Capitano di ventura

Armi, armature, tattiche, formazioni, logistica e altro ancora...
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Veldriss
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Capitano di ventura

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Il capitano di ventura è un termine che deriva dalla parola "capitanu(m)" di derivazione latina (caput, capitis ossia capo) e da "ventura", sostantivo apposto nel rinascimento contrazione di avventura. Esso è usato per indicare, in genere, il comandante di una compagnia privata di mercenari, dette per l'appunto compagnie di ventura. Questo genere di comando sorge nel XV-XVI secolo, soprattutto nell'Italia settentrionale, anche se già nel 1159 in Inghilterra gruppi di soldati mercenari guidati da capitani di ventura si misero al servizio di Enrico II Plantageneto e ben presto si diffusero anche in Francia e in Germania in quanto rivelatisi strumento indispensabile alle monarchie per combattere i vassalli ribelli.
Nei Comuni italiani, dove il notevole sviluppo delle attività artigianali, artistiche, letterarie ed industriali aveva, in qualche modo, allontanato la borghesia dallo spirito guerresco, si poteva porre rimedio, nel caso di un conflitto, assoldando i condottieri, ormai divenuti veri e propri impresari di guerra. I capitani di ventura comandarono dapprima plotoni di servi della gleba, poi di reduci dalle crociate o di disperati a causa di grandi crisi economiche. Il reclutamento avveniva solitamente all'estero e quindi non era desueta la pratica del tradimento durante l'atto guerresco.
Se da una parte è vero che talvolta i capitani di ventura ci tenessero soprattutto a risparmiare i loro uomini e i loro cavalli arrivando persino ai casi limite di combattimenti prolungati ma con scarsissimo spargimento di sangue, dall'altra si dimostrarono abili nel maneggio delle armi, introducendo per primi la tecnica dei combattimenti da cavallo con indosso pesanti armature. L'abitudine di far rivestire i propri uomini di ferro anziché di cuoio è, per primo, attribuita al capitano Mostarda da Forlì.
Solamente con l'introduzione delle armi da fuoco e di agguerrite milizie nazionali, il periodo aureo dei capitani di ventura tese ad esaurirsi.
Tra i più celebri si annoverarono Alberico da Barbiano, fondatore della Compagnia di San Giorgio (1378); Muzio Attendolo Sforza (1369-1424), di origine romagnola e al servizio di Napoli e fondatore, assieme al figlio Francesco della notissima casata che regnerà su Milano; Angelo Tartaglia, conte di Toscanella, signore di Lavello, vicario dell'antipapa Giovanni XXIII e rettore del Patrimonio di San Pietro in Tuscia.
Riferimenti a tale figura si trovano più volte nelle opere di letterari italiani come nell'"Arte della guerra" di Niccolò Machiavelli, ne "Il libro del cortigiano" di Baldassarre Castiglione, ne "I cinque canti" di Ludovico Ariosto, nel "Decameron" di Giovanni Boccaccio e nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni (don Rodrigo e i bravi).

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http://it.wikipedia.org/wiki/Capitano_di_ventura
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Oberto II Pallavicino

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Oberto II Pallavicino o Pelavicino (Polesine Parmense, 1197? – Gusaliggio in Val Mozzola, 8 maggio 1269) è stato un condottiero italiano, capitano di ventura sotto Federico II di Svevia. Apparteneva alla linea lombarda della nobile famiglia dei Pallavicino.

Biografia
Vicario imperiale e sostenitore di Federico II e della parte ghibellina, a partire dal 1234 sostenne l'imperatore contro il papa Gregorio IX e i Comuni, la cui espansione (in Val Padana, in Liguria, nella Toscana settentrionale) minacciava i vasti possessi dei Pallavicino. Dal 1250, sottomise le città di Parma, Cremona, Piacenza, Pavia, e Brescia.
In seguito alla gelosia di Ezzelino III da Romano, Oberto si unì ai guelfi e prese parte alla grande vittoria della Lega Lombarda contro Ezzelino nella battaglia di Cassano (1259). Per questo, fu ricompensato dalle città di Milano, Como, Lodi, Novara, Tortona, e Alessandria.
Quando Carlo d'Angiò invase la Lombardia, Oberto combatté ancora insieme ai Ghibellini, ma fu sconfitto più volte.

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Soldato di ventura

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Il soldato di ventura era, come veniva definito nel medioevo, un soldato mercenario che combatteva anzitutto per tornaconto personale, tenendo in genere in scarsa considerazione motivi ideologici, nazionali o politici.
I mercenari, presenti da sempre nella storia dell'umanità, per quanto riguarda l'Italia hanno svolto un ruolo particolare nel XIII secolo italiano con una funzione prevalentemente di truppe di rinforzo. In questa senso, li troviamo nella battaglia di Campaldino nel 1260 a fianco dell'esercito fiorentino, ma anche in altre a noi più vicine concorrendo spesso a determinarne l'esito.

Storia
La storia offre in questo periodo, che va dal XIII al XIV secolo, opportunità enormi a chi sa usare le armi, il cervello, le circostanze e le debolezze di committenti deboli ed incapaci in guerra tra loro per il mantenimento di un potere che proprio chi è assoldato per aiutarli a mantenere è anche pronto a strappare loro, sostituendosi nelle loro dignità.
I condottieri ed i cavalieri di valore molto spesso aiutano il Signore, sotto le cui insegne combattono, più a perdersi che a salvarsi per poi sostituirli nella gestione del potere, in un intreccio di passioni, tradimenti, vendette, assassini e quant'altro e la cui vera posta è il potere. Alcuni, i più capaci e valorosi si insignoreranno dei Comuni di cui erano al servizio.[senza fonte]
Si assiste nel corso del XIII secolo alla evoluzione dell'arte della guerra che richiede un impegno sempre più professionale ed allo stesso tempo al migliore scenario economico che impegna sempre di più i cittadini del Comune nella persecuzione dei propri affari.
I nuovi cittadini sono diventati più ricchi, il loro lavoro è sempre più impegnativo, sentono maggiormente l'esigenza di non abbandonare le proprie attività ed al contempo possono permettersi di pagare altri perché combattano prima assieme a loro e poi al posto loro tout court.
Questo portò alla conseguenza di un sempre minore impegno dei cittadini nelle milizie interne comunali e di un sempre maggiore ricorso a chi la guerra la fa per mestiere, i mercenari.
Il fenomeno tenderà drasticamente a ridursi, fino a scomparire con l'età moderna e l'avvento, contestualmente, degli stati nazionali, che adotteranno eserciti di massa stabili, fondati sull'introduzione del servizio militare obbligatorio.

