
Un problema di fondamentale importanza come l'offesa o la difesa della città non ha mancato, in ogni epoca, di indurre pensatori a riflettere sulle problematiche relative all'assedio. Già Aristotele e Platone avevano meditato sull'opportunità o meno di dotare la città di mura e Senofonte aveva suggerito degli accorgimenti per migliorare la difesa di Atene. Nel IV secolo a.C., con la nascita dei primi attacchi diretti alle mura di una città, Enea Tattico scrive a proposito degli accorgimenti e delle tattiche che si devono adottare nella difesa e nell'attacco di una città. La sua opera è considerata fondamentale nella poliorcetica, cioè lo studio teorico dell'assedio. Diversi furono, nel corso dei secoli, gli studiosi (fra i quali ricordiamo anche Galileo Galilei) che si dedicarono allo studio degli stessi problemi cercando sempre nuovi sviluppi per le tecniche ossidionali di attacco e di difesa. Nel XV secolo l'architetto italiano Leon Battista Alberti fu uno dei primi che scrisse al riguardo delle misure da prendere per contrastare le nuove artiglierie a polvere da sparo. Egli teorizza la costruzione di fortezze con mura irregolari (escludendo i lunghi tratti rettilinei), basse e spesse.

In tutta l'età classica, si moltiplicarono gli studi dedicati alla costruzione delle macchine d'assedio e alle macchine per la difesa; quelli riguardanti la tattica di un assedio; quelli che indicavano gli accorgimenti da adottare nella costruzione delle fortificazioni in modo tale da tener conto dello sviluppo delle macchine d'assedio; quelli che narravano di assedi storici o fantastici nei quali venivano adottati stratagemmi vincenti da parte dei difensori o degli attaccanti. Questi scritti furono studiati anche dai poliorceti medioevali.

La persona incaricata di organizzare e di gestire un assedio era detta "architetto" o "ingegnere". Era un ruolo di notevole responsabilità con mansioni molto delicate. Gli ingegneri militari, erano dei semplici artigiani che acquisivano la capacità di costruire e governare le macchine d'assedio grazie alla pratica e trasmettevano le proprie conoscenze per via orale, da maestro di bottega ad apprendista, o da padre in figlio. Il fondamentale ruolo degli ingegneri, tuttavia, non era considerato all'altezza di quello di un guerriero e il fatto di applicarsi a questioni di carattere tecnico e pratico non consentiva loro nemmeno di assumere un prestigio da intellettuale. Anche per queste ragioni, conosciamo pochi nomi di ingegneri militari.

Intorno alla metà del XII secolo, il crescente sviluppo della poliorcetica medioevale, indusse i cronisti militari a mettere in risalto l'importanza degli ingegneri militari e dalle macchine da loro costruite. Molti signori compresero che avere al proprio servizio ingegneri più validi poteva significare avere la meglio in un assedio. Diversi di loro abbandonarono il tradizionale disprezzo verso le arti tecniche e cominciarono ad interessarsi personalmente alla progettazione e alla realizzazione della macchine. Anche Leonardo da Vinci, si dedicò alla progettazione di macchinari da utilizzare durante azioni belliche.

Notevole prestigio acquisirono, nel corso del Rinascimento, gli ingegneri militari che si dedicarono allo studio e alla realizzazioni del nuovo tipo di fortificazione, con uso di bastioni, caratteristica dell'età moderna. Fra i più noti, si distinguono i fratelli Antonio e Giuliano da Sangallo e Francesco di Giorgio Martini.

Verso la fine del Seicento si ricordano il Barone Menno van Coehoorn, massimo esponente della cosiddetta scuola fiamminga, e Sébastien Le Prestre de Vauban, Capo Ingegnere Militare di Luigi XIV.

La difesa in un assedio
La prima cosa su cui deve fare affidamento il difensore è la resistenza della fortezza, delle sue mura, delle torri e dei fossati. La resistenza delle strutture difensive fu messa a dura prova dall'avvento delle artiglierie a polvere da sparo che si facevano sempre più potenti e facili da trasportare. Queste artiglierie erano in grado di abbattere in poco tempo qualsiasi muro perpendicolare al terreno. Nel 1453, durante l'assedio di Costantinopoli, i cannoni di Maometto II rasero rapidamente al suolo le mura della città concepite con metodi medioevali.

