Repubblica marinara di Pisa

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Veldriss
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l'espansione pisana nel mediterraneo

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La Repubblica di Pisa, il cui porto, alla foce dell'Arno, a quel tempo si affacciava quasi sul mare, raggiunse così l'apice dello splendore tra il XII e il XIII secolo: le sue navi controllavano gran parte del Mediterraneo occidentale.

Il secolo XIII

All'inizio del XIII secolo Pisa si impegnò nella normalizzazione dei rapporti con la rivale Genova. Dopo essersi accordata con Venezia per poter eventualmente sostenere uno scontro prolungato con i liguri, Pisa si impegnò in un tentativo di pacificazione. Nel 1209 e nel 1217, vi furono dei convegni di pace a Lerici con i genovesi che si conclusero positivamente con la firma di trattati che garantirono un periodo ventennale di pace tra le due potenze marinare. La pacificazione non fu peraltro generalizzata in quanto nel 1220 Federico II confermò a Pisa il possesso della costa tirrenica da Civitavecchia a Portovenere rinnovando i motivi di ostilità verso Pisa non solo di Genova ma anche delle città toscane. Negli anni seguenti vi furono infatti scontri con Lucca in Garfagnana e Versilia ed una vittoria fiorentina a Castel del Bosco nel 1222. Inoltre il legame indissolubile con l'Impero, che vedeva acuire le tensioni col papato, portò quest'ultimo ad ostacolare le ambizioni pisane cercando di far perdere alla città ghibellina le posizioni acquisite nei giudicati sardi di Gallura, Arborea e Torres. Nel corso degli anni trenta del XIII secolo il papato accusò diverse sconfitte militari tra cui quella della Lega lombarda.
Nel 1238 tuttavia, grazie all'insoddisfazione di Genova per la politica di Federico II, papa Gregorio IX riuscì a formare un'alleanza che vedeva Genova e Venezia unite contro chi disobbediva al papato, vale a dire l'Imperatore e con esso Pisa. L'anno dopo procedette a scomunicare Federico II e indisse poi per il 1241 un concilio antimperiale da tenersi a Roma. Il precedente accordo con Genova ebbe modo di concretizzarsi con la scorta che la città ligure concesse per il trasporto dei prelati dell'Italia del Nord e della Francia verso la città eterna. Dopo aver cercato inutilmente di impedire la partenza attaccando Genova via terra e conquistando Lerici, una flotta pisana a cui si unì una flotta imperiale proveniente dalla Sicilia e guidata da Enzo, figlio di Federico II, affrontò la scorta. La battaglia si svolse il 3 maggio 1241 presso l'isola del Giglio e si concluse con una pesante sconfitta per Genova che le costò la cattura di 25 galee e di alcune migliaia di prigionieri, tra i quali due cardinali e vari vescovi. I prelati furono successivamente liberati ma conseguenza della loro cattura fu il fallimento del Concilio, che non ebbe luogo, e la scomunica della città di Pisa, accompagnata dalla revoca dei privilegi ecclesiastici concessi in passato. Tale scomunica venne a sua volta revocata solo nel 1257. La città toscana cercò comunque di sfruttare il momento favorevole conquistando la città corsa di Aleria e, nel 1243, addirittura cingendo Genova d'assedio, se pur inutilmente. La repubblica ligure si riprese tuttavia abbastanza velocemente e nel 1256 riuscì a riconquistare Lerici.
Con l'espansione della presenza pisana nel Mediterraneo e il consolidarsi degli interessi delle classi mercantili pisane, divenne necessario modificare l'assetto istituzionale della città. Scomparve quindi la carica di console e intorno al 1230 tali classi individuarono una figura che li rappresentasse sul piano politico e li difendesse su quello militare nella nuova istituzione del Capitano del popolo. Nonostante l'opera riformatrice in città così come nei territori ad essa sottoposti rimase una forte tensione dovuta alla rivalità tra le famiglie Della Gherardesca e Visconti. Dopo vari tentativi di pacificazione, tra cui quella del 1237, da parte degli arcivescovi e dell'imperatore Federico II, nel 1254 il popolo con una rivolta impose la nuova istituzione dei dodici Anziani del Popolo come loro rappresentanti alla guida del Comune. Inoltre affiancarono ai Consigli legislativi, composti da nobili, i nuovi Consigli del Popolo formati da rappresentanti delle arti principali e dai capi delle Compagnie del Popolo con la funzione di ratificare le leggi approvate dal Consiglio Maggiore Generale e dal Senato.
Nel 1284 nel corso dell'ennesimo confronto militare con Genova, Pisa subì una disastrosa sconfitta nella battaglia della Meloria.
Tale sconfitta, unita alla devastazione genovese di Porto Pisano nel 1290 a seguito di patti non rispettati, conferì un durissimo colpo alla potenza marittima della repubblica. Il colpo finale alle gloriose imprese marinare fu poi dato nel 1324 quando gli Aragonesi conquistarono definitivamente e completamente gli avamposti pisani in Sardegna. La potenza terrestre, invece, non risentì immediatamente del contraccolpo e ancora nel 1314 i Pisani, guidati dal capitano del popolo Uguccione della Faggiola, attaccavano ed espugnavano Lucca occupandola per tre giorni, e nel 1315 sconfiggevano duramente i fiorentini nella battaglia di Montecatini.

