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Paciughina
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Papa Bonifacio VIII

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Bonifacio VIII, nato Benedetto Caetani (Anagni, 1230 circa – Roma, 11 ottobre 1303), fu il 193° Papa della Chiesa cattolica dal 1294 alla morte. Fu discendente di un ramo della famiglia longobarda pisana Gaetani (o Caetani), la quale poté acquisire enormi ricchezze e grandi latifondi sfruttando proprio la sua carica pontificale.

L'ELEZIONE AL SOGLIO PONTIFICIO
l Cardinale Benedetto Caetani fu fra le figure che indussero maggiormente papa Celestino V a rinunciare alla propria posizione. Una volta nominato pontefice, infatti, pare che Celestino V udisse nel silenzio della propria stanza la voce di un angelo che, per ordine divino, lo invitava a rigettare la propria nomina pontificia; in realtà, la voce non era di un angelo, bensì del Caetani stesso che successivamente, essendo un profondo conoscitore del Diritto Canonico, offrì la propria assistenza a Celestino V per trovare le necessarie ragioni legali per abbandonare il soglio pontificio.
Appena dieci giorni dopo l'abdicazione di papa Celestino V i componenti del Sacro Collegio si riunirono in conclave in Castel Nuovo, nella città di Napoli, il 23 dicembre 1294 per dare alla Chiesa il nuovo Pastore. Già il giorno successivo, vigilia di Natale, fu eletto papa il Cardinal Benedetto Caetani, nativo di Anagni e titolare della Chiesa dei SS. Silvestro e Martino. Fu incoronato nella Basilica di San Pietro il 23 gennaio 1295 e assunse il nome di Bonifacio VIII. Aveva 64 anni circa.
Così Jacopone da Todi descrive l'elezione al soglio di Pietro di B. Caetani:
« Quando fo celebrata la 'ncoronazione, / non fo celato al mondo quello che c'escuntròne: / quaranta omen' fòr morti all'oscir de la masone! / Miracol Deo mustròne, quanto li eri 'n placere. »
(J. da Todi, O Papa Bonifazio.)

LE REGOLE PER L'ELEZIONE
Contrariamente al passato, il conclave fu radunato nella città di Napoli, nei dieci giorni dall'apertura della Sede vacante ed ebbe una durata molto breve. Tutto ciò fu dovuto alle disposizioni contenute nella costituzione apostolica Ubi Periculum sull'elezione pontificia, fortemente voluta da papa Gregorio X (al secolo Tedaldo Visconti), nel corso del XIV Concilio Ecumenico tenutosi nella città di Lione (concilio ecumenico Lionese II) dal 7 maggio al 17 luglio 1274.
La costituzione Ubi Periculum conteneva disposizioni molto precise, rigide e vincolanti per l'elezione papale, al fine di sottrarla ad ogni ingerenza che non fosse strettamente ecclesiastica. Conteneva, infatti, l'obbligo del conclave per il Sacro Collegio dei cardinali; il conclave stesso avrebbe dovuto riunirsi, obbligatoriamente, entro dieci giorni dall'apertura della Sede vacante e nella stessa città ove era scomparso il papa precedente.
Passati i dieci giorni, il Sacro collegio doveva essere segregato in conclave sotto la sorveglianza del Podestà. Inoltre, se entro tre giorni dall'apertura del conclave il papa non fosse stato ancora eletto, si dovevano cominciare ad applicare norme restrittive sui pasti e sul reddito dei porporati, fino a ridurli a pane ed acqua. Tutte queste disposizioni erano finalizzate non solo ad evitare che l'elezione del papa finisse nelle mani del popolo o dei nobili, ma anche ad evitare che l'elezione stessa si trasformasse in una lunga ed estenuante trattativa basata su operazioni di mercimonio, come frequentemente avveniva in quei tempi. Questa Costituzione venne peraltro sospesa dopo soli due anni, nel 1276, da Adriano V su richiesta di diversi cardinali, ma fu ripristinata quasi completamente da Celestino V, che voleva evitare le lungaggini ed i problemi che avevano preceduto la sua elezione. Curiosamente, fu proprio Bonifacio VIII ad inserire integralmente la Ubi Periculum nel Codice del Diritto Canonico nel 1298 .
Alighieri avanza l'ipotesi che l'elezione di Bonifacio VIII fosse stata viziata da simonia (canti XIX e XXVII dell'Inferno).

COMPOSIZIONE DEL CONCLAVE
Al momento del conclave il Sacro Collegio era composto da 23 cardinali, di cui solo uno fu assente. Di essi, 13 erano stati nominati da papa Celestino V, nel corso dell'unico Concistoro da lui presieduto il 18 settembre del 1294; uno da papa Urbano IV, due da papa Niccolò III, uno da papa Martino IV, uno da papa Onorio IV, quattro da papa Niccolò IV.

LA DESTITUZIONE A LA MORTE
Come primo atto del suo pontificato, dopo aver riportato la sede papale da Napoli a Roma per sottrarre l'istituzione all'influenza di re Carlo II d'Angiò, dichiarò nulle tutte le decisioni assunte dal suo predecessore Celestino V.
Immediatamente dopo, a causa dell'ostilità dei cardinali francesi, ebbe timore che il suo predecessore, Pietro del Morrone, ritornato semplice frate, potesse essere cooptato dai porporati transalpini come antipapa. Per cui si rendeva necessario che la sua persona rientrasse sotto il ferreo controllo del Pontefice. Bonifacio VIII fece pertanto arrestare Celestino V da Carlo II d'Angiò, lo stesso monarca che pochi mesi prima ne aveva sostenuto l'elezione pontificia, e lo rinchiuse nella rocca di Fumone, di proprietà della famiglia Caetani, dove rimase fino alla morte. Nonostante ci siano varie ipotesi non è certo che la morte di Celestino V sia stata violenta o avvenuta per mano di Bonifacio VIII. Lo stato di detenzione voluto dal Caetani, però, può aver peggiorato la salute di un ottantasettenne già debilitato dalle fatiche dei precedenti mesi. L'ampio foro sul cranio dell'ex-papa sembra dovuto non a un chiodo conficcato ma a un ascesso di sangue al cervello. Alla sua morte Bonifacio portò il lutto per lui, caso unico tra i Papi, e celebrò una messa pubblica in suffragio per la sua anima. Poco dopo diede inizio al processo di canonizzazione, che fu accelerato e concluso pochi anni dopo da Papa Clemente V su pressione del re di Francia Filippo IV il bello e dei fedeli.

L'ASSEGNAZIONE DELLA SICILIA
Eliminato un potenziale antipapa come avrebbe potuto essere l'ex Pontefice, il primo atto politico cui egli dovette adempiere fu la risoluzione della controversia in corso tra gli angioini e gli aragonesi per il possesso della Sicilia; controversia che si protraeva dall'epoca dei "vespri siciliani"; cioè dal 1282.
A Napoli governava Carlo II d'Angiò e in Sicilia Federico d'Aragona, fratello di re Giacomo che, a sua volta, era passato nel 1291 al trono d'Aragona. Il 20 giugno del 1295, spinto dal Papa, che parteggiava per l'angioino avendolo questi aiutato nella cattura del Morrone, Giacomo II sottoscrisse la Pace di Anagni con la quale rinunciava ad ogni diritto sulla Sicilia a favore del Papa. Mentre questi, a sua volta, li trasferiva a Carlo d'Angiò.
Ma la Sicilia si ribellò, preferendo come re il suo governatore Federico d'Aragona e non l'angioino. Il Papa, seppur malvolentieri, dovette acconsentire e incoronò Federico nella cattedrale di Palermo il 25 marzo 1296. Questa incoronazione fu la prima amara sconfitta per papa Bonifacio. Questa sconfitta sarà sanzionata successivamente e definitivamente mediante la Pace di Caltabellotta, stipulata nel 1303 tra Roberto d'Angiò, figlio di Carlo II, e Federico, il quale riceveva il titolo di re di Trinacria e, come feudo, la Sicilia. La Pace di Caltabellotta segnò l'affermazione definitiva degli Aragonesi per l'inizio della loro espansione nel Mediterraneo.

LA TASSAZIONE DEGLI ECCLESIASTICI
A questa sconfitta politica, altre ne seguirono, decretando il sostanziale fallimento della politica di Bonifacio VIII. Questo fallimento fu causato dalla concezione che il Caetani possedeva circa il ruolo del papa nel contesto degli Stati d'Europa che, sul finire del Medioevo, si stavano avviando a trasformarsi in Nazioni. Bonifacio VIII, più dei suoi predecessori, riteneva che l'autorità del papa fosse al di sopra del potere dei regnanti (teocrazia). Con questa concezione dell'autorità papale, tutti i sovrani dovevano sottostare non solo al potere spirituale del Pontefice, ma anche a quello temporale.
La qual cosa non avvenne mai, aprendo la strada alla lotta per il potere, pressoché ininterrotta, che nei secoli successivi vedrà impegnati Pontefici e sovrani, mediante l'ingerenza di quelli negli affari di stato di questi e di questi negli affari ecclesiastici di quelli.
Papa Bonifacio diede avvio alla sua politica di predominio mediante l'emanazione della bolla Clericis laicos, il 25 febbraio 1296, mediante la quale proibiva ai laici, sotto pena di scomunica ed interdetto, di tassare gli ecclesiastici ed a questi di versare i relativi contributi, con identiche sanzioni in caso di violazione del divieto. Era questa una chiara ingerenza negli affari di stato di paesi sovrani.
Il re di Germania, Adolfo di Nassau - Vilburgo, candidato alla nomina imperiale, non si oppose per motivi di opportunità. Egli, infatti, mirava alla corona imperiale, per cui aveva bisogno dell'approvazione papale. In Inghilterra re Edoardo I Plantageneto, benché contrario, dovette accettare il rifiuto dei vescovi al pagamento delle imposte.
La Francia assunse, invece, una posizione molto diversa. Il re Filippo IV Capeto , detto "il Bello", nel respingere decisamente la bolla papale, emise una serie di Editti, nei quali vietava a chiunque, laici ed ecclesiastici, l'esportazione di danaro e preziosi; contemporaneamente vietava la residenza sul suolo francese agli stranieri, impedendo, di fatto, che eventuali legati pontifici potessero recarsi in Francia per la riscossione delle cosiddette "decime", cioè le tasse per la Chiesa di Roma.
La posizione di re Filippo fu talmente risoluta che il Papa fu costretto ad addivenire ad un accordo, autorizzando il re francese a riscuotere le imposte dal clero, in caso di estrema necessità, senza la preventiva autorizzazione pontificia. Filippo IV, preso atto del nuovo atteggiamento papale, revocò i propri editti e sottoscrisse la pace con la Santa Sede.