Ciò rese necessario un mutamento radicale nelle tecniche di costruzione delle fortezze irrobustendo ed abbassando le mura non più perpendicolari al suolo, con la riduzione degli angoli e l'installazione di pezzi d'artiglieria sul vertice di bastioni sporgenti dalle mura; venne così superato il modello di mura medioevale perpendicolare al suolo, molto alto e relativamente poco spesso, caratterizzato dal coronamento sporgente che consentiva il lancio di materiale sugli assalitori. Le torri a base quadrata vennero sostituite da torri a base rotonda perché gli spigoli erano facilmente danneggiabili dal tiro dei cannoni. Queste nuove fortezze, di solito poligonali, vengono dette "alla moderna" vengono ancora utilizzate nell'Ottocento o addirittura nella prima guerra mondiale.

Il difensore deve, poi, provvedere in tempo ad accumulare scorte di cibo, di acqua, di munizioni e di materiali di ricambio. Negli assedi delle città era consuetudine cacciare tutti coloro che non potevano essere utili alla resistenza.

Un'altra cosa, su cui può fare conto il difensore, è la disorganizzazione degli attaccanti. Molto frequenti erano i casi in cui un esercito rinunciava ad iniziare un'azione di assedio perché mettere il blocco ad una città era un'operazione che richiedeva conoscenze e tecniche non alla portata di tutti ed un gran numero di uomini e mezzi. Tutto questo apparato, poi, doveva essere sostenuto per tutto il tempo in cui l'assediante riusciva a resistere. Le esigenze legate al vettovagliamento di un grande esercito assediante non sono certo inferiori a quelle di una guarnigione assediata. Se gli assedianti non riuscivano più a trovare cibo erano costretti a togliere l'assedio.

Il difensore poteva poi operare in modo da contrastare ogni mossa del proprio avversario.

Difesa piombante
La tecnica della "difesa piombante" consisteva nel far cadere sul nemico assediante (oramai prossimo alle mura difensive), sia liquidi infiammabili o bollenti, sia materiali solidi come laterizi o pietre. A volte, in emergenza da assedio, i materiali venivano smontati dalla stessa fortificazione nei punti non esposti all'attacco. L'eventuale scarpatura della fortificazione riceve il materiale in caduta facendolo rimbalzare in avanti, di fronte al nemico.

I difensori, per impedire la scalata delle mura e per intralciare le operazioni degli avversari, potevano lanciare ogni cosa contro il nemico: proiettili solidi e incendiari, calce liquida, acqua o olio bollenti e addirittura barili di escrementi.

Alcuni storici hanno messo in dubbio l'effettivo uso dell'olio bollente lanciato dalle mura durante la difesa da un assedio: l'olio era molto costoso e disponibile solo in quantità ridotta. Nelle zone mediterranee, tuttavia, è lecito supporne l'utilizzo in azioni belliche.

Più utilizzate, invece, erano le carbonaie, fosse in cui venivano posti carbone o altri materiali infiammabili che, quando venivano incendiati, costituivano un freno all'avanzata del nemico.

Tunnel di contromina
Era possibile prevenire che il nemico scavasse tunnel per minare le proprie mura o per sbucare oltre esse, scavando dei fossati profondi e possibilmente pieni d'acqua. Se si intuiva che il nemico era intento a scavare un tunnel era possibile iniziare a scavarne un altro per intercettarlo e riempirlo d'acqua. Per tentare di scoprire eventuali lavori di scavo di tunnel erano sovente utilizzati catini d'acqua o larghi tamburi sui quali venivano poste alcune palline di terra cotta, tramite i quali si potevano cogliere eventuali vibrazioni della cinta muraria.

La fuga
Al difensore che si vedeva senza speranza di vittoria, ma che non voleva arrendersi al nemico, non restava altra possibilità che fuggire. La fuga avveniva di solito di notte, calandosi dalle mura o aprendo delle brecce alla loro base. I racconti e miti legati ai castelli medioevali narrano spesso di tunnel di fuga. In realtà, pur esistendo, erano piuttosto rari.