Caratteristiche
Una caratteristica comune di questo tipo di mercenari è quella di essere, all'inizio, dei forestieri ingaggiati individualmente che prestano il proprio servizio militare per compenso.
Questi soggetti, ritenuti professionisti della guerra al servizio dei Comuni medievali o di quanti li pagano, erano generalmente definiti come briganti disorganizzati, prevalentemente tedeschi o spagnoli, reduci o anche disertori talvolta di armate straniere ritiratesi che, nella lotta per la sopravvivenza, vendono l'unica cosa che possiedono, la vita.
Dopo aver prestato i propri servigi a qualche Comune o signorotto locale, spesso al furto ed al saccheggio del territorio in cui si trovano, nulla risparmiando, né persone né cose, con una unica posta in gioco, all'inizio la sopravvivenza poi il potere.

« Viene così ad essere scardinata la base di una società fondata sul concetto che ogni uomo abbia, dalla nascita alla morte, un posto fisso di Dominus o Miles per una serie inalterabile di diritti o doveri; si crea, di conseguenza, il senso illegittimo del potere, raggiunto ribaltando le fatiscenti leggi cristiano-medievali dell'onore e della virtù.
È il Principe che nasce dal basso »
(Rendina C., - I capitani di ventura, 1999)

Soldati di ventura famosi

I mercenari svizzeri
Si distinguono i mercenari svizzeri, rozzi montanari, che umilieranno l'orgoglio e l'ottusa caparbietà di Carlo il Temerario e la sua casata nella battaglia di Nancy, 1477, dove questi troverà la morte, causando la fine dello splendido Ducato di Borgogna di cui i cugini di Francia faranno man bassa.
Essi si organizzarono in compagnie di Ventura divenendo un fattore politico-militare importantissimo a volte determinante, specie se il loro condottiero è valoroso e politicamente capace.
Gli ultimi loro epigoni sono le attuali guardie svizzere, in servizio presso lo Stato del Vaticano.

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Compagnia di ventura

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Le compagnie di ventura erano truppe mercenarie utilizzate nel medioevo, formate da i cosiddetti soldati di ventura organizzate e guidate da un condottiero, generalmente detto capitano di ventura.

Cenni storici
Fecero la loro comparsa in Italia, al seguito di qualche Re o Imperatore, tra la fine del '200 e l'inizio del '300: erano le masnade formate da soldati di mestiere, prevalentemente di bassissima estrazione sociale, pronti ad uccidere ed a farsi uccidere per denaro e per bottino.
Nel corso del XV secolo, tutti i principi italiani utilizzarono queste truppe di professionisti della guerra che avevano un livello superiore di addestramento e una maggiore capacità di usare le nuove armi da fuoco. Le compagnie mercenarie declinarono in seguito alla nascita e al rafforzarsi degli stati nazionali. L'ultima compagnia di ventura degna di nota fu quella capitanata da Giovanni de' Medici (meglio conosciuto come Giovanni dalle Bande Nere) nei primi del Cinquecento.

Caratteristiche
L'unico obiettivo che muoveva le compagnia di ventura era quasi sempre l'occasione di arricchirsi con qualsiasi mezzo, al servizio di chi sfruttava sapientemente questa loro avidità. Molto spesso era solo il miraggio del bottino e non il "soldo", cioè la paga distribuita dal condottiero o da chi per lui, a spingerli, tanto meno una consapevolezza politica o morale del tutto inesistente: ciò spiega le nefandezze che con estrema indifferenza commettevano e di cui si gloriavano, cercando di aumentare, così, da una parte il proprio prestigio militare e dall'altra il terrore indotto ed esaltato della loro ferocia nei territori occupati e verso i nemici.

Le compagnie di ventura in Europa

Italia
Per contrastare le forze messe in campo dalle città di Firenze e Venezia nella Lega contro gli Scaligeri, molti mercenari discesero dalla Germania al seguito di Enrico VII, Federico d'Austria, Ludovico il Bavaro o Giovanni di Boemia, intervenuti per sostenere o combattere Mastino II della Scala. Al termine dei conflitto, migliaia di soldati tedeschi rimasero in Italia, vivendo di saccheggio e offrendosi a questo o quella città. Furono questi militari sbandati che diedero vita alla prime compagnie di ventura, nel 1337, con la Compagnia di Uguccione, quella del Ceruglio, oltre ai Cavalieri della Colomba, compagnia formatasi nei dintorni di Piacenza.
La prima unità di grandi dimensioni fu la Compagnia di San Giorgio, riunita da Mastino II della Scala e messa agli ordini di Lodrisio Visconti, che venne lanciata alla conquista di Milano e fu sconfitta nella battaglia di Parabiago.
Le compagnie si imponevano una disciplina e una organizzazione, mentre non diminuiva la loro ferocia, peraltro esaltata ad ideale. Il '300 fu il periodo in cui dilagarono in Italia le compagnie di ventura: ci furono spazio e committenti per tutti, nonché ricchezze da saccheggiare in abbondanza. Le compagnie di ventura fecero la fortuna economica e politica di molti condottieri, avventurieri come il duca Federico Ubaldini-Montefeltro di Urbino, Guarnieri d'Urslingen, il Conte Lando, Anichino di Bongardo, Montréal d'Albarno detto Fra' Moriale, Angelo Tartaglia, Alberico da Barbiano e poi Braccio da Montone, il Piccinino, Bartolomeo Colleoni, Francesco Sforza, Giovanni dalle Bande Nere, Ludovico Racaniello, il Gattamelata e tanti altri che, grazie al proprio carisma ed alla concessione di libero saccheggio, riuscirono a coagulare attorno a sé questi masnadieri. Il termine condottiero deriva dalla parola "condotta", che era il contratto stipulato tra il principe e l'uomo d'armi.
L'Italia era, tuttavia, un miraggio che qualche volta deluse le speranze e le illusioni coltivate, come fu per Montreal d'Albarno, ossia Frà Moriale. Frà Moriale migliorò l'organizzazione della Grande Compagnia nel cui comando era succeduto al Duca d'Urslingen, ossia il Duca Guarnieri; con essa ebbe grandi successi militando a volte per il Papa, a volte contro di lui, ma finì la sua carriera giustiziato ad opera di Cola di Rienzo.
Questi esempi sono i più significativi tra le compagnie guidate da condottieri stranieri che percorsero l'Italia devastando città e campagne al solo fine ultimo di arricchirsi. Accanto a queste si misero in luce anche quelle guidate da capi italiani che presto soppiantarono gli stranieiri; altrettanto feroci nella ricerca della ricchezza e del potere ma con una maggiore attenzione ai fini politici. Ecco, solo a titolo esemplificativo, le compagnie guidate da Castruccio Castracani, Ambrogio Visconti, Guidoriccio da Fogliano, Francesco Ordelaffi. Molto spesso i capi italiani di queste compagnie provenivano da famiglie già potenti (il 60% dei capitani di ventura era di nobili origini): a volte erano titolari di signorie, che mettevano se stessi e la propria compagnia al servizio di altri potenti per aumentare ricchiezze e potere in un intreccio diplomatico estremamente volatile, basti pensare ai Malatesta ed agli Ordelaffi. A volte erano uomini di origine umile, se non infima, che vedevano nel servizio militare mercenario l'opportunità del proprio riscatto sociale e spesso assursero ad altissimi onori ed alla conquista di una propria signoria, anche se a volte effimera e velleitaria.