I CONTRASTI CON LA CURIA
Anche questa fu una pesante sconfitta per papa Bonifacio. Il suo cedimento di fronte alla ferma opposizione del re di Francia nasceva però da una perdita di autorità all'interno della Santa Sede. Infatti, a causa del suo atteggiamento eccessivamente dispotico, aveva provocato l'insorgere di uno schieramento a lui ostile, sia all'interno della Curia che nell'aristocrazia romana. Questo schieramento era capeggiato dai cardinali Giacomo Colonna e Pietro Colonna, appartenenti alla famiglia romana dei Colonna acerrima nemica della famiglia dei Caetani alla quale apparteneva Bonifacio VIII, i quali dichiararono che la sua elezione era illegittima in quanto non valida l'abdicazione di Celestino V. Questa posizione, che preludeva ad un possibile scisma, era sostenuta anche da tutto il movimento degli Spirituali Francescani, i quali avevano la loro voce più alta nelle somme laudi di Jacopone da Todi che definì il Pontefice "novello anticristo". La perdita di potere interno aveva, quindi, indotto il Pontefice ad essere più tollerante verso le resistenze del re francese.
La lotta all'interno delle istituzioni ecclesiastiche toccò il suo culmine il 10 maggio 1297, allorquando i Colonna e gli Spirituali Francescani sottoscrissero un memoriale, il manifesto di Lunghezza, con il quale il papa veniva dichiarato decaduto, sempre a causa della sua illegittima elezione, con espresso invito ai fedeli a non portargli più obbedienza.
La reazione del Pontefice non si fece attendere: con violenza i due cardinali furono destituiti con una apposita bolla, la quale poneva in risalto come la famiglia Colonna fosse da sempre portatrice di disprezzo verso le cose altrui, nonché piena di superbia e oltraggiosa e che, per queste colpe, suscitava soltanto desiderio di annientamento. Si aprì quindi un'ulteriore lotta tra il papa e i Colonna, nella quale questi ultimi speravano in un intervento del re di Francia a loro favore, la qual cosa non avvenne in quanto il monarca francese stava prendendo proprio in quel momento gli accordi con il papa per la risoluzione del problema dei tributi agli ecclesiastici in Francia, per cui non aveva alcun interesse ad inimicarselo.
La lotta tra il Papa e i Colonna si concluse con la sconfitta di questi ultimi. Jacopone da Todi fu confinato in un convento e scomunicato. I cardinali Colonna furono scomunicati e dovettero riparare in Francia sotto la protezione di Filippo il Bello, e i loro beni furono confiscati e divisi tra la famiglia del Papa e la famiglia degli Orsini, anch'essi acerrimi nemici dei Colonna.

LA DISTRUZIONE DI PALESTRINA
Le cronache dell'epoca riferirono che, dopo lunghe trattative, condotte soprattutto attraverso la mediazione del Cardinal Boccamazza, molto vicino ai Colonna, questi, alla fine dell'estate del 1298, si recarono al cospetto del papa, nella città di Rieti, nelle vesti di umili penitenti.
Chiedendo perdono e sottomettendosi all'autorità pontificia, riconobbero la piena legittimità di Bonifacio quale unico vero pontefice della Chiesa cattolica. Il papa accolse con benevolenza le dichiarazioni di contrizione dei Colonna e accordò loro il suo perdono, non senza aver prima preteso che i cardinali Colonna restituissero i loro sigilli che furono debitamente distrutti. Inoltre tutta la famiglia fu inviata al soggiorno obbligato nella città di Tivoli nell'attesa delle decisioni definitive del pontefice.
La tregua tra il Caetani e i Colonna fu tutt'altro che tale, tant'è che l'Inquisizione della città di Bologna, a seguito di una decisione di Papa Bonifacio, datata 12 aprile 1299, ebbe a confiscare il palazzo del cardinale Giacomo Colonna. Di fatto, la conflittualità tra il papa e la famiglia Colonna non fu affatto rimossa e questi ultimi dovettero riparare in Francia.
Nel corso dei negoziati che avevano preceduto l'atto di sottomissione dei Colonna al papa nella città di Rieti, era stato stabilito, tra l'altro, che la città di Palestrina, fulcro e roccaforte dei possedimenti dei Colonna, entrasse nel pieno possesso del papa. Non appena però il papa entrò nel possesso materiale della città, diede ordine di distruggerla e la fece radere al suolo completamente nella primavera del 1299: egli fece passare l'aratro su tutto il territorio della città e ne fece cospargere il suolo di sale. La motivazione del suo gesto è contenuta in una lettera datata 13 giugno 1299, nella quale Papa Bonifacio così si espresse: «...perché non vi resti nulla, nemmeno la qualifica o il nome di città». La distruzione della città ebbe come conseguenza anche la perdita del privilegio di essere una delle sette diocesi suburbicarie di Roma.
Gli storici hanno sempre cercato di trovare la vera motivazione che indusse il Caetani a distruggere una intera città, nonostante ne fosse venuto in possesso pacificamente e a seguito di negoziati. Oggi sono tutti concordi nel ritenere che papa Bonifacio sia stato spinto a un gesto così efferato solo a causa dell'odio che egli nutriva verso i suoi avversari Colonna dei quali intendeva cancellare completamente anche la memoria.
Il 3 ottobre 1299 Papa Bonifacio accettò dal libero comune di Velletri l'elezione a podestà per una legislatura (6 mesi), questo perché il comune di Velletri, da sempre fedele ai papi, aveva un rapporto di amicizia con Bonifacio, che da giovane aveva studiato per un certo periodo in questa città, ma anche perché la stessa Velletri doveva difendersi dai nobili (soprattutto dai Colonna) che la volevano sottomettere, e avere Bonifacio come podestà, oltre ad essere un fatto d'orgoglio, era anche un'ottima alleanza; lo stesso valeva per Bonifacio, che poteva così contare sull'alleanza di un agguerrito comune come quello di Velletri.

L'ISTITUZIONE DEL GIUBILEO
Ispirandosi alla Perdonanza istituita dal suo predecessore Celestino V, Bonifacio istituì l'Anno Santo, nel quale assicurava indulgenza plenaria per tutti quelli che avessero fatto visita alle Basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le mura. L'Anno Santo fu indetto il 22 febbraio 1300, con la bolla Antiquorum habet fidem, nella quale era anche stabilito che l'Anno Santo si sarebbe ripetuto, in futuro, ogni cento anni.
Il Giubileo ebbe un grande successo e l'afflusso di pellegrini a Roma fu enorme (il Villani parla di 300.000 pellegrini). A parte la diffusa e sentita necessità di indulgenza di quel periodo (ad esempio le stesse crociate offrivano questo beneficio), l'afflusso dei pellegrini a Roma da tutto il mondo significava un notevole apporto di denaro, esaltava la magnificenza di Roma e consolidava il primato ed il prestigio del Pontefice.
Alcuni commentatori ritengono che, terminato il conflitto con i Colonna, e non avendo ancora concluso la pace con Filippo IV, il papa temeva il blocco delle "decime", ed istituì il Giubileo proprio per motivi finanziari. Senz'altro notevole fu l'afflusso di danaro, ma il papa non ricevette l'omaggio dei Sovrani d'Europa (fu per lui una grossa delusione). Queste assenze stavano a significare che la sua aspirazione di riunire nelle sue mani sia il potere spirituale che quello temporale era soltanto una illusione.

LE ACCUSE E LE CONGIURE
Numerose furono le accuse formulate verso il Caetani. Innanzi tutto quella di aver fatto assassinare il suo predecessore Pietro da Morrone, già papa Celestino V. Fu accusato poi di negare l'immortalità dell'anima e di aver autorizzato alcuni sacerdoti alla violazione del segreto confessionale. Fu accusato, infine, di simonia e sodomia. Sulla base di queste infamanti accuse, il re propose di convocare un Concilio per la destituzione del Pontefice e la sua proposta fu approvata dalla quasi totalità del clero francese.
Papa Bonifacio, messo al corrente di questi ultimi avvenimenti, preparò una nuova bolla di scomunica contro il Re di Francia, la Super Petri solio, che non fece in tempo a promulgare in quanto il Nogaret, insieme a tutta la famiglia Colonna, capeggiata da Sciarra Colonna, organizzò una congiura contro il Papa cui aderirono una gran parte della borghesia di Anagni e una gran parte del Sacro Collegio dei Cardinali.
All'inizio di settembre del 1303 il Nogaret e Sciarra Colonna riuscirono a catturare il Papa dopo un assalto al palazzo pontificio di Anagni e per tre giorni il Papa restò nelle mani dei due congiurati che non risparmiarono ingiurie alla persona del Pontefice (l'episodio è noto come "lo schiaffo di Anagni",anche se pare che in realtà il Papa non sia stato colpito ma pesantemente umiliato). Le numerose ingiurie inferte al Papa, unitamente al contrasto tra il Nogaret e il Colonna sul destino del Caetani (il primo lo voleva infatti prigioniero a Parigi, il secondo lo voleva morto), indussero la città di Anagni a rivoltarsi contro i congiurati e a prendere le difese del loro Papa. Vi fu pertanto un capovolgimento di fronte della borghesia di Anagni che mise in fuga i congiurati e liberò il Papa, guadagnandosi la sua benedizione ed il suo perdono.