Effetti psicologici di un assedio
Al di là della sua reale efficacia militare, la guerra d'assedio aveva un forte valore anche dal punto di vista della pressione psicologica esercitata sugli avversari. Diversi sono i mezzi utilizzati per impressionare l'avversario assediato e indurlo alla resa: si andava dallo spiegamento e le scenografie dimostrative di uomini e di mezzi, all'ostentazione della propria potenza e determinazione.

Le grandi macchine utilizzate durante gli assedi potevano essere utilizzate per indurre negli assediati una notevole pressione psicologica. I trattatisti di poliorcetica suggerivano di utilizzare senza sosta le artiglierie, con rumori improvvisi, di giorno e anche di notte: il buio amplifica l'effetto terrorizzante. Le macchine da lancio potevano essere utilizzate anche per lanci "non convenzionali" a puro scopo intimidatorio; si parla, non solo nell'età antica, anche di lancio di teste dei nemici caduti o di carcasse di animali malati in modo da diffondere la malattia all'interno delle mura.

Durante un assedio, far credere all'avversario che le sue mura erano minate e che stavano per cedere, poteva svolgere un ruolo determinante. Anche il fuoco ha un notevole valore intimidatorio e veniva largamente utilizzato per piegare la resistenza dell'avversario.

https://it.wikipedia.org/wiki/Assedio
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Servizio militare

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Alla caduta dell'Impero romano d'Occidente, nei regni romano-barbarici che gli successero il servizio militare spettava teoricamente a tutti i liberi ma, in pratica, si svilupparono le consorterie legate ai grandi: si ebbero così eserciti quasi privati legati a una casta di professionisti. Col sorgere ed il diffondersi del feudo ogni feudatario di una certa importanza ebbe il suo esercito, in cui servivano praticamente tutti gli uomini validi alle armi. Carlo Magno istituì la scara, una guardia del corpo personale mantenuta a spese dei cittadini.

A partire dal XIII secolo cominciarono a diffondersi, in Europa e soprattutto nei Comuni l'utilizzo di truppe mercenaria che si affiancavano alle varie milizie comunali formate dai cittadini generalmente su base volontaria o su obbligo di prestare servizio militare: per la difesa delle mura erano mobilitati tutti gli uomini validi, mentre gli abitanti del contado erano in genere impiegati per i servizi ausiliari.

I primi mercenari furono uomini a cavallo che, riuniti in gruppi compatti, furono assoldati da alcuni Comuni prima e poi da Federico II. Si svilupparono così le compagnie di ventura, spesso bene armate e molto potenti, i cui comandanti (detti capitani) raggiunsero larga fama ed ebbero ambiti riconoscimenti ed onori. Divenne poi tradizionale per i mercenari di una data regione servire di generazione in generazione la stessa potenza.
Tra il XV ed il XVI secolo soltanto pochi Stati avevano milizie territoriali (Venezia, Imola e Forlì, la Romagna del Duca Valentino). Il Machiavelli metteva giustamente in guardia i governanti contro l'infedeltà delle truppe mercenarie.

La milizia mercenaria, che pure combatté spesso con eroismo a difesa degli interessi di chi la assoldava, poteva abbandonare improvvisamente il vecchio per il nuovo padrone, decidendo così le sorti di una guerra e, in sostanza, di intere popolazioni. Tuttavia andava affermandosi l'idea che le truppe nazionali rivestono ai fini di una difesa valida, efficace, sentita e quindi meglio dispiegata da coloro che vi attendono.

https://it.wikipedia.org/wiki/Servizio_ ... e#Medioevo
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Saccheggio

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Per saccheggio si intende quell’azione militare che mira a depredare e ad acquisire bottino portando allo stesso tempo lo scompiglio e la distruzione nel territorio dell’avversario. In epoche passate, non era desueto ricorrere alla guerra ed al saccheggio per invadere un territorio e depredarlo delle risorse di cui disponeva. Da questo punto di vista è possibile considerare la guerra come una forma di attività economica. Un’attività economica, a dire il vero, capace di procurare enormi profitti per i vincitori: non è del tutto corretto ritenere la guerra come pura “produzione negativa”; ciò al di là delle ovvie implicazioni morali.