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La fine della Repubblica pisana

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LA CONCORRENZA FRA LE REPUBBLICHE MARINARE (di Catia di Girolamo)

La fine della Repubblica pisana
Nel corso del XIII secolo si consumano le battute decisive del confronto fra Pisa e Genova.
Fra le aree in cui i due centri estendono i propri traffici (Tirreno, coste francesi meridionali, coste iberiche sudorientali, Maghreb, Medio Oriente), Pisa sembra più solidamente attestata in quella tirrenica: controlla infatti quasi tutta la Corsica ed è ben presente anche in Sardegna, malgrado le instabilità innescate dall’antagonismo con i Genovesi, cui si collegano persistenti tensioni con le popolazioni locali. Anche in Sicilia, intorno alla metà del secolo, per i Pisani si verifica un miglioramento, benché di breve durata, dovuto all’alleanza con Federico II (1194-1250, imperatore dal 1220), che si sta battendo con il papato.
L’incessante concorrenza genovese impedisce però ai mercanti pisani di sfruttare appieno le proprie posizioni: i rivali riescono a disturbare di continuo le comunicazioni con la penisola, sicché per Pisa il problema di un confronto risolutivo appare ineludibile. Quando lo scontro arriva, nel 1284 (battaglia della Meloria), per i Pisani, sconfitti, si avvia un lungo declino: saranno ancora presenti lungo le principali rotte commerciali del tempo, ma con un’attività meno intensa e di respiro più corto.
L’irreversibilità della flessione pisana, d’altro canto, è il risultato di una congiuntura negativa della quale la concorrenza genovese è solo un aspetto. Per la Repubblica toscana, ha il proprio peso negativo anche un bilancio demografico impoverito dalla malaria - endemica in gran parte del contado - e dall’emigrazione verso la Sardegna; non è di grande aiuto un’alleata come Venezia, disponibile a impegnarsi solo nei mari di proprio diretto interesse, e forse poco lungimirante sugli effetti del rafforzamento di Genova che il declino pisano avrebbe comportato; è logorante, infine, una conflittualità che si sviluppa non solo per mare, ma anche per terra, dal momento che negli stessi anni Pisa, ghibellina, è in urto anche con la lega guelfa guidata da Firenze.

da "Castelli, Mercanti, Poeti" a cura di Umberto Eco
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Rustichello da Pisa

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Rustichello da Pisa (... – XIII secolo) è stato uno scrittore italiano, noto soprattutto per aver trascritto il resoconto dei viaggi di Marco Polo, conosciuto come Il Milione.
Dopo aver appreso la lingua francese a Pisa ed averne probabilmente perfezionato la conoscenza durante soggiorni in Inghilterra o in Terra Santa, Rustichello scrisse una compilazione in prosa di romanzi arturiani preesistenti (Tristano in prosa e Lancelot-Graal). La fonte fu probabilmente un libro in possesso del re Edoardo I d'Inghilterra, che consegnò il volume a Rustichello durante il suo passaggio dall'Inghilterra alla Terra Santa per partecipare alla ottava crociata guidata dal re di Francia Luigi IX il Santo. La redazione più vicina all'originale è tramandata dal manoscritto fr. 1463 della Bibliothèque Nationale di Parigi, copiato a Genova alla fine del XIII secolo. In altri manoscritti più tardi, il romanzo è stato interpolato col Guiron le Courtois, e diviso in due sezioni, intitolate Meliadus e Guiron le Courtois.
Rustichello, prigioniero a Genova in seguito agli eventi successivi alla battaglia della Meloria del 1284, conobbe Marco Polo, anch'egli prigioniero, forse nel 1298, in seguito alla sconfitta veneziana di Curzola. Durante la prigionia, nelle carceri di Palazzo San Giorgio a Genova, Marco Polo raccontò a Rustichello le memorie dei propri viaggi, il quale le trascrisse in lingua d'oïl ne Le divisament dou monde ("La descrizione del mondo"), noto con il titolo de Il Milione.

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Ugolino della Gherardesca

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Ugolino della Gherardesca (Pisa, 1220 – Pisa, 1289) è stato un nobile e politico italiano ghibellino (patteggiò per i guelfi) e comandante navale del XIII secolo.


« "Poscia che fummo al quarto dì venuti
Gaddo mi si gettò disteso a' piedi,
e disse: "Padre mio, ché non m'aiuti?".
Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid'io cascar li tre ad uno ad uno
tra il quinto dì e 'l sesto; ond'io mi diedi,

già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti
Poscia, più che il dolor, poté il digiuno."

Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti
riprese 'l teschio misero co' denti,
che furo a l'osso, come d'un can, forti. »
(Inferno XXXIII, 67-78)



Ugolino ricopriva un'importante serie di cariche nobiliari: era infatti Conte di Donoratico, secondo in successione come Signore del Cagliaritano e Patrizio di Pisa; divenne Vicario di Sardegna nel 1252 per conto del Re Enzo di Svevia, e fu uno dei vertici politici di Pisa dal 18 aprile 1284 (come podestà) al 1º luglio 1288, giorno in cui fu deposto dal ruolo di capitano del popolo.
Gli attriti con Ruggieri degli Ubaldini (arcivescovo di Pisa nonché capofazione ghibellino) portarono la sua posizione a peggiorare a tal punto che finì con alcuni figli e nipoti rinchiuso in una torre, dove morì per inedia nel marzo 1289.
La sua figura fu rappresentata, vent'anni dopo, nel canto XXXIII dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Gioventù e passato militare
Ugolino nacque a Pisa da una famiglia di origine longobarda, della Gherardesca, che grazie alle connessioni con la casata degli Hohenstaufen godeva di possedimenti e titoli in quella regione (allora territorio della Repubblica di Pisa) e difendeva le posizioni dei ghibellini in Italia.
Questo ben si adattava alle esigenze politiche di una città come Pisa, che storicamente appoggiava l'Impero contro il Papato.
Egli era però passato alla fazione guelfa grazie a una serie di frequentazioni e a un'amicizia profonda col ramo pisano dei Visconti, tanto che una delle sue figlie andò in sposa a Giovanni Visconti, Giudice di Gallura. Tra il 1256 e il 1258 fu impegnato assieme a Gherardo della Gherardesca e gli alleati sardi in varie guerre contro il Giudicato di Cagliari di cui, a seguito della spartizione dello stesso nel 1258, ne ottenne una vasta porzione nella parte occidentale dove favorì la nascita dell'importante città mineraria di Villa di Chiesa. Tra il 1271 e il 1274 guidò una serie di disordini contro il podestà imperiale ai quali partecipò lo stesso Visconti, e che finirono con l'arresto di Ugolino e l'esilio per Giovanni. Morto Giovanni nel 1275, Ugolino fu mandato in esilio – un confino terminato qualche anno dopo manu militari, grazie all'aiuto di Carlo I d'Angiò.
Nuovamente inserito nel tessuto politico pisano, fece valere la propria formazione diplomatica e bellica: nel 1284 era uno dei comandanti della flotta della repubblica marinara, e ottenne piccole vittorie militari contro Genova nella guerra per il controllo del Tirreno che era scoppiata quello stesso anno. Partecipò anche alla battaglia della Meloria del 1284, dove Pisa fu pesantemente sconfitta e in seguito alla quale perse territorio e influenza.
Secondo alcune testimonianze dell'epoca, durante la battaglia, Ugolino non riuscì a concludere alcune manovre navali, in particolare il ritiro di alcuni vascelli da una parte dello specchio d'acqua per rinforzarne altri: si convenne dunque che Ugolino stesse cercando di scappare con le forze a sua disposizione, e si generò il sospetto che fosse null'altro che un disertore, fermato più dal precipitare degli eventi che da un effettivo ripensamento.

Ascesa politica e trattative di pace
Conclusa l'esperienza con la marina, e nonostante le accuse che gli venivano rivolte, Ugolino fu nominato prima podestà (1284) e poi capitano del popolo (1286) assieme al figlio di Giovanni Visconti, Nino. Egli ricopriva questa carica in un momento difficilissimo per la Repubblica: approfittando infatti della semi-distruzione della flotta pisana, Firenze e Lucca, tradizionalmente guelfe, attaccarono la città. Avere un vertice guelfo a capo di una città ghibellina avrebbe aumentato le possibilità di dialogo e smorzato i contrasti tra i governi, a patto di poter contare su una personalità forte.
Ugolino prese per prima cosa contatti con Firenze, che pacificò corrompendo, per mezzo delle sue cospicue amicizie, alcune alte cariche della città. In qualità di uomo più influente di Pisa prese poi contatti coi Lucchesi, che desideravano la cessione dei castelli di Asciano, Avane, Ripafratta e Viareggio; pur sapendo che per Pisa si trattava di una concessione troppo ampia, essendo tali piazzeforti una serie di punti chiave del sistema difensivo cittadino, acconsentì alle pretese di Lucca, e con questa convenne in segreto di lasciarle senza difesa. Alla conclusione dell'operazione, che fattivamente poneva fine al conflitto, Pisa manteneva il controllo delle sole fortezze di Motrone, Vico Pisano e Piombino.
I negoziati di pace con Genova non furono meno dolorosi: riguardo al fallimento delle trattative esistono due versioni, probabilmente diffuse dalle fazioni politiche coinvolte. Secondo una leggenda di chiara origine ghibellina, Ugolino decise non cedere alle richieste genovesi – il passaggio di mano della rocca di Castello di Castro, l'odierna Cagliari – in cambio dei prigionieri pisani per impedire il rientro di alcuni capi ghibellini imprigionati a Genova. Secondo una voce più probabilmente guelfa, alcuni tra i prigionieri avevano dichiarato, interpretando l'umore di tutti, che avrebbero preferito morire piuttosto di vedere una piazzaforte costruita dagli antenati cadere senza combattere, e se fossero stati liberati avrebbero impugnato le armi contro chiunque avesse consentito uno scambio tanto disonorevole.