LA MORTE
Rientrò a Roma il 25 settembre sotto la protezione degli Orsini. Aveva, però, perduto l'immagine del grande e potente Pontefice che si era illuso di essere ed era fiaccato anche nel fisico per le molte sofferenze dovute alla calcolosi renale che lo affliggeva da anni. Morì l'11 ottobre del 1303 e fu sepolto nella Basilica di San Pietro, nella Cappella costruita apposta per lui da Arnolfo di Cambio. Attualmente non vi è traccia alcuna di tale opera in quanto distrutta in occasione della edificazione della nuova Basilica avvenuta per mano del Bramante prima e di Michelangelo poi. Le sue spoglie, invece, furono sistemate nelle grotte vaticane dove si trovano tuttora.

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http://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Bonifacio_VIII
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Papa Onorio IV

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Onorio IV, al secolo Giacomo Savelli (Roma, 1210 – Roma, 3 aprile 1287), fu il 190° papa della Chiesa cattolica dal 1285 alla sua morte.
Giacomo era membro della ricca ed influente famiglia dei Savelli. Era infatti figlio del senatore Luca Savelli e della di lui consorte Giovanna Aldobrandeschi dei Conti di Santa Fiora. Era inoltre un pronipote di Papa Onorio III.
Giacomo studiò all'Università di Parigi e durante quel periodo resse una prebenda e una canonica della cattedrale di Châlons-sur-Marne. Successivamente ottenne i benefici di rettore alla chiesa di Berton, nella diocesi di Norwich.
Nel 1261 venne nominato cardinale diacono di Santa Maria in Cosmedin da papa Urbano IV, che lo nominò anche prefetto papale in Toscana e capitano dell'esercito pontificio. Per ordine di Papa Clemente IV, lui e altri tre cardinali investirono Carlo d'Angiò come re di Sicilia, a Roma, il 20 luglio 1265. Fu uno dei sei cardinali che elessero con un compromesso papa Gregorio X, il 1º settembre 1271, a Viterbo.
Nel 1274 accompagnò Gregorio X al quattordicesimo concilio generale di Lione e nel luglio 1276, fu uno dei tre cardinali che Papa Adriano V inviò a Viterbo, con l'incarico di trattare con Re Rodolfo I d'Asburgo, riguardo alla sua incoronazione imperiale a Roma e alle sue future relazioni nei confronti di Carlo d'Angiò. La morte di Adriano V nel mese seguente rese infruttuosi i negoziati con Rodolfo.
Martino IV morì il 28 marzo 1285, a Perugia. Giacomo Savelli venne unanimemente eletto come suo successore il 2 aprile e prese il nome di Onorio IV. La sua elezione fu una delle più rapide nella storia del papato. Il 20 maggio venne consacrato vescovo e incoronato papa nella basilica di San Pietro a Roma. Onorio era già in età avanzata e così gravemente affetto dalla gotta che non poteva né stare in piedi né camminare. Quando recitava messa era obbligato a sedere su uno sgabello e, al momento dell'elevazione, le sue mani dovevano essere sollevate con l'aiuto di un sistema meccanico.

IL CONFLITTO IN SICILIA
Le questioni siciliane richiesero l'immediata attenzione di Onorio. In precedenza, sotto Martino IV, i siciliani avevano rifiutato l'autorità del Papa detronizzando Carlo d'Angiò e scegliendo Pietro III d'Aragona come loro re, senza il consenso né l'approvazione del pontefice.
La rivoluzione del 31 marzo 1282, nota come Vespri Siciliani, aveva precluso ogni riconciliazione con Martino IV. Questi aveva posto un interdetto sulla Sicilia e su Pietro, il quale venne privato anche del suo Regno d'Aragona, che venne affidato a Carlo di Valois, il figlio di Re Filippo III di Francia. Martino, inoltre, assistette Carlo d'Angiò nei suoi tentativi di riprendere la Sicilia con la forza delle armi. I siciliani non solo respinsero gli attacchi di Carlo, ma catturarono anche suo figlio, Carlo di Salerno. Il 6 gennaio 1285, Carlo d'Angiò morì, lasciando il suo figlio prigioniero come successore naturale.
Tali erano le condizioni in Sicilia quando Onorio IV ascese al trono papale. Egli era molto più incline alla pace di Martino IV, ma non rinunciò alle pretese della Chiesa e della Casa d'Angiò sulla corona siciliana, né tolse la severa punizione ecclesiastica imposta sulla Sicilia.
D'altra parte, non approvava il governo tirannico al quale i siciliani erano stati sottoposti da Carlo d'Angiò. Questo risulta evidente dalla sua saggia legislazione, così come viene incarnata dalla sua costituzione del 17 settembre 1285. In questa costituzione, egli dichiara che nessun governo può prosperare se non è fondato sulla giustizia e la pace, e promulgava 45 ordinanze, intese principalmente a proteggere le genti di Sicilia contro il loro re ed i loro ufficiali.
La morte di Pietro III, avvenuta l'11 novembre 1285, cambiò in qualche modo la situazione in Sicilia. Gli successero i suoi due figli; Alfonso e Giacomo; il primo come Re d'Aragona, il secondo come Re di Sicilia. Onorio IV, naturalmente, non riconobbe nessuno dei due. L'11 aprile 1286, scomunicò solennemente Giacomo di Sicilia ed i vescovi che avevano preso parte alla sua incoronazione a Palermo, il 2 febbraio 1286; ma né il re né i vescovi se ne preoccuparono. Il re inviò addirittura una flotta ostile sulla costa romana e distrusse con il fuoco la città di Astura.
Carlo di Salerno, il legittimo re di Sicilia, che era ancora prigioniero dei siciliani, si stancò della sua condizione e firmò un contratto il 27 febbraio 1287, nel quale rinunciava alle sue pretese al Regno di Sicilia, in favore di Giacomo d'Aragona e dei suoi discendenti. Onorio IV, comunque, dichiarò nullo il contratto e vietò tutti i futuri accordi simili.
Mentre Onorio IV fu inesorabile nella posizione presa nei confronti della Sicilia e del suo Re auto-imposto, le sue relazioni nei confronti di Alfonso d'Aragona divennero meno ostili. Tramite gli sforzi di re Edoardo I d'Inghilterra, i due diedero il via a dei negoziati di pace. Il Papa comunque, non visse abbastanza a lungo da portarli a termine, ma si giunse ad una soluzione pacifica della questione aragonese, così come di quella siciliana, nel 1302, sotto Bonifacio VIII.

ROMA
Roma e gli Stati della Chiesa godettero di un periodo di tranquillità sotto il pontificato di Onorio IV, cosa che non accadeva da diversi anni. Onorio ebbe la soddisfazione di ridimensionare il più potente e ostinato nemico dell'autorità papale, il conte Guido da Montefeltro, che per molti anni aveva resistito alle truppe pontificie. L'autorità del Papa era ora riconosciuta in tutto il territorio pontificio, che comprendeva l'esarcato di Ravenna, la marca di Ancona, il ducato di Spoleto, la contea di Bertinoro, le Terre Matildine e la Pentapoli (ovvero le città di Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona).
I romani furono lieti dell'elezione di Onorio IV, in quanto era un loro concittadino e fratello di Pandolfo, un senatore romano. Le continue intemperanze, che non avevano permesso a papa Martino V di risiedere a Roma, cessarono ed i romani invitarono Onorio a fare della città la sua residenza permanente. Durante i primi mesi del suo pontificato visse in Vaticano, ma nell'autunno del 1285 si spostò nel magnifico palazzo che aveva fatto erigere sull'Aventino.

IL SACRO ROMANO IMPERO
Nelle sue relazioni con il Sacro Romano Impero, dove non c'erano da temere ulteriori pericoli, a seguito della caduta degli Hohenstaufen, Onorio segui la via media intrapresa da Gregorio X. Rodolfo I d'Asburgo, inviò il vescovo Enrico di Basilea a Roma per richiedere l'incoronazione. Onorio nominò l'inviato arcivescovo di Magonza, fissò la data dell'incoronazione ed inviò il cardinale Giovanni di Tusculum in Germania per appoggiare la causa di Rodolfo. Ma l'opposizione generale all'interferenza del Papa si mostrò al concilio di Würzburg (16-18 marzo 1287), con energiche proteste, e Rodolfo dovette proteggere il legato pontificio dalla violenza fisica, cosicché i suoi piani (e quelli del Papa) fallirono.