Il ricorso al saccheggio, alla razzia e al raid è molto diffuso, nel corso di tutta la storia bellica europea, a prescindere dalle epoche e dai luoghi, e il motivo è presto detto. La guerra generalmente, e indipendentemente dalle cause che l’hanno scatenata, si configura come una prova di forza in cui per risultare vincitori è utile indebolire l’avversario quanto lo è incrementare la propria forza.

Razzia e Raid
Gli studiosi di Storia della guerra e gli storici in generale tendono a distinguere tra razzia e raid. Per razzia si intende l’incursione in un territorio nemico, di solito limitata nel tempo, con il duplice scopo di prelevare la maggior quantità di risorse possibile e di devastare ciò che non è possibile portare con sé. Questo genere di azione militare era caratteristica, per esempio, delle zone di confine. La razzia è il tipo di azione militare di gran lunga più diffuso in tutta l’età medioevale.

Il raid, invece, si inserisce all’interno di un quadro tattico più ampio (anche se la conquista di un bottino rimane un aspetto molto rilevante, l’obiettivo principale è quello di favorire l’avanzata del proprio esercito in territorio nemico o di togliere risorse al rivale); caratteristica del raid è che, generalmente, veniva condotto da truppe “rapide”: in sella a cavalli in età antica e medioevale, con i supporto di mezzi corazzati, cingolati o aerei nelle azioni belliche contemporanee.

Il raid può essere previsto all’interno di un piano che prevede la distruzione programmata di un territorio intorno ad una città con lo scopo di privarla dei mezzi di sussistenza e quindi indurla alla resa. Anche una grande città come Milano (evidentemente poco conveniente da attaccare direttamente o da assediare) dovette arrendersi per ben due volte all’esercito di Federico Barbarossa che operò distruzioni sistematiche nel contado milanese. Il raid, indubbiamente, possiede un forte potere intimidatorio in quanto la sua rapidità e la devastazione che induce provocano un senso di impotenza da parte delle vittime. Sono immaginabili, per esempio, i sentimenti di chi si trova nascosto in cantina mentre dal cielo piovono bombe.

Il saccheggio “amico”
In ogni epoca, il semplice passaggio di un esercito per un dato territorio veniva a costituire una grave disgrazia per il luogo attraversato, senza differenza tra amici e nemici. Scrive Stettia: “in età medioevale ogni esercito, per il solo fatto di essere tale, sembra incapace di astenersi dalla preda in ogni possibile occasione”. C’è poi da considerare il problema dell’approvvigionamento di cibo e di mezzi per la massa di uomini che compongono l’esercito in marcia. Il mezzi pesanti che facevano parte dell’armamentario che l’esercito portava con sé (macchine belliche, cannoni, mezzi pesanti, ecc.) provocavano il danneggiamento delle strade, l’abbattimento di muri, alberi e di tutto ciò che poteva ostacolarne il passaggio.

Per essere precisi, occorrerebbe operare una distinzione fra prelievi fatti per le necessità di sopravvivenza dei soldati e la rapina autorizzata. Nei fatti, tuttavia, una distinzione del genere è quasi sempre impossibile anche se consideriamo il punto di vista del contadino che si vede privato del proprio raccolto con le cattive maniere e a titolo gratuito.

Non a caso l’abilità di condurre un esercito da un territorio a un altro senza causare gravi danni ai luoghi attraversati era caratteristica riconosciuta solo ai più grandi condottieri. Belisario e Guglielmo il Conquistatore erano amati sia dal proprio esercito, sia (cosa ben più rara) dalle popolazioni dei territori che attraversava con i propri soldati.

Il bottino
Una maniera per accumulare un bottino collettivo, era costituita dall’azione dei singoli che depredavano ognuno col proprio sacco. I combattenti iniziavano l’appropriazione sistematica dei beni altrui a cominciare dalla spoliazione dei nemici uccisi sul campo di battaglia. Non era affatto raro vedere uomini, anche non combattenti, che iniziavano a fare bottino ancor prima della fine della battaglia: le leggi bizantine punivano duramente questi individui che distoglievano l’esercito dal combattimento, permettendo ciò nonostante di appropriarsi dei beni degli avversari al termine degli scontri.

