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La guerra di corsa

Inviato: 27 gennaio 2020, 15:16
da Veldriss
Riporto un capitolo del libro Storia delle Repubbliche marinare di Marc'Antonio Bragadin:

"CAP VII: Corsari e pirati

Pirati e corsari sono stati una piaga su tutti i mari dalla più remota antichità fin quasi ai nostri giorni (persino il grande Giulio Cesare fu costretto a guerreggiare con i pirati che infestavano il Mare Nostrum; l’ultimo autentico pirata, il portoghese Benito De Soto, fu impiccato a Gibilterra nel 1832). Tuttavia la loro attività ha attraversato fasi alterne secondo le circostanze e i tempi.
Finora abbiamo incontrato più volte i pirati slavi, saraceni e moreschi; adesso meritano un cenno i corsari che agirono in Mediterraneo durante l’epoca di cui ci stiamo occupando.

La distinzione fra pirati e corsari è piuttosto sottile. I pirati, infatti, erano volgarissimi rapinatori a mano armata, paragonabili ai briganti che si appostavano sulle strade. Aggredivano qualsiasi nave o qualsiasi località costiera, adatte al loro scopo: predavano, saccheggiavano, violentavano, uccidevano e, circostanze permettendo, catturavano i superstiti per guadagnare il riscatto o per venderli come schiavi. I corsari non agivano diversamente, solo che, invece di lavorare in proprio, aggredivano in nome e per conto di un governo riconosciuto, seguendone le istruzioni.
Infatti i governi rilasciavano le cosiddette patenti per la guerra di corsa, con le quali i corsari acquisivano la personalità giuridica di combattenti più o meno regolari: perciò, almeno in teoria, se venivano catturati, non potevano essere giustiziati ipso facto, come spettava ai pirati. D’altronde, se erano sudditi del governo mandante (come spesso si verificava), i corsari effettivamente servivano la patria, sia pure a modo loro, e non pochi compirono gesta addirittura gloriose. Ma i governi arruolavano i corsari anche fra gli autentici pirati, che perciò talvolta esercitavano contemporaneamente le due attività.