Francia
Esse devastarono la Francia del XIV secolo sotto i regni di Giovanni II e di Carlo V. I loro componenti venivano reclutati in tutta Europa, ma soprattutto in Germania: molti di questi infatti erano stati reclutati da Edoardo III d'Inghilterra e poi licenziati dopo il trattato di Bretigny del 1360. Essi depredavano le campagne francesi e sollevarono le ire dei contadini che, armatisi, spesso riuscivano efficacemente a contrastarli.
Il Connestabile di Francia Bertrand du Guesclin fu utilizzato per sbarazzare di queste compagnie il regno di Francia allontanandole in Spagna, ove combatterono per Enrico II di Castiglia contro il fratellastro Pietro il Crudele. Capi celebri di queste compagnie furono: Arnaud de Cervole, detto l'Arciprete, Croquart, Bernardone de la Salle, Ugo di Calveley, Robert Knolles, Bétucat d'Albret, John Creswell, Cahours.

Tra le compagnie più note:

I Tard-Venus
Compagnia attiva in Francia nel XIV secolo. Si trattava di mercenari smobilitati dopo il Trattato di Brétigny dell'8 maggio 1360. Agli ordini di Petit Meschin e di Seguin de Badefol, combatterono dalla Borgogna alla linguadoca. Nel 1362, nella battaglia di Brignais sconfissero Giacomo di Borbone, conte della Marche, che vi rimase ucciso con il figlio Pietro.

La Compagnie Blanche
Compagnia formata anch'essa dopo il trattato di Brétigny agli ordini John Hawkwood, noto in Italia come Giovanni Acuto. L'Acuto perfezionò la propria compagnia trasformandola in un'armata regolamentare, che presto si fece conoscere per la capacità bellica e per la disciplina e operò anche in Italia.

Gli Écorcheurs
Compagnia di mercenari smobilizzati dopo il Trattato di Arras del 1435 e che devastò la Francia nel XV secolo.

Compagnie di ventura storiche

Gli Almogavari
Degli Almogavari, mercenari che seguirono Pietro III d'Aragona nella conquista della Sicilia (1288), abbiamo una descrizione particolarmente significativa ed eloquente:
« Breve saio a costoro, un berretto di cuoio, una cintura, non camicia, non targa, calzati d'uose e scarponi, lo zaino sulle spalle col cibo, al fianco una spada corta e acuta, alle mani un'asta con largo ferro, e due giavellotti appuntati, che usavan vibrare con la sola destra, e poi nell'asta tutti affidavansi per dare e schermirsi. I lor condottieri, guide piuttosto che capitani, chiamavansi anche con voce arabica Adelilli. Non disciplina soffrian questi feroci, non avean stipendi, ma quanto bottino sapessero strappare al nemico, toltone un quinto pel Re; né questo medesimo contribuivano quand'era cavalcata reale, ossia giusta fazione. Indurati a fame, a crudezza di stagione, ad asprezza di luoghi; diversi, al dir degli storici contemporanei, dalla comune degli uomini, toglieano indosso tanti pani quanti dì proponeansi di scorrerie; del resto mangiavan erbe silvestri, ove altro non trovassero: e senza bagagli, senza impedimenti, avventuravansi due o tre giornate entro Terre de' nemici: piombavano di repente, e lesti ritraevansi; destri e temerari più la notte che il dì; tra balze e boschi più che in pianura »
(Michele Amari, La guerra del Vespro siciliano.)

Le masnade
Attraverso il provenzale maisnada (famiglia, servitù), dal latino mansionata (gente di famiglia), masnada[1] identifica la schiera di servi che lavora per una famiglia patrizia. Feudatari o signorotti locali non esitavano a servirsi di questo "esercito" improprio per imporre il proprio potere, più o meno legittimo, e per esercitare anche atti di violenza sulle popolazioni che fossero o meno sotto la propria giurisdizione. Il termine presto acquistò un'accezione negativa, passata a indicare anche un gruppo di sbandati, di "senza disciplina".
Le masnade erano anche gruppi di grassatori, di predoni che si prestavano occasionalmente al servizio militare presso terzi.
« Gente son sanza freno, e mai non pensan se non di usurpare »
(Anonimo del 1300.)
Ad essi si associavano i fuoriusciti dal proprio Comune, da dove una fazione avversa e vincente li aveva scacciati o cadetti che non trovavano spazio nella propria famiglia o nel proprio territorio di origine. Particolarmente attivi erano gli italiani esiliati, la cui prevalente aspirazione era quella di rientrare in possesso dei beni di cui erano stati spogliati o di riconquistare il Comune da cui erano stati cacciati. Queste brigate non erano ancora vere compagnie, la disciplina era pressoché nulla, l'organizzazione militare approssimativa, la fedeltà verso i loro committenti un'opzione, la sete di rivalsa e di bottino enorme.