Ben più rare, ma sicuramente più lucrative, erano le occasioni di prede collettive che si realizzavano, per esempio, dopo la conquista di una città o quando si batte l’esercito avversario costringendolo alla rapida resa e all’abbandono di tutti i suoi bagagli. Molto spesso i comandanti di un esercito consideravano una città conquistata, grande o piccola che sia, come un deposito di ricchezze di cui potersi appropriare liberamente. In questi casi, il bottino veniva radunato, e poi suddiviso fra i combattenti. L’esempio forse più clamoroso di una tale mentalità consiste nel grande saccheggio di Costantinopoli, durante la quarta crociata.

https://it.wikipedia.org/wiki/Saccheggio#Razzia_e_Raid
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Mercenari svizzeri

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I mercenari svizzeri erano delle truppe di fanteria elvetici mercenari che militavano per compenso a favore di signori e potentati stranieri.

Apparvero nel medioevo ed operarono, in maniera più o meno organizzata, sino al XV secolo, quando con l'avvento degli stati nazionali, il loro utilizzo cominciò a ridursi a favore delle forze armate regolari.

La loro opera cambiò il modo di combattere; le loro formazioni, all'inizio semplici e primitive, poi evolutesi nel quadrato-falange, rivoluzionarono le tecniche belliche e, insieme alle armi da fuoco, segnarono la disfatta del cavaliere e della cavalleria medievale come arma definitiva.

Il patto eterno confederale
Le popolazioni svizzere, al contrario della maggior parte dell'Europa, non avevano mai delegato la difesa del proprio paese a forze esterne (come la cavalleria feudale o i combattenti stranieri). A partire dal patto eterno confederale, 1º agosto 1291, intesero sempre il combattimento come qualcosa di collettivo che impegnava l'intera comunità e sperimentarono al contempo la solidarietà nazionale di fronte allo straniero.

Col predetto patto federale gli abitanti di Uri, Svitto e di Untervaldo, i cosiddetti Waldstätten o paesi forestali, si unirono nella lotta contro gli Asburgo, ponendo le basi di quella che sarebbe stata la Confederazione svizzera come oggi la conosciamo (il 1º agosto è la festa nazionale svizzera a memoria del patto confederale).

La nascita e la diffusione
Il motivo per cui il mercenariato si sviluppò soprattutto nei cantoni elvetici di montagna è da ricercarsi nella loro grande povertà. L'unica risorsa disponibile, oltre la scarna agricoltura, era costituita dall'emigrazione e questa, sostanzialmente, voleva dire prestazione all'estero di servizio militare dietro pagamento di una mercede[1].

Questa emigrazione era, peraltro, favorita dalla tipologia di attività economiche praticate a causa della conformazione orografica della maggior parte dei cantoni di provenienza. Il territorio montuoso consentiva soltanto l'allevamento e la pastorizia dove la presenza diretta del pastore o dell'allevatore poteva essere più facilmente gestita che nell'agricoltura vera e propria e dove gli stessi potevano essere sostituiti da donne, ragazzi e vecchi ma anche dalla solidarietà vicinale.

In questo scenario socio-economico "in fondo lasciare vedove e orfani non era una gran tragedia"[2].

Il mercenariato svizzero si era già manifestato nel XIII e XIV secolo, nella guerra dei cent'anni (1337 - 1453) mettendosi in luce per il coraggio e la ferocia che uniti all'impeto degli attacchi gli donò rinomanza internazionale.

La lunga serie di vittorie dei Cantoni svizzeri (in particolare alla Battaglia di Morgarten e a Morat) diedero fama continentale alle truppe elvetiche che iniziarono a essere richieste dalle altre potenze.

Fu nel XV e XVI secolo che il fenomeno assunse dimensioni talmente notevoli che i Cantoni ne assunsero il controllo. Spettò così a questi autorizzare l'arruolamento di questo particolare tipo di emigranti, la cui base sociale era formata prevalentemente da montanari ma anche da appartenenti alle nobiltà locali, facendo da intermediari con le loro comunità.

I Cantoni ricevevano per questo un compenso, ma, cosa ben più importante, acquisirono una visibilità e valenza diplomatica che si tramutò presto in potere effettivo. In quest'ottica si possono leggere gli accordi, oggi diremmo di assistenza militare, del 1474 con Luigi XI di Francia e con altri potentati.

https://it.wikipedia.org/wiki/Mercenari_svizzeri
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