ALTRI CONSEGUIMENTI
Onorio IV ereditò i piani per un'altra Crociata, ma gradualmente si disinteressò di questo progetto ereditato da Gregorio X e si limitò a raccogliere le decime imposte dal concilio di Lione (1274), accordandosi coN le grandi banche di Firenze, Siena e Pistoia perché agissero come sue agenti. I fondi raccolti per finanziare la crociata furono usati, invece, per realizzare gli obiettivi politici della curia, come la guerra con l'Aragona ed il ritorno della Sicilia sotto il potere degli Angioini, operazioni che furono chiamate "crociate".
I due più grandi ordini religiosi dell'epoca, i domenicani ed i francescani, ricevettero molti nuovi privilegi da Onorio IV, documentati nel suo Regesta. Egli spesso ne incaricava i membri per missioni speciali o ai vescovati dando loro, inoltre, l'incarico esclusivo dell'Inquisizione. Nominò tra le loro file anche diversi vescovi, cosa che dimostrava quanto fosse un appassionato sostenitore degli ordini religiosi.
Onorio approvò, inoltre, i privilegi dell'Ordine Carmelitano e di quello degli eremiti Agostiniani, permettendo ai primi di cambiare il loro abito a strisce con uno bianco. Era anche particolarmente devoto dei Guglielmiti e concesse ad essi numerosi privilegi, oltre a quelli che questi avevano già ricevuto da Alessandro IV e Urbano IV. Oltre a affidare loro alcuni monasteri Benedettini abbandonati, concesse loro il monastero di San Paolo ad Albano, che era stato fondato da Onorio stesso e riccamente dotato quando egli era ancora cardinale.
L'11 marzo 1286 Onorio condannò come eretici, con la bolla Olim felicis recordationis, i "Fratelli Apostolici", una setta che predicava idee estremiste sulla povertà evangelica, fondata da Gherardo Segarelli a Parma nel 1260.
Salimbene, il cronista di Parma, affermò che Onorio era un nemico degli ordini religiosi.
Ai tempi dell'Università di Parigi egli sostenne la fondazione di cattedre per le lingue orientali, allo scopo di dare l'opportunità di studiarle a chi aveva voluto adoperarsi per la conversione dei musulmani e per la riunificazione delle Chiese scismatiche d'oriente.

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Papa Niccolò IV

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Niccolò IV, al secolo Girolamo Masci (Ascoli Piceno, 30 settembre 1227 – Roma, 4 aprile 1292), fu il 191° papa della Chiesa cattolica dal 1288 alla morte.
Figlio di un chierico, nacque il giorno della festa di San Girolamo a Lisciano viculus o villa a tre chilometri da Ascoli, membro della famiglia de Maxio, di Mascio, Massi, Massei, che avrebbe i suoi capostipiti nella stirpe de Lixiano, i cui domini loci, Berardo e Guglielmo, furono fideles della casa di Svevia.
Non si hanno notizie circa la prima formazione di Girolamo Masci, detto Girolamo d'Ascoli, che tuttavia potrebbe essere legata ai maestri della cattedrale di Ascoli, come sembrerebbero indicare le parole con cui lo stesso Niccolò IV accompagnò il dono del prezioso piviale (oggi esposto nella Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno) alla chiesa della cattedra vescovile.
Girolamo aderì al progetto di vita proposto da San Francesco (che si era fermato nella città di Ascoli nel 1215) entrando nel convento Sancti Laurentii de Carpeneta.
La sua ascesa in seno all'Ordine francescano fu rapida grazie alle sue doti morali e dottrinali, anche se il suo cammino di servizio fu arduo e faticoso. Dapprima predicatore di chiara fama, divenne lettore per poi conseguire il titolo di Magister theologiae nello studio di Perugia insieme a Corrado d'Ascoli.

Nel 1272 fu inviato da San Bonaventura in Dalmazia quale Ministro Provinciale per poi essere, nell'autunno del medesimo anno, investito da papa Gregorio X della delicata missione ad Grecos. Accanto alla questione del recupero di Bisanzio, che rendeva inquieto l'imperatore Michele VIII Paleologo, il pontefice intendeva, infatti, risolvere le divergenze tra la Chiesa greca e quella romana in vista dell'apertura del Concilio di Lione indetto per il maggio del 1274. Nel 1274 succedette a Bonaventura da Bagnoregio nella carica di Ministro Generale dell'Ordine, che tenne fino al 1279. Il neoeletto papa Innocenzo V conferì a Girolamo un nuovo incarico per rafforzare i risultati politici già raggiunti con l'imperatore Michele VIII e per definire le questioni liturgiche e dottrinali con il patriarca Giovanni Becos. Con la precoce morte del pontefice la missione fu però affidata dal nuovo papa Giovanni XXI a due vescovi ed a due domenicani. Girolamo invece fu inviato a Parigi (con Giovanni da Vercelli, Ministro generale dei Domenicani) per la questione della successione al trono di Castiglia e Leon, retto da Alfonso X. La pace risultava basilare in vista dell'auspicata crociata, secondo le indicazioni del Concilio di Lione del 1274. L'abilità diplomatica dei due inviati papali portò alla stipula di una tregua fino all'autunno del 1277.

LA PORPORA CARDINALIZIA
Girolamo tornò a Parigi su incarico del pontefice Niccolò III, dato che la tregua non era stata rispettata, quando gli giunse la notizia della sua elezione in data 12 marzo 1278 a cardinale presbitero di Santa Pudenziana e Patriarca latino di Costantinopoli, da parte di papa Niccolò III. Papa Martino IV lo nominò poi cardinale vescovo di Palestrina.
Vacante la Sede Apostolica a seguito della morte del sommo pontefice Onorio IV, il cardinal Masci si trovò da solo ad accogliere Bar Sauma, ambasciatore dell'imperatore di Persia e del patriarca della Chiesa Nestoriana, per le questioni attinenti possibili accordi in funzione antiaraba. Nell'estate del 1287 il Conclave, riunito per l'elezione del nuovo pontefice, mostrò tutte le divisioni generate dalla difficile situazione in cui la Santa Sede era chiamata a muoversi. Solo il 22 febbraio 1288 il Sacro Collegio, decimato da epidemie e febbri malariche, con la presenza di sette cardinali che avevano svolto compiti delicati quali ambasciatori, considerata l'esigenza di riaffermare la libertas ecclesiae, elevava al soglio di Pietro Girolamo d'Ascoli che, dopo un reiterato rifiuto, assunse il nome di Niccolò IV.

