L’esercito di Filippo Augusto e la cavalleria francese

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Veldriss
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L’esercito di Filippo Augusto e la cavalleria francese

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Tratto da "Le grandi battaglie del Medioevo" di Andrea Fedriani.

Lo scarso contributo che i grandi signori del regno francese fornivano alla corona, in caso di chiamata alle armi, era lo specchio della tenue autorità che i re francesi, fino a Filippo Augusto, erano in grado di imporre ai loro vassalli. In linea di massima, ciascun feudatario era tenuto a fornire al sovrano anche meno di 1/100 dei suoi cavalieri, per un totale di 800 stimati in tutte le terre del regno; basti pensare che il conte della Champagne, che disponeva di 2300 cavalieri, ne forniva solo una ventina. Anche in caso di eribanno, la leva straordinaria cui erano tenuti ad aderire tutti gli uomini abili alle armi, come per la campagna di Bouvines, lo stesso conte non ne forniva più di 180, e tutti i vassalli in totale non più di un paio di migliaia. Il re era costretto a compensare con i combattenti forniti dalla Chiesa, con quelli provenienti dai propri domini e con i mercenari.
Tra i cavalieri di estrazione nobiliare, ve ne erano di rango diverso, a cominciare dai più facoltosi, i banneret, per proseguire con i possessori di un feudo, i chevalier engagé, ovvero i cavalieri di leva, fino agli scudieri. Il loro addestramento alle armi iniziava a sette anni, generalmente come paggi del padre, per passare ai 12 alla corte di un signore potente; questi li prendeva sotto la sua protezione e proseguiva il loro addestramento, valendosene in particolare per la caccia, fino a farne dei veri e propri cacciatori entro i vent’anni. Seguiva poi la cerimonia di investitura a scudiero, dopo la quale il giovane era incoraggiato a intraprendere la carriera delle armi, solitamente come attendente di un cavaliere, fino ad accompagnarlo occasionalmente in battaglia con il destriero di riserva e un equipaggiamento completo; in seguito, egli perveniva alla più solenne investitura a cavaliere, che comportava, almeno teoricamente, l’adesione a un rigido codice deontologico, anche nei confronti dei nemici.

L’equipaggiamento di un cavaliere era decisamente costoso, e presupponeva, prima di ogni altra cosa, l’acquisto e il mantenimento di un cavallo da guerra; i banneret disponevano di due destrieri, ovvero cavalli da guerra, e almeno di cinque seguaci (definiti scudieri, garzoni, valletti), il cui compito era, solitamente, provvedere al vettovagliamento e alle cavalcature, sebbene talvolta fossero tenuti a partecipare ai combattimenti; dai cavalieri di medio rango ci si aspettava, invece, che si portassero dietro un destriero e due cavalli ordinari (palafreni), oltre a un paio di seguaci.
La difesa corporea era affidata a un usbergo e, sotto di esso, al gambeson, il giaccotto imbottito di pelle o seta inspessita, oltre alle protezioni lungo gli arti; la maglia di ferro ricopriva anche le mani, mediante mezzi guanti detti guardamano, le gambe e i piedi, nonché il capo, con il cappuccio, sopra il quale si calzava un semplice casco, detto cervelliera. Sovente, la cuffia di maglia culminava con un’imbottitura per sostenere l’elmo. Sopra la corazza, si indossava una cotta di lana senza maniche, lunga fino alle caviglie, stretta in vita da una cintura e decorata a seconda del rango. Lo scudo, a forma di mandorla, era di dimensioni ridotte rispetto a quello della fanteria, per facilitare il movimento. L’armamento era completato da lancia e spada.
Il re poteva anche valersi dei contingenti comunali, per tre mesi l’anno, o in alternativa di contribuzioni in denaro con cui assoldare altri mercenari. Le milizie cittadine fornivano i cosiddetti sergenti. Letteralmente, il termine “sergente” era tratto dal latino “servente”, e nei cronisti dell’epoca indicava tutti i combattenti non nobili, sia a piedi che a cavallo, ovvero tanto le milizie comunali quanto il seguito dei cavalieri di nobile estrazione, nonché i piccoli possessori di feudo. In seguito, il termine sarebbe stato progressivamente sostituito da “uomini d’armi”.
Il loro armamento era più leggero di quello dei cavalieri, anche quando si trattava di sergenti a cavallo, sebbene nel XIII secolo tutti disponessero di usbergo, magari corto appena sotto la vita (in tal caso haubergon era la definizione più utilizzata), con un cappuccio a protezione della testa, sebbene non necessariamente di elmo. Spada, lancia e scudo a mandorla corto completavano l’armamento.
Fin dalla terza crociata, cui aveva partecipato nel 1190, Filippo si valeva anche di uomini d’armi a cavallo, che costituivano originariamente la sua guardia del corpo, pur svolgendo i compiti più svariati; difesi da una cotta di maglia dotata di cappuccio, guardamano e calzari, sotto la tunica senza maniche, costoro disponevano, inoltre, di un elmo semplice a calotta e di scudo; tra le armi offensive, utilizzavano soprattutto la mazza ferrata, oltre alla lancia, all’arco e alla balestra.
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