Potere assoluto e lotte intestine
Curiosamente, l'insieme delle trattative riuscì ad accontentare chiunque all'infuori di Pisa, e a scontentare tutti i Pisani: i ghibellini cominciavano a guardarlo come un traditore in battaglia come in politica, per essere passato alla parte guelfa in gioventù, per la "diserzione" della Meloria e per il sacrificio dei capi ghibellini a Genova, al momento destinati alla vendita come schiavi; i guelfi lo consideravano ambiguo, privo di una vera affidabilità per le proprie origini ghibelline, dalla concessione facile nei confronti dei nemici e troppo avido di ricchezze e potere per costituire una guida sicura per la città.
Il duumvirato con Nino ebbe dunque vita breve: costui decise di appropriarsi del titolo di podestà insediandosi nel palazzo comunale, e si avvicinò alla maggioranza ghibellina entrando in contatto con l'arcivescovo, nonché capofazione del patriziato e dei sostenitori dell'Impero, Ruggieri degli Ubaldini.
Il conte reagì con assoluta fermezza: nel 1287 scacciò e fece demolire i palazzi di alcune famiglie ghibelline prominenti, occupò con la forza il palazzo del Comune, ne scacciò il nuovo podestà e si fece proclamare signore di Pisa.
Nell'aprile dello stesso anno giunse a Pisa una delegazione di ambasciatori genovesi per trattare la pace e decidere sulla sorte dei numerosi prigionieri della Meloria, per la cui liberazione si era deciso di abbassare il riscatto: anziché la cessione di Castello di Castro, Genova si sarebbe accontentata di una somma in denaro.
Ugolino della Gherardesca, all'apice del potere, vide però nel ritorno dei prigionieri una minaccia, tanto più che questi gli avevano giurato vendetta per il fallimento delle trattative iniziali: in risposta alla legazione, che rientrò a Genova a mani vuote, le navi pisane cominciarono ad aggredire i mercantili genovesi nell'alto Tirreno, per mano dei corsari sardi.
Per scongiurare che anche il nipote Nino diventasse una minaccia all'unità del proprio potere, fece rientrare in città alcune delle famiglie ghibelline scacciate (i Gualandi, i Sismondi e i Lanfranchi), le cui milizie si unirono a quelle dei della Gherardesca: una mossa che valse una parziale pacificazione con Ruggieri degli Ubaldini, il quale fece finta di non vedere quando il Visconti gli chiese appoggio contro le forze politiche schierate contro di lui.

Esasperazione popolare e vendetta
Esiliato il nipote, sistemata la questione con Genova e pacificate Firenze e Lucca, il conte Ugolino, dall'alto del proprio potere ormai quasi assoluto, si permise il lusso di rifiutare un'alleanza con l'arcivescovo in un momento delicatissimo per la storia della Repubblica: dopo una serie di lotte intestine che impedirono la ricostruzione di una flotta militare, e dopo che si era indebolita proprio per questa ragione quella mercantile, nel 1288 Pisa soffriva di un drammatico caroviveri, che limitava al minimo la circolazione delle merci e soprattutto impediva il continuo e corretto approvvigionamento della popolazione.
Le tensioni che si crearono tra le grandi famiglie pisane causarono una serie di rivolte e scontri, nei quali le famiglie della maggioranza ghibellina appoggiata da Ruggieri degli Ubaldini (Gualandi, Sismondi, Lanfranchi, Orlandi, Ripafratta) si opposero con le armi alle famiglie della minoranza guelfa appoggiata dal conte (Visconti, Gaetani, Upezzinghi): entrambe le fazioni erano state aumentate nel numero dei combattenti dalla penetrazione di guelfi e ghibellini travestiti da mercanti.
Il casus belli fu la morte di un nipote dell'arcivescovo, avvenuta per mano dello stesso Ugolino, durante un violento alterco che quest'ultimo aveva avuto con un familiare. Il 1º luglio 1288, dopo avere partecipato nella chiesa di San Bastiano ad un consiglio che doveva decidere della pace con Genova, ma che si sciolse senza concludere nulla, Ugolino si ritrovò coinvolto coi suoi in una serie di violenti attacchi, in cui morì Balduccio della Gherardesca, un figlio naturale del conte.
Dopo un'accanita resistenza, sopraffatto coi suoi dai ghibellini, Ugolino si chiuse verso mezzogiorno coi familiari nel palazzo del Comune, dove rimase a difendersi disperatamente fino a sera e donde uscì solo dopo che fu appiccato il fuoco all'edificio.
Furono allora rinchiusi nella Muda, una torre di proprietà dei Gualandi, che fu una durissima prigione per Ugolino, i figli Gaddo e Uguccione, e i nipoti Anselmuccio e Lapo. Per ordine dell'arcivescovo, nel frattempo autoproclamatosi podestà, nel marzo 1289 fu dato ordine di gettare la chiave della prigione nell'Arno, e di lasciare i cinque prigionieri morire di fame.