IL PAPATO
Eletto papa all'unanimità il 15 febbraio 1288, dopo una vacanza del soglio pontificio di undici mesi, rifiutò ma, eletto una seconda volta il 22 dello stesso mese, finì con l'accettare. Egli fu il primo religioso francescano della storia a diventare papa.
Secondo l'agiografia cattolica «...fu un frate pio e amante della pace, senza altre ambizioni se non il bene della Chiesa». Si dedicó con particolare zelo all' "estirpazione dell'eresia", organizzando crociate contro i "nemici della Chiesa". In politica interna intraprese una via equidistante dalle varie fazioni romane. In politica estera raggiunse importanti successi che accrebero l'autorità e il prestigio del papato.
All'inizio del suo pontificato, che durò quattro anni, Niccolò IV inviò una lettera ai sovrani, vescovi e abbati indicando le linee guida della sua azione di governo con le parole: «... provvedere alla Chiesa e ad un mondo gravemente turbato dalla moltiplicazione delle guerre, non differire di porre rimedio ai pericoli che minacciavano la Terra Santa, priva di ogni sostegno.» Egli fu nominato dai romani "senatore a vita" ma lasciò subito la carica nominando senatori prima Orso Orsini e poi Bertoldo Orsini. Appoggiatosi inizialmente a questa famiglia romana ed accortosi che questa non riusciva mantenere l'ordine nella città, dilaniata da continue lotte tra fazioni, si affidò ai Colonna. Tra i suoi primi atti di governo vi fu quello di trasferire la sede della Curia da Roma a Rieti e privilegiò ed incentivò il traffico lungo la via Flaminia, la strada che assicurava a Roma i collegamenti più veloci verso il nord e che peraltro era sempre transitabile anche in inverno.
A Rieti, il 16 maggio 1288 giorno di Pentecoste, Niccolò nominò sei cardinali, con lo scopo di costituire un manipolo di fidati collaboratori per le questioni più urgenti che assillavano l'amministrazione dello Stato della Chiesa. Il primo di essi, già vescovo di Osimo, era l'amico Bernardo o Berardo Berardi da Cagli, che diviene cardinale vescovo di Palestrina (già prima detenuta dallo stesso Niccolò IV ai tempi del suo cardinalato) e l'ufficio plenae legationis con facoltà di «... sdradicare, distruggere, dissipare, disperdere, edificare e piantare e fare qualsiasi cosa ad honorem Dei et prosperum statum ...», nel Regno di Sicilia subito dopo la risoluzione del contrasto e l'incoronazione di Carlo d'Angiò. Al neo-eletto cardinale Pietro Colonna fu assegnato invece il compito di paciere a Roma, e ai novelli cardinali Benedetto Caetani (futuro papa Bonifacio VIII) e Matteo Rosso Orsini nel maggio 1288 fu dato l'incarico di pacificare Perugia.
Tra i cardinali eletti in quel giorno figuravano anche il francescano Matteo d'Acquasparta, allora Ministro generale, creato col titolo presbiterale di San Lorenzo in Damaso, magister insigne di Parigi e Bologna e il domenicano Ugo de Billon di Alvernia, colto lector, col titolo presbiterale di Santa Sabina.
Papa Niccolò IV, reduce da un'intensa quanto spesso proficua attività diplomatica, era fermamente convinto che per difendere efficacemente la Terra Santa su cui gravava la minaccia araba, fosse propedeutica la composizione dei contrasti tra le maggiori potenze cristiane. Per tale motivo il suo primo anno di pontificato fu focalizzato a sanare le divergenze quando non anche gli accesi contrasti tra le parti generati dall'azione politica caratterizzata da scarso realismo dei pontificati precedenti (come quello di Martino IV, che comminò la scomunica al Paleologo).
Nel maggio 1289 incoronò Re Carlo II di Napoli e Sicilia, dopo che questi aveva riconosciuto espressamente la sovranità papale, e nel febbraio del 1291 concluse un trattato con Alfonso III d'Aragona e Filippo IV di Francia che puntava all'espulsione di Giacomo II d'Aragona dalla Sicilia. La perdita di Tolemaide nel 1291, provocò il rinnovato entusiasmo del papa per una nuova Crociata in Terra Santa.
Per la crociata occorreva motivare le persone e reperire i mezzi necessari. Per tale motivo, instancabilmente, si rivolse ai monarchi, ai patriarchi e ai responsabili degli ordini cavallereschi Templari, Gersolomitani e Teutonici. Il 1290 reca il segno della propaganda per la crociata in Terra Santa attraverso l'esortazione rivolta a tutti i fedeli ad suscipiendum Crucis signum. Per la predicazione il pontefice si affidò ai Francescani ed ai Domenicani di Lombardia e della provincia romana nonché agli Agostiniani, mentre al patriarca di Gerusalemme fu domandato di predicare la Croce nelle terre a lui soggette. La predicazione ebbe notevole successo nella Marca tanto che la sola Camerino (al cui vescovo il pontefice inviò lettera di encomio) aveva arruolato ben quattrocento crocesignati. Di fronte però alla scarsezza dei mezzi finanziari, Niccolò IV si attivò con forza cercando di coinvolgere le città di Acri, Tiro e Ciro, del Gran Maestro dei Templari, degli Ospedalieri e dei Teutoni, dei Consoli di Pisa e del Baiuolo di Venezia. Ma rimaneva ferma la posizione contraria del re di Francia Filippo IV. Infine, stante il rifiuto francesce, il pontefice trovò l'adesione di Edoardo I d'Inghilterra, che promise di partire il 24 giugno 1293, giorno di San Giovanni. Ma il tempo era scaduto: il 15 maggio 1291 San Giovanni d'Acri fu assalita e tre giorni dopo giunse la notizia della usa capitolazione. Dopo il forte sconforto iniziale del fallimento di un progetto accarezzato per anni, Niccolò IV tornò a rielaborare l'idea della crociata facendo esperienza degli errori. Insieme ai rinnovati contatti con Filippo il Bello, cui sottopose l'idea di unificare gli ordini cavallereschi, egli avviò una febbrile attività per coinvolgere Balcani, Armenia, Marocco, Africa, Tartari e Cina. A tale scopo furono mandati predicatori, tra i quali il famoso francescano Giovanni di Monte Corvino, ad operare tra i Bulgari, i Tatari e i Cinesi. Mentre le lettere del pontefice erano ovunque accolte con benevolenza, le asprezze giungevano proprio dall'Europa cristiana. L'animosità e i conflitti d'interesse fecero naufragare il grande progetto di Niccolò IV, della cui valenza spirituale solo ora si inizia a comprendere la reale e profonda portata.
Nel 1288 organizzò una crociata anche contro il re d'Ungheria Ladislao IV, allora intento a rinforzare lo Stato ungherese con l'aiuto dei Cumani (da poco giunti nel paese), verso i quali mostrò eccessiva tolleranza pur essendo musulmani e pagani, ovvero praticanti la loro religione tradizionale animista - sciamanica. La crociata si trasformò in una guerra civile interna all'Ungheria e alla fine Ladislao IV fu assassinato.
Il 18 luglio 1289 Niccolò IV emise un'importante costituzione (Bolla pontificia Coelestis altitudo, del 18 giugno 1289) che garantiva ai cardinali la metà di tutte le entrate della sede di Roma, nonché una parte della gestione finanziaria, spianando la strada a quell'indipendenza del collegio dei cardinali che, nel secolo successivo, sarebbe tornata a sfavore del papato stesso.
Niccolò IV mostrò un interesse misurato verso la sua terra d'orgine. Tra i primi atti del suo governo figura, il 27 giugno 1288, la nomina del Rettore della Marca nella persona di Giovanni Colonna, famiglia romana alla quale era particolarmente legato, tanto che la satira del tempo lo raffigurava racchiuso entro una colonna. Inoltre annetté Urbino, con il suo comitato e diocesi alla Marca d'Ancona il 25 giugno 1288, e dispose la rifondazione della città di Cagli, distrutta dal fuoco purificatore appiccato dai ghibellini nel settembre del 1287 mentre tentavano di conquistare il governo del libero comune a guida guelfa. In proposito l'attenzione del pontefice, nonostante i molteplici e pressanti impegni, fu quanto mai forte. Egli, con sue bolle emanate dalla Basilica di Santa Maria Maggiore, non esitò ad entrare anche nei dettagli della ricostruzione d'imperio, impartendo al Colonna direttive spesso minuziose. Per disegnare l'impianto della nuova città, che per la data del 9 febbraio 1289 battezzò con il nome di Sant'Angelo Papale, il pontefice, stando all'attribuzione della Scoccianti, avrebbe chiamato Arnolfo di Cambio il quale importò avanzate soluzioni in parte tratte dalle bastides francesi: soluzioni che, si ipotizza, avrebbero poi ispirato Leon Battista Alberti. Con un avanzato progetto urbanistico la città abbracciava la chiesa di San Francesco (la più antica delle Marche) che nel 1234 era stata costruita extra-muros'.
Niccolò morì il 4 aprile 1292, nel palazzo che aveva fatto costruire a fianco della Santa Maria Maggiore, ove è raffigurato, implorante, nel mosaico del catino absidale ai piedi della Madonna. Nella stessa Basilica vi è pure il suo monumento funebre, che ne sormonta la tomba, realizzato circa tre secoli dopo da Domenico Fontana.

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http://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Niccol%C3%B2_IV
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Re: PAPA BENEDETTO XI

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Concilio di Lione II

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Il secondo concilio di Lione fu il quattordicesimo concilio ecumenico della Chiesa cattolica, tenutosi nel 1274.

Contesto storico
Il secondo concilio di Lione è caratterizzato soprattutto dal tentativo di ristabilire l’unità religiosa con la Chiesa ortodossa d’Oriente, unità peraltro ricercata con vani tentativi lungo tutto il XIII secolo. Nel 1261 l’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo riconquistava la città di Costantinopoli, e ristabilì contatti con il papato per motivi politici: rafforzare la sua posizione per evitare la reazione dei latini e la minaccia di una invasione angioina. Così, nella politica dell’imperatore bizantino, l’unità religiosa diventava strumento per raggiungere la pace con l’Occidente cristiano. Tuttavia, benché segnata fortemente da motivazioni politiche, si cercò comunque una certa unità sul piano teologico-ecclesiale attraverso legazioni, scambi di lettere, discussioni, vari memoriali.
Il 4 marzo 1267 papa Clemente IV, in risposta alle richieste di unione e di pace da parte di Michele VIII, gli invia una lunga lettera assieme ad una professione di fede, che l’imperatore bizantino e tutta la Chiesa d’Oriente doveva sottoscrivere. Questa professione di fede prevedeva: l’accettazione del Filioque e del primato giurisdizionale del papa di Roma sulla Chiesa orientale; la comunione eucaristica con pane azimo; i patriarchi orientali concepiti come delegati del papa di Roma. Ma la morte improvvisa di Clemente IV nel 1268 e un lungo periodo di vacanza della sede romana (1268-1271) sembravano aver interrotto le trattative.
Solo nel 1272 il nuovo pontefice Gregorio X inviò una nuova legazione a Costantinopoli, composta da quattro francescani tra cui Alberto Gonzaga, manifestando la sua volontà di convocare un concilio per l’aiuto alla Terra Santa, per la riforma dei costumi e per raggiungere l’unità; a questo scopo Michele VIII doveva accettare la professione di fede, a suo tempo inviatagli da Clemente IV, con un solenne giuramento. Solo in seguito il papa avrebbe convocato il concilio in cui non si doveva né discutere né formulare alcuna professione di fede, ma semplicemente rafforzare l’unità già fatta con una conferma pubblica. Nello stesso tempo Gregorio X scrisse anche al patriarca di Costantinopoli Giuseppe I e ad altri prelati greci per spronarli all’unione e a sostenere il loro imperatore. In questo contesto appare chiaro cosa vuol dire per i latini l’unione: accettare senza mezzi termini la fede prescritta da Roma, dimenticando tutta la tradizione ecclesiale, dottrinale e patristica orientale.
Ovviamente in questi termini l’unione non poteva essere accettata dalle autorità ecclesiastiche, dai monaci e dal popolo greco, già mal disposti verso l’Occidente e la sua teologia. L’errore dell’imperatore Michele VIII fu di volerla imporre con la forza, con la violenza e le persecuzioni, cosa che portò ad una radicalizzazione delle posizioni e ad una forte opposizione antiunionista. Tuttavia l’imperatore riuscì a convincere un folto gruppo di metropoliti e vescovi greci ad accettare la professione di fede di Clemente IV, con il chiarimento che essa non significava da parte greca alcun cambiamento ecclesiologico o nella vita ecclesiale concreta, né alcuna modifica o aggiunta al testo greco del Credo. Nel febbraio 1274, nel palazzo imperiale di Costantinopoli, l’imperatore e metropoliti e vescovi giurarono e proclamarono la professione di fede di Clemente IV.
A questo punto il papa Gregorio X convocò il concilio a Lione, al quale doveva presentarsi la delegazione greca.