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Mercenari e mercenariato nel medioevo

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Mercenari e mercenariato nel medioevo

Le compagnie d’arme e il mercenariato
Con mercenariato si intende la prestazione di servizi militari in cambio del corrispettivo di un prezzo.
Tenendo presente questa definizione,si può affermare che l’uso di truppe pagate divenne comune già prima del medioevo; per esempio era abitudine dei romani, nel periodo di declino dell’impero, assoldare barbari per svolgere compiti militari.

Prima del Mille
Nei primi secoli del medioevo, coloro che fecero più uso dei mercenari furono i bizantini. Quest’ultimi infatti, sfruttarono come truppe pagate molti guerrieri, facenti parte di popoli – esercito, per difendere i confini, garantendo un lauto pagamento e la possibilità di stanziarsi in diverse regioni senza incorrere in repressioni da parte dell’Impero Romano d’Oriente.
Un esempio possono essere i Longobardi, famoso popolo di cui alcuni guerrieri combatterono per Bisanzio verso la fine del V e gli inizi del VI secolo d.C. per i quali fu vista con favore la decisione di migrare dalla Pannonia e stanziarsi nella regione italica (all’epoca sotto il controllo dell’impero).
Con la grande espansione territoriale dell’impero bizantino, molti popoli di ogni tipo infoltivano le fila dell’esercito in sostegno ai catafratti (cavalleria pesante di Bisanzio), in cambio di una retribuzione.
Mentre il tipico soldato bizantino doveva addestrarsi specialmente nella cavalcata e nel tiro con l’arco da cavallo, i mercenari erano truppe di rapido reclutamento in quanto non necessitavano di un ulteriore addestramento.
Per questo, nei secoli che precedettero l’anno Mille, furono molto usate truppe tipicamente mercenarie a sostegno dell’esercito regolare.
Famosi erano gli arcieri di Trebisonda, gli Alamanni, i mercenari dalmati o italici ( specialmente dalle zone di Ravenna e Venezia) e i famosissimi Variaghi (o vareghi).
Quest’ultimi costituirono la guardia personale dell’imperatore bizantino; infatti la nascita della guardia Variaga si fa risalire all’anno 989 d.C., quando Vladimir, re dei Rus1, appena convertito lui e il suo popolo, mandò all’imperatore di Miklagard (nome con cui gli scandinavi chiamavano Costantinopoli) 6000 guerrieri variaghi.

I mercenari nell’XI secolo
Nell’anno Mille non si può ancora parlare di vere e proprie compagnie d’arme ne di compagnie di ventura, nonostante fosse molto comune il mercenariato.
Tuttavia, delle congreghe di uomini dediti alle armi erano una realtà presente, come dimostra la già citata guardia variaga (da var = giuramento e da varingr = uomini itineranti uniti da un patto).
Queste unioni di uomini erano unite da un patto o da un giuramento che le rendeva comunità guerriere caratterizzate dalla forte tendenza al saccheggio e al culto del “bottino”.
Esse nascevano generalmente intorno a un centro, spesso un villaggio fortificato, e sviluppavano un commercio piuttosto ben strutturato oltre a una fama di grandi e affidabili guerrieri.
La ricchezza di queste comunità forniva un buon equipaggiamento militare e navale, segno di prosperità e sviluppo economico rispetto ad altri, oltre ad aumentare il prestigio e la garanzia per i signori che ingaggiavano uomini in queste società.
Una famigerata comunità guerriera è quella di Jomsborg, divenuta famosa con la saga dei vichinghi di Jom.
Jomsborg :
La città fortificata venne fondata da Aroldo Denteazzurro, re di Danimarca, quando venne spodestato da suo figlio Sven Barbaforcuta. Da allora il re che perse il trono si impegnò, insieme coi suoi uomini, a portare razzia e terrore in tutto il mar Baltico, rendendo la nuova città di Jomsborg un prospero porto mercantile nonché base militare per le razzie.
Spesso i guerrieri di Jom lavorarono come mercenari, insieme con altri, nelle terre dei Rus, andando a costituire la famosa Druzhina, corpo speciale del re di Kiev e Novgorod costituito specialmente da svedesi ma anche da altri scandinavi.
Un’ipotesi è che furono anche assoldati come mercenari da Cnut, re di Danimarca e Inghilterra, figlio di Sven Barbaforcuta.
Non bisogna però pensare che la saga dei vichinghi di Jom dica complete verità; infatti, scavi presso la cittadina di Wollin (sorta sulle rovine di Jomsborg intorno al 1250 d.C.), dimostrano che la comunità di quel posto, intorno all’anno Mille, non era esattamente come descritta nella saga, cioè una “possente base nordica e una colonia vichinga autonoma,con tanto di porto artificiale e grandi mura, dietro le quali stava un’accolta di guerrieri giurati, amanti della disciplina severa e spregiatrice del commercio e della morte”(da L’epopea dei vichinghi di Rudolf Portner).
Jomsborg era più che altro una fiorente città mercantile, una colonia di cultura e popolazione mista (slavo-nordica), caratterizzata da un vivace commercio, un artigianato e industria vari che usavano prodotti di varia provenienza.
Da queste informazioni si può quindi dedurre che, Jomsborg non fosse strettamente una comunità guerriera, ma per questo non si può nemmeno affermare che questa città non facesse uso delle armi.
I commerci, in quei periodi, erano indubbiamente poco sicuri e la pirateria e i continui saccheggi portarono, tutti coloro che volevano viaggiare, a proteggersi con una guardia armata. Così, anche i mercanti di Jomsborg si munirono di guerrieri sulle proprie imbarcazioni e molto spesso, gli stessi che impugnavano le armi erano anche coloro che remavano, formando degli equipaggi costituiti all’occorrenza interamente da armati e capaci, in caso di una cattiva stagione di commerci, di razziare per riempire le proprie tasche.
Per questo, si può dire che a Jomsborg, lo sviluppo del commercio fu affiancato a una forte tradizione guerriera capace di svolgere bene il proprio ruolo, tanto da essere assoldata da signori abbastanza facoltosi da permetterselo.
Altre realtà che dimostrano l’esistenza del mercenariato, nei secoli centrali del medioevo, sono ricercabili in molti frangenti della vita medievale.
Nonostante non vi fossero delle compagnie d’arme guidate da un capitano, vi erano però gruppi di guerrieri costituiti da individui diversissimi tra loro. Generalmente questi gruppi di mercenari erano formati da fuorilegge, disagiati e individui ai margini della società che vedevano, nel mettersi al servizio di qualcuno, un facile modo per arricchirsi.
Un tipico esempio è il caso dei mercanti di sale che risalivano il Po nella seconda metà dell’XI secolo d.C. Costoro erano chiamati “milites” poiché si munivano sempre di una scorta, costituita da mercenari, per proteggersi dalle frequenti aggressioni dei briganti che miravano a trafugare il prezioso sale marino.
Un altro esempio è quello dei saraceni, infatti, all’inizio del IX secolo d.C. si formò un’importante emirato in Tunisia governato dalla dinastia detta “aglabita”.
“Questa dinastia, protagonista di una politica particolarmente aggressiva nel Mediterraneo, a integrazione delle milizie normali dell’islam, non disdegnò di ricorrere occasionalmente e di garantire copertura a bande di pirati o predoni di religione musulmana, combattenti irregolari noti come «Saraceni»” ( da Dieci secoli di medioevo, Giuseppe Sergi e Renato Bordone)
I saraceni erano quindi un ramo di una popolazione da cui prendevano il nome, i Sarkénoi, e i loro attacchi erano principalmente contro il Sud Italia e le coste della Provenza.
Vennero spesso assoldati come mercenari dalla dinastia Tunisina degli aglabiti.