La leggenda
Se la biografia di Ugolino della Gherardesca è suffragata da alcune prove storiografiche, la terribile fine del conte nei suoi tragici aspetti deve la sua fama e la sua diffusione esclusivamente a Dante Alighieri, che lo collocò nell'Antenora, ovvero il secondo girone dell'ultimo cerchio dell'Inferno (a metà tra i canti XXXII e XXXIII), tra i traditori.
Secondo Dante, i prigionieri morirono per inedia lentamente e tra atroci sofferenze, e prima di morire i figli di Ugolino lo pregarono di cibarsi delle loro carni. Nel poema, Ugolino afferma che più che il dolor poté il digiuno, con una doppia, ambigua interpretazione: in un caso, il conte ormai impazzito si ciba della progenie; nell'altro, resiste alla fame e lascia che sia la fame a dare il colpo di grazia a un uomo già distrutto dal dolore per la perdita dei figli.
La prima conclusione, la più terrificante e raccapricciante, fu quella che convinse maggiormente l'ampio pubblico della Commedia, almeno inizialmente: per questa ragione Ugolino è passato alla storia come il conte cannibale e viene spesso rappresentato con le dita delle mani strappate a morsi ("ambo le man per lo dolor mi morsi", Inf XXXIII, 57) per la costernazione, come nella scultura I Cancelli dell'Inferno di Auguste Rodin, e Ugolino e i suoi figli di Jean-Baptiste Carpeaux. Studi più recenti hanno invece portato gli studiosi ad optare per la seconda scelta, cioè quella secondo la quale il Conte sia morto per la fame che lo opprimeva da quasi una settimana. E gli studi delle ossa dei prigionieri, possono far pensare che il cannibalismo non sia mai accaduto.
Ugolino appare nell'Inferno sia come un dannato che come un demone vendicatore, che affonda i denti per l'eternità nel capo dell'arcivescovo Ruggieri.

Curiosità
L'abitazione di Ugolino, sita sul Lungarno, dopo la sua morte, venne abbattuta e sul terreno venne sparso del sale, e venne abolita la costruzione di un qualsiasi edificio sulle proprietà della famiglia del conte.
Ad oggi, è ancora l'unico spazio verde che si affaccia sull'Arno a Pisa, sulla riva meridionale del fiume (attuale Lungarno Galilei).

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Giovanni Visconti di Gallura

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Giovanni Visconti fu Giudice di Gallura dal 1238 alla morte, avvenuta nel 1275. Egli era membro della dinastia dei Visconti di origine Pisana.
Egli era figlio di Ubaldo I Visconti di Cagliari e cugino di Ubaldo Visconti di Gallura; quest'ultimo nel 1237 in un testamento redatto a Silki, designò Giovanni quale erede del suo Giudicato. La vedova di Ubaldo però, Adelasia di Torres, presto si risposò con Enzo di Svevia con il quale assunse il governo della Gallura ed il titolo regale, concesso dall'Imperatore Federico II, padre di Enzo. Ma il dominio della coppia fu breve perché Giovanni fu capace nel giro di poco tempo di riprendersi la sua eredità.
Nel 1254 Giovanni si alleò alla Repubblica di Pisa nel suo attacco contro Giovanni di Cagliari. Nel 1258 Pisa divise il Giudicato di Cagliari tra i suoi alleati, così Giovanni annesse un terzo di esso alla Gallura (per la precisione le curatorie di Ogliastra, Quirra, Sarrabus e Colostrai).
Giovanni successivamente rimase per lo più nella penisola italiana, per partecipare al fianco di Pisa alle guerre che contrapponevano Guelfi e Ghibellini. Ritornò in Sardegna nel 1274, ma già l’anno successivo era tornato a Pisa dove morì e i suoi possedimenti furono amministrati dalla Repubblica.
In prime nozze Giovanni sposò Dominicata, figlia di Aldobrandino Gualandi-Cortevecchia, che però morì nel 1259. In seconde nozze sposò una figlia del celebre Ugolino della Gherardesca, Conte di Donoratico, da cui ebbe il suo erede Nino Visconti. Giovanni fu uno dei pochi ad appoggiare il suocero della Gherardesca, nelle lotte interne che in quel periodo affliggevano Pisa.

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Nino Visconti

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Nino (o Ugolino) Visconti (... – Sardegna, 1296) , uomo politico di parte guelfa ed ultimo giudice di Gallura.
Figlio di Giovanni Visconti e nipote del conte Ugolino della Gherardesca, uomini politici pisani, entrambi espulsi da Pisa nel 1273 e rifugiatisi in Sardegna, è stato rappresentante degli Obertenghi, capo della fazione guelfa di Pisa. Fu inoltre signore del giudicato di Gallura, che aveva portato alla sua massima estensione, associandovi l'Anglona, il Monteacuto, parte delle Barbagie, l'Ogliastra e il Sarrabus. Aveva favorito l'incastellamento del territorio.
Nel 1275 muore il padre e nel 1276, con il trattato di pace tra il comune di Pisa e la Lega guelfa, Nino Visconti venne riammesso in patria. Divenne giudice del giudicato di Gallura.
Nel 1286 venne nominato insieme al nonno materno, Ugolino della Gherardesca capitano del popolo della Repubblica di Pisa. Nel 1287 Nino si appropriò del titolo di podestà di Pisa e iniziò a stringere accordi con i ghibellini e il potente arcivescovo Ruggeri, ma poco dopo la ritorsione del conte Ugolino, che riassunse e accentrò la carica di signore di Pisa, lo costrinse alla fuga e all'esilio (1288).
Tentò allora di promuovere iniziative contro Pisa ghibellina da parte dei comuni di Genova, Firenze, Lucca. Nacque inoltre, probabilmente in questo periodo a Firenze, la profonda amicizia con il giovane Dante Alighieri.
Gli fu vicario il sardo Frate Gomita, da lui comunque poi fatto impiccare per corruzione.
Nel 1293 viene nuovamente esiliato da Pisa ma negli anni successivi è ancora alla ricerca di appoggi contro il governo pisano a Lucca, Firenze, San Gimignano e Siena.
Ritiratosi in Gallura, morì nel 1296 e chiese che il suo cuore venisse trasportato non a Pisa ma a Lucca, all'epoca in mano guelfa. Con la sua morte ebbe termine il giudicato di Gallura, che da quel momento venne occupato e amministrato direttamente da Pisa a mezzo di un vicario (il possesso divenne definitivo nel 1308). La vedova di Nino Visconti, Beatrice d'Este, figlia di Obizzo II d'Este, signore di Ferrara e Modena sposò in seconde nozze Galeazzo I Visconti di Milano, mentre la figlia, Giovanna, crescerà a Milano.
Viene citato da Dante Alighieri come "giudice Nin gentil"" nella Divina Commedia (8° canto del Purgatorio).