I lavori conciliari e le decisioni
Gregorio X inaugurò i lavori conciliari il 7 maggio 1274 proclamando nella stessa seduta i tre scopi della convocazione, già annunciati due anni prima all’imperatore bizantino: l’aiuto alla Terra Santa, l’unione con i greci, la riforma dei costumi.
Nella seconda sessione, il 18 maggio, apparve chiaro il carattere papale del concilio, senza discussioni o interventi in aula, il pontefice presentò un testo già preparato in precedenza, la costituzione Zelus Fidei, con la richiesta di decime in favore della Terra Santa. La Ordinatio Concilii generalis Lugdunensis, che è la fonte più autorevole per ricostruire i lavori conciliari (scoperta e pubblicata al tempo del Concilio Vaticano II), afferma che la Zelus Fidei fu semplicemente letta, senza interventi o approvazioni da parte dei padri conciliari. In essa vengono fissate le somme che ogni nazione devono versare per aiutare la Terra Santa; si ricorda che le vittorie degli infedeli rappresentano uno scandalo per i cristiani; si stabiliscono le norme per evitare problemi alla spedizione militare (norme contro la pirateria, la mancanza di pace fra i re cristiani, contro i perturbatori, ecc.).
Il 4 giugno si svolse la terza sessione del concilio, durante la quale furono presentate e lette 12 costituzioni di riforma, rivolte soprattutto a clero e laici.
Il 24 giugno arrivò a Lione la delegazione greca, accolta con solennità e fastosità, composta di due vescovi e del segretario dell’imperatore. Nella solenne messa papale del 29 giugno il simbolo di fede fu cantato nelle due lingue, latina e greca, e si cantò per tre volte il Filioque. Il 4 luglio giunse a Lione anche una delegazione dei Tartari, ed uno dei suoi membri il 16 luglio ricevette solennemente il battesimo.
Il 6 luglio si svolse la quarta sessione del concilio, dedicata all’unione con i greci. Gregorio X, dove aver riassunto tutti i negoziati precedenti, affermava che i greci « venivano liberamente all’obbedienza della Romana ecclesia ». I delegati greci ripeterono l’atto di obbedienza e professione di fede, già formulato dall’imperatore a Costantinopoli nel mese di febbraio precedente. Seguì il canto solenne del simbolo niceno-costantinopolitano con l’aggiunta del Filioque (cantato due volte).
Durante la quinta sessione, il 16 luglio, l’assemblea conciliare approvò la costituzione Ubi Periculum che fissava nuove norme relative al conclave, ed altri decreti di riforma. Il giorno successivo si chiudeva il concilio.

La ricezione del concilio
L’atto di unione, formulato a Costantinopoli nel febbraio del 1274 e ripetuto a Lione il 6 luglio, non poteva avere vita lunga. Secoli dopo, Paolo VI, in una lettera del 19 ottobre 1974, ricorderà che l’unione fu siglata « senza dare alla chiesa greca la facoltà di esprimere liberamente il proprio parere in questa materia. I latini infatti scelsero il testo e le formule che riproducevano la dottrina ecclesiologica elaborata e composta in occidente ». L’atto di unione durò finché vissero i suoi protagonisti: l’imperatore Michele VIII cercò di imporre con la forza delle persecuzioni una fede in cui nessun suo suddito credeva e accettava; accusato da Roma di non saper imporre l’unione, venne scomunicato per eresia e scisma. Dopo la sua morte (1282), il figlio e successore Andronico, antiunionista, sconfessò subito la professione di fede del padre e ogni contatto con l’occidente; e l’atto di Lione, che doveva ricostruire l’unità, finì invece per approfondire il solco, politico e religioso, tra oriente ed occidente cristiano.


http://it.wikipedia.org/wiki/Concilio_di_Lione_II
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Conclave

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Conclave è un termine che deriva dal latino cum clave, cioè "(chiuso) con la chiave". Usualmente indica sia la sala in cui si riuniscono i cardinali per eleggere il nuovo papa, sia la riunione vera e propria. Viene spesso riferito allegoricamente anche a riunioni generiche (conclave di medici, conclave di giuristi, ...).
L'evento storico che diede il nome di Conclave all'elezione dei Pontefici, risale al 1270, quando gli abitanti di Viterbo, allora sede papale, stanchi di anni di indecisioni dei cardinali, li chiusero a chiave nella sala grande del palazzo papale e ne scoperchiarono parte del tetto, in modo da metterli in condizioni di decidere al più presto chi eleggere a nuovo pontefice, che fu papa Gregorio X.
Tuttavia il primo Pontefice eletto cum clave fu papa Gelasio II, eletto il 24 gennaio 1118 all'unanimità dei cardinali riuniti nel Monastero di San Sebastano sul Palatino, luogo segreto e chiuso al pubblico scelto appositamente per evitare interferenze esterne sulla scelta del successore di Pietro (si era in piena lotta per le investiture).

Breve storia del conclave
Nei primi anni del cristianesimo l'elezione del nuovo pontefice avveniva nell'assemblea dei cristiani di Roma, a volte su indicazione stessa del predecessore (secondo la tradizione cattolica, è il caso ad esempio di San Lino, successore di San Pietro). Ci fu anche il caso di Fabiano che, secondo una tradizione tramandata, nel 236 venne eletto poiché durante l'assemblea una colomba si sarebbe posata sul suo capo, fatto che venne interpretato come segno della volontà divina. In seguito al diffondersi della nuova religione dal 336, su decisione di papa Marco, l'elezione fu riservata ai soli sacerdoti romani. Nel 1059 papa Niccolò II decise di affidare l'elezione ai soli cardinali vescovi e, nel 1179, papa Alessandro III stabilì che dovesse decidere l'intero collegio cardinalizio. Era comunque sempre possibile l'elezione anche di semplici maschi battezzati.
Durante i secoli spesso ci fu anche l'ingerenza di re e imperatori che imponevano alcuni candidati o imponevano il veto su altri. Ottone I nel 964 si fece attribuire da Leone VIII il diritto di approvare o meno la scelta del papa, che avrebbe dovuto poi giurare fedeltà all'imperatore. Ancora nel 1903, quando si trattò di eleggere il successore di Leone XIII, l'imperatore d'Austria pronunciò il suo veto contro il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro. Il collegio cardinalizio respinse il veto ma elesse comunque un diverso candidato, il patriarca di Venezia Giuseppe Sarto, che divenne Pio X. Il neo eletto, nel 1904, finalmente stabilì che i futuri elettori non avrebbero dovuto accettare mai più alcun "veto".
Nel 1198 i cardinali si riunirono per la prima volta in volontaria clausura ma la decisione dell'isolamento della riunione cardinalizia fu stabilita solo nel 1274 dal Concilio di Lione II, con la Costituzione apostolica Ubi periculum, per impedire i ritardi, i tentativi di influenza esterna e le corruzioni che in diversi casi si erano verificati. Un caso eclatante si verificò appunto dopo la morte di Papa Clemente IV nel 1268, quando la città di Viterbo fu sede dell'elezione papale del 1268-1271. Dal momento che i 19 cardinali riuniti non riuscivano ad eleggere un papa, dopo 19 mesi di sede vacante, la città rinchiuse letteralmente i cardinali nel palazzo vescovile, li mise a pane ed acqua e scoperchiò il tetto. Nonostante queste costrizioni, peraltro successivamente ridotte, i porporati impiegarono ben 1006 giorni per eleggere papa Gregorio X.
Con la Costituzione apostolica Ubi Periculum, i cardinali dovevano riunirsi in un'area chiusa e non avevano diritto a stanze singole. Nessun cardinale doveva farsi assistere da più di un servitore, a meno che non fosse infermo. Il cibo doveva essere somministrato attraverso una finestra e dopo tre giorni i cardinali avrebbero ricevuto solamente un pasto al giorno; dopo cinque soltanto pane, vino ed acqua. Durante il conclave inoltre nessun cardinale poteva ricevere alcuna rendita ecclesiastica.
Le regole rigide di Gregorio X furono in seguito sospese nel 1276 da papa Adriano V, ma papa Celestino V le ripristinò nell 1294, dal momento che per la sua elezione erano stati necessari ben due anni, e papa Bonifacio VIII le inserì nel Codice di diritto canonico nel 1298. Nel 1562, Papa Pio IV emise una bolla papale che introduceva nuovi regolamenti sulla segretezza del voto ed altre norme procedurali. Quasi sempre tuttavia i conclavi si sono tenuti a Roma e, a partire dalla sua creazione alla fine del XV secolo, si sono svolti nella Cappella Sistina in Vaticano.
Papa Gregorio X aveva 65 anni quando arrivò ad Arezzo, alcuni giorni prima del Natale 1275. Ritornava a Roma da Lione, dove aveva convocato e presieduto un Concilio Ecumenico. Da alcuni mesi soffriva di improvvise febbri debilitanti. Arrivò col suo seguito papale e fu ricevuto e ospitato nel nuovo palazzo vescovile di Arezzo, costruito dal Vescovo Guglielmo degli Ubertini. Venerdì 10 gennaio 1276 Gregorio X morì nell'episcopo di Arezzo. Lasciò alla città un'ingente somma di denaro da utilizzarsi per la costruzione della nuova Cattedrale. L'arrivo, la morte e la sepoltura di Gregorio X sono state una pietra miliare nella millenaria storia di Arezzo. Poche altre città hanno avuto il privilegio di custodire i resti mortali di un Papa e di ospitare un Conclave, com'è avvenuto ad Arezzo per la successione di Gregorio X. Il primo Conclave della storia di Santa Romana Chiesa è stato celebrato in Arezzo nel gennaio 1276.
Dal 1621, i cardinali potevano eleggere il papa per "ispirazione" o "acclamazione" (accordo unanime per ispirazione dello Spirito Santo), per "compromesso" (affidando il compito a un ristretto manipolo scelto tra loro), o con "votazioni a schede" (la maggioranza prevista era di due terzi). La bruciatura delle schede che vengono usate, effettuata per conservare il segreto sugli schieramenti formatisi, dà, attraverso dei segnali di fumo, la caratteristica fumata nera in caso di elezione mancata, mentre quando viene raggiunta la decisione sul nome del nuovo pontefice dà la famosa fumata bianca grazie all'aggiunta di sostanze chimiche.
Riassumendo:
III e IV secolo: il papa è eletto dal collegio dei sette diaconi; poi su designazione del clero e del popolo romano, con ratifica dei vescovi suburbicari della provincia.
Giustiniano (527-565) sottomise l'elezione del papa all'approvazione imperiale (Vigilio 540 e Pelagio 543) fino al 731 (Gregorio III).
In seguito il papa è eletto dal clero e dal popolo romano sotto il controllo del potere civile o della pressione di fazioni politiche.
Nicola II nel 1059 con la bolla In Nomine Domini riservò l'elezione ai soli cardinali vescovi.
Nel 1179 Alessandro III estese l'elezione a tutti i cardinali; (Canone Licet de evitanda discordia del concilio Lateranense III) l'eletto doveva raccogliere i 2/3 dei voti.
Il Conclave venne di fatto istituito da papa Gregorio X che - certo memore di quanto accaduto a Viterbo durante la sua elezione - promulgò la Costituzione apostolica Ubi Periculum nel corso del Concilio di Lione II (1274);, in sintesi si stabiliva che i cardinali elettori, ciascuno con un solo accompagnatore, dieci giorni dopo la morte del papa, si riunissero in una grande sala del palazzo ove risiedeva il papa defunto e fossero lì segregati; qualora dopo tre giorni non fosse avvenuta l'elezione, ai cardinali sarebbe stato ridotto il vitto ad una sola portata per pasto; dopo altri cinque giorni il vitto sarebbe stato ulteriormente ridotto a pane, vino ed acqua; inoltre, durante tutto il periodo della Sede vacante le rendite ecclesiastiche dei porporati erano trasferite nelle mani del Camerlengo, che le avrebbe poi messe a disposizione del nuovo papa..
La Ubi Periculum venne sospesa da papa Adriano V nel 1276 su richiesta di alcuni cardinali e quindi addirittura revocata da papa Giovanni XXI nel settembre dello stesso anno, con la costituzione Licet felicis recordationis, salvo essere ripristinata quasi completamente da papa Celestino V con la bolla Quia in futurum, del 28 settembre 1294 e successivamente inserita integralmente da papa Bonifacio VIII nel Codice di Diritto Canonico nel 1298.
Gregorio XV (1621-1623) diede due rinnovate Costituzioni per l'elezione pontificia, in balia dei tre grandi stati cattolici di allora, Aeterni Patris e Decet Romanorum Pontificem, che ribadivano la clausura e la maggioranza dei due terzi; il voto doveva essere segreto.
Le potenze cattoliche continuarono a intromettersi con il diritto di veto, che venne abolito da papa Pio X con la Costituzione Commissum nobis del 20 gennaio 1904.
Dal 1970, con il compimento dell'ottantesimo anno di età, i cardinali perdono il diritto di eleggere il Romano Pontefice e quindi anche il diritto di entrare in conclave (lettera apostolica di papa Paolo VI Ingravescentem Aetatem)