Le compagnie d’arme dal XII secolo
“A partire dal XII secolo, il denaro era ormai il maggior intermediario tra il potere e gli uomini d’arme” (da La guerra nel medioevo di Contamine).
Le parole di Contamine fanno capire bene il sorgere di compagnie, che non si potevano ancora confrontare a quelle di ventura del XIV secolo d.C. ma che erano dedite alla guerra e agli esercizi marziali e basavano la propria sopravvivenza quasi esclusivamente su quest’ultime caratteristiche.
Per questo si possono definire Compagnie d’arme.
Dagli inizi di questo secolo quindi, iniziarono a nascere alcune piccole combriccole di uomini, molte volte costituite da non più di una decina di persone, specializzate nell’uso delle armi e spesso assoldate da segnores locali o da vescovi per proteggere rispettivamente terre di banno o delle immunitas.
Queste compagnie d’arme, erano formate da una gerarchia costituita generalmente dai mercenari più vecchi ed esperti, i veterani, che si fidavano ciecamente di un capo (in molti aspetti simile ai famosi capitani di ventura di due secoli successivi) che prendeva gli incarichi, si occupava della pianificazione per lo svolgimento dei compiti e divideva gli introiti, fossero essi di derivazione da un lavoro eseguito oppure derivanti dall’esecuzione di una razzia.
I loro componenti si dedicavano esclusivamente all’uso delle armi ed erano per lo più itineranti, perché sempre alla ricerca di chi li assoldasse o di un facile bottino, predando piccole comunità rurali o viaggiatori sguarniti di una scorta.
Esistono numerose fonti che attestano la presenza delle compagnie d’arme nell’Europa medievale chiamando gli uomini che le componevano solidarii ( mercenari), stipendiarii ( stipendiati) e nominando anche il procedimento dell’arruolamento dietro compenso (summonitiones ad denarios).
Intorno al 1150 d.C., l’abate di Cluny, Pietro il Venerabile, accusa Pons de Melgueil, suo predecessore, di aver sperperato il tesoro dell’abbazia assoldando dei soldati.
Tra il 1176 e il 1179 d.C., venne scritto il “De necessariis observantiis Scaccarii dialogus” in cui è scritto :<<Il denaro è necessario non solo in tempo di guerra ma anche in tempo di pace. Nella guerra si spende per fortificare i castelli, per i salari dei soldati e per molte altre bisogne che dipendono dalla natura delle persone assoldate per la difesa del regno>>.
Lo stesso Fibonacci, nel suo Liber Abaci (scritto tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo d.C.) descrive alcuni esempi di calcolo per il pagamento dei mercenari.
Dalla metà del XII secolo d.C., le compagnie d’arme divennero sempre più grandi e forti, grazie alla ricchezza accumulata e alla fama da loro guadagnata.
Infatti erano sempre più i comuni che, sfruttando la possibilità dei cittadini di pagare un determinato soldo (per riscattarsi dal servizio militare dovuto), assoldavano mercenari, inizialmente, per fare la guardia alle mura e ai terreni della città e, successivamente, per compiere numerosi atti violenti e guerreschi contro altri comuni o contro i signori locali.
Al formarsi di un comune, infatti, il potere che risiedeva in città (cioè generalmente il vescovo o il collegio consolare) perse gradualmente la propria influenza sulle campagne circostanti.
Questo causò parecchi problemi all’interno del territorio che, in antichità, era interamente governato come comitatus, dando vita a molti scontri che coinvolgevano parecchi domini locali tra loro oppure quest’ultimi e il comune stesso.
In città era cresciuta moltissimo la classe mercantile che trovava, subito fuori dalle mura, una moltitudine di nobili o grandi proprietari terrieri agguerriti e insofferenti alla transizione sul proprio territorio, facendo spesso pagare forti tributi e/o mandando i propri guerrieri a bloccare i passaggi obbligati.
Dopo l’unificazione dei territori circostanti le città, la continua espansione territoriale dei comuni portò inevitabilmente allo scoppio di grandi guerre (per esempio tra Milano e Lodi) e,
dopo aver nominato e incaricato un podestà di occuparsi dei problemi militari, si arrivava allo scontro armato.
Gli eserciti, per la parte attaccante, non erano basati su una leva per la difesa della città, quindi il normale servizio obbligatorio di ogni cittadino non era previsto, ma le tasse contribuivano a formare un’armata di mercenari che, seppur più piccola, era composta da uomini specializzati nell’arte della guerra ed erano quindi un avversario temibile. Dall’altra parte, un comune che si vedeva attaccato da truppe specializzate, pensava di non avere alcuna scelta schierando un esercito basato sulla leva popolare, quindi si muniva anch’esso di mercenari.