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Guido da Montefeltro

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Guido I da Montefeltro, detto anche Il Vecchio (San Leo, 1223 – Assisi, 29 settembre 1298), è stato un condottiero, politico e religioso italiano, signore della contea di Montefeltro, ghibellino, si distinse per le imprese militari condotte in Romagna.

Nacque nella prima metà del XIII secolo e, per quanto fosse nei primi anni malaticcio, ovvero gracile e debole, diede in vecchiaia prove di forza e di resistenza. A ventisei anni si era già fatto capo di numerose schiere di ghibellini faentini e di forlivesi.
Nel 1263 Guido ricevette il titolo di Conte di Ghiaggiolo, che più tardi gli consentirà di ottenere il diritto di cittadinanza forlivese. Sposò Manentessa, che gli diede cinque figli: (1259 ca- 1289), Federico (che trasmise il proprio nome e la successione ai Montefeltro), Ugolino, Leccio ( - 1289) e Corrado.
Quando Firenze guelfa cacciò i ghibellini, confiscò i loro beni, che furono divisi tra i vincitori. Dopo il 1267 i fuoriusciti, eletto per loro capo Selvatico di Dovadola, marciarono contro la parte avversa di cui era capo Guido. Quando i due eserciti si trovarono di fronte uno a l'altro, la paura invase gli assalitori, che fuggirono ancora prima di iniziare il combattimento. Con pari fortuna Guido prese Senigallia. Per i meriti acquisiti sul campo, nel 1268 fu nominato deputato-senatore di Roma.
Il più acerrimo nemico di Guido in Romagna fu Malatesta da Verucchio (1212-1312), capostipite del casato malatestiano riminese ed esponente della parte guelfa. Il primo scontro tra i due avvenne nel 1271. Guido volle togliere l'assedio con cui Malatesta stava stringendo Rimini, ma fu catturato e fatto prigioniero (22 giugno).
Nel 1275 Guido fu protagonista di un altro scontro tra guelfi e ghibellini: la nota battaglia di San Procolo. Dopo un tentativo, fallito, della guelfa Bologna di attaccare la ghibellina Forlì, i ghibellini, sotto il comando di Guido da Montefeltro, di Maghinardo Pagani e di Teodorico degli Ordelaffi, attaccarono la stessa Bologna: i guelfi furono sconfitti presso il fiume Senio, al ponte di San Procolo. La rotta dei bolognesi fu tale che persero anche il Carroccio, portato da Guido in trionfo a Forlì assieme al Gonfalone. Il Carroccio fu poi conservato a lungo nella sala del Consiglio, mentre l'asta del Gonfalone venne esposta e poi conservata nella chiesa di San Giacomo dei Domenicani. Nell'estate dello stesso anno Guido conquistò Cervia togliendo a Bologna la sua fonte primaria di sale. Poi riportò la sua prima vittoria su Malatesta da Verucchio a Roversano (5 km a sud della città), cacciando così i Malatesta da Cesena (settembre). Per i meriti acquisiti sul campo, Guido fu elevato all'onore di Capitano del popolo di Forlì e Faenza. Guido divenne così il capo dei Ghibellini di tutta la Romagna.
Nel 1275 Guido da Polenta prese la signoria di Ravenna. I Da Polenta erano una famiglia guelfa. Guido ritenne che i Da Polenta avrebbero potuto espandersi; in questo caso la prima città ad essere attaccata sarebbe stata Faenza. Nel maggio 1277 raccolse le sue truppe e cinse d'assedio Bagnacavallo, paese situato a mezza strada tra le due città. L'azione proseguì per diverse settimane, per cui fu necessario costruire un campo base attrezzato. Guido fece costruire una bastia fortificata e la chiamò Cotignola. In seguito la bastia divenne un paese abitato.
L'impresa più famosa, però, è la Battaglia di Forlì, ricordata anche da Dante, che di Forlì dice: la terra che fe' già la lunga prova / e di Franceschi sanguinoso mucchio (Inferno, XXVI, 43-44). Fu la vittoria, momentanea, nel 1282, sull'esercito di francesi comandato da Giovanni di Appia che papa Martino IV aveva inviato contro la città di Forlì, roccaforte dei ghibellini. Nella circostanza, Guido ebbe anche l'aiuto dell'astronomo, allora celeberrimo, Guido Bonatti. La città era stata cinta d'assedio l'anno prima. Guido, fingendo la resa della città, era riuscito a rompere l'assedio, poi colse alla sprovvista i nemici, li sconfisse e li massacrò.
Ma nel 1283 l'esercito alleato del papa riportò la vittoria definitiva. Come condizione per accettare la resa, i vincitori ottennero che Guido fosse allontanato da Forlì (maggio 1283). Si trincerò nel suo castello di Meldola, dove resistette alcuni mesi. Poi Guido, che per la presa di Forlì era stato colpito dalla scomunica papale, dovette far atto di sottomissione. Fu inviato al confino, prima a Chioggia e poi ad Asti.
Rimase ad Asti inattivo per alcuni anni. Nel 1289, richiamato dai pisani, cercò di portare ordine e disciplina nello stato di cui era affidatario. Nel 1295, fatta la pace tra fiorentini e pisani, una delle condizioni era l'allontanamento di Guido. Ma questi si accattivò l'animo del nuovo papa Bonifacio VIII e fu investito della signoria di Forlì.
L'anno precedente, Guido si era riappacificato con la Chiesa. Sul suo capo pendeva una scomunica datata 26 marzo 1282. Dinanzi a papa Celestino V, nell'autunno 1294 Guido rinunciò definitivamente a fare opposizione alla Santa Sede ed ottenne l'assoluzione da tutte le condanne precedentemente subite. Durante il suo soggiorno a Forlì, ripensò al suo passato di sanguinario e si convertì. Il 17 novembre 1296 vestì l'abito francescano e si ritirò in convento ad Assisi, dove visse i suoi ultimi anni.