Come i pirati anche i corsari navigavano a loro rischio e pericolo e con mezzi propri, ma dovevano impegnarsi ad assaltare soltanto le navi di bandiera nemica al governo da cui dipendevano e guadagnavano circa la metà delle prede. Il resto spettava al governo mandante, secondo clausole di ripartizione precisate nelle patenti.
Tuttavia la guerra di corsa era molto redditizia per ambedue i contraenti, e ciò ne spiega la grande diffusione in tutto il Mediterraneo, ogni volta che le circostanze la favorirono. Infatti, il governo interessato poteva, con i corsari, colpire e talvolta paralizzare i traffici marittimi degli avversari, senza alcuna spesa né rischio, anche quando non era in aperto conflitto. In questo caso, il governo poteva sconfessare il corsaro, abbandonandolo al nemico come un volgare pirata e declinando ogni responsabilità per le sue aggressioni. Ma i corsari agivano con tale audacia e fantasia, da poter accumulare in breve tempo ingenti ricchezze, accompagnate talvolta anche da grandi onori: mete che ben compensavano i rischi affrontati.
Nel Mediterraneo, i corsari trovarono impiego assai intenso intorno al 1200. Molti di loro compirono gesta famose e resero preziosi servigi ai governi che li avevano patentati. Purtroppo, la distanza che ci separa da quelle imprese ne ha cancellato quasi ogni dettaglio. Tuttavia, almeno dei corsari italiani più importanti, ci rimangono i nomi, tanto suggestivi da risvegliare gli echi di quelle gesta e da delineare i caratteri dei protagonisti: Enrico il Pescatore, Sifante, Giovanni il Grasso, Recupero, il conte Manente, Alamanno da Costa, Giovanni il Porco, Gafforio, Buonalbergo, Paganello da Porcaria.
In certi periodi, l’attività dei corsari fu talmente sfrenata, che le marine si trovarono costrette a riunire in convoglio le
navi da carico più importanti per scortarle con navi da guerra almeno sulle rotte di maggior pericolo. Intorno al Duecento si verificarono innumerevoli aggressioni che produssero per molti anni disordini e complicazioni nei traffici marittimi.
Venezia fu forse lo stato che più si servì di questo insidioso mezzo bellico: dopo il fallimento della spedizione punitiva di Costantinopoli, ad esempio, la repubblica sguinzagliò in Egeo un gran numero di corsari per colpire i traffici bizantini, e poi — anche quando tornò in pace con l’impero — li lasciò per lungo tempo ad aggredire le navi di tutti i rivali.
E di quel periodo un episodio molto singolare, unico nel suo genere, che si può ascrivere tra le maggiori imprese dei corsari italiani. Andronico, nuovo imperatore bizantino, aveva fatto sobillare la popolazione di Costantinopoli fino a scatenare una sommossa xenofoba. E un certo giorno, d’improvviso i bizantini aggredirono tutti gli stranieri presenti in città, che per la massima parte erano veneziani, genovesi e pisani: molti furono massacrati, altri vennero tratti in schiavitù, quartieri e beni depredati o distrutti. Ma gli scampati corsero al porto e si impadronirono di una quarantina di navi greche, sulle quali presero il largo; e poi, passata la paura e rassettate le navi, si autoproclamarono corsari ai danni di Costantinopoli.
Con il tacito consenso e il segreto appoggio dei governi interessati, questa singolarissima forza navale — equipaggiata da veneziani, genovesi e pisani, altrimenti irriducibili rivali — saccheggiò furiosamente le rive dei Dardanelli e, uscita in Egeo, si diede a predare tutto quel che di greco le capitava a tiro. Invano la flotta bizantina si sforzò di annientare quelle strane navi: i corsari la tennero sempre in scacco, fino al giorno in cui decisero di tornare ai patri lidi. Vi portarono un bottino valutato in cifre enormi, di gran lunga superiori al danno che le tre comunità avevano sofferto a Costantinopoli.
L’attività dei corsari fu vivacissima anche durante la terza guerra fra Pisa e Genova, cui si sovrappose quella tra l’imperatore tedesco e il re di Sicilia. I corsari non soltanto colpirono le navi avversarie, ma conquistarono molte fortezze e città costiere, talvolta in collaborazione con le flotte da guerra interessate. Corsari pisani, ad esempio, espugnarono il castello di Bonifacio, in Corsica, e vi rimasero fino a quando ne furono sloggiati da quelli al servizio di Genova. Giovanni il Grasso (o forse il Porco) conquistò Malta per incarico del re di Sicilia, guadagnando il titolo di conte dell’isola, e con altre gesta divenne ammiraglio della marina siciliana.
I pisani, forse i più scatenati in questo campo, mandarono in corsa la più grande nave da essi mai costruita, Il leone della foresta, reputata imprendibile; ma poi una squadretta di corsari catturò il gigante mentre si riposava nel porto di Cagliari. In compenso, il pisano Recupero violò il porto di Palermo, impossessandosi di nove galee genovesi. Quasi contemporaneamente, altri corsari pisani espugnarono la fortezza genovese di Portovenere.
A un certo punto del conflitto, la repubblica di Pisa, alleata dell’imperatore tedesco, mandò la sua flotta a conquistare la piazzaforte di Siracusa, necessaria come testa di ponte per invadere la Sicilia. Allora i genovesi e i loro alleati siciliani si impegnarono a recuperare la città. L’impresa era molto ardua, ma Genova ne incaricò il suo corsaro più famoso, Alamanno da Costa, e questi pensò bene di associarsi a un collega non meno famoso, Enrico il Pescatore (frattanto divenuto conte di Malta, perché Giovanni il Grasso, o il Porco che fosse, morto impiccato per un grave incidente professionale, gli aveva lasciato la contea in eredità).
A Siracusa, fra corsari al servizio di Genova e milizie pisane si ingaggiò una furiosa battaglia. Ma infine i corsari espugnarono la città e Alamanno da Costa se ne impossessò in nome della sua repubblica, alzando lo stendardo di San Giorgio sulle mura diroccate. Genova, molto riconoscente, insieme ai premi contrattuali nominò Alamanno conte di Siracusa.
Tuttavia i pisani non si rassegnarono e mandarono in campo tre agguerriti corsari: Paganello di Porcaria, Buonalbergo e il conte Manente. Battagliarono per quattro mesi intorno alle mura di Siracusa ma, quando stavano per giungere alla vittoria, furono costretti a ritirarsi da una schiera di corsari genovesi. Neanche Paganello e compagni accettarono la sconfitta, e si rifecero poco dopo, espugnando Palermo in nome di Pisa.
Incontreremo molti altri pirati e corsari nei secoli successivi…"

Guerra di corsa

Inviato: 27 gennaio 2020, 15:20
da Veldriss
TRECCANI - http://www.treccani.it/enciclopedia/gue ... aliana%29/

CORSA, Guerra di. - Fino dai tempi più remoti. tra gli atti di guerra ebbe parte notevole la cattura delle navi mercantili del nemico, esercitata non soltanto dalle navi da guerra, ma da legni di privati armatori. Questa specie di guerra marittima che risponde al concetto di arrecare quanto maggiore danno sia possibile al nemico, colpendolo nelle sorgenti stesse della sua ricchezza, prese nel Medioevo il nome di guerra di corsa perché si trattava di correre in traccia e a caccia dei legni nemici.

Se dapprima la corsa si confonde con la pirateria, non tarda però a distinguersi da essa per parecchie caratteristiche, fra le quali principalissima il consenso del governo sotto la cui bandiera il corsaro agisce. Altra caratteristica dovrebbe essere che il corsaro agisca solo in tempo di guerra e contro il nemico dello Stato: ma così non è, perché attraverso ai documenti che risalgono ai secoli XII e XIII non tardiamo a scorgere un'altra specie di corsa, quella che si esercita, anche in tempo di pace, dai privati che hanno ottenuto dai rispettivi governi la licenza di correre contro navi di un determinato paese, dai cui cittadini hanno ricevuto un'offesa o un danno, senza aver potuto ottenere la richiesta soddisfazione. Questa corsa, detta di rappresaglia, è frequentissima in tutto il Mediterraneo dal sec. XII in poi, tanto che gli statuti e gli ordinamenti del mare stabiliscono che i corsari, i quali vogliono armare per vendicare offese private, debbano fare un deposito di garanzia e giurare di non offendere altri, all'infuori dei cittadini specificamente nominati.