... ... ...


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Pietro Colonna (cardinale XIII secolo)

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Pietro Colonna (Roma, 1260 – Avignone, 14 agosto 1326) è stato un cardinale italiano della Chiesa cattolica, nominato da Papa Niccolò IV il 16 maggio 1288.
Era figlio di Giovanni e di una delle contesse dell'Anguillara, e fratello di Giacomo, detto "Sciarra", e di Stefano, "il Vecchio", nipoti del cardinale Giacomo Colonna.

Biografia
Fu elevato al rango di cardinale della Chiesa cattolica da Papa Niccolò IV il 16 maggio 1288, assumendo il titolo di diacono di Sant'Eustachio che tenne sino al 10 maggio 1297 quando venne deposto da Papa Bonifacio VIII, appartenente alla famiglia dei Caetani, e rivale dei Colonna, in seguito alla dichiarata nullità che Pietro, suo zio Giacomo e gli Spirituali Francescani, con il "manifesto di Lunghezza" fecero sulla sua elezione papale.
La reazione di Bonifacio VIII non si fece attendere i due cardinali furono destituiti e in una bolla definiti "dannata stirpe e del loro dannato sangue" e costretti a trovare rifugio presso la corte di Filippo IV di Francia detto "il Bello" anch'egli in cattivi rapporti con il papato.
Si susseguirono il così detto oltraggio di Anagni cui segui poco dopo la morte di Bonifacio VIII, e lo spostamento della sede papale ad Avignone, in Francia.
Qui Pietro Colonna fu reinstaurato il 2 febbraio 1306 da Papa Clemente V e il 7 dicembre 1307 assunse il titolo cardinalizio di Sant'Angelo in Pescheria.
Morì ad Avignone il 14 agosto del 1326.

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Veldriss
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Interdizione papale

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Nella terminologia canonica della Chiesa cattolica, il termine interdetto (o anche interdizione) si riferisce ad una censura ecclesiastica. Nell'uso più comune è una punizione che sospende tutte le manifestazioni pubbliche di culto e ritira i sacramenti della Chiesa da una comunità, a volte da un'intera nazione. Un interdetto emesso contro una comunità è l'equivalente di un atto di scomunica nei confronti di un individuo.
Nel Medioevo quando una comunità era colpita da interdetto, quasi tutti i sacramenti non venivano concessi ai suoi membri, con alcune eccezioni: il battesimo e l'eucarestia per i morenti. Non era concessa la sepoltura in terra consacrata, le messe erano celebrate solo privatamente, una volta alla settimana, per consacrare le ostie necessarie all'eucarestia dei morenti, le confessioni erano fatte nel vestibolo della chiesa o fuori. I laici potevano udire i sermoni la domenica nel vestibolo, ma non la lettura delle Scritture, neppure a Pasqua. Erani quindi vietati i sacramenti del matrimonio, penitenza ed eucaristia.
Dall'XI secolo gli interdetti imposti a intere comunità cominciarono a moltiplicarsi e contemporaneamente si mitigarono: il clero poteva essere sepolto e i crociati e altri pellegrini potevano fare penitenza. Alcune eccezioni erano ammesse per gli ordini religiosi.
Pochi crimini erano puniti automaticamente con l'interdetto (interdictum latae sententiae) e la pratica si sviluppò solo nel tardo XIII secolo. Tuttavia nella maggior parte dei casi l'interdetto era preceduto da avvertimenti, dalla metà del XIII secolo in forma scritta che esprimesse le ragioni del provvedimento. In genere si comminava per offese spirituali gravi: matrimonio illecito del signore di una comunità, azioni violente della comunità contro edifici sacri (effusione sanguinis) o per azioni illecite di carattere sessuale (emissione seminis); oltre che per punire crimini ecclesiastici: decime non pagate, tasse non autorizzate, danni alla proprietà della Chiesa, abuso fisico o imprigionamento di chierici.
L'interdetto può venire confuso con la scomunica in quanto la persona colpita da questo provvedimento non può ricevere i sacramenti e partecipare al culto pubblico, ma la scomunica comporta la perdita della grazia e l'allontanamento dalla comunità dei fedeli in questa vita e nell’aldilà. L’interdetto non comporta invece dannazione eterna.

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Elezione papale del 1268-1271

Messaggio da leggere da Veldriss »

L'elezione papale del 1268-71, tenutasi a Viterbo dopo la morte di Clemente IV, fu la più lunga nella storia della Chiesa, e si concluse con l'elezione di Tedaldo Visconti, che prese il nome di Gregorio X. L'inusitata -e mai superata- lunghezza di questa elezione (la Sede vacante durò complessivamente ben 1006 giorni!) fu causata dalle marcate contrapposizioni tra i cardinali, che non riuscivano a trovare un accordo; ciò portò il popolo viterbese, esasperato, a segregare inizialmente i cardinali all'interno del Palazzo dei Papi (clausi cum clave), quindi a ridurre drasticamente il loro vitto, ed infine addirittura a scoperchiare il tetto dello stesso Palazzo. Questa elezione è pertanto considerata comunemente come il Primo Conclave.

Premesse
Alla morte di Clemente IV il Sacro Collegio era formato da 20 cardinali, uno dei quali -il Vescovo di Albano Rodolfo de Chevriéres Grosparmy- si trovava peraltro al seguito di Luigi IX di Francia in Tunisia, ove morì nell'agosto 1270.I cardinali erano storicamente divisi in due partiti, la Pars Caroli (filofrancese e filoangioina, o guelfa), che poteva contare su 7 o 8 cardinali, e la Pars Imperii (filotedesca, o ghibellina), cui facevano riferimento una decina di cardinali, due dei quali, peraltro, morirono durante le votazioni. Oltre a questa divisione storica, i cardinali elettori erano ulteriormente suddivisi - per ragioni familiari o personali - in almeno quattro fazioni tra loro contrapposte, e questo rendeva sempre più problematico un accordo, considerando oltretutto che era necessaria una maggioranza di due terzi degli elettori . Occorre anche ricordare come, in quei momenti, tutto il mondo cristiano fosse profondamente scosso dall'uccisione del sedicenne Corradino di Svevia, ultimo erede del casato di Hohenstaufen, fatto decapitare a Napoli da Carlo d'Angiò il 29 ottobre 1268 nell'indifferenza o addirittura -secondo molti- con il favore di Papa Clemente IV. Inoltre, un altro drammatico fatto di sangue si svolse proprio a Viterbo durante il Conclave: Enrico di Cornovaglia, nipote di Enrico III d'Inghilterra, mentre assisteva alla Messa nella chiesa di San Silvestro durante la lunga sosta viterbese del corteo funebre che riportava in Francia i resti di Luigi IX -morto a Tunisi nel corso dell'ottava crociata- venne barbaramente trucidato -il 13 marzo 1271- dal cugino Guido di Montfort, all'epoca Vicario per la Toscana di Carlo d'Angiò. Questo delitto, che Guido commise insieme al fratello Simone uccidendo anche alcuni malcapitati, suscitò grande emozione e venne ricordato anche da Dante nel XII Canto dell'Inferno. Un simile coacervo di pressioni nazionalistiche, animosità politiche e sanguinose liti intestine aiuta a comprendere il difficile clima che permeava quello scorcio del XIII secolo.