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Uguccione della Faggiola

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Uguccione della Faggiola, o Faggiuola, (Castel Priore (Castrumpriori), 1250 – Vicenza, 1º novembre 1319), è stato un condottiero italiano.

Capitano di ventura ed uomo politico, fu tra i protagonisti della vita politica e militare del Medio Evo in particolare all'interno delle vicende che contrassegnarono lo scontro tra papato ed impero.
Nato a Casteldelci nel 1250, che all'epoca era sotto l'amministrazione di Massa Trabaria, al confine tra Romagna, Marche e Toscana, dopo aver tentato di diventare signore di Forlì (1297), contando sulle simpatie ghibelline della città, e dopo essere stato podestà e signore di Arezzo nel 1295 e poi ancora nel 1302 fu vicario del re Enrico VII di Lussemburgo a Genova tra il 1311 e il 1312, fu chiamato a Pisa nel 1313 per esercitarvi la signoria.
Il 1315 segna l'anno del massimo fulgore della sua stella nel firmamento del Ghibellinismo toscano, è di quell'anno infatti la Battaglia di Montecatini il fatto d'arme che consolidò ed estese a tutta la penisola la sua fama di abile condottiero.
Si trattava in sostanza di uno scontro impari, da una parte c'era Firenze, in quegli anni una delle città più ricche d'Italia e d'Europa alleata con molte altre città: Siena, Prato, Pistoia, Arezzo, Colle Val d'Elsa, Volterra, San Gimignano, ecc. ed anche con gli Angioini di Napoli.
Dall'altra parte stava Pisa, città sostanzialmente in crisi dopo la Battaglia della Meloria e Lucca, città occupata militarmente dallo stesso Uguccione e quindi non del tutto affidabile.
In questo contesto di debolezza Uguccione poteva tuttavia contare su un punto di forza rappresentato da un contingente di 1800 cavalieri tedeschi, mercenari che facevano parte delle truppe imperiali e che si posero al servizio di Pisa a suon di fiorini, ma anche animati da un odio profondo verso i Guelfi e gli Angioini.
In seguito a questa vittoria per molti versi clamorosa ed inattesa Firenze fu abbandonata da gran parte delle città toscane che si affrettarono a chiedere e a ottenere la pace con Pisa, e riuscì a salvarsi solo grazie ad una ritrovata concordia interna.
Nel 1316 i pisani cacciarono Uguccione perché stanchi dei suoi metodi autoritari e dell'esosità delle imposte richieste dalle esigenze militari, questo fatto lo costrinse a cercare rifugio presso Cangrande della Scala che lo fece podestà di Vicenza. Con questa autorità Uguccione represse duramente la rivolta guelfa del Maggio 1317.
Durante il suo servizio per il signore di Verona egli guidò anche la guerra contro Brescia e Padova.
Uguccione della Faggiola morì il 1º novembre 1319, il suo corpo fu portato da Vicenza a Verona per essere tumulato nella chiesa di Santa Anastasia.
Un cronista dell'epoca Agnolo di Tura così conclude la narrazione che portò alla caduta del signore di Pisa e di Lucca:
"Questo fu il guiderdone che lo popolo di Pisa rendé a Uguccione da la Fagiuola, che gli avea vendicate di tante vergogne e raquistate tutte le loro castella e degnità e rimisserli nel magiore stato e più temuto da' loro vicini che città d'Italia"