Attraverso gli Annales Ianuenses conosciamo il nome dei più temuti corsari liguri; fra essi, ad es., Guglielmo Grasso, Alamanno da Costa, e il celeberrimo Enrico Pescatore, conte di Malta e ammiraglio di Federico II di Svevia, notissimo per aver osato, col consenso tacito di Genova, far guerra ai Veneziani, diventati condomini dell'Impero latino d'Oriente.

Il Diplomatarium Veneto-Levantinum, i Commemoriali della Repubblica di Venezia, i Documenti sulle relazioni di Genova con l'Impero bizantino, e moltissime altre fonti attestano le contese diplomatiche, le querele, le rappresaglie a cui diede luogo, specialmente nei mari di Levante, la guerra di corsa, finché durò la potenza marinara e coloniale delle città marittime italiane. Nido famoso di corsari fu in Liguria Portovenere. Le isole Cicladi, Scio, Famagosta, le colonie di Siria tengono un posto riotevole nella storia, anche per le imprese dei corsari colà annidati.

Dal sec. XIII in poi si comincia ad aver notizia certa di corsari anche fuori del Mediterraneo. Le continue guerre tra Francia e Inghilterra diedero origine a una quasi ininterrotta lotta di corsari. Il primo di cui si abbia certa notizia fu un Eustachio, soprannominato il Monaco, prima al servizio del re inglese Giovanni Senza Terra, poi di Filippo Augusto di Francia. E, fino a un certo limite, può anche dirsi corsaro il genovese Benedetto Zaccaria, poi ammiraglio del re di Francia.

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La guerra di corsa

Inviato: 27 gennaio 2020, 15:23
da Veldriss
Italia Medievale - La guerra di corsa: http://www.italiamedievale.org/portale/ ... -di-corsa/