Fasi inconcludenti e reazione del popolo viterbese
Trascorsi diversi giorni dalla morte di Clemente IV i membri del Sacro Collegio si riunirono a Viterbo per eleggere il nuovo papa. All'inizio i cardinali si recavano una volta al giorno presso la Cattedrale di Viterbo per incontrarsi e votare; ritornavano quindi presso le rispettive residenze. La tradizione voleva infatti che l'elezione avesse luogo nella Cattedrale della città ove era deceduto il precedente Pontefice[10]. Per quasi un anno le votazioni si susseguirono senza alcun risultato positivo, finché i cardinali non rivolsero la loro attenzione su Filippo Benizi, Priore Generale dell'Ordine dei Serviti, religioso in odore di santità (sarà effettivamente canonizzato da Clemente X nel 1671). Si dice che il buon frate, però, una volta informato delle intenzioni del Sacro Collegio, ritenendosi indegno, sia fuggito in una grotta sul Monte Amiata. Anche Bonaventura da Bagnoregio, settimo successore di San Francesco d'Assisi come generale dell'Ordine Francescano, pare abbia rifiutato in modo netto la possibile elezione. La situazione era di totale stallo ed in città erano talora presenti sia Carlo d'Angiò che Filippo III di Francia, quasi a voler tenere sotto controllo il comportamento dei cardinali. A questo punto vi fu, secondo la maggioranza degli storici, l'importante intervento proprio di Bonaventura che era nativo di quella terra (Bagnoregio dista da Viterbo solo 20 km.). Il frate francescano, con una serie di prediche, sollecitò l'elezione del successore di Pietro e, soprattutto, segnalò la necessità che il nuovo Papa fosse scelto al di fuori del collegio cardinalizio. La città di Viterbo era guidata, in quel tempo, dal Podestà Alberto di Montebuono e, soprattutto, dal Capitano del Popolo Raniero Gatti, uomo energico e molto stimato: i due, interpretando lo sdegno e l'insofferenza del popolo viterbese, convinti della necessità di sottrarre i cardinali elettori a tutte le pressioni provenienti dall'esterno, il 1º giugno 1270 ordinarono la chiusura delle porte della città e -colti di sorpresa i cardinali- li fecero condurre a forza nella grande sala del Palazzo dei Papi ove dissero loro che non li avrebbero più fatti uscire da quelle mura finché non avessero eletto il nuovo Papa. Dopo pochi giorni, per aumentare la pressione sul collegio cardinalizio, Raniero Gatti ordinò di ridurre le somministrazioni di vitto e di scoperchiare buona parte del tetto dell'aula dove erano rinchiusi i porporati. Peraltro, a differenza di quello che comunemente si crede, gli storici sono oggi concordi nell'asserire che tale situazione di estrema segregazione nella sola aula del Palazzo si sia protratta per non più di tre settimane: infatti il 21 giugno dello stesso 1270 i magistrati viterbesi consentirono ai cardinali di occupare anche tutte le altre stanze del Palazzo Papale per risiedervi e soggiornarvi, pur permanendo il divieto di lasciare il palazzo fino all'avvenuta elezione.

L'elezione di Gregorio X: le conseguenze
Mentre i cardinali -nonostante tutto- continuavano a rimanere in disaccordo, l'11 marzo 1271 giunse a Viterbo un corteo reale, con Carlo d'Angiò, Filippo III di Francia ed il principe inglese Enrico di Cornovaglia che riportavano in Francia i resti di Luigi IX, morto da crociato in Tunisia, e di altri membri della famiglia reale tutti morti lontano dalla terra natale. Durante la permanenza in città, Enrico di Cornovaglia venne barbaramente trucidato dall'angioino Guido di Montfort mentre assisteva alla Messa nella chiesa di San Silvestro. Filippo III, indignato per questo assassinio, lasciò in fretta Viterbo diretto in Francia, portando con sé anche le ossa dello sventurato Enrico. Carlo d'Angiò rimase a sua volta sbigottito per l'omicidio di un suo parente ad opera di un altro suo parente (ucciso ed uccisore erano cugini), per di più membro quest'ultimo della sua corte; la spiacevole situazione lo costrinse a lasciare anch'egli la città, pur nel segreto convincimento che la sua lontananza da Viterbo avrebbe reso quasi impossibile l'elezione di un Papa a lui gradito. Nel frattempo Bonaventura da Bagnoregio flagellava sempre più duramente il Sacro Collegio con le sue rampogne. Dopo pochi mesi la mutata situazione spinse i cardinali ad una decisione non infrequente in quegli anni: i porporati delegarono infatti il 1º settembre 1271 una Commissione, formata da sei di loro, con l'incarico di eleggere il nuovo Papa nel termine di due giorni. Fu peraltro assolutamente sorprendente il fatto che la Commissione delegata impiegasse solo poche ore, lo stesso 1º settembre 1271, per designare il nuovo Pontefice Romano nella persona di Tedaldo Visconti, un nobile piacentino, molto stimato per la sua bontà d'animo e la sua onestà, che in quei giorni si trovava a San Giovanni d'Acri per la nona crociata, al seguito di Edoardo I d'Inghilterra. Il Visconti, che non era nemmeno prete avendo soltanto gli ordini minori, fu informato quanto prima dell'elezione e, benché fosse stupefatto, si precipitò a Viterbo, ove giunse il 10 febbraio 1272, vi fu ordinato prete il 13 marzo dello stesso anno, e si recò quindi a Roma dove venne incoronato Papa il 27 marzo 1272 con il nome di Gregorio X. Due anni più tardi (1274), durante il Secondo Concilio di Lione da lui stesso convocato, memore delle difficoltà e delle lungaggini emerse a Viterbo durante la sua elezione, Gregorio X promulgò la Costituzione apostolica Ubi Periculum, con la quale venivano indicate le regole per l'elezione dei nuovi papi, prendendo a preciso modello quanto avevano fatto i viterbesi nel 1270. In sintesi, veniva sancita la segregazione dei cardinali elettori in un'aula comune, senza alcun contatto col mondo esterno e con graduale riduzione del cibo e dei redditi; ai negligenti sarebbe toccata la scomunica, la privazione dei pubblici uffici e l'attribuzione del titolo di infami. Questa rigorosa costituzione andò subito in vigore, ma venne sospesa da Adriano V nel 1276, su richiesta di alcuni cardinali, e quindi addirittura abrogata da Giovanni XXI, salvo essere reintrodotta nel 1294 da Celestino V, viste le grandi difficoltà del conclave che lo aveva eletto, e, soprattutto, da Bonifacio VIII che, nel 1298 ripristinò integralmente le norme della Ubi Periculum per l'elezione dei Papi, inserendole nel Codice di Diritto Canonico. Con piccole modifiche e aggiustamenti, dovuti all'evolversi dei tempi, queste norme regolano tuttora lo svolgimento del conclave.

Cardinali elettori
Enrico da Susa, cardinale vescovo con titolo di Ostia e Velletri (piemontese);
Eudes de Châteauroux, cardinale vescovo con titolo di Frascati (francese);
Giovanni da Toledo, cardinale vescovo con titolo di Porto-Santa Rufina (inglese - Ordine Cistercense);
István Báncsa, cardinale vescovo con titolo di Palestrina (primo cardinale ungherese della storia, morì durante il conclave) †1270;
Simone Paltanieri], cardinale prete con titolo di San Martino ai Monti (padovano - primoprete);
Simone de Brion, cardinale prete con titolo di Santa Cecilia (francese - futuro papa Martino IV);
Ancherio Pantaleone, cardinale prete con titolo di Santa Prassede (francese);
Guillaume de Bray, cardinale prete con titolo di San Marco (francese);
Guidone de Castella, cardinale prete con titolo di San Lorenzo in Lucina (borgognone o castigliano - Ordine Cistercense);
Annibaldo Annibaldi, cardinale prete con titolo dei Santi XII Apostoli (romano - domenicano);
Riccardo Annibaldi, cardinale diacono con titolo di Sant'Angelo in Pescheria (romano - protodiacono);
Ottaviano Ubaldini, cardinale diacono con titolo di Santa Maria in Via Lata (fiorentino);
Giovanni Gaetano Orsini, cardinale diacono con titolo di San Nicola in Carcere (romano-futuro papa Niccolò III);
Giordano Pironti, cardinale diacono con titolo dei Santi Cosma e Damiano (campano, morì durante il conclave) †1269;
Ottobono Fieschi, cardinale diacono con titolo di Sant'Adriano al Foro (genovese - futuro papa Adriano V);
Uberto Coconati, cardinale diacono con titolo di Sant'Eustachio (astigiano);
Giacomo Savelli, cardinale diacono con titolo di Santa Maria in Cosmedin (romano - futuro papa Onorio IV);
Goffredo da Alatri, cardinale diacono con titolo di San Giorgio in Velabro (laziale);
Matteo Rubeo Orsini, cardinale diacono con titolo di Santa Maria in Portico (romano).

Curiosità
L'idea di scoperchiare il tetto del Palazzo papale fu suggerita al capitano del popolo Raniero Gatti da una battuta dell'arguto cardinale inglese Giovanni da Toledo, che si rivolse agli altri porporati dicendo: «Discopriamo, signori, questo tetto; dacché lo Spirito Santo non riesce a penetrare per cosiffatte coperture».
I sei cardinali delegati il 1º settembre 1271 ad eleggere il nuovo Papa furono: Simone Paltanieri, Guidone de Castella, Riccardo Annibaldi, Ottaviano Ubaldini, Giovanni Gaetano Orsini e Giacomo Savelli.
Curiosamente, ben quattro dei 17 cardinali che conclusero questo lunghissimo conclave sarebbero successivamente divenuti Papi.

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