Inizialmente gli uomini d’arme che militavano in questo modo erano una piccola compagine dell’esercito comunale, costituito prevalentemente dai soldati dei grandi milites della città e di quelli del territorio circostante assoggettati al comune. Questo fu il processo che portò le compagnie d’arme a unificarsi sotto la guida di un’unico capo e diventare le famose compagnie di ventura, guidate da un capitano e strutturate come un’esercito.
Si può quindi affermare che dalla metà del XII secolo d.C. ci fosse una presenza “ininterrotta e dirompente di soldati di mestiere” ( da Rapine, assedi, battaglie, la guerra nel medioevo, Settia)
Walter Map, intorno al 1180 d.C., ci dice dei mercenari “brabanzoni”, originari del Brabante, che militarono anche in Italia con gli eserciti di Federico I. Costoro erano in principio semplici ladruncoli a cui poi si unirono in quantità considerevole dei fuorilegge, quali falsi chierici,monaci rinnegati e comuni delinquenti. Assoldati come mercenari, questi criminali vagavano per l’Europa coperti di cuoio e metallo in formazioni chiamate “rotte” e non esitavano a depredare e razziare monasteri e villaggi interi portando distruzione “per il puro gusto di fare violenza” ( da Rapine, assedi, battaglie, la guerra nel medioevo, Settia).
Anche Salimbene da Parma, negli ultimi decenni del XIII secolo d.C., ci parla di truppe al soldo di domini usciti dalle città padane. Quest’ultimi tenevano al proprio servizio “cavalieri mercenari,berrovieri e ribaldi”, di origine bergamasca, ligure o milanese che combattevano al servizio di chi li pagava e si lasciavano andare in saccheggi e distruzioni nei paesi del vescovado reggiano.
Tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento nacquero, in Italia, le masnade mercenarie costituite da soldati di mestiere ( bellatores) di bassa estrazione sociale.
Queste formazioni itineranti e non molto stabili erano solite calare nella penisola al seguito di un imperatore o di un re, quindi, aggregatesi al padrone di un castello, effettuavano scorribande e imprese che portassero nelle loro tasche denaro e bottino.
Le terre d’origine di queste masnade erano principalmente la Germania, il Brabante oppure l’Aragona e la Catalogna. Quest’ultime due famose regioni, hanno rifornito il seguito armato del re Pietro d’Aragona, che nel 1282 giunse in Sicilia con mercenari legati alle attività degli Amolgavari o Almovari.
Di questi guerrieri ci viene fornita una descrizione da Michele Amari che scriveva :« Breve saio a costoro, un berretto di cuoio, una cintura, non camicia, non targa, calzati d’uose e scarponi, lo zaino sulle spalle col cibo, al fianco una spada corta e acuta, alle mani un’asta con largo ferro, e due giavellotti appuntati, che usavan vibrare con la sola destra, e poi nell’asta tutti affidavansi per dare e schermirsi. I lor condottieri, guide piuttosto che capitani, chiamavansi anche con voce arabica “adelilli”».
Queste masnade venute nella penisola italica, erano solite fermarsi trovando facilmente impieghi o semplici scorrerie. Quest’ultime, in particolare, erano l’attività principale attuata dai mercenari di quei tempi trovando semplice sul suolo italico il saccheggio, facilitato dai problemi e dagli scontri interni che vedevano contrapporsi l’impero e i comuni oppure le dinastie principesche instauratisi in città.
In particolare da quest’ultime discenderanno alcuni grandi condottieri, come vedremo in seguito.
L’instaurarsi di alcune dinastie principesche nelle città italiane, deriva infatti dalla consuetudine dei comuni di assoldare dei mercenari che venivano ingaggiati singolarmente e a gruppetti. Quindi, posti sotto la guida di un capitano che doveva possedere doti militari molto sviluppate, compivano attacchi contro altri comuni o difendevano il comune che li aveva ingaggiati.
Alcuni capitani erano molto famosi tra i cittadini e quando non si era in periodi di guerra, le doti di politica e dialettica, unite alla fama guadagnata sul campo di battaglia, permettevano a questi personaggi di instaurarsi ai vertici del potere comunale grazie al sistema della Balia perpetua, un esempio sono i Visconti.