Genova medievale di Gladis Alicia Pereyra

La guerra di corsa era una guerra fondamentalmente commerciale che puntava a colpire il nemico nei suoi traffici navali, danneggiando così la sua classe mercantile e privando il più possibile di rifornimenti le sue città. Era portata avanti da privati cittadini, per conto di uno degli stati belligeranti, con il doppio scopo di fiaccare l’avversario e ricavarne un profitto personale confiscando le merci trasportate dalle navi intercettate.
Grossolano errore, trovato spesso anche in articoli pubblicati da periodici affidabili, considerare la parola corsaro sinonimo di pirata. Nonostante i metodi siano molto simili le differenze sono rilevanti. Il pirata è un delinquente operante per conto proprio che assale e depreda qualsiasi nave, senza prendere in considerazione lo stato di appartenenza della stessa. E’ un fuorilegge perseguitato dalla giustizia.
Il corsaro, invece, agisce legalmente per conto di uno stato in guerra e depreda soltanto navi recanti bandiera nemica.
La linea che separa la corsa dalla pirateria è sempre stata molto sottile e molto facile da valicare. Così troviamo corsari che assalgono navi di paesi neutrali e pirati che trovano conveniente offrire la loro esperienza a uno stato in guerra e diventare corsari.
Nel medioevo organizzare una spedizione corsara era un’operazione lunga e complessa che si protraeva per qualche mese e richiedeva la partecipazione di un certo numero di persone, molte delle quali non avrebbero mai lasciato il porto.
Possiamo ricostruire l’iter di queste operazioni nella Genova del Duecento, grazie a numerosi documenti dell’epoca, riportati alla luce dal prezioso lavoro di ricerca di un gruppo di studiosi.[1]
Il primo passo da compiere era cercare di ottenere le lettere di corsa. La richiesta doveva essere indirizzata al podestà dai diretti interessati, corredata dai nomi dei garanti. Una volta approvata dal podestà la richiesta passava al Gran Consiglio che deliberava se accoglierla o no. Nel caso fosse stata accolta, le lettere di corsa venivano ufficialmente concesse con rogito del notaio del Comune.
La spedizione corsara era al tempo stesso un’impresa militare e commerciale e i due aspetti venivano contemplati e disciplinati mediante un regolare contratto -compagna-, con rogito notarile, tra coloro che provvedevano all’armamento delle navi e si assumevano la responsabilità dell’impresa. Questa società era affiancata da un’associazione di fatto che riuniva tutti i partecipanti ad partem alla spedizione, vale a dire con diritto a una quota nella spartizione della preda.
La compagna si costituiva per una sola spedizione, i soci erano liberi di partecipare a un’altra compagna con altri soci.
Spettava ai membri della società il lucro dovuto per le mansioni (ufficia) di maggior responsabilità nella conduzione della spedizione o che richiedevano specifiche competenze in materia di navigazione. Ogni socio prendeva a suo carico una o più mansioni e ne riceveva il compenso stipulato. Poteva svolgere personalmente il compito o affidarlo a un altro al quale corrispondeva una parte o l’intero compenso attribuito a tale incarico.
I soci s’impegnavano a prestarsi mutua assistenza, anche in caso di malattia, a non defraudarsi tra loro per un importo maggiore di 20 soldi, a imbarcarsi tutti sulla nave o le navi in corsa e a restare nella spedizione fino a quando, per decisione presa a maggioranza, sarebbe stato stabilito di rientrare. Clausola che lascia intendere che la durata della spedizione non era concordata in partenza. Se un socio era costretto a rimanere a terra per malattia, avrebbe goduto ugualmente di tutte le prerogative stipulate per contratto e avrebbe ricevuto l’intera parte che le spettava nella spartizione del bottino.
A spedizione finita, il rendiconto e la spartizione del lucro non dovevano avvenire necessariamente a Genova ma, comunque, in un luogo sotto l’influenza genovese per ovvie ragioni di sicurezza.
Si hanno notizie parziali sul regime giuridico, economico, politico e militare della guerra di corsa. I numerosi rogiti notarili arrivati a noi attestano, tuttavia, l’esistenza a Genova di una consuetudo lignorum cursi e offrono esemplificazioni del modo in cui doveva essere ripartito il ricavato dalla preda.
Roberto Lopez scrive a pagina 317 del suo Dieci documenti sulla guerra di corsa “Una parte della preda spetta agli armatori delle navi, che molto spesso non sono i proprietari ma solo i noleggiatori; il resto del guadagno netto deve essere ripartito tra tutti gli homines cursales, non però a quote uguali, ma con assegnazioni di quote multiple agli ufficiali e probabilmente ai graduati”.
Con homines cursales l’autore intende sicuramente gli uomini che partecipavano alla spedizione ad parten escludendo i membri dell’equipaggio ingaggiati ad soldos. [2]
Le navi impiegate appartenevano alla categoria a remo, che per rapidità e facilità di manovra venivano normalmente adibite a uso militare. In questa categoria rientravano il panfilo, la barca, la tarida, la saettia e la galea,[3] nave di guerra per eccellenza.
Gli organizzatori della corsa potevano comprare o noleggiare le navi che avrebbero servito per la spedizione. Il nolo di solito veniva pagato con una percentuale sugli introiti al netto delle spese.
Se uno dei soci metteva a disposizione della spedizione una nave di sua proprietà, oltre alla parte che gli spettava del bottino, riceveva una somma per il noleggio della nave. Questa somma, in alcuni casi, veniva divisa con un comproprietario rimasto a terra, non di rado le navi avevano due o più proprietari che si dividevano il ricavato per il nolo o la vendita. Era anche possibile ai comproprietari vendere separatamente la parte della nave che gli apparteneva. Spesso in vista di una spedizione di corsa, alcuni dei comproprietari di una nave che vi doveva partecipare vendevano la loro quota, per paura di perdere il capitale investito.
Nei contratti si specificava l’attrezzatura dell’imbarcazione noleggiata, s’indicava inoltre la finalità con la relativa destinazione; la dicitura ad lucrandum supra inimicos comunis Ianue, indicava che la destinazione era la guerra di corsa. Che il rendiconto dovesse avvenire in territorio di giurisdizione del Comune genovese, garantiva al padrone che non sarebbe destinata alla pirateria la nave che dava in nolo.
Il costo del nolo poteva variare secondo la zona in cui i corsari intendevano svolgere le operazioni; aumentava in rapporto alla distanza dal porto di partenza o ai pericoli da affrontare nel territorio prescelto.
Oltre ai contratti per il nolo o l’acquisto delle navi, si stipulavano contratti di mutuo per il rifornimento di biscotto, vino e altre provviste destinate al sostentamento dell’equipaggio. I beneficiari s’impegnavano a onorare il debito entro un lasso di tempo, che poteva essere di quindici o più giorni, dal momento in cui fosse stata conclusa la spartizione del bottino. Nonostante nei contratti non fossero contemplati gli interessi, a volte addirittura si parlava di mutuo a titolo gratuito, i tassi si aggiravano intorno al 100 %. Questi interessi da vera usura, erano mascherati, spesso negli stessi contratti, con i più diversi espedienti. Altre volte si aggirava il divieto di usura con contratti di vendite fittizie. L’importante era dare al creditore una garanzia scritta che gli sarebbe stato restituito il capitale, aumentato dagli interessi.
A spedizione finita, dal bottino ricavato venivano detratte le spese per l’armamento e il noleggio della nave, per il sostentamento dell’equipaggio e per il salario degli uomini ingaggiati ad soldos, per i mutui in denaro o in panatica e per altri capitali investiti nell’allestimento dell’impresa corsara. Dalla somma ottenuta al netto delle spese, una cifra che si aggirava intorno al 20% spettava alla compagna promotrice della spedizione. La percentuale rimasta veniva distribuita tra gli uomini ad partem in quote conformi alle mansioni svolte. Quote specifiche erano destinate alle mansioni di maggiore responsabilità nella conduzione e nell’amministrazione della spedizione, i cosiddetti officia. Si ricordi che questi compiti erano appannaggio dei membri della compagna, che ottenevano così un compenso aggiuntivo al ricavato dalla percentuale corrisposta alla società organizzatrice.
In quanto impresa commerciale, i rischi che correvano i partecipanti a una spedizione corsara rimasti a terra si potevano equiparare a quelli degli uomini imbarcati. Questi ultimi, oltre ai capitali investiti, rischiavano la vita giacché a loro competeva la fase militare dell’impresa. In entrambi i casi, le elevate prospettive di guadagno compensavano ampiamente i rischi cui si andava incontro.
A Genova, una delle più grandi potenze marinare dell’epoca, con colonie e interessi che si estendevano oltre il Mediterraneo arrivando fino al Mar Nero, non mancavano le rivalità con altre potenze come Venezia e Pisa e non di rado la ricchezza del Comune stuzzicava i desideri di conquista di quella o quell’altra testa coronata. Queste costanti tensioni davano spesso origine a scontri con morti e feriti e navi affondate, senza che la guerra fosse formalmente dichiarata, finché la guerra vera e propria scoppiava con grandi schieramenti di flotte messe in mare. Oltre a depredare le navi mercantili del nemico, i corsari fiancheggiavano la flotta armata dal Comune e spesso partecipavano alle battaglie. Nell’agitato scacchiere del Mediterraneo medievale l’attività delle navi corsare non conosceva lunghe pause.

