Giovanni da Pian del Carpine (1180?-1252)

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Veldriss
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Giovanni da Pian del Carpine (1180?-1252)

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QUANDO I FRANCESCANI COMBATTEVANO LA GUERRA TRA CIVILTA'
Giovanni da Pian del Carpine (1180?-1252)
di Nicola Zotti http://www.warfare.it

Frà Giovanni da Pian del Carpine fu uno dei primi confratelli di San Francesco d'Assisi. Dopo la morte del santo, del quale era di qualche anno più vecchio e di cui condivideva i natali umbri, divenne uno dei frati francescani più stimati e rispettati dai suoi confratelli e dalla chiesa.

Tale era questa considerazione, che dopo la sconfitta del duca cristiano Enrico il Pio di Slesia alla battaglia di Liegnitz (9 aprile 1241) da parte dei Mongoli, venne inviato da papa Innocenzo IV in missione diplomatico-militare presso il Gran Khan dei mongoli Ogedei Khan.

A quell'epoca frà Giovanni era vicino ai 65 anni ed oltretutto piuttosto grasso: il viaggio che lo aspettava era il più difficile e pericoloso che un uomo potesse affrontare, ma egli vi si dedicò senza particolari preoccupazioni.

Partì da Lione il 16 aprile del 1245 ed impiegò circa un anno ad arrivare alla sua prima tappa, gli avamposti mongoli sul Volga del generale Batu, comandante in capo delle forze mongole in Europa. Questi lo autorizzò a procedere oltre verso Karakorum, sede del padiglione imperiale, dove il frate arrivò dopo circa altri 5.000 km. compiuti in 105 giorni di viaggio.

Nel frattempo Ogedei era morto e i mongoli erano governati da un interregno affidato a suo figlio Güyük.

Nell'autunno del 1247 frà Giovanni fu di ritorno dal papa, riportando, oltre alla risposta negativa del Gran Khan di convertirsi alla fede cristiana, anche un prezioso resoconto di prima mano sulle abitudini dei mongoli: che gli europei chiamavano ancora tartari, indispettendo parecchio i mongoli che quella popolazione avevano soggiogato.

In questo rapporto, il francescano inserì anche intelligenti consigli (li potete leggere qui sotto) su come affrontare la minaccia mongola, dimostrandosi particolarmente preparato su questioni militari, segno che a quell'epoca i francescani troppo pacifisti non dovevano essere.

Frà Giovanni morì 5 anni dopo il suo ritorno.


(La traduzione dal latino è mia, Nicola Zotti)

Giovanni da Pian del Carpine, «Historia Mongalorum quos nos Tartaros appellamus»

Capitolo 18 - Come si può resistere ai Tartari


Ritengo che nessun regno o provincia possa resistere ai tartari a causa della loro abitudine di prendere uomini da ogni paese dei loro domini.

E se una vicina provincia non vuole aiutarli, essi la invadono e la devastano con tutti gli abitanti, e li portano allora al proprio seguito per invadere un’altra provincia. E schierano i propri prigionieri in prima linea, che se non combattono coraggiosamente li uccidono.

Per questo motivo, se i cristiani vogliono resistere loro è necessario che le province e i governatori dei paesi si coalizzino, e così sotto un unico comando si riuniscano per resistere.

I loro soldati devono essere equipaggiati con robusti archi e balestre, dei quali essi hanno grande timore, e con frecce sufficienti, e pure con mazze di buon ferro o un’ascia con un lungo manico.

Nella fabbricazione delle loro punte di freccia devono – secondo l’uso dei tartari – immergerle incandescenti in acqua mista a sale cosìcché possano essere forti a sufficienza da penetrare le loro corazze.

Quelli che vogliono devono avere anche spade e lance con ganci all’estremità, per strapparli dalle loro selle, dalle quali è facile farli cadere.

Essi devono ugualmente avere elmi e altra corazzatura per difendere il corpo e i cavalli dalle loro armi e frecce, e coloro che sono senza protezione devono -- secondo l’uso dei tartari – marciare dietro i propri compagni e tirare contro di essi con archi e balestre.

Inoltre – come è stato detto precedentemente dei tartari – essi devono disporre ordinatamente le proprie unità e truppe e definire leggi per i propri soldati.

Chiunque si precipiti verso la preda o il bottino prima che la vittoria sia acquisita deve essere sottoposto ad una severa punizione. Perché un tale individuo dai tartari è messo a morte senza compassione.

Il luogo della battaglia deve essere scelto, se è possibile, in un campo pianeggiante, dove si può vedere tutto attorno, né tutti devono essere in un’unica formazione, ma in varie e numerose compagnie, a non molta distanza l’una dall’altra.

Coloro i quali iniziano lo scontro devono inviare avanti una formazione e devono averne un’altra pronta a rilevare la prima o a secondarla al momento opportuno.

Essi devono anche avere esploratori su ogni lato per avvisarli quando le altre bande nemiche si avvicinano.

Per questo essi devono sempre inviare unità contro unità, perché i tartari provano sempre a prendere in mezzo gli avversari.

Fate sì che le nostre formazioni prendano anche questa precauzione, che se il nemico si ritira non lo inseguano a lungo, nel caso essi – come è loro uso – tendano qualche nascosta imboscata: in quanto i tartari combattono più con la frode che con la forza.

In viaggio essi non affaticano i cavalli: che i nostri non hanno una tale abbondanza di cavalli. I cavalli che i tartari usano un giorno, essi non li cavalcano di nuovo per tre o quattro giorni.

inoltre, se i tartari si ritirano, i nostri uomini non devono disperdersi e dividere le proprie formazioni, o allontanarsi l’uno dall’altro: perché essi lo fanno come inganno, segnatamente per costringere le nostre armate a separarsi, così che loro possano facilmente invadere e distruggere il paese.

E come primo compito i nostri comandanti devono tenere in allerta giorno e notte le nostre armate in modo che non abbandonino le armi nemmeno per dormire, ma siano sempre pronte alla battaglia. Che come dei demoni i tartari sono sempre vigili, studiando modi per nuocere.

Inoltre, se un tartaro in battaglia viene disarcionato, esso deve essere immediatamente preso prigioniero, perché a piedi essi tirano fortemente, ferendo e uccidendo sia cavalli che uomini.
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