Le compagnie straniere e le compagnie di ventura
Ancora nei primi anni del Trecento, i masnadieri furono, la maggior parte delle volte, dei veri e propri fuorilegge, come dimostra il caso dei “Cavalieri della Colomba”.
Questi nient’altro erano che un gruppo di mercenari, venuti in Italia al seguito di Giovanni di Boemia nel 1333 e, restati nella penisola, vissero di rapina anche dopo l’ingaggio da parte del comune di Perugia che risolvettero rapidamente per tornare ai saccheggi.
Nel 1339 arrivarono in Italia il duca Werner von Urslingen e il conte Konrad von Landau con le loro brigate.
Werner, dopo aver combattuto al soldo di diversi signori in Toscana e Lombardia, radunò tutti i mercenari sul suolo italico e, come dice Rendina, :«propose la costituzione di una libera compagnia “ per guerreggiare i più deboli e i più doviziosi”».
Nacque quindi la “Grande Compagnia” del temuto duca Guarnieri, ispirata da un preciso programma e senso del mestiere, regolata da una ferrea disciplina.
La compagnia di Werner, composta di tremila barbute formata ognuna da un cavaliere e un sergente, guerreggiò in Toscana e in Umbria compiendo saccheggi e devastazioni.
Il capitano della grande compagnia aveva scritto sulla sua armatura “Duca Guarnieri, Signore della Gran Compagnia, nimico di Dio, di pietà et di misericordia” . Egli era conteso, ma anche disprezzato, dai suoi datori di lavoro che nel 1343 decisero di pagare una grossa somma a titolo di liquidazione mandandolo in Friuli.
Tornato poi in Italia nel 1347, il duca e la sua compagnia furono impegnatissimi nella guerra tra il re d’Ungheria e Giovanna d’Angiò.
Negli anni seguenti la Grande Compagnia combatté contro ma anche al soldo del legato pontificio e finì per sciogliersi nel 1351, quando Guarnieri si ritirò in Svevia godendosi il denaro accumulato. Tuttavia, i rimasugli della compagnia di Werner furono ripresi da Fra Moriale e dal conte Landau e si perpetuarono ancora per undici anni, fino al definitivo scioglimento del 1362, quando gli ungari della Grande Compagnia rifiutarono di combattere contro i loro consanguinei della Compagnia Bianca guidata da Sterz e John Hawkwood.
Quest’ultimo nacque in Inghilterra intorno al 1320 ed era figlio del conciapelli Gilberto Hawkwood. Proveniva quindi da un’agiata famiglia borghese di campagna ma, non essendo il maggiore dei suoi fratelli e sorelle, la sua eredità era ben poca per potergli permettere di sopravvivere, perciò le strade che gli si aprivano davanti erano due, il chiericato o le armi.
John Hawkwood scelse le armi.
Partì quindi nel 1339 quando scoppiò la Guerra tra Francia e Inghilterra e venne addirittura insignito cavaliere dal Principe Nero del Galles.
Nel 1360 tuttavia, con la pace di Brètigny, molti soldati di mestiere di entrambe le fazioni si trovano improvvisamente senza lavoro e per non cadere in disgrazia iniziarono a cercare altri impieghi nella penisola italica. Un esempio furono i soldati chiamati brabantini, originari del Brabante, assoldati dai Francesi durante il periodo bellico.
Bisogna perciò aspettare il 1360 perché nascano le prime compagnie di ventura.
Questa è la data a cui si fa risalire il periodo iniziale di formazione di questi eserciti mercenari, in una pausa della guerra dei cent’anni, durante la quale soldati inglesi e francesi diedero vita a grandi unioni di soldati, identificate con l’origine geografica dei loro componenti.
Le compagnie di ventura, formate in questo periodo, avevano un assetto simile a quello di un esercito, infatti il termine ventura indica “un gruppo di combattenti che, abbandonando per un certo tempo la guarnigione o l’accampamento, si dedica alla ricerca del bottino o al sequestro di persona allo scopo di estorsione. La nozione ventura richiama infatti uno stile di guerra in cui l’obbiettivo non è più di superare un avversario ma di arricchirsi con tutti i mezzi possibili” (da Rapine assedi battaglie, la guerra nel medioevo, Settia).
John Hawkwood, dopo essersi unito alla compagnia Bianca nel 1361 e aver imparato la gestione e le tecniche di formazione delle compagnie, si mise in proprio dando vita a una nuova compagnia di ventura totalmente riformata. Questa era composta da 1200 lance, che sostituivano la barbuta, ed erano formate da un capo-lancia o caporale, da uno scudiero e da un ragazzo in groppa a un ronzino. Quest’armata regolare mise in risalto Giovanni Acuto e i più grandi signori d’Italia non tardarono a ingaggiarlo. Combattè a fianco di Giovanni dell’Agnello e Bernabò Visconti, fino alla dura sconfitta inflittagli da Galeotto Malatesta nel 1364. Successivamente militò con la sua compagnia al soldo di Roberto di Ginevra e al servizio del papa commettendo eccidi incredibili alla guida della “Compagnia Santa”.
Alla fine Giovanni Acuto si mise al servizio stabile di Firenze che lo amò come un concittadino e gli diede solenni funerali alla sua morte nel 1394.
Seguendo l’esempio delle compagnie straniere formatesi in Italia, nacquero unioni di mercenari guidati da capitani di origine italica che spesso si formavano tra le stesse dinastie signorili cittadine. Una compagnia che si distinse per la sua formazione e non tanto per i suoi pregi militari fu la “Compagnia di San Giorgio” di Alberico di Barbiano costituita esclusivamente da milizie italiane.
Con questa compagnia si aprì l’epoca durante la quale i condottieri e le compagnie italiane subentrarono a quelle straniere con «una rinnovata efficienza militare e politica» (da I capitani di Ventura di Claudio Rendina).
In questo periodo, il capitano sceglieva i propri uomini e non viceversa, li arruolava tra i più fidati e li armava a sue spese, pagandoli col proprio soldo e stipulando contratti chiamati “condotta”. Il capitano quindi si fa Condottiero.
Le condotte erano contratti redatti dai legali delle due parti contraenti, in cui venivano specificati il numero di uomini, quello delle armi e la durata dell’ingaggio detto “ferma”.
I condottieri furono molto ricchi e la loro fortuna crebbe anche sul piano politico, dando vita a famiglie di condottieri-signori condizionate dalla fortuna militare degli stessi, è il caso degli Sforza, dei Colleoni e dei Gattamelata.
La decadenza delle compagnie di ventura inizia con la pace di Lodi nel 1454 e ha compimento negli ultimi anni del medioevo. Con la tendenza dei grandi signori stranieri, ad arruolare grandi contingenti di milizie d’ordinanza reclutate tra i propri sudditi, e quella dei principi italiani a frammentare le armate per non rischiare che gli si rivoltino contro, le compagnie di ventura, ora ridotte a esigui gruppi di uomini, non riescono a resistere alla forza dirompente delle armate straniere, superiori di numero e nella tecnologia delle armi da fuoco.
Il nascere dei primi nuclei di armate nazionali vede il tramonto delle compagnie di ventura la cui storia, si può dire, è solo e tutta medievale.