Re: La guerra di corsa

Inviato: 28 agosto 2022, 10:48
da Veldriss
https://corsaridelmediterraneo.it/pirat ... ii-secolo/

Verso la fine del 1200 vi sono pirati greci e, soprattutto, corsari genovesi al servizio dell’impero bizantino che si lanciano in imprese di pirateria privata: è il caso di Licario in Eubea e dei Gattilusio a Lesbo. “Nel corso dei secoli XII-XV…nel quadro della marineria genovese l’esercizio della pirateria, o della più socialmente più accettabile navigazione corsara, fu spesso all’origine di brillanti ascese sociali o, sempre più frequentemente con il passare del tempo, divenne il modo più rapido ed efficace per “ridare smalto” ad antichi blasoni decaduti.” (Basso). I protagonisti di questa fase della storia della navigazione mediterranea sono uomini della più varia origine: avventurieri e servitori di qualche sovrano, banditi e principi, cavalieri gerosolomitani ed anche molti mercanti pronti a cogliere l’occasione favorevole per impadronirsi ai danni dei concorrenti di qualche nave carica di merci. Pirati genovesi e catalani, ad esempio, aggrediscono le navi musulmane in alto mare. Non risparmiano i porti dell’Egitto e della Siria senza trovare una resistenza efficace.

Per concludere la corsa mediterranea è considerata un buon affare per armatori, banchieri e mercanti, capitani e ciurma, che stipulano davanti al notaio l’atto costitutivo di “società per andare in corso”; la pirateria è viceversa meno vistosa coinvolgente personaggi senza scrupoli ed avventurieri. Il pirata non è annoverato tra i nemici di guerra, ma è nemico comune di tutti.

Il fenomeno è difficile da contrastare in quanto la navigazione delle imbarcazioni può solo procedere alla stessa maniera; a vela quadrata, con scarsa chiglia e timoni laterali, esse possono muoversi solamente con venti spiranti dai quadranti di poppa. I remi consentono loro una libertà maggiore di movimento, non quella di viaggiare contro vento e contro corrente su distanze sensibili. Verso la fine del 1100 è adottata la bussola. Tra tale secolo ed il 1200 gli sviluppi tecnologici permettono importanti progressi nei metodi di navigazione. Sono così utilizzati i portolani che con le loro informazioni facilitano i viaggi con più scali; è inoltre scoperto l’uso dell’astrolabio che rende possibile il viaggiare anche di notte. Ciò non impedisce alla pirateria ed alla guerra di corsa di svilupparsi lungo gli itinerari del commercio marittimo che, a sua volta, è costretto a seguire dei passaggi obbligati.

A Levante il mare offre moltissime occasioni di rifugio sulle coste albanesi, nel sud del Peloponneso, nei golfi della Messenia e di Nauplion, nel mar di Marmara, sulle sponde di Cipro e di tutte le piccole isole dell’Egeo, le coste della Turchia e della Croazia; a Ponente, le isole Baleari, le isole siciliane, quelle dell’arcipelago toscano, della costa provenzale, le sponde della Sardegna, della Corsica e del Nord Africa. Secondo il veneziano Marin Sanudo Torcello, ad esempio, nel 1300 l’isola di Negroponte (Eubea), controllata dalla Serenissima, serve da rifugio a pirati giunti da ogni parte: spagnoli, catalani, provenzali, pisani, siciliani, veneziani, dalmati e “lombardi” come Licario, installatisi tutti nel mare Egeo. Sono questi gli appostamenti ideali per i legni pirati e corsari. I siti utilizzati come basi per le loro operazioni ed i loro rifugi temporanei sono le piccole isole, i promontori rocciosi vicini ad una grande via marittima dove la configurazione delle coste o i venti dominanti concentrano il commercio a causa dell’ abitudine di viaggiare di giorno piuttosto che di notte.