Le amicizie
Uguccione ebbe amici davvero inconsueti tra i quali Dante Alighieri. Il sommo poeta riponeva molte speranze nella figura di Arrigo VII di Lussemburgo, il quale chiamato da più parti, discese in Italia nel 1310 con lo scopo di pacificare la penisola, ma mentre muoveva all'attacco dell'ostinata Firenze, morì, si dice, avvelenato. In quell'anno pare che Dante profondamente deluso sia andato a Lucca presso Uguccione della Faggiola.
Alcuni commentatori della Divina Commedia vogliono che a lui alluda il sommo Poeta quando, (Inferno, I, 101-102) afferma che verrà il Veltro, il quale disperderà la cupidigia dominante nel mondo. La tesi venne espressa nel 1828 da Carlo Troja nel saggio Del veltro allegorico di Dante e successivamente nel Del veltro allegorico de' Ghibellini (1856). La tesi fu confutata da Niccolò Tommaseo, ma ispirò Cesare Balbo per la sua Vita di Dante.
Uguccione conosceva bene anche Corso Donati, che gli diede una delle sue figlie in sposa.
Lo stemma araldico di Uguccione era l'Aquila in campo rosso.

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Porto Pisano

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Dal 1157 il Comune di Pisa decise la fortificazione del Porto Pisano, il più importante della città. Le sue strutture subirono progressive modificazioni e distruzioni: nel 1290 fu infatti raso al suolo completamente, ed ulteriori devastazioni furono compiute almeno fino al 1362, quando passò sotto il dominio fiorentino. Nel 1156 si era avviata l'edificazione di una torre sullo scoglio della Meloria, che fu terminata l'anno successivo. Nell'estate del 1157 si eressero due torri nel Portus Magnalis, come si chiamava una parte di Porto Pisano. La prima ad essere completata, nel novembre del 1162, fu la torre dalla parte di Livorno; e l'anno successivo fu ultimata anche l'altra, dalla parte della Frasca. Entrambe erano dette turres de Magnali. Nel 1174 si pose mano all'edificazione del Magnum Fondacum, cioè del magazzino per il ricovero merci, che era fortificato. Tutti questi lavori di edilizia militare facevano parte di un progetto generale di fortificazione e creazione di strutture portuali, progetto parallelo alla fortificazione della città di Pisa. In esso si può comprendere anche la costruzione del Fanale del porto di Livorno, di cui non si conosce l'anno esatto e di una quarta torre, detta turris nova de Formice (la torre della Formica) in costruzione, pare, nel 1285. La Torre della Formica rappresenta forse l'esempio più significativo dell'importanza delle fortificazioni costiere per il sistema portuale pisano. Si trattava infatti di una fortificazione posta nel Porto Pisano, in una località strategica dove il console del mare era tenuto a mantenere dei pali per consentire alle navi di accostarvisi ed ormeggiare. Infatti le galere non navigavano isolate, ma in carovana. Quando la carovana arrivava, nel porto non c’era posto per tutte, perciò alcune dovevano sostare in rada, presumibilmente attraccate in questo punto.

L'assetto del porto mutò in seguito alle distruzioni operate dai Genovesi nel 1285 e nel 1290, con l'abbattimento del Fanale e delle quattro torri del Porto Pisano. In seguito, però, il Fanale e tre torri furono ricostruite nel giro di pochi anni. Il primo nel 1310 era già funzionante e le torri sono presenti fin dal 1297, nominate: la torre Vermiglia (turris Vermilia) eretta sulle rovine della torre della Formica, la torre del Magnale (turris Magnalis) e la Torrazza (Turrassa). Ciascuna torre era fornita di castellani e sergenti.

Il fiume Arno, via di accesso della città al mare, era sempre stato difficile alla navigazione per la presenza di banchi di sabbia. Soprattutto il passaggio della foce era particolarmente difficile. Basti pensare che nel 1113 le galee pisane, in partenza per la spedizione delle Baleari, per evitare di incagliarsi dovettero essere scaricate prima dell'uscita a mare per essere ricaricate dopo la foce.

"da http://www.stilepisano.it"

Inizi del XIII secolo
Agli inizi del 1200, fuori dal perimetro delle mura urbane e sulla riva destra dell'Arno, sono probabilmente già presenti alcune strutture portuali in corrispondenza della confluenza di un canale secondario.
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XIII-XIV secolo
Dal 1200 in poi e per tutto il periodo di massimo splendore della marineria pisana, viene costruita la Terzana ovvero gli arsenali navali repubblicani con 60 o 80 portici per il rimessaggio delle galee, addossati alle mura urbane e fortificati dal 1261 sugli altri tre lati.
All'interno doveva esserci un bacino a cui si accedeva attraverso la Porta delle Galee.
La torre Ghibellina, poi munita di ante-porta, viene eretta nel 1290 nell'angolo sud-ovest, mentre nel 1320 viene costruito il ponte nuovo o Ponte a Mare, nei pressi della Porta Degathia.
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"da http://www.comune.pisa.it"
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