http://www.ilcontemezzocuore.it/info/me ... -medioevo/
A cura di:
Davide Chiolero
(Ricercatore de “Il Contemezzocuore”)
Bibliografia :
Renato Bordone e Giuseppe Sergi, Dieci secoli di medioevo, Einaudi, Torino 2009;
Philippe Contamine, La guerra nel medioevo, il Mulino, Bologna 1986;
Settia, Rapine, assedi battaglie, Laterza, Bari 2006;
Giovanni Tabacco e Grado Giovanni Merlo, Medioevo V/XV secolo, il Mulino, Bologna 1981; Rudolf Portner, L’epopea dei vichinghi, Garzanti Editore,1983;
Donald F.Logan, Storia dei vichinghi, casa editrice Odoya, 2009;
Claudio Rendina, I capitani di ventura, Universale Storica Newton di Newton & Compton Editori s.r.l., 2004;
Duccio Balestracci, Le armi, i cavalli, l’oro, Giovanni Acuto e i condottieri nell’Italia del Trecento, Editori Laterza, 2009;
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I mastini della guerra. Mercenari dell'epoca pre-condotte.

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I mastini della guerra. Mercenari dell'epoca pre-condotte.
di Giovanni Melappioni - Il medievalista
https://ilmedievalista.blogspot.it/2018 ... enari.html

Se parliamo di mercenari durante l'epoca medievale il pensiero corre agli anni centrali del Trecento e lì si sofferma, con caparbietà. L'immaginario comune tende infatti a concentrarsi sull'epopea travagliata delle grandi compagnie e dei condottieri che per circa tre secoli furono protagonisti della storia europea e in particolare della nostra penisola.

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Per anni c'è stata, in effetti, la tendenza a dividere in due periodi netti la logistica della guerra nel medioevo, ritenendola feudale fino alla Guerra dei Cent'anni, e basata sui mercenari in seguito. Una forzatura, questa, che cozza con i risultati che si evincono da qualsiasi studio più approfondito.

Enrico I d'Inghilterra, detto il Chierico, è noto per aver fatto ampio utilizzo dello scutagium (anche escuagium o scuagium), ossia la possibilità per un suddito della corona in obbligo di servizio armato di ovviare allo stesso tramite il pagamento di una tassa che avrebbe permesso l'ingaggio di mercenari. Siamo nei primi anni del 1100. L'importo pro capite si aggirava intorno a due terzi di un pound -il quale corrispondeva a una libbra d'argento, all'incirca mezzo chilo- ed è noto che l'aumento fino a tre pound (uno sproposito!) da parte di re Giovanni il Senza Terra portò alla sollevazione di molti dei suoi baroni, con conseguente nascita della Magna Charta.

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Andando più indietro nel tempo non possiamo fare a meno di notare che la grande avventura normanna nel sud d'Italia ebbe origine dallo spostamento di un certo quantitativo di ambiziosi guerrieri che inizialmente vendettero le proprie spade, salvo poi decidere di fare da soli e di conquistare i territori che le forze autoctone non erano in grado di difendere. Una situazione non certo dissimile da quella che vedrà protagonisti Francesco Sforza, Alberico da Barbiano, Gattamelata e così via, in ordine rigorosamente sparso, tutti gli altri Condottieri protagonisti del crepuscolo del Medioevo. Fare similitudini studiando gli eventi storici, però, è sempre una mossa azzardata, lungi quindi da me il voler trovare minimi comun denominatori fra epoche e situazioni decisamente differenti fra loro. L'unica certezza rimane il fatto che le "spade assoldabili" sono sempre esistite.

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Sempre rimanendo nel meridione italiano come non menzionare i 700 cavalieri suebi che combatterono con grande valore contro i normanni al soldo, letteralmente, di Papa Leone IX il quale si trovò costretto ad assoldare mercenari durante il viaggio di ritorno dalla corte dell'imperatore tedesco dove aveva sperato, invano, di ricevere aiuto in chiave anti-normanna. Enrico III non poté fornire armati ma permise al Papa di reclutare nel suo regno. Il contingente germanico che riuscì a radunare fu poi distrutto nella successiva battaglia di Civitate (giugno 1053), un trionfo normanno dalle enormi ripercussioni storiche.

Guglielmo il Bastardo, perseguendo il suo scopo di cambiare soprannome e divenire il Conquistatore, portò con sé a Hastings (ottobre 1066) una forza eterogenea di alleati, vassalli e mercenari, quest'ultimi arruolati però nelle vicine Fiandre e nella Bretagna che non si sentiva né franca né normanna.

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Si potrebbe inoltre aprire un intero capitolo solo accennando alla fame di combattenti dell'impero di Bisanzio. Mercenari da ogni dove combattevano per (e a volte rivoltandosi contro) il Basileus. Fra i più famosi e fedeli i Variaghi della Guardia, forse l'unità combattente più famosa dell'intero periodo per gli appassionati di guerra medievale.

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L'avventura cavalleresca, riportata circoscritta entro codici comportamentali eticamente accettabili nelle Chanson de Geste, molto spesso traeva ispirazione dal fermento che coglieva i membri guerrieri di una società dove occorreva un'inquadramento di tutti ma che a causa della sua rigidità e fragilità allo stesso tempo era facile creasse sbandati, dei mal collocati a voler essere specifici, perché i termini dispregiativi quali reietti e vagabondi vanno bene per descrivere la situazione ma sono poco calzanti se conferiti a giovani audaci nel pieno delle loro forze e abili nel combattere.

Guglielmo di Malmesbury, Orderico Vitale e altri raccontano di milites stipendiarii che, allo sciogliersi del contratto che li vincolava a re e duchi, divenivano ruptores, saccheggiatori, cotherelli, consociati, che vagavano lungo i confini di quelli che erano stati i teatri operativi della campagna militare che li aveva visti impegnati, pronti a essere ingaggiati da chiunque potesse pagarli o a prendere con la forza quel di cui abbisognavano per sopravvivere e per soddisfare la propria ingordigia. I brabantini di Higounet di Brouges, antagonisti dei primi due volumi del Ciclo Il Giglio e il Grifone, altro non erano che una consorteria guerriera pronta a seguire il richiamo dell'argento ovunque li avesse portati, purtroppo per Ademar e i suoi uomini.

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Compagnie di questo genere giocarono un ruolo chiave durante il regno di Riccardo Cuor di Leone, come forza pronta a essere reclutata al suo ritorno dalla prigionia in Austria. Secondo Guglielmo di Newburgh, cronista coevo, il re assoldò un'armata di stipendiarii nel Poitou e nel Limousine con la quale riprese gli scontri contro il re di Francia. Uno dei capitani viene anche citato per nome, tale Mercadier, il quale servì con costante fedeltà il re e fu incaricato, quando Riccardo partì per l'Oriente, di mantenere il controllo dei castelli dell'Anjou in suo nome.
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