I legni pirati/corsari con agili manovre e la loro velocità riescono ad avvicinarsi con rapidità alle più pesanti navi mercantili che hanno la ventura di scovare ed inseguire, dissimulano le proprie intenzioni con improvvise e veloci manovre, sfuggono il nemico se si trovano in difficoltà riparando in fondali bassi verso i quali possono dirigersi con scarsi rischi a causa del loro ridotto pescaggio. Più che ad un lungo inseguimento i pirati/corsari preferiscono, tuttavia, tattiche legate alla sorpresa. Restano nascosti con le loro veloci navi dietro uno scoglio, un isolotto, una caletta, dopo avere abbassato alberi e vele per non farsi scorgere.

Quando transita la preda, a forza di remi (più raramente alla vela) le si slanciano contro per tagliarle la strada; talora viene effettuato un tentativo di speronamento, talora si opera per costringere la preda ad arenarsi sulla spiaggia o ad infrangersi sulle scogliere. L’operazione fondamentale è in ogni caso l’abbordaggio.
Il tutto si conclude con una lotta corpo a corpo in caso di resistenza. Segue, se l’esito risulta positivo, la cattura dell’ equipaggio e quella dei forzati incatenati al remo. L’imbarcazione è sottoposta a saccheggio, le mercanzie sono portate a bordo della nave assalitrice: i vinti sono qualche volta gettati in mare, spesso sono ridotti in schiavitù o è loro imposta una taglia. In alternativa, durante la cattiva stagione, o perché le navi mercantili viaggiano in convogli con adeguata protezione, è privilegiata da pirati e corsari la discesa a terra che termina con razzie, devastazioni ed imprigionamento di uomini, donne e bambini. Sovente le vittime, anche in questa circostanza, vengono quasi subito liberate sul posto, tramite trattative condotte da appositi intermediari, dietro il pagamento di un riscatto; talvolta sono invece messe al remo, specie se si tratta di uomini di robusta costituzione, o vengono portate a qualche mercato per esservi vendute come schiavi.

La navigazione nel Mediterraneo, sia per scopo bellico o per quello mercantile, ha i suoi tempi imposti dalle variazioni stagionali. Il periodo è limitato in quanto va dagli inizi della primavera all’autunno, in pratica da aprile ad ottobre, con più sicurezza da maggio a settembre. D’inverno la traversata di tale mare è sconsigliata anche se, talvolta, si è costretti a salpare oppure se si voglia correre il rischio a ragion veduta.

L'archetipo della marina commerciale e da guerra nel Mediterraneo è senz’altro la galea, derivante dalla trireme greca e romana, nave agile, di scarso pescaggio, a vela latina o quadra. Si tratta di un’imbarcazione a remi, lunga e sottile, con due alberi (il maestro ed il trinchetto). Ha in dotazione vele da usarsi con il vento a favore; il remo è invece l’usuale forza motrice per ogni direzione. Buona al combattimento, le dimensioni standard della galea sono lunghezza 50 metri, larghezza 7, pescaggio 2 metri. Oltre al rostro è armata con archi e balestre, fuochi artificiati (pignatte piene di polvere da sparo e di fuoco da gettare contro il legno nemico), armi da taglio e petrieri.

L’equipaggio di una galea armata per la corsa o per la caccia ai pirati/corsari è costituito da 500 uomini, tra rematori ( forzati, schiavi e per Genova e Venezia, almeno per un certo periodo, i cosiddetti “buonavoglia”, volontari che praticano questo lavoro dietro il pagamento di un salario), combattenti e, nel caso di marine da guerra, di soldati, veri e propri fanti di marina che devono condurre l’attacco, bombardieri, marinai, ufficiali e carpentieri. La galea può essere di 25, 30 o più banchi, con 2/3 remi per banco.

Il costo di costruzione, comprensivo di tutti i materiali, oscilla in genere tra gli 8000 ed i 9000 scudi in base ovviamente alle sue dimensioni.
La velocità di crociera è stimata in 6/7 nodi, massimo 8 con vento favorevole, mare piatto e carena in perfette condizioni, parametri tutti difficilmente riscontrabili nello stesso momento. La nave è efficiente in caso di bonaccia e di buone condizioni di tempo; diventa, viceversa, pericolosa con il mare grosso. In caso di burrasca devono essere gettati nelle onde i pezzi di artiglieria ed ogni altra cosa con l’eccezione dell’acqua, vitale per i rematori, e del palamento, vale a dire l’insieme dei remi che fa da contrappeso ed aiuta l’imbarcazione a navigare dritta. Una variazione di tale tipo di imbarcazione è la galea sottile, arma tradizionale della flotta veneziana. Essa ha però necessità di rifornirsi spesso d’acqua e di vettovaglie perché dispone di poco spazio a bordo. Il suo uso in grande scala è reso possibile per la Serenissima dalla possibilità di usufruire di efficienti servizi navali forniti da basi e da porti collocati in modo da formare una linea pressoché ininterrotta dall’Adriatico settentrionale alle isole dell’ Egeo. Alla forma della galea si rifanno le galeotte, le galeazze, i galeoni, le feluche, i brigantini, le fuste, le saettie, i grippi. Fuste e galeotte sono le imbarcazioni preferite dai corsari barbareschi, Le galee sono le navi maggiormente utilizzate nel Mediterraneo per le attività predatrici.

Le ragioni sono comprensibili. Tale mare, specie in estate, stagione del commercio e quindi della caccia, si presenta spesso senza vento. Il pescaggio di queste imbarcazioni non è elevato, il che permette di costeggiare i litorali e di facilitare le operazioni di sosta sul lido per eventuali riparazioni.

A pochi è offerta la possibilità di un riscatto né esistono organizzazioni volte alla loro liberazione (come, al contrario, accade con gli ordini religiosi per il mondo cristiano). La sorte, per chi ha la ventura di essere fatto prigioniero senza essere riscattato, è uguale in tutti e due i mondi, vuol dire essere sottoposti ad un intenso sforzo fisico e non vivere a lungo. “I mori erano dei costruttori infaticabili e in tutti i porti barbareschi si potevano vedere file di cristiani incatenati costretti a tagliare pietre, scavare buche, costruire case, forti e porti…Ma il peggior impiego al quale poteva essere destinato un prigioniero era il lavoro a bordo delle galere. Un uomo normalmente disabituato allo sforzo fisico veniva incatenato ad un remo assieme ad altri quattro o cinque schiavi. Come unico nutrimento egli riceveva qualche biscotto e di tanto in tanto una manciata di orzo; come bevanda dell’acqua mista ad aceto coon qualche goccia d’olio..Tra le due file di rematori correva una passerella longitudinale lungo la quale camminavano due comiti, nostromi armati di una lunga frusta che facevano schioccare sul dorso dei ritardatari e degli esausti.” (Gosse). Le donne, specie nel mondo islamico, scomparivano semplicemente negli harem se giovani, per essere impiegate nei lavori domestici con l’avanzare dell’età.

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Gli episodi conosciuti, attraverso le tracce lasciate in cronache e documenti vari, rappresentano solo una parte di quelli in effetti accaduti. Lo stato della documentazione, inoltre, non permette di abbozzare un buon quadro d’insieme per ricostruire quanto avvenne nei mari del Mediterraneo nei lunghi feroci anni che vanno dal XIII° secolo al XVII°. Bisogna, infatti, accontentarsi di squarci informativi parziali; per esempio si conosce ben poco sull’uso dei corsari fatto dai veneziani. Si possono intravvedere centinaia di nominativi di corsari e pirati, con “una indescrivibile varietà di condizioni sociali, di capacità e di ambizioni, di capitali e di potere.” (Bono). Qualcuno è un vero fuorilegge, un pirata disperato e destinato prima o poi a fare una brutta fine.

Nel descrivere le imprese dei pirati, dei corsari e dei loro cacciatori, si è cercato di rimanere il più possibile neutrali lasciando parlare da sole le azioni dei singoli. Le fonti sono essenzialmente italiane, per cui il trattamento finale del presente dizionario è numericamente sbilanciato. Quello che, tuttavia, emerge dal punto di vista qualitativo, è, in particolare, l’ambiguità del ruolo del corsaro e del suo cacciatore che spesso si presentano in una veste intercambiabile.

Ci si è preoccupati di controllare i dati anagrafici dei personaggi citati, in gran parte sconosciuti al di là di una singola area geografica. Ogni biografia è completata da valutazioni sull’operato e/o sulla figura del personaggio di volta in volta preso in considerazione dagli autori presenti nella bibliografia consultata. Si sono, infine, verificati, nei limiti del possibile, i nomi di tutte le località, le date e le circostanze degli episodi marinareschi riportati. Nonostante queste cautele, è possibile avere commesso più di un errore.

LANFRANCO BORBORINO

Inviato: 28 agosto 2022, 10:52
da Veldriss
LANFRANCO BORBORINO ( Bolborino) Detto della Turca. Di Genova. Corsaro.

+ 1215 ca. – 1278 (giugno)

Anno, mese Stato, in proprio Avversario Azioni intraprese ed altri fatti salienti
1235 Impara l’arte della mercatura commerciando con denaro preso a prestito. Nel saccheggio del fondaco subito dai genovesi a Ceuta perde una commenda. Promette di rimborsare il suo creditore, Arnaldo Galleta. Si dà alla guerra di corsa.
1266
Maggio giugno Genova Venezia
Ha il comando di 18 galee e di una grande nave per affrontare i veneziani. E’ assistito nelle operazioni da Baldovino Diotisalve, Rinaldo Ceba e Bonavia conte di Noli. Salpa da Portovenere e si porta a Bonifacio in Corsica, dove è raggiunto da altre 9 galee. Saputo che gli avversari hanno catturato nel poto di Tunisi una nave genovese ed una di Savona, si muove verso la Sicilia. A metà giugno giunge nei pressi di Trapani dove si trova la flotta della Serenissima comandata da Andrea Dandolo, forte di 24 galee e di 2 sagitte. Non si sposta in alto mare come gli suggeriscono i suoi subalterni preferendo mantenersi nei pressi della costa. I veneziani conducono due assalti. Il Borborino fa allestire un brulotto da lanciare contro la flotta nemica. L’imbarcazione, a causa del vento contrario, non provoca l’effetto desiderato. Un terzo assalto è decisamente contrario alle speranze dei genovesi. I veneziani si impadroniscono di 24 galee e ne 600 sono i prigionieri. Sconfitto, riesce a riparare a Trapani. Verrà accusato di negligenza e sarà condannato con i suoi ufficiali.

Luglio
E’ condannato su accusa dei marinai salvatisi dalla cattura. Il Borborino perde i suoi beni, è bandito e condannato al pagamento di 10000 lire. La multa sarà ridotta a 500 lire allorché i due capitani del popolo Oberto Doria e Oberto Spinola gli concederanno il permesso di rientrare a Genova.

1277
Aprile Detta il proprio testamento.
1278
Giugno Muore a metà mese. Sposa Giacoma, vedova del conte di Ventimiglia Manuele.

https://corsaridelmediterraneo.it/borbonino-lanfranco/

GUGLIELMO BONACOSSA

Inviato: 28 agosto 2022, 10:55
da Veldriss
GUGLIELMO BONACOSSA Di Bonifacio. Corsaro.

+
Anno, mese

Stato, in proprio

Avversario

Azioni intraprese ed altri fatti salienti

1273

In proprio

Venezia

Scorre nelle acque dell’isola di Negroponte (Evvoia) con il fratello Enrico.

1274

……..

In proprio

Venezia

Incrocia le coste greche di Modone (Methoni) e Corone (Koroni), sempre ai danni dei veneziani.

………

Genova

Napoli

Si accompagna sui litorali siciliani con la flotta genovese di Lanfranco Pignatario. Nell’ Adriatico cattura una nave diretta dalle Puglie a Zara (Zadar) con a bordo un carico di vino e d’ olio.

1275
………….

Intercetta alcuni carichi di frumento attorno alle isole di Chiarenza (Glarentza) e di Corfù (Kerkira). Ha il compito di combattere il contrabbando di merci in entrata ed in uscita dai porti angioini: vittime privilegiate delle sue scorrerie sono le navi veneziane che non tengono conto del blocco commerciale imposto dai genovesi.

………….

In proprio

Venezia

Assale nel mare di Palermo la tadida “San Donato” che, appartenente a Michele Tiepolo, sta rientrando da Tunisi. La nave è predata: nell’arrembaggio i genovesi uccidono sei marinai veneziani e ne feriscono altri quattordici. Diciassette giorni dopo la Serenissima protesta energicamente a Genova per tale fatto di pirateria.

1276

Gennaio

Le autorità genovesi condannano Guglielmo Bonacossa al rimborso delle perdite subite da Michele Tiepolo.

……………

In proprio

Venezia

E’ fatto prigioniero da una squadra veneziana comandata da Piero Tiepolo.

https://corsaridelmediterraneo.it/bonacossa-guglielmo/

ALBEJA

Inviato: 28 agosto 2022, 10:58
da Veldriss
ALBEJA Di Alicante. Corsaro.

+

Anno, mese

Stato, in proprio

Avversario

Azioni intraprese ed altri fatti salienti

1285

Re d’Aragona

Francia

Al comando di un brigantino a 18 banchi cattura 6 barche dirette verso Narbona (Narbonne): si impadronisce, fra l’altro, di alcune cassepanche contenenti tele, monili d’oro ed un padiglione appartenenti al re Filippo I l’Ardito.

https://corsaridelmediterraneo.it/albeja/

BINDO BUFFARI

Inviato: 28 agosto 2022, 10:59
da Veldriss
BINDO BUFFARI Di Pisa. Corsaro.

Anno, mese

Stato, in proprio

Avversario

Azioni intraprese ed altri fatti salienti

1283

Pisa

Genova

Salpa da Pisa con 2 galee; incrocia nelle acque sarde e vi cattura 2 navi genovesi. Gli avversari gli inviano contro Filippo Cavarono con 5 galee. Il corsaro elude la loro caccia e fa ritorno a Pisa.

https://corsaridelmediterraneo.it/buffari-bindo/

MARCO CORNER

Inviato: 28 agosto 2022, 11:01
da Veldriss
MARCO CORNER Di Venezia.

+



Anno, mese

Stato, in proprio

Avversario

Azioni intraprese ed altri fatti salienti

1279

Venezia

Corsari dalmati

Assale l’Istria al comando della flotta. Assedia per mare Capodistria (Koper) ed obbliga i difensori della città ad arrendersi a patti.

1280

Venezia

Ancona

Si collega con Marco Michiel per condurre un attacco contro Ancona.

https://corsaridelmediterraneo.it/corner-marco/

GIOVANNI CONTARINI

Inviato: 28 agosto 2022, 11:02
da Veldriss
GIOVANNI CONTARINI Di Venezia.

1278

Anno, mese

Stato, in proprio

Avversario

Azioni intraprese ed altri fatti salienti

1277

Venezia

Almissa

Ha il comando delle operazioni contro i corsari di Almissa. Assedia la città.

1278

Prosegue nelle operazioni di assedio. Muore. Il suo posto verrà preso da Eliodoro Vitale.

https://corsaridelmediterraneo.it/contarini